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Autore: Anya_tara    18/07/2018    2 recensioni
" ... Lo guardo allontanarsi, con quel suo passo fluido ingannevolmente tranquillo, e invece rapido e spedito. La strana sensazione che mi ha preso prima torna, mi prende nel petto, al cuore, facendomi provare un improvviso, intenso calore.
Chi sei davvero, Alejandro? Mi sembra di conoscerti da sempre, eppure di te non so niente ".
La strana coppia in una versione ancora più strana. Almeno secondo la sottoscritta.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Capricorn Shura, Leo Aiolia, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Londra, aeroporto di Stansted
Ore 00:20
 
In perfetto orario, l’aereo tocca il suolo inglese. Con non molta dolcezza, in verità; il contraccolpo mi fa sussultare, ma è un bene, almeno mi sveglio un po’. Due ore di differenza cominciano a pesare sul mio fisico, senza contare ch’è dalle due di ieri pomeriggio che sono in viaggio. Prima un’ora e mezzo di treno, mezz’ora per la navetta fino in aeroporto, e un’attesa snervante per l’imbarco. Poi il volo con qualche scossone, che improvvisamente mi ha fatto tornare credente e molto praticante, per giunta. 
E adesso, finalmente, Londra.
Credo che non dimenticherò mai lo spettacolo che mi si è presentato davanti agli occhi – anche se appannati dalla stanchezza. Un oceano di luci, rosse, dorate, arancioni e blu. Come nugoli di stelle raccolte in galassie.
Nonostante tutto non posso fare a meno di considerarlo come un buon auspicio.
Un po’ meno la voce allegra, sensuale che mi canta nelle orecchie. Mi è vagamente familiare, però devo sfilare il cellulare dalla tasca e controllare a chi appartenga.
San erthei i mera, Ivi Adamou di insieme a Stavento. La conosco, bella fi … ehm, ragazza, ma non è il genere che di solito ascolto io. Proprio no.
Ma come cavolo ci è finita, questa canzone nel mezzo? In questo momento poi, che sono davvero lontano chilometri da casa. E queste parole minacciano di mandarmi in depressione, ora più che mai.
Ma ora basta. Sfilo gli auricolari, e appena il segnale di cinture allacciate si spegne, mi libero, pronto a scattare.
La voce metallica della hostess negli altoparlanti dà il benvenuto, e le ultime informazioni ai passeggeri. E’ un peccato: dal vivo è molto più gentile. Mi alzo, recuperando i miei bagagli a mano; e percorro il corridoio come in sogno, ancora intontito.
Quando passo davanti al gruppetto degli assistenti di volo però riesco ad abbozzare un sorriso, e le due di sesso femminile fanno altrettanto. Una delle due, Diana, dice la targhetta sul bavero della divisa, mi chiede addirittura com’è stato volare con loro.
<< Magnifico, grazie >>.
Lei sorride più visibilmente. I due maschi, invece, mi guardano di traverso, con aria di sufficienza.
Ma ci sono abbastanza abituato. D’altronde, non ha fatto che passare e ripassare dal mio posto, domandandomi se non gradissi qualcosa di caldo, da leggere, o da sgranocchiare.
Non fosse per il mio senso dell’onore, avrei sperimentato volentieri l’ebbrezza del celebrato “sesso ad alta quota”. Ma non ho più diciott’anni; e inoltre, se sono qui è proprio perché devo dar prova della mia maturità.
Con un saluto gentile, imbocco la porta e scendo la scaletta. Appena tocco terra guardo in alto: mi fa effetto pensare che fino a pochi minuti fa ero lassù, sopra le nuvole, e adesso invece sono qui.
Welcome, Alexandròs, dico a me stesso, respirando a pieni polmoni l’aria fredda e umida della notte londinese.
Poi mi riscuoto, e raggiungo la navetta che mi condurrà all’interno dell’aeroporto. Dentro mi aspetta Milo: il mio migliore amico.
La nostra è una lunga storia di sbronze adolescenziali, nottate di rimorchi e casini a non finire. Ci conosciamo dalle medie: veramente non sempre siamo stati culo e camicia come per un certo periodo, anzi, sarei stato disposto a giurare che mai e poi mai avrei stretto amicizia con uno di quella fatta, che portava i capelli biondi e ondulati lunghi sulle spalle e si vestiva come fosse scampato ad un’apocalisse nucleare. Poi col sopraggiungere della pubertà ci siamo ritrovati ad avere degli interessi in comune, e – più da parte sua, che dalla mia, devo essere sincero- si è reso conto che gli conveniva avermi come amico, piuttosto che come rivale.
L’interesse in comune? Ragazze. Ovvio.
All’inizio del ginnasio ci siamo ritrovati i tanti di quei casini ch’è un miracolo se abbiamo ancora braccia e gambe al loro posto. Un paio di volte veramente ce le hanno anche suonate, perché avevamo la pessima abitudine di puntare le ragazze più grandi, di terzo o addirittura quarto.
Non che questo ci abbia mai fermati. Al contrario: se c’è una cosa in grado di farmi uscire dai binari della ragione, sono appunto le sfide. Di qualsiasi genere: si tratti di una partita di calcio, di un manuale d’istruzioni o anche solo di un sudoku sul giornale.
Ed è stata una sfida anche questa. Quanto meno una delle ragioni che mi hanno spinto a venire fin qui. Forse una delle più pressanti.
Purtroppo però Milo è un valente avversario, in questo. Se si mette in testa una cosa è difficile riuscire a smuoverlo dal suo intento.
E questo mi ha messo su un attimo d’incertezza, in verità: da quando gli ho detto che avevo deciso – perché mai ammetterò che è stata praticamente una scelta forzata- di venire in Inghilterra, a frequentare l’Erasmus, lui si è messo a fare il conto alla rovescia sperando di rinverdire i bei vecchi tempi andati del liceo. Ho cercato di spiegargli che non sono più quella persona, che ho messo la testa a posto: ma dubito che ci creda granché. Mi auguro che vedermi gli faccia cambiare idea una volta definitiva.
Anche se … be’, in realtà, ad essere onesto … non è che in questo momento sia tutto rose e fiori come dovrebbe essere.
E no, e che, ricominciamo?
Subito scaccio via questi pensieri al limite della depressione. Sono a Londra, no? E basta, al diavolo il resto. E’ un’ottima occasione per risistemare anche quello.   
Accendo il cellulare, reggendomi con la spalla ad uno dei vetri del bus-navetta.
E comincia a suonare.
Tutti mi guardano malissimo, anche se nessuno dice niente. E per un attimo mi pare siano tornati i tempi del liceo. << Ehm … sorry >>, mugugno, azzittendo la suoneria. 
Ma forse dopo un volo di tre ore, anche una sinfonia di Bach non sarebbe gradita. Forse neanche le ninne-nanne sarebbero gradite.
Però. Quattro minuti e mezzo, e già sono riuscito a far irritare un intero bus-navetta. Un record.
Forse dovrei prendere in considerazione l’idea di iniziare a fare lo steward anch’io. Almeno ad alta quota sono riuscito a non dare ai nervi a nessuno. 
Se Dio vuole scendiamo, e mi trascino dietro il borsone. I messaggi continuano a fioccare, sono costretto a fermarmi per digitare il numero di Milo, e intralcio il passaggio a tutti gli altri che corrono come dovessero fare i centodieci ostacoli alle Olimpiadi. Quasi istantaneamente vengo travolto dall’ondata dei miei compagni di volo: io, che da bravo greco me la stavo prendendo comoda a momenti finisco schiacciato nella calca, e sì che non passo inosservato, non fosse altro che per il metro e ottantacinque di cui Madre Natura mi ha generosamente rifornito.
Dopo ventimila “sorry”, e diciotto tentativi falliti finalmente riesco a prendere la linea.
Ma non risponde. Tipico di Milo.
Non è cambiato per niente, malgrado siano trascorsi quattro anni. Subito dopo il diploma, la famiglia di Milo si è trasferita in Francia, per lavoro; abbiamo continuato a sentirci, anche se a vederci soltanto per le vacanze estive, quei quindici giorni in agosto o giù di lì.
Quest’anno poi non è potuto venire affatto, perché ha scelto di trascorrerle qui in Inghilterra, per un corso avanzato di lingua. Di quale genere fosse poi questa lingua, non oso immaginarlo. Fatto resta che avrei dovuto serbargli eterno rancore per aver mancato l’appuntamento di ogni anno da quando eravamo ragazzini; e invece gliene sono stato grato, così non ho dovuto ritrovarmi diviso tra lui e … il resto.
Chiaro che col senno di poi sarebbe stato meglio che mi avesse raggiunto. Ma il senno di poi è come il latte versato: non serve più a un cavolo.
Ora è in Erasmus, così quando gli ho detto, “casualmente”, che anch’io mi stavo preparando a partire, ma non ero sicuro che avrei scelto Londra, mi ha fulminato via Skype con il suo solito tono invelenito: << Ti meriteresti che ti levassi il saluto! >>.
<< Dai, che scherzavo >>.
<< Ci mancherebbe! Anche perché se vieni qui, ovviamente stai con me >>.
<< Spiacente, Milo, ma non credo di essere pronto ad un così grande salto … >>.
<< Coglione, che hai capito? >>.
<< Cioè ma insomma, non capisci più neanche quando scherzo? Vedi che succede a non rinfrescarti il cervello dallo smog, quelle due settimane l’anno? >>.
<< Falla finita. E datti una mossa, che questo è l’Eden >>.
Eden o no, mentre cammino mi rendo davvero conto di essere solo in un mondo estraneo. Tutti corrono, ti urtano e mormorano un “sorry” che ripeteranno appena dieci centimetri dopo, al prossimo malcapitato. Mi sento una specie di alieno appena sbarcato sulla Terra, e per un attimo mi trovo spaesato, smarrito, un imbecille piantato nel mezzo con un borsone e uno zaino.
Per fortuna ho messo la giacca, la temperatura è davvero molto differente da quella che ho lasciato in Grecia. Ad Atene c’erano ben sedici principeschi gradi; qui forse a malapena sette.
Al controllo passaporti fisso l’omone baffuto dietro la scrivania, che squadra la mia carta d’identità e poi me, poi di nuovo la foto e ancora me. Cioè, è vero che devo avere la faccia sconvolta e due occhiaie da far paura, ma l’ho rinnovata appena due mesi fa, penso mi somigli.
<< Alexandròs, Diamantis. From Kalliniki, Greece >>, dice.
<< Yes >>.
<< Okay. It’s all right >>. Mi restituisce la carta, congedandomi con un gesto della mano. Sono così confuso che invece di rispondere “Thank you” mi viene fuori “efcharistès”, e passo oltre.
Seguendo i cartelli vado al recupero bagagli. Attendo che il mio trolley scorra sul carrello, lo recupero e adesso mi decido a controllare il cellulare.
Ventisei messaggi, tra ordinari e whatsapp. Il più recente è un vocale di Milo: “ Dove sei?”.
“Appena arrivato”.
“ Mi trovi alla caffetteria Friska, se tardi altri cinque minuti mi fai un favore. C’è una banconista particolarmente carina, vorrei vedere di rimediare il suo numero prima della tua apparizione, sai”.
Sorrido. “Stronzo. Lo sai che non risolverai nulla, lisciandomi l’ego. Comunque sto arrivando, ordina un caffè, giacché ci sei”. Meno male ch’era in greco, almeno non dovrò preoccuparmi di fare figure del cavolo appena sbarcato.
Ed ecco spiegato perché non rispondeva al telefono. Era impegnato, il bastardo.
Riesco a destreggiarmi tra i corridoi, e quando intravedo tra le panche gremite di avventori e viaggiatori l’inconfondibile chioma bionda di un tizio in piedi davanti alla cassa ritrovo tutto il mio spirito. Gli arrivo di soppiatto alle spalle, e riesco a sentirlo che fa lo spiritoso con quella che dev’essere la banconista. In effetti è molto carina, è truccata con garbo, e ha un tatuaggio sull’avambraccio, una specie di fiore con un piccolo uccello che lo tiene nel becco. Una lunga treccia biondo rame su una spalla che ricade sulla maglia verde bosco, coprendo per metà la targhetta col nome; e non riesco a leggerlo.
Lo so, è più forte di me. I nomi mi danno stabilità. Conoscere il nome di una persona è già un po’ come conoscere lei, e se magari mi piace anche come suona, o per il suo significato è facile che mi vada anche più a genio la persona stessa. E i particolari: un buon odore, un taglio o un colore di capelli o di occhi che m’incuriosisce, anche un tatuaggio. Ad esempio questo è molto bello, chissà che significato ha per lei.
E poi a volte, certe cose sono un segno. Qualcuno direbbe che sono superstizioso, forse è solo il comodo alibi che ho usato tutta la vita per giustificare la mia, come dire, vivacità. Il mio cognome significa “indomabile”, per cui mi è sempre venuto facile attribuirgli la colpa delle mie “scelleratezze”. Chiaro che è appunto un pretesto: lo portiamo in tre, in casa, e io sono l’unico ch’è venuto fuori così.  
La ragazza mi scorge, sorride e inclina la testa, la treccia si scosta e finalmente leggo: Kayleigh O’Donnell. Ha origini irlandesi, dunque, come me. In realtà ho solo una traccia di sangue celtico nelle vene: la mia nonna materna era originaria di un posto sperduto nelle verdi campagne dell’Eire. Ma è bastato per farmi ereditare alcuni tratti somatici tipici, un amore smisurato per le leggende dei Sidhe, e una conoscenza approfondita d’irlandese e inglese.
Non posso davvero non considerarlo come un segno. Non come lo intenderebbe Milo, ma che sta andando tutto nel modo giusto, e ho fatto bene a prendere questa decisione.
Milo ancora non si è accorto di me, tutto intento a flirtare con la giovane, che sembra anche un tantino in difficoltà. Curioso caso, anche lui non è del tutto greco: suo padre è scozzese, anche se è cresciuto a Malta; di nobile discendenza, per giunta. Eppure si comporta come un imbecille qualsiasi.
Provo quasi vergogna io al posto suo. Così decido di rivestirmi della scintillante armatura, e liberare la povera ragazza dalle maldestre manovre di seduzione del mio amico battendogli sulla spalla.
<< Philòs! >>, grida, abbracciandomi. Kayleigh mi rivolge un sorriso grato, che ricambio.
<< Milo … allora, hai ordinato i caffè? >>.
<< Be’, veramente … >>.
<< Sì, vabbé. Faccio io >>. Mi volto nuovamente verso la ragazza. << Two coffees, please >>.
<< Just a minute, mister >>. Si allontana, lasciandomi solo con il mio amico.
<< Fatti guardare … cazzo, come sei ridotto. Hai fatto benissimo a venire qui, ci penso io a metterti in sesto >>, sbotta, squadrandomi da capo a piedi. E’ come se ci fossimo lasciati una settimana fa. << E la vampira? >>.
<< Ah, Mi … non essere sgradevole già fin d’ora. Si chiama Shaina, non te lo scordare >>.
Lui fa un cenno di sufficienza. << Sì, okay. Shaqualcosa. Per me è una vampira, punto. Se ha fatto qualcosa di buono, è stato convincerti a venire qui >>.
<< Non è stata lei a convincermi. Ho deciso io di farlo, sai che sogno da sempre di venire in Inghilterra. E poi mi serviva >>. Ci sediamo ad un tavolo libero. <<  Tra l’altro devo anche perfezionare la lingua >>.
<< Altroché. Non ti preoccupare, ora hai il tuo Milo, vedrai che tra qualche settimana saprai fare magie … devi solo togliere un po’ di ruggine >>.
<< Milo. Non ricominciare >>.
<< Ah, che palle >>.
Kayleigh ci serve i caffè, e mi sorride nuovamente nel posarmi il bicchiere di carta davanti. Non so cosa voglia dire il suo nome, ma conto di darci un’occhiata appena si calmano le acque.
<< Te l’ha dato il suo numero, poi? >>.
<< Macché. Sei arrivato troppo presto >>.
<< Visto? Non mi dovresti incoraggiare, sennò ti rovino la piazza >>.
<< Mhmm. La piazza è sempre abbastanza grande, lo è stata Kalliniki, figurati Londra >>, osserva lui, zuccherando il suo caffè al limite del coma diabetico. << Ehi, ti ricordi di Dafne? >>.
E come no. Dafne Kalligaris, soprannominata Lythos, la ragazza che diceva a tutti di no. Sono bastati due giorni, e tutte le sue convinzioni al riguardo sono finite in un soffio. << Che c’entra. E’ stato tanti anni fa … e non ne vado fiero >>.
<< Sì, troppo ci credo. Non è quello che mi ricordo io, invece >>, mi fa notare. E a ragione: ma non ci tengo a rivangare questi episodi del passato.
<< E comunque non siamo andati fino in fondo >>.
<< Perché non hai voluto tu. Ma se schioccavi le dita, ti dava quello e altro >>.
<< Sì, okay, ma parliamo un po’ di cose sensate, adesso. Allora, come funziona, da te? Devo pagare in anticipo, o a fine mese? No perché, te l’ho spiegato, ho solo i miei fondi personali a cui attingere, per cui devo cominciare a capire come muovermi. So che qui non è come Kalliniki, per cui … >>.
<< Eh .. già >>, fa lui. E di colpo si fa evasivo.
<< Mi? >>.
<< Non hai … ricevuto il messaggio? >>.
<< Messaggio? Che messaggio? >>.
<< Quello che ti ho inviato … stamattina >>.
<< Sì, ma tra una cosa e l’altra mi è passato di mente, e non l’ho letto. Perché, che è successo? >>.
<< Che … ecco … hai presente Marit? La ragazza che doveva lasciare l’appartamento? >>.
<< Eh sì, eh! E’ appunto per questo che sono venuto tranquillo. Mi hai detto che lei se ne andava a convivere e io subentravo >>.
<< Non … insomma … ecco .. >>.
<< Mi, non portarmi in giro >>.
<< Ma niente. Lei e il suo ragazzo … hanno avuto una piccola crisi >>.
<< Di che genere? >>.
<< Che l’ha piantata. All’ultimo momento non se l’è più sentita di andare a vivere con lei … e l’ha lasciata con un messaggio >>.
<< Oh porca miseria … Milo! >>.
<< E io ti ho avvisato! Ma non ti preoccupare, vuol dire solo che ci vorrà qualche giorno >>.
<< Qualche giorno? Ma sei scemo? Hai detto che l’ha piantata! >>.
<< Sì, ma è appena appena un attimo di debolezza … sai come siamo noi uomini >>. Manda giù un sorso di caffè. << Tanto un paio di settimane al massimo e si fa di nuovo vivo, vedrai >>.
<< Un paio di settimane?! >>. Sospiro. Mi tocca fare buon viso a cattivo gioco. << Okay, va bene. Se hai una brandina posso accontentarmi … >>.
<< Ehm… questo è un altro problema. Stanno girando un sacco di controlli di questi tempi, fanno ispezioni sanitarie a sorpresa. A quanto pare, c’è stata un’invasione di cimici in diversi quartieri, e qui non è come a casa … noi abbiamo solo lo stretto necessario, riguardo ai posti letto. La proprietaria è categorica >>.
<< Ma se è solo per qualche giorno … >>.
<< No, mi spiace >>. Sorride, l’infame. << Ma sereno. Ti ho fissato un posto letto in un ostello, davvero buono, sopra gli standard. Conosco una delle ragazze che ci lavorano, puoi stare tranquillo. Offro io >>.
<< Senti, Mi … >>.
<< No, davvero. Non era previsto ma ehi, ormai sei qui, no? Ti chiedo solo un po’ di pazienza. Non muore nessuno se per qualche giorno stai in un ostello, no? >>.
E no. tanto non ho altra scelta, a parte ritornare a Kalliniki.
Ma piuttosto vado a dormire sotto il Tower Bridge. Coi corvi che mi svolazzano intorno alla testa, pronti a beccarmi gli occhi. << Va bene >>.
<< Lo sapevo, io >>. Milo mi batte la mano sulla spalla, quasi mi fa rovesciare addosso il caffè bollente. << Sono o non sono il tuo Mi? Ci penso io a tutto, tranquillo >>.
 
Angolino di Anya: allora, chiedo immediatamente perdono, così, a prescindere; non so nulla di Erasmus, corsi di studio, nemmeno di Università, quindi mi dovrete perdonare tutte le licenze che mi prenderò in questa storia. L’incipit è ispirato alla trama di “L’appartamento spagnolo”, non so quanti di voi l’abbiano visto, ma il protagonista si ritrova a dover partire per Barcellona a seguire un corso di estrema importanza per la sua carriera, anche se lui sogna di diventare uno scrittore; qui, lontano dalla fidanzata, si ritroverà a condividere gioie e dolori dei suoi coinquilini. In effetti all’inizio dovevo ambientarlo a Barcellona, ma poi sono stata a Londra, e ho capito che poteva essere solo quella, la città perfetta.
Il brano, San erthei i mera, è di Stavento e Ivi Adamou, com’è appunto riportato. Ed è stato un autentico colpo di fortuna, quando si dice la cosa giusta al momento giusto. Vi invito a cercare la traduzione, non la posto io perché lo sapete, sono perfida! XDXDXD
Mi raccomando, per reclami-suggerimenti-correzioni ecc, ecc, sempre a disposizione!
Bacioni,
Anya
   
 
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