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Autore: The Nymph    18/07/2018    1 recensioni
« E la Morte parlò a loro »
Tre fratelli, tre storie diverse: chi si cela dietro la leggenda degli uomini che osarono sfidare la Morte?
Benvenuti nella straordinaria storia dei fratelli Peverell. Nella storia del primo, Antioch, ubriaco di gloria e di segreti mai svelati. Nella storia del secondo, Cadmus, innamorato di una donna che non avrebbe mai potuto avere. Nella storia del terzo, Ignotus: troppo giovane, troppo saggio, troppo solo. Benvenuti nella straordinaria storia di tre fratelli che non si somigliavano, e che la Morte chiamò a sé.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, Antioch Peverell, Cadmus Peverell, Ignotus Peverell
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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    Nei turbolenti anni del 1800, Godric’s Hollow non era come la conosciamo adesso. La casa di Lily e James Potter non apparteneva ancora ai due sfortunati coniugi, ma era lì, costruita in scadente legno e sormontata da un soffitto di paglia. Il padrone di casa era un certo Piselem Nockles, soprannominato “Pickles”, un uomo grasso e di bassa statura, dalla voce tuonante. Di fronte a lui abitava la vedova Chanel Bluestrade, la quale aveva ereditato tutti i possedimenti dell’anziano marito, e che adesso annegava nella ricchezza più sfrenata e volgare. In fondo alla via che completava il quartiere di Godric’s Hollow, si ergeva l’abitazione più imponente e lussuosa che i cittadini di quella povera stradina avessero mai visto: indubbiamente, si trattava della casa dei Peverell. Duecento anni prima, l’unico Peverell conosciuto era un contadino che viveva in una catapecchia, piccola e sforma, proprio nello stesso punto di quello che poteva essere considerato un castello a tutti gli effetti. Riuscì – Dio solo sa come – a sposare una donna ricchissima, che gli diede dodici figli, e, nel corso delle generazioni, la povera stalla del primo Peverell della storia si trasformò nel palazzo protagonista di questo racconto. I tre fratelli Peverell, tutti scapoli e miliardari, possedevano l’intera via: non materialmente, ma idealmente. Quando passavano, gli abitanti si voltavano a guardarli, le giovani vergini si affacciavano dalle finestre per sospirare alla loro bellezza, Pickles si esibiva in un inchino seguito da un grugnito di fatica per la schiena che si piegava, e la signora Bluestrade sventolava il fazzoletto di seta che aveva comprato in uno dei mercati più prestigiosi di Londra. Nessuno si capacitava di come i tre fratelli Peverell potessero essere ancora scapoli. Antioch, già sui trentacinque anni, era un uomo dal fascino raro e dal fisico aitante, con due occhi neri magnetici e un surreale portamento raffinato e mascolino. Cadmus, sulla trentina, era più basso del fratello maggiore, ma con spalle larghe e corpo ben impostato, sebbene non fosse questo ad attirare l’attenzione sulla sua persona: il giovane aveva un paio di occhi blu acceso, che riflettevano un mistero e una dolcezza che non appartenevano a nessun altro individuo. Interessante il minore, che doveva compiere ventinove anni, e il cui nome era Ignotus. Alto e snello, dal viso affilato e i capelli scuri arruffati, possedeva più l’andatura di un ragazzo, con uno sguardo da intellettuale e, allo stesso tempo, da personaggio ribelle e dannato. I tre uomini avevano la fama di essere perfetti e impossibili, eppure la loro vita privata si allontanava parecchio dall’ideale di perfezione che i vicini nutrivano nei loro confronti. Se si osservava la routine di Antioch, non si poteva sentire altro che confusione: trascorreva le sue giornate in bar clandestini, in cui si ubriacava anche alle dieci del mattino e in cui faceva scommesse e accordi che lo avevano caricato di debiti. Cadmus, all’apparenza il più docile, scriveva poesie alla luce del sole, ma, quando arrivava la notte, si recava al suo posto preferito: un club in nero di lotta libera, portandosi dietro lividi e ferite di cui nessuno conosceva l’origine. Ignotus dipingeva, l’intera sua stanza era ricoperta di quadri dai soggetti più disparati, così come il suo letto era sempre riscaldato da una donna diversa, di cui spesso non sapeva nemmeno il nome. Lo sfarzoso palazzo Peverell era dimora di centinaia e centinaia di segreti, tutti accumulati tra di loro in un cassetto che, di lì a non molto, sarebbe esploso.
 
 
 
    Doveva essere un pugno molto fragile, quello che bussò con estrema timidezza al portone del palazzo. La ragazzina dai capelli biondi si chiamava Julie, era una fresca diciottenne dagli occhi grandi come due sfere e labbra sottili come due fili di lana: un padre e una madre apprensivi, che, quando era piccola, non la lasciavano da sola in una stanza per più di due minuti, e, il giorno in cui raggiunse la maggiore età, non esitarono a spingerla verso la casa dei Peverell, preparandola a esibire il suo atteggiamento più sensuale per concedersi in sposa a uno dei tre fratelli. Tra le braccia gracili stringeva un cesto di frutta e pane appena sfornato, il cui odore si sentiva fino alla casa dei vecchi e golosi coniugi Loris e Lauren. Il portone si aprì con un cigolio, e un viso sbucò dalla penombra. «Sì?» La ragazza sussultò, come se avesse atteso la sua intera vita per sentire il suono di quella voce, sebbene non fosse neanche sicura di quale fratello si trattasse. Deglutì energeticamente, per poi sollevare il cesto un po’ più in alto e mostrarlo all’uomo che sbirciava dalla porta quasi socchiusa.
    «Buongiorno! Vi ho portato qualcosa per…»
    «Grazie» tagliò corto lui, rivelando un braccio per afferrare il cesto e sbattere la porta in faccia alla ragazza. Julie era a dir poco sorpresa: aveva immaginato tutti i peggiori scenari possibili, aveva immaginato urla e persino omicidi, ma mai avrebbe pensato di venire rifiutata prima ancora che potesse dire il suo nome. Alzò lo sguardo verso la finestra della sua casa, e vide i genitori che, frenetici, le indicavano di bussare ancora. La figlia seguì gli ordini, e, dopo qualche minuto, la porta si riaprì. «?» ripeté l’uomo, palesemente scocciato.
    La ragazza sfoggiò un sorriso gaio e vivace. «Sono Julie Fromer, vivo qui vicino, e…»
    «Il piacere è tutto mio» la interruppe, chiudendola fuori un’altra volta. La bionda restò nuovamente scioccata, e fece per picchiare alla porta con più veemenza, se non fosse stata fermata dal “No!” vigoroso dei genitori, i quali le intimarono di rientrare in casa.
    Tra le pareti di palazzo Peverell, una riccissima ragazza dai capelli rossi stava attendendo, completamente nuda, il ritorno del suo amante occasionale: il suo corpo dalla carnagione pallida era delicatamente avvolto in un lenzuolo, sdraiato sul lato sinistro del letto, i riccioli erano sparsi sul cuscino, le gote rosa splendevano infiammate sotto i suoi occhi azzurri. Ignotus, coperto soltanto da un paio di pantaloni scuri, rientrò nella stanza accompagnato dalle risatine acute della ragazza. «Chi era?» domandò lei, il cui nome era Anne Louise.
    «Non ne ho idea» rispose Ignotus, balzando sul letto e avvinghiandola in un bacio passionale, umido. La ragazza dai capelli rossi gli avvolse le braccia attorno al collo, ma lui fece presto a sciogliersi da quella stretta e a mettersi seduto, aprendo un cassetto del comodino. Anne Louise lo abbracciò da dietro, lasciandogli teneri baci sul collo.
    «Che fate?» gli chiese. Il ragazzo non rispose: estrasse un foglio e iniziò a leggerlo, scostando l’amante per potersi sdraiare sul proprio lato del letto. La ragazza si distese accanto a lui, sbirciando il pezzo di carta. «Cos’è?»
    «Una mappa» rispose lui distrattamente, con gli occhi che si muovevano rapidamente da un lato all’altro del foglio. Era ingiallito e bruciacchiato agli angoli, con incomprensibili e confusi segni che strisciavano come un percorso, raggiungendo vari punti che dovevano rappresentare delle tappe.
    «Per…?» continuò a domandare Anne Louise, picchiettandogli la spalla con le dita delicate.
    «Un libro» rispose lui, sempre più disattento e annoiato. Annoiato da lei: quella mappa sembrava essere la sua unica fonte di concentrazione.
    «Un libro che parla di…?» La sua voce diventava sempre più fastidiosa alle orecchie disinteressate di Ignotus Peverell, e di certo al cervello che cercava di pensare ad altro. Sospirò profondamente prima di dare la sua risposta.
    «Non mi importa di cosa parla, mi importa cosa contiene.»
    «E cosa contiene?»
    «Una chiave.»
    «Una chiave per…?»
    «Una porta» ribatté, come se fosse la cosa più scontata al mondo.
    «E cosa c’è dietro questa porta?» Ignotus stava per rispondere, quando si rese conto di essere giunto alla fine del percorso e, dunque, di stare per svelarle a cosa conduceva realmente quella mappa.
    Si voltò verso di lei con un sorriso compassionevole, prima di scandire, con falsa dolcezza: «È un segreto.» Anne Louise scrollò le spalle, adagiando una mano sul pettorale di Ignotus.
    «Vi va di fare… un altro round?» gli propose innocentemente, sbattendo più volte le ciglia. Lui negò con la testa, continuando a scrutare la mappa: probabilmente non aveva neanche sentito la domanda, ma, qualsiasi cosa fosse, desiderava togliersi quella ragazza dai piedi il prima possibile. Era stata una notte ardente, ma, come ogni donna finita tra le lenzuola di Ignotus, non era gradita per tutto quel tempo. Anne Louise, chiaramente delusa, si mise in piedi per rivestirsi e farsi i capelli: quando fu pronta, lanciò uno sguardo esigente al minore dei Peverell. «Sto andando» gli fece notare, quando si rese conto che lui non le stava prestando attenzione.
    «Sì…» mormorò, ancora focalizzato sul foglio. «I soldi sono sul comodino.» Non si rese neanche contro del silenzio che seguì quelle poche parole, ma lo realizzò solo quando lei riprese a parlare, con un tono stupito e confuso.
    «I soldi?» Gli occhi della ragazza si spostarono sui galeoni scintillanti accanto a lei.
    «Sì, i soldi» affermò Ignotus, indicandoli con un’alzata di sopracciglia.
    «Per cosa?»
    Il ragazzo le rivolse un’occhiata perplessa. «Per questo» rispose, roteando il dito in direzione del letto. «Per il tuo lavoro.» Anne Louise alzò un sopracciglio e sgranò gli occhi nello stesso istante.
    «Come?»
    Ignotus si resse sui gomiti per sbirciare il denaro sparso sul comodino. «È troppo poco?»
    La rossa scoppiò a ridere, ma non sembrava affatto divertita, bensì sconvolta. «Credete che sia una puttana?» Lui socchiuse gli occhi, cercando di decifrare il tono e l’espressione di Anne Louise.
    «Non ti piace dirlo in giro?»
    La ragazza spalancò la bocca, afferrò tutte le monete e gliele lanciò addosso. Una di esse gli finì su un occhio. «Bastardo!» urlò, affrettandosi verso l’uscita. «E non provate a cercarmi!»
    «Tranquilla, non ci stavo pensando!» Sentì il portone sbattere e la casa sprofondare nel silenzio.
    La mappa che Ignotus continuava a stringere tra le dita con meticolosa delicatezza era indecifrabile, persino per uno studioso come lui. Aveva visto parecchie mappe, reali e fasulle, e, proprio per quella, non riusciva a capire a quale delle due categorie appartenesse, sebbene sperasse con tutto il suo cuore che fosse reale. Il libro, la chiave, la porta… aveva sognato sin da bambino di raggiungere quei luoghi, quell’unico obiettivo. Motivo per il quale non poteva permettere che nessun altro lo sopraffacesse: il disegno era accuratamente nascosto all’interno di un involucro apribile solo attraverso l’utilizzo di una magia particolare, e, nonostante le possibilità che la cartina fosse reale stessero pian piano sfumando, non ci pensava per niente a darla via. Specialmente a rivelarla ai suoi due fratelli, con menzione speciale per Antioch: un egocentrico come lui avrebbe subito fatto di tutto per ottenere il soggetto della mappa e tenerselo per sé.
    Tre delicati colpetti alla porta lo fecero destare dal suo approfondito studio. Ancora con la mappa in mano e gli occhi piantati su di essa, andò ad aprire. «Salve, signor Peverell.» Non vide chi fosse la persona in questione, perché era ancora concentrato sul foglio, ma riconobbe la voce di quell’insolente Julie Fromer. «Chi era quella?»
    «Quella chi?» domandò Ignotus distrattamente, pronto con la mano sul pomello della porta per sbattergliela in faccia.
    «La ragazza dai capelli rossi che è appena uscita dalla vostra casa» disse, con il tono apparentemente infastidito. «La vostra fidanzata?»
    «No» rispose, spingendo il portone per chiuderlo, ma, con suo stupore, Julie lo trattenne con una mano. Quando alzò gli occhi verso di lei, la ragazza gli rivolse un sorriso forzato: non avrebbe saputo dire se fosse per lo sforzo o per l’irritazione.
    «Non vorrete lasciare una signorina fuori dalla vostra porta, signor Peverell!» Lui restò a guardare, impotente, mentre la ragazzina faceva ingresso nel palazzo e lo squadrava dalla testa ai piedi, turbata dalla vista del suo torso nudo. «È davvero una bella casa» commentò, volteggiando per guardare le pareti e il soffitto. E andò avanti con i complimenti per Dio solo sa quanto tempo, mentre Ignotus continuava, con immensa fatica, a studiare la mappa. Quando la voce della Fromer si fu insinuata nella sua testa fino a non permettergli più di concentrarsi, si arrese e piegò il foglio per inserirlo all’interno della tasca, fingendo di ascoltare i suoi boriosi commenti su quanto fosse bella la loro casa e su quanto fossero nobili i Peverell, ancora incapace di capire perché quella sconosciuta si trovasse all’interno della sua casa. «Allora, se non è la vostra fidanzata, sarà di uno dei vostri fratelli? Quale siete voi, a proposito? Era una bella ragazza, quanti anni aveva? Non sembrava molto felice. Allora, è fidanzata con qualche altro Peverell?»
    «No» tagliò corto lui, ponendo fine a quel costante chiacchiericcio. «Ci ho scopato.» Rispose con un sorriso, godendosi lo sguardo perplesso e insicuro della ragazza. Julie si schiarì la voce, pronta a dire qualcos’altro, ma Ignotus si affrettò a replicare con un’altra frase imbarazzante, mirata a zittirla per un altro po’. «Mi pare di aver capito che forse non era una prostituta. Ma, sai, mi confondo parecchio, con tutte le ragazze che vengono qui.» La biondina deglutì energeticamente, evitando a tutti i costi il contatto visivo con l’uomo. Adorava mettere le persone a disagio. «E io sono Ignotus.» Errore madornale: quel cambio repentino di argomento la fece sentire autorizzata ad agganciarsi al discorso, riscaldando l’atmosfera.
    «Oh, Ignotus! Il minore, dunque!» Lui alzò gli occhi al cielo, ma lei non lo notò. Senza neanche essere invitata, andò ad accomodarsi sul divano di un salotto, ripetendo tutta la storia dei Peverell come se avesse inghiottito un libro di storia. «… e questo è perché adoro la vostra famiglia. Ma parlatemi di Antioch e Cadmus: non li vedo, dove sono?» Ignotus si sedette opposto a lei, appoggiando le braccia sulle ginocchia e scrutandola con un’espressione sfrontata.
    «Beh, dunque… Antioch non ti sposerebbe mai, preferisce persone con un po’ più di intelligenza. Forse avresti più possibilità con Cadmus, ma prima devi farlo innamorare follemente.» Julie rimase a fissarlo, consapevole sia che non gli avesse fatto quella domanda, sia che con “parlatemi di Antioch e Cadmus” intendeva proprio l’oggetto della sua risposta.
    Arresa a quella situazione, e cosciente che negare non sarebbe servito a nulla, domandò: «E voi?»
    Ignotus arricciò le labbra, lasciandosi andare sullo schienale del divano. «Io preferisco le rosse.» Le sorrise disinteressato e compassionevole, mentre lei si torceva le dita, a disagio. Furono entrambi rapiti dal rumore del portone che si apriva e che si chiudeva, e dai leggeri passi di Cadmus che raggiungevano il salotto. «Oh, Cadmus!» esclamò Ignotus, visivamente sollevato. Si alzò in piedi e diede un’amichevole pacca sulla spalla del fratello, uscendo dalla stanza. Julie volse lo sguardo verso il mezzano, e restò incantata da ciò che vide: Cadmus aveva l’aspetto di un vero cavaliere, ben diverso da quello che emanava Ignotus, e occhi blu come il colore del mare. Si lambì le labbra involontariamente, mentre lo osservava.
    «Oh, Dio» mormorò l’uomo, socchiudendo gli occhi e rivolgendo il viso verso il punto da cui suo fratello se l’era svignata. «Ignotus, non la pago di nuovo io!» esclamò, senza ricevere alcuna risposta. Sospirando, guardò Julie e iniziò a frugarsi nelle tasche. «Dovete scusarmi, madamigella, ma mio fratello non porta quasi mai del denaro con sé… quanto vi devo?» Julie strabuzzò gli occhi, desiderando aver capito male.
    «No…» sussurrò, come se stesse per dire qualcosa di offensivo. «Non sono una…»
    «Oh!» sbottò Cadmus, ricacciando le monete in tasca e congiungendo le mani. «Perdonatemi immensamente, Miss…?»
    «Fromer. Julie Fromer» rispose lei, con un sorriso innocente mentre sistemava i capelli biondi dietro l’orecchio. «Una vicina di casa.»
    «È un piacere fare la vostra conoscenza» rispose Cadmus, afferrandole una mano delicatamente e stampandole un morbido bacio sulle dita. Julie squittì.
    «Ho diciotto anni» disse d’istinto, ancora con quel sorriso candido. Cadmus alzò lentamente gli occhi e inarcò un sopracciglio, lasciando andare il suo arto e rialzando la schiena.
    «Buono a sapersi» commentò, annuendo educatamente. Ignotus, che riusciva a sentire tutto dalla cucina, emise una risata esagerata: ogni volta che Cadmus credeva di aver incontrato l’amore della sua vita, questa se ne usciva con una frase stupida o inappropriata che lo faceva restare senza parole. Cadmus ignorò il suono. «Posso offrirvi qualcosa?»
    «Ciò che volete» rispose lei, guardandolo con occhi da cerbiatta.
    «Bene, torno subito.» Abbandonò la stanza e lasciò la vivace Julie da sola in salotto, a squadrare quella casa che era convinta sarebbe diventata sua. Immaginava la vita sfarzosa della Signora Peverell, sposata a Cadmus e con una mandria di figli. Quello che aveva immaginato come futuro marito tornò con una tazza di tè e dei biscotti su un piattino, poggiandoli sul tavolo davanti a lei. Julie sorrise, bevve un sorso e decise che era anche troppo. «Avete finito?» chiese lui, alzando le sopracciglia.
    «Non voglio riempirmi» rispose Julie.
    «È solo… .» Lei annuì, continuando a non capire il punto del discorso. Cadmus sospirò, massaggiandosi le tempie. Se la biondina non vedeva l’ora di trascorrere il resto della sua vita con il bel giovane dagli occhi blu, lui ne era scocciato alla sola idea. E, onde evitare inutili illusioni, si affrettò a togliersela dai piedi. «Credo che dobbiate andare, è tardi.»
    «Ma…»
    «Lasciate che vi accompagni alla porta.» La afferrò – sempre con il dovuto garbo – per un braccio, e la condusse verso l’entrata, mentre Ignotus la salutava con uno sfacciato “Ciao!”. Proprio mentre stava per aprire la porta, Antioch fece il suo ingresso: Julie non lo avrebbe immaginato così. Aveva i capelli umidi, sudaticci, gli occhi confusi e un orribile pallore sul volto. Non riusciva nemmeno a reggersi in piedi. Rivolse un sorriso stolto ai due presenti e provò a sollevare una mano per salutarli, ma finì per vomitare sullo zerbino. Julie arricciò il naso, estremamente disgustata. «Addio» disse Cadmus, e, quando la ragazza gli porse la mano per ricevere il galante bacio di prima, lui la strinse e chiuse la porta per mandarla via. Teneva una mano sul portone e un’altra sulla schiena del fratello ubriaco, dando dolci colpetti su di essa. «Sei disgustoso, Antioch. È mezzogiorno.» Lui brontolò qualcosa con la bocca impastata, poi si sollevò e gli rivolse il dito medio. «Maturo» commentò Cadmus, mentre guardava il fratello andare via. Antioch andò a chiudersi nella sua camera da letto, lasciandosi andare sulla sedia davanti alla scrivania. Riusciva a sentire la puzza di vomito e di vino che lo copriva, ma in quel momento fare un bagno era l’ultimo dei suoi pensieri. Aprì un cassetto con tanta violenza da sentire un chiodo staccarsi, difatti il cassetto si piegò leggermente verso destra, e, dal suo interno, acchiappò una decina di lettere stropicciate. «Dannazione» mormorò con la voce roca, e continuò con imprecazioni di tutti i tipi. Iniziò a frugare tra quei fogli, creando una confusione madornale sulla scrivania. Di sfuggita, leggeva parole come “amore”, “bastardo”, “scappare”. La testa gli stava scoppiando: l’alcol era ancora lì, che navigava nel suo sangue, e insieme ad esso vi era la disperazione, la paura, la rabbia, così tante emozioni tutte insieme che lo costrinsero a fermarsi e ad affondare il viso sui palmi delle mani. Un gemito di frustrazione uscì dalla sua gola. Respirava affannosamente, cercando di fare spazio nel suo cervello ubriaco, l’ombra di un singhiozzo gli strozzò il fiato, e alzò il viso abbastanza da coprire, con le mani, solo il naso e la bocca. Dopo aver riordinato – per modo di dire – le idee, e dopo aver abbattuto il controllo dell’alcol sulla sua mente, iniziò a sistemare le lettere con cautela, senza fretta, poi prese un foglio pulito e iniziò a scrivere, con la mano tremante, una lettera sbrigativa e spaventata. La chiuse disordinatamente all’interno di una busta, chiamò il proprio gufo con un fischio e gliela avvinghiò tra le zampe. Si tormentò le labbra con le dita, mentre fissava la montagna di lettere in bilico sulla propria scrivania.
    Novio era un uomo pericoloso, più pericoloso di Antioch, se voleva. Ma le loro pericolosità erano ben diverse: Antioch era falso, ingannatore, truffatore; Novio era onesto, e non esiste uomo più pericoloso di uno giusto. Ed era questo che attirava Antioch con veemenza e forza: il pericolo. Novio. L’odio-amore che provava verso quell’individuo così micidiale. E la paura di perderlo.
   
    Cadmus adorava l’odore della pioggia che si avvicinava, il colore grigio del cielo, adorava la vista degli ombrelli, dei cappotti, delle nubi. Adorava anche l’innocua confusione dei mercati, specialmente quando nessuno lo riconosceva – o quando fingevano di non riconoscerlo – e poteva camminare tranquillamente, passando inosservato. Per questo adorava i mercati Babbani: sebbene fosse abbastanza famoso anche tra di essi, era raro che le persone si fermassero per salutarlo o fuggissero intimidite, e mostrarsi una persona normale era decisamente più semplice. In realtà, quasi mai comprava qualcosa in quei mercati, ma gli piaceva sentire l’odore del cibo fatto in casa e le voci limpide delle persone comuni. Si scontrò accidentalmente contro la schiena di una donna dai capelli biondi, e per un istante temette di essersi imbattuto in Julie Fromer. Ma, quando la ragazza si voltò, vide un viso ben diverso: lineamenti puliti, occhi neri, labbra carnose e sorridenti. «Scusatemi» mormorò alla sconosciuta, ricambiando il sorriso cortese.
    «Non preoccupatevi» disse lei, con una voce calda e suadente. Cadmus, ancora con le labbra incurvate scioccamente, si perse nel suo volto, senza sapere come continuare quella discussione che voleva mantenere accesa. Sembrava essere davvero la donna perfetta.
    «Cadmus Peverell» si presentò, chinando leggermente il capo in segno di rispetto. Lei fece altrettanto, prima di introdursi.
    «Sarah Volière.»
    «Sarah» ripeté lui, assaporando ogni lettera di quel nome. Lei sorrise timidamente, sistemando la borsetta che continuava a scivolarle dalla spalla. «Vivete da queste parti?»
    «Non proprio. Vengo qui quando ho voglia di un po’ di tranquillità.» Ammise, emettendo un risolino. Cadmus alzò le sopracciglia, piacevolmente sorpreso.
    «Anch’io!»
    «Lo immagino. Siete un Peverell» rispose Sarah, mordicchiandosi il labbro superiore. «Giungere in un luogo Babbano dev’essere una boccata d’aria.» Cadmus sorrise di lato, stupito dal trovare una strega in quel posto, ma, allo stesso tempo, sollevato dal fatto che non fosse una di quelle persone impazienti di chiedergli un autografo.
    «Voi vi rifugiate qui per…?»
    «Scappare dal caos famigliare» rispose, sbuffando. «Genitori Purosangue che si ostinano a trovarmi un marito Purosangue.» Scosse la testa, abbassando lo sguardo. «Se solo riuscissi a trovare un Purosangue non borioso.» Poi alzò lo sguardo, scoppiando a ridere e tappandosi la bocca. «Non intendevo… voglio dire… non conosco la vostra famiglia, sono certa che non sia boriosa… io…»
    «Non preoccupatevi» rispose Cadmus, divertito. Ma il resto della discussione non si sarebbe prospettato molto piacevole. Una figura sfrecciò accanto a loro, e, prima che lo potessero realizzare, la borsa di Sarah Volière era sparita.
    «Al ladro!» esclamò la donna, allarmata. Cadmus cominciò a correre senza neanche rendersene conto, seguendo la figura rapida che stava fuggendo con il bottino, ma quell’individuo era molto veloce e agile. Sfortunatamente per il ladro, Cadmus era abituato a correre: riuscì a raggiungerlo e bloccarlo per terra, strappandogli la borsa dalle mani e sollevandola come trofeo. Afferrò il ladruncolo per i capelli e lo fece mettere in piedi, ma si sentì in dovere di lasciar andare la presa quando vide che si trattava di una ragazza.
    «Stronzo» disse, sfoggiando tutta la sua delicatezza signorile. La donna dai capelli scuri si massaggiò la testa, nel punto in cui Cadmus le aveva tirato i capelli.
    «Un ottimo modo di apostrofare un uomo onesto.» La ragazza chinò la testa di lato, affilando lo sguardo.
    «Apostrofare? Ma da dove vieni?» Cadmus sbuffò.
    «Sarà meglio portarvi dalle autorità, che ne pensate?» Lei era abbastanza alta, sebbene non raggiungesse Cadmus, e aveva uno sguardo arrogante. Si avvicinò a lui con quell’espressione sfrontata, e, mostrando tutto il rispetto che nutriva per quell’uomo onesto, gli sputò in faccia, prima di fuggire via. «Tornate qui!» urlò lui, asciugandosi la guancia e riprendendo a correre per acchiapparla un’altra volta. La trovò in piedi su un ammasso di scogli vicino al mare, intenta a leggere dei fogli.
    «Belle poesie!» gli urlò, sventolando le pagine in aria. Lui, istintivamente, si tastò le tasche dei pantaloni e del cappotto, trovandole vuote.
    «Come diavolo avete fatto?»
    «Trucchi del mestiere» rispose lei, rivolgendogli un occhiolino. «Sarebbe un peccato se si perdessero nell’oceano» continuò, guardando all’orizzonte.
    «Non…» azzardò lui, facendo un passo avanti e alzando l’indice verso di lei. «Non provateci!»
    «Va bene…» mormorò, con apparente innocenza. «Allora dammi tutti i soldi che hai.» Cadmus sospirò scocciato, scuotendo il capo e infilando le mani in tasca per estrarre le monete che aveva portato con sé.
    «Non potevate semplicemente prendere il denaro?»
    «E che divertimento c’è?» rispose ridendo, mentre scendeva giù dagli scogli per ottenere il suo premio. Poggiò un piede sulla penultima pietra, ma scivolò proprio a qualche centimetro da terra, e venne afferrata dal mezzano dei Peverell, che la trattenne per la schiena. «I soldi» disse lei, guardandolo sprezzante.
    «Voi siete una Babbana, vero?» domandò, incuriosito.
    Lei lo guardò di traverso. «Una che
    «Esatto» mormorò, sistemandola sul suolo e consegnandole le monete Babbane. Lei le scrutò con meticolosa attenzione, le morse tra i denti per controllare che fossero vere, e, dopo essersi accertata che non la stava ingannando, gli restituì le sue poesie.
    «Sono belle davvero, comunque.» Proprio quando Cadmus stava intravedendo un briciolo di onestà nel suo sguardo, la ladra scoppiò a ridere. «Ci vediamo» disse, fuggendo via.
   
 
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