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Autore: Anya_tara    18/07/2018    0 recensioni
" ... Lo guardo allontanarsi, con quel suo passo fluido ingannevolmente tranquillo, e invece rapido e spedito. La strana sensazione che mi ha preso prima torna, mi prende nel petto, al cuore, facendomi provare un improvviso, intenso calore.
Chi sei davvero, Alejandro? Mi sembra di conoscerti da sempre, eppure di te non so niente ".
La strana coppia in una versione ancora più strana. Almeno secondo la sottoscritta.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Capricorn Shura, Leo Aiolia, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ci penso io a tutto un cazzo.
Sei notti. Sei maledette notti insonni, casino, bagni lerci, gente che entra ed esce sbattendo le porte.
E nessuna buona notizia. << Sai come sono le ragazze. Non ce l’hanno fatta a mandarla via in questo stato … e che vuoi farci? Dai, fratello, un altro po’ di pazienza >>.
Ne ho già avuta fin troppa. La settima notte, esasperato, decido che in un modo o nell’altro devo andarmene da qui.
Mi presento in facoltà che sembro un zombie, praticamente barcollo da un angolo all’altro senza riuscire a capire cos’è che sto facendo. Ora come ora ci vorrebbe un caffè, anzi magari anche un paio.
Senza volerlo urto qualcuno. << Sorry >>, borbotto. Ma appena mi accorgo ch’è una ragazza, sorrido. << Oh, excuse me … >>.
<< Tranquillo >>, replica lei in un ottimo greco. E rimango di sasso.
<< Come hai fatto a capirlo? L’accento? >>. E io che sono sempre andato fiero della mia pronuncia.
<< No, è che ti ho sentito imprecare, prima. Quando hai sbattuto il piede contro la porta >>.
<< Cavolo >>. Meno male che credevo di non correre rischi, tirando giù qualche santo in greco.
Evidentemente le precauzioni non sono mai sufficienti, nemmeno qui. << Mi dispiace >>.
La giovane sorride. << Ho visto che stai un attimo perdendo colpi. Fuso orario? >>.
<< Ostello >>, replico. E lei risucchia l’aria tra i denti. E’ carina, di statura media per essere una donna, e ha dei begli occhi nocciola dorato, le lentiggini sul nasino che arriccia in una smorfia che fanno il paio con i capelli rossi e ondulati, lunghi fino alle spalle.
<< Brutta storia. Ci ho passato una settimana appena arrivata, e ho deciso ch’era meglio dormire nella stazione della metropolitana >>.
<< Amen >>.
Ride, porgendomi la mano. << Larissa >>.
<< Ah, ti chiami come la città >>.
<< No, sono di Larissa >>, spiega, sorridendo di nuovo. Io storco le labbra, imbarazzato. << Mi chiamo Alyké Kouranaki >>.
<< Alexandròs Diamantis. Di Kalliniki >>.
<< Temo di non averlo mai sentito nominare >>.
<< Buon per te >>. Poi di colpo mi sovvengono le buone maniere. Vedi a praticare Milo cosa succede: diventi uno zoticone peggio di lui. << Posso … offrirti un caffè? >>.
Lei si stringe nelle spalle, si mordicchia un labbro. << Grazie, ma sono già in ritardo. Comunque, se accetti un consiglio, va’ a dare un’occhiata nella bacheca giù all’entrata. Ci sono un sacco di occasioni, io ho trovato così un posto letto >>.
<< Ed è buono? >>.
<< Sì, molto. Ti aiuterei, ma come ti ho detto, sono già in ritardo >>. << Be’, allora … ci vediamo. E … ricordati che mi devi un caffè >>.
<< Se trovo casa, ti offro un’intera colazione >>.
Ride ancora, e annuisce. << Ci sto >>. Si allontana velocemente, la cartella che sbatte ritmicamente sul fianco ad ogni passo.
Però. Carina.
Ma inaccessibile. Come qualsiasi altra ragazza, d’altronde.
Torno in aula e aspetto con pazienza la fine della lezione, che seguo piuttosto svogliatamente. Senza sonno non connetto, e ho già accumulato arretrati per un paio di mesi.
Dopo aver segnato appunti più in arabo che in inglese sul taccuino, finalmente mi alzo e corro di sotto, raggiungendo la bacheca. Scarto immediatamente un buon settantacinque per cento degli annunci: troppo cari. Mi rifiuto categoricamente di rivolgermi a chicchessia per i liquidi, devo tirare sul mio, già scarsetto dopo l’irragionevole spesa per quella maledetta moto che adesso mi sembra la gran cazzata della vita. Forse dovrei chiamare casa e dire a pà di venderla … ma me la valuterebbero quattro soldi, e lui non se ne intende di certe cose.
Raccatto una decina di numeri di telefono, e appena uscito mi attacco a manetta a chiamare a destra e manca. Già nel primo pomeriggio fisso tre appuntamenti, che però vanno di merda: non sono puntiglioso, ma andare ad abitare in un quartiere che sembra Falluja non è il massimo, e d’altro canto nemmeno dividere casa con sedici asiatici che fanno i turni in un ristorante cinese e nei sette letti a disposizione è quanto di meglio possa sperare per trascorrere i tre mesi del corso. Al terzo non mi presento proprio: la voce al telefono mi è parsa alquanto inquietante, e non ci tengo a ritrovarmi disteso su un tavolaccio con un taglio al fianco e un rene in meno.
Sono quasi sul punto di piantare baracca e burattini, e dichiarare la mia prima sconfitta in assoluto, quando intravedo una luce. Non ho ben considerato l’annuncio, quando l’ho preso. Un numero di telefono e un messaggio alquanto strano. Una richiesta … fin troppo esplicita, persino per una città all’avanguardia come Londra.
Cercasi coinquilino esplicitamente omosessuale. E poi il numero di cellulare, nessun nome.  
Tutto qui. Nessuna tariffa, nessuna indicazione su come sia strutturato l’appartamento. E diversamente dagli altri annunci non c’era il tipico “ offresi posto letto”, anche se c’è da credere che sia piuttosto ragionevole che manchi, causa possibili fraintendimenti.
E’ una cazzata, lo so. Sto facendo un enorme sbaglio. Ma tentare non nuoce, e piuttosto che ridurmi a farla in una bottiglia, preferisco sfidare la sorte.
Così chiamo. La voce dall’altra parte è rassicurante, una signora di una certa età, cordiale e disponibile: mi informo sul prezzo, e devo ammettere che è decisamente conveniente, considerata la zona in cui si trova. Non sono un mago, ma qualcosina l’ho letta, prima di partire.
Chiaramente non è lei la mia eventuale coinquilina, anche perché sarebbe piuttosto strano che richiedesse qualcuno di … esplicitamente gay. A meno che non tema di venire molestata, e l’idea mi fa ridacchiare come uno scemo.
Accetto di vedere l’appartamento, fissando l’appuntamento per il giorno dopo, alle otto. Mi tocca un’altra notte in questo macello. Forse sarebbe più semplice andare in un altro ostello, ma visto che la svedese non si decide ad andarsene, e io non posso campare indefinitamente della generosità – si fa per dire- di Milo, devo prendere provvedimenti seri. Sia pure estremi.
In fondo non mi sto impegnando a nulla. Posso sempre rifiutare, no?
Con questo pensiero, mi addormento, o quanto meno ci provo. E questo viaggio che all’inizio avevo cercato di vedere come un’opportunità, soprattutto per non darla vinta a chi l’ha posto sul piatto come condizione per avere altre cose, a me più care e importanti, in questo momento, mi adesso sembra ogni istante più simile ad una specie di incubo.
 
 
 
 
   
 
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