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Autore: Vavi_14    20/07/2018    3 recensioni
Bianco e nero.
È così che Taehyung ha sempre vissuto, in bilico tra l’annullarsi e l’assorbire il mondo intero dentro di sé.
[...]
«Se non dovessi riuscire a scendere la scale di quel cortile».
«Ci riuscirai».
«Lasciami parlare. Se io fossi davvero inadatto per uscire in questo mondo, tu cosa faresti?»
Jungkook lo guarda con le guance piene di pane morbido, smette per un attimo di masticare, poi riprende, manda giù il boccone e si pulisce la bocca con un tovagliolo, riponendo le mani in grembo e voltandosi al contempo in direzione dell’amico. Cerca il suo sguardo, che rifugge subito dopo averlo ottenuto. Un’alzata di spalle e un piccolo sorriso, la risposta arriva con la stessa irruenza di un treno in corsa.
«Vorrà dire che continuerò a portare il mondo da te, hyung».
[Mini -long] [Taehyung è liberamente ispirato al personaggio di Elisewin in Oceano Mare di Baricco]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La luce che filtra tra le foglie degli alberi

II

 



 
Taehyung se ne sta sdraiato su un fianco, supino, le membra completamente abbandonate al tepore del materasso, gli arti rilassati, quasi apatici nella loro immobile permanenza. Osserva fuori dalla finestra senza realmente guardare: dovrebbe sentirsi ribollire di rabbia, perché ha appena litigato con l’educatrice. A Taehyung piaceva molto studiare storia, soprattutto le grandi personalità del passato, quelle che avevano guidato spedizioni importanti nelle guerre; stranamente, però, quando si arrivava al dunque molti dettagli venivano omessi e a Taehyung non era mai permesso capire le dinamiche di una guerra, studiare la vita in trincea o interessarsi di strategie militari. Tutti argomenti che gli sarebbe piaciuto approfondire – non senza un pizzico di timore – ma che puntualmente gli erano preclusi perché troppo pesanti, per lui, da digerire. Ma quel pomeriggio si era impuntato – la nonna era rimasta quasi a bocca aperta nel sentirlo alzare la voce – voleva ad ogni costo intraprendere quel passo in avanti e insomma, quale miglior modo per farlo se non attraverso la storia, una testimonianza indiretta nel quale lui non era coinvolto in prima persona? “Mi è proibito parlarle di queste cose” si era limitata a dire l’educatrice e Taehyung aveva replicato che ne avrebbe discusso coi suoi, ma quella era stata irremovibile e anzi, aveva minacciato di cambiar materia se solo Taehyung avesse continuato a insistere. Ed era stato proprio in quel momento, quando Taehyung aveva sentito in sé la spinta al cambiamento, dopo molti anni in cui aveva vissuto nella totale apatia, che aveva iniziato a capire quanto in realtà la resistenza non provenisse da lui, ma dalle persone che gli stavano attorno. E se tutta quella protezione avesse finito per peggiorare la situazione, invece che preservarlo dal dolore? Quella consapevolezza gli attanagliava il petto e la convinzione che, se avesse aspettato ancora, sarebbe stato troppo tardi, si faceva sempre più insistente. D’altronde negli ultimi giorni aveva manifestato una sorta d’insofferenza alla compagnia: non voleva vedere nessuno ad esclusione della nonna, e quando gli si imponeva la presenza di qualcuno finiva puntualmente per avere la nausea ed era costretto a sdraiarsi sul letto in camera sua. Ormai erano trascorse più di tre settimane dall’ultima volta che aveva visto Jungkook. Era passato qualche giorno prima sotto la sua finestra, scusandosi per non esser potuto venire negli unici giorni in cui Taehyung aveva dato la sua disponibilità – le gare di Takewondo e un rischio di debito in matematica lo avevano tenuto piuttosto occupato. Il più grande aveva risentito di quella mancanza, ma in fondo pensava fosse stato meglio così, perché i medicinali sperimentali che aveva provato nell’ultimo periodo stavano mettendo a dura prova le sue energie residue, facendolo dormire praticamente metà della giornata.
«Taehyungie» la voce roca e dolce della nonna si fa strada in quell’unico spiffero che dà accesso alla camera del ragazzo.
«Lasciami solo».
«Voglio solo accertarmi che tu stia bene».
«Sto bene».
«D’accordo».
Nell’aria si può udire solo il respiro stanco di Taehyung, fin quando è lui stesso a decidere di non lasciar morire lì la conversazione. «Nonna… aspetta». Si volta piano dal lato opposto, sperando che la donna non sia già scomparsa; sospira debolmente quando la trova ancora lì, sulla soglia della porta, con la schiena un po’ gobba e gli occhi vispi, come la ricorda da quand’è nato. Il viso è allungato ma le guance sono paffute e Taehyung ha sempre amato lasciarvi piccoli baci con lo schiocco. Senza aspettare che sia il ragazzo a chiederlo, la nonna socchiude la porta d’ingresso e fa qualche passo in direzione del letto, per poi sedersi al bordo e lasciare una carezza sui piedi scalzi di Taehyung.
«Stai iniziando a capire, vero?» gli sussurra, con un sorriso stanco.
Taehyung si alza a sedere, sottraendosi dal contatto con la nonna. Incrocia le gambe e si guarda i palmi delle mani, come se al loro interno potesse trovarvi chissà quali risposte.
«Perché non posso almeno provarci?» risponde con un’altra domanda, aggrottando le sopracciglia. «Ad essere normale».
«Tu non hai bisogno di essere normale» replica svelta la nonna. «Puoi essere molto più di normale».
Taehyung scuote la testa, guardando la donna con occhi imploranti. «Sai che intendo, nonna. Ogni tentativo che faccio viene messo a tacere. Cosa c’è veramente di sbagliato in me?»
«Non c’è proprio niente in te, Taehyungie. Siamo noi. È il mondo ad avere un problema, non tu».
Il ragazzo schiude le labbra per dire qualcosa, ma poco dopo cambia idea.
«Tu stai facendo del tuo meglio. Non devi rimproverarti nulla. Vedrai che col tempo, anche chi ti sta intorno inizierà a capire». Gli friziona con i polpastrelli le radici dei soffici ciuffi che gli ricadono sulla fronte. «Stai crescendo, Taehyung… stai cambiando. Presto ciò che ti circonda cambierà con te».
«E se le cose dovessero andar male? Se non dovesse funzionare?»
«Se questa è davvero la strada che senti di voler intraprendere, allora non devi temere. Sarà il tuo cuore a guidarti fino in fondo».
«Prima… prima avevo paura perché non riuscivo a guardare al futuro. Non ci vedevo niente lì in fondo, solo un buco nero. Adesso invece… c’è qualcosa».
«Qualcosa che ti dà sicurezza» rinforza la nonna, annuendo. «Qualcuno che ti tende la mano».
Alla parola qualcuno, gli occhi di Taehyung si illuminano, ma è un secondo, perché poi tornano bassi a fissare gli ornamenti del lenzuolo candido. La nonna, per tutta risposta, gli solleva il mento, stringendolo tra pollice e indice. «E questo qualcuno ha portato un regalo stamattina».
D’un tratto l’espressione di Taehyung si increspa sino a diventare un autentico punto interrogativo. «Che ho dovuto rifiutare per te, ovviamente».
«Cos-?»
«Jeon Jungkook, sì, hai capito bene. Si è presentato alla porta con un cucciolo di meticcio bianco. Se avesse aperto tua madre gli sarebbe preso un infarto».
«Un-un cane?!»
«Già, un cane! Che testa quel ragazzo, accidenti. Mi chiedo se a volte rifletta prima di fare le cose» scuoteva il capo a destra e a sinistra mentre parlava, ma non si era accorta del sorriso radioso che si era appena dipinto sul volto di Taehyung. «Che hai così da ridere?»
«Jungkook voleva regalarmi un cane!» ripete a sé stesso, quasi come facesse fatica a crederci. «Ho sempre voluto un cane».
«Taehyungie…»
«Lo so che non posso tenerlo, però… lui ci ha pensato. E non gliene ho mai nemmeno parlato».
La nonna gli riserva un’occhiata intenerita. «È o non è un tuo amico?»
Taehyung continua a sorridere, poi si sistema meglio sul letto per potersi sedere accanto alla nonna. «Era bello? Aveva il pelo morbido?».
La donna fa un buffo gesto con la mano. «Non è che io l’abbia guardato più di tanto. A pensarci bene, non sono stata nemmeno troppo gentile con Jungkook. Il fatto è che, suvvia… un cane!» lo aveva detto per l’ennesima volta, a metà tra il sentirsi in colpa per come aveva accolto quel regalo e l’incredulità della situazione in sé, fin quando aveva percepito il capo del ragazzo accoccolarsi sulla sua spalla e le dita fine di Taehyung incrociare le sue.
«Chissà che fine farà, povero cucciolo».
La nonna gli dà un bacio sulla fronte, poi parla con finta indifferenza. «Mi pare avesse detto qualcosa sul fatto che lo avrebbe tenuto lui, ma che rimaneva un regalo per te e se mai avessi voluto saresti potuto andarlo a prendere».
«Davvero?» Taehyung solleva di nuovo la testa, guardando la nonna, che annuisce.
«Allora va bene così. Quando Jungkook tornerà gli comunicherò il nome che ho scelto per lui».
«E quale sarebbe questo nome?»
Un altro sorriso fa capolino, mentre risponde. «Yeontan»
 
«Guarda, non ti sembra cresciuto?»
Jungkook si rivolge al più grande mentre con la mano destra tiene il guinzaglio del piccolo Yeontan, il quale scalpita per potersi muovere, magari correre in quel cortile che intravede davanti a sé ma al quale, al momento, non gli è permesso accedere. Taehyung aveva fatto passi da gigante negli ultimi mesi, e qualche volta si era recato presso il piccolo orticello che avevano in giardino; l’aria fredda e l’odore acre delle piante, però, gli aveva dato alla testa quasi subito, e ben presto aveva dovuto rinunciare all’impresa. Adesso, mentre li guarda dalla finestra, la voglia che ha di scendere per osservare da vicino quel cucciolo che considera già suo è tanta, ma le temperature sono davvero rigide e vorrebbe dire rischiare troppo.
«È vivace» commenta, scrutandolo dalla finestra di camera sua. La sciarpa e il cappello che ha indossato sembrano non bastare mai per ripararlo dall’aria gelida di Gennaio, anche se la finestra è aperta solo per metà, ciò che basta affinché possa sentire la voce di Jungkook,
«Non si ferma un attimo!» commenta l’altro, cercando di acchiappare la bestiolina con due mani per prenderla in braccio e mostrarla meglio all’amico. Quando ce l’ha in grembo il cagnolino si agita e comincia a leccargli la faccia, così Jungkook ride e tira la testa all’indietro, mormorando al cucciolo qualcosa che Taehyung non riesce a sentire.
«Quanto vorrei accarezzarlo» si lascia sfuggire il più grande, ma lo ha detto a bassa voce e non è sicuro che Jungkook possa averlo udito.
«Ricordati che quando te la senti puoi venirlo a prendere» grida quasi l’altro, cercando di sfuggire alle attenzioni di Yeontan.
Taehyung non può far altro che annuire nella consapevolezza che, probabilmente, quel giorno non sarebbe mai arrivato. Era felice però, come non lo era da tempo, perché sapeva di aver lasciato quel cucciolo in buone mani e anche se, in tutta certezza, lo avesse tenuto per sempre Jungkook, a lui sarebbe andato bene lo stesso, almeno – pensava – non si sarebbe mai dimenticato di Taehyung.
«Questo mercoledì sei libero?» gli dice poi, cambiando argomento. «Ho scritto un pezzo al pianoforte. Credo che faccia un po’ schifo, ma volevo fartelo sentire lo stesso».
Vede il più piccolo adagiare delicatamente il cane con la zampe per terra, dopodiché riesce a scorgerlo mentre si gratta la nuca. «Davvero hai scritto un pezzo, hyung
Adesso è Taehyung a percepire una lieve nota di imbarazzo. «Beh, ci ho provato».
«Certo che ci sono» aveva replicato allora Jungkook, mostrandogli un pollice alzato.
Taehyung, a quel punto, tira un silente sospiro di sollievo, visto che ultimamente incontrare Jungkook era diventato parecchio complicato. Non riesce però a trattenere per sé una questione della quale aveva parlato con la nonna: al massimo si sarebbe beccato una rispostaccia.
«Senti, Jungkookie… non è che ti sei fidanzato? Guarda che a me puoi dirlo».
In verità, prima che la nonna gli accennasse a questa possibilità, Taehyung non ci aveva mai riflettuto sul serio, anche perché lui stesso faceva fatica a comprendere la parola amore e ad applicarlo a due persone che non appartenessero alla stessa famiglia. Certo, sapeva che sua madre e suo padre si erano sposati per amore, ma non li aveva mai visti in atteggiamenti particolarmente affettuosi l’uno verso l’altra. L’amore ha tante sfaccettature, gli aveva spiegato la nonna, e non era detto che lo si dovesse per forza dimostrare apertamente. Ne avevano parlato a lungo, perché Taehyung voleva capire a tutti i costi, e alla fine era rimasto un po’ deluso, visto che ancora quella parola così semplice all’apparenza ma ebra di significato sembrava in qualche modo sfuggirgli nel senso più romantico del termine. Però, a pensarci bene, non gli sembrava una possibilità così remota: Jungkook aveva usato lo sport e la scuola come scusa per nascondere una relazione nuova della quale magari si vergognava a parlare. Certo, chiederglielo così apertamente non era stata forse un’ottima idea, visto il temperamento del più piccolo, ma ormai era fatta e non rimaneva che attendere la sua risposta.
«Fi-fidanzato?!» per un attimo gli sfugge il guinzaglio di mano ma si piega svelto per riprenderlo prima che Yeontan fugga da qualche parte lontano da lì. «Che vai farneticando, hyung». Vuole sembrare sicuro di sé, ma nel suo tono di voce è facile scorgere tentennamenti.
«Non ci sarebbe niente di male» continua Taehyung, ricordandosi le parole della nonna, la quale si era raccomandata di incoraggiare questa nuova tappa della crescita di Jungkook, se mai fosse stata veritiera.
«Non sono fidanzato!» replica indispettito l’altro. «Smettila di dirlo».
«Non hai nemmeno una persona che ti piace?»
Probabilmente Jungkook non si sarebbe mai aspettato un discorso del genere proprio dal più grande, e probabilmente nemmeno Taehyung avrebbe mai pensato di farglielo prima di quel tête-à-tête con sua nonna. Ora era semplicemente curioso, non si sarebbe arrabbiato con Jungkook anche se avesse scoperto che in passato gli aveva mentito per poter stare con un’altra persona, l’avrebbe capito – Jungkook era un ragazzo molto introverso, non gli piaceva raccontare i fatti propri.
«Giuro che non mi arrabbio».
«Ma mi arrabbio io se continui con questa storia».
Sembrava davvero infastidito da quel discorso, anche se faceva fatica a mantenere un’espressione almeno vagamente seria. Più che altro, pareva intento a celare come poteva la vergogna.
«D’accordo allora, scusami. Se non vuoi, non ne parleremo più».
Ci aveva provato almeno, ma non voleva di certo rischiare di litigare con lui per un questione simile. Dopo quell’affermazione JUngkook si era ammutolito e aveva continuato a guardare Yeontan mentre scorazzava lì intorno nella disperata speranza che il quasi padrone lo liberasse e lo lasciasse correre libero.
«Devo andare» dice poi, alzando le spalle e mantenendo basso lo sguardo.
Taehyung aveva sentito un groppo allo stomaco in quel momento, poiché sembrava che qualcosa si fosse momentaneamente incrinato tra i due.
«Jungkook, sei arrabbiato con me?» qualcosa dentro di sé gli urlava che doveva accertarsene, o quando l’altro se ne sarebbe andato non avrebbe fatto altro che rimuginarci su senza poterne venire a capo.
Il più piccolo sospira, ma Taehyung non può sentirlo, dopodiché alza lo sguardo verso di lui e l’espressione è già più rilassata. «No, hyung» dice solo, e la sua voce sembra morbida. «A mercoledì».
La risposta di Taehyung è un sorriso congelato, prima di chiudere in fretta e furia finestre e tapparelle. 

La composizione l’aveva chiamata 4 o’clock. L’ora in cui solitamente Taehyung sobbalzava sul letto per aver avuto uno dei suoi incubi. Respirava a fondo col naso, tentando di regolarizzare il battito, poi guardava fuori le tende della finestra, verso il cortile di rose bianche e la luna che splendeva nel cielo, e si tranquillizzava. Aveva pensato semplicemente a quello, mentre, pian piano, le note nascevano dando vita ad un sound malinconico, quasi triste, ma incantevole nel suo essere straordinariamente evocativo. Quando Jungkook l’aveva sentita per la prima volta, i suoi occhi avevano versato due lacrime, che si era premurato di asciugare prima che Taehyung alzasse lo sguardo dal piano. Ma a lui era bastato percepire un cambiamento nel respiro del più piccolo per capire che, in qualche modo, la melodia composta aveva fatto il suo lavoro – trasmesso il messaggio di cui era portatrice.
«Ti piace?» aveva chiesto quasi in un sussurro, quando le dita affusolate avevano lasciato i tasti.
L’altro si era limitato ad annuire vigorosamente, incapace di formulare una frase di senso compiuto che non stimolasse di nuovo le sue ghiandole lacrimali. Allora Taehyung aveva sorriso, un sorriso dolce, e si era voltato in direzione dei tasti. «Posso suonarla di nuovo» aveva azzardato, dopo aver letto quel groviglio di sentimenti districarsi nelle iridi scure di Jungkook. Il più piccolo allora aveva annuito un’altra volta, promettendo a sé stesso che non si sarebbe lasciato sopraffare dalle emozioni, godendo appieno della melodia. In verità Taehyung l’aveva poi suonata tre volte, perché la quarta si era trovato Jungkook seduto affianco a lui con una sedia bassa rimediata dal soggiorno, intenzionato ad imparare almeno le prime quattro righe di spartito.
«Potresti scriverci una canzone su» era stato il suo commento, quando l’altro aveva mostrato una bella espressione giuliva per aver azzeccato le note iniziali. Lentamente, Taehyung aveva visto morire il sorriso sul volto di Jungkook e i suoi lineamenti assumere una configurazione indecifrabile. Si era ammutolito – prima non aveva fatto altro che borbottare su quanto le dita di Taehyung fossero sciolte rispetto alle sue, “due tronchetti d’albero” – e fissava il foglio con le note come se il suo sguardo potesse trapassarlo e guardare oltre; probabilmente avrebbe voluto scappare da lì il prima possibile, ma qualcosa lo teneva inchiodato a quella sedie e gli impediva di parlare. Il più grande si era voltato verso di lui con tutto il busto, conciliante. «Jungkook… cosa c’è che non va? Ho detto qualcosa di sbagliato?». Ultimamente Jungkook sembrava un po’ scostante, quasi sulle sue, e anche quei continui rifiuti che aveva giustificato a modo suo, forse non dipendevano davvero da una persona speciale che aveva conosciuto e che voleva tener nascosta. Semplicemente c’era dell’altro, qualcosa che non aveva avuto il coraggio di dirgli prima. Taehyung aveva cercato il suo sguardo e lo aveva ottenuto per un solo istante, ma questo non lo aveva fatto demordere.
«Jungkook, qualsiasi cosa sia, a me puoi dirla».
«Il fatto è che…»
Pur essendo molto vicini, Taeyhyung aveva faticato a sentire quel sussurro uscire dalle labbra di Jungkook. Il più piccolo stava ancora guardando altrove – si fissava le ginocchia – faceva di tutto pur di non dover trovare Taehyung, sentirlo realmente accanto a sé e completamente aperto a qualsiasi tipo di confessione.
«Ti… ti ricordi quel provino?»
«Certo che me lo ricordo».
Taehyung aveva dovuto attendere ancora affinché Jungkook continuasse il suo discorso.
«L’ho fatto… e mi hanno preso».
«E me lo dici così?» aveva esordito l’altro, spalancando le palpebre. «Jungkook, è una notizia magnifi-».
«Hyung tu non capisci, vero?»
Quell’affermazione era sembrata d’un tratto fredda, irruente. Aveva investito Taehyung come un colpo diretto allo stomaco. Non era stata una notizia che l’aveva colto impreparato – da quando ne avevano parlato Taehyung ci aveva riflettuto e si era fatto una sua idea in merito. Aveva immaginato Jungkook cantare davanti a milioni di persone, investito di luci e coperto di urli e applausi; seppur quasi estraneo al mondo dello spettacolo, Taehyung ci aveva provato, si era preparato all’eventualità e ora sembrava che quel suo training non fosse stato abbastanza, perché da come gli stava parlando Jungkook, forse c’era ancora qualcosa che gli sfuggiva.
Il più piccolo aveva gonfiato i polmoni, per poi lasciare che l’aria fluisse dal naso, prima di parlare. «Dovrò andare a vivere a Seoul, hyung. È lì che si trova l’agenzia che mi ha ingaggiato».
«Seoul?» aveva ripetuto Taehyung, come se non gli fosse stato chiaro il significato di ciò che l’altro aveva appena detto. Eppure gli sembrava di averci riflettuto abbastanza, considerato tutte le variabili in gioco – persino immaginato ciò che non aveva mai potuto vedere con i propri occhi, si era spinto più in là della sua stessa conoscenza e aveva accettato il risultato di quella ricerca certosina, raggiungendo una consapevolezza che lo faceva stare in pace con sé stesso. Ma in quel momento, quando Jungkook aveva pronunciato quell’unica – semplice – frase, quell’unico tassello mancante al puzzle che Taehyung, da solo, si era costruito, ecco che qualcosa di infinitamente grande era sembrato spezzarsi nel proprio petto e aveva fatto un rumore infernale, inebriando la testa e provocandogli le vertigini. Si era aggrappato con una mano alla tastiera del piano, facendo cozzare il suono di alcuni tasti, aveva visto le labbra di Jungkook aprirsi e richiudersi senza sosta, leggendo paura nei suoi occhi – avrebbe tanto voluto parlargli ma aveva un blocco all’altezza del cuore che gli impediva perfino di respirare. Nonostante la vista sfocata era riuscito a capire che Jungkook si era alzato e lo stava afferrando da sotto le ascelle, - probabilmente voleva portarlo sul divano – riuscendo poi a sollevarlo con una forza incredibile e a trasferirlo di peso su uno dei tanti cuscini bianchi che componevano il divano della sala principale. Taehyung però sembrava come in trance, neanche due scossoni che Jungkook gli aveva dato prendendolo per le spalle erano riusciti a farlo rinsavire. Non stava pensando, la sua mente era del tutto svuotata, arida, incapace di mettersi di nuovo in moto per dire qualcosa, qualsiasi cosa che riuscisse a tranquillizzare Jungkook ormai nel panico più totale. Sapeva che se non avesse reagito in qualche modo, il più piccolo sarebbe andato a chiamare la nonna, la quale, con ogni probabilità, lo avrebbe sicuramente allontanato da Taehyung, per evitare di peggiorare la situazione. Ma d’un tratto il più grande aveva sentito un soffio d’aria riuscire a passare tra i brandelli di ciò che era rimasto nel suo animo e si era impegnato con tutte le sue forze per farlo passare nella cassa toracica, permettendogli di fuoriuscire dal naso. Jungkook lo aveva visto gonfiare il petto e, finalmente,  ricominciare a respirare quasi con regolarità. Gli aveva afferrato una mano, gliel’aveva stretta – se Taehyung fosse stato in sé, sicuramente avrebbe sentito dolore - per poi parlare di nuovo.
«Hyung, ti prego, dì qualcosa».
«Mi.. dispiace».
Gli era costato una fatica immane pronunciare quei due vocaboli, ma quello che più desiderava al momento era scusarsi. Nonostante la situazione lo avesse fatto crollare, voleva in qualche modo chiedere perdono per il modo in cui il suo corpo aveva reagito – per il terrore che aveva visto in quei minuti attraversare le iridi di Jungkook, per quanto avesse provato a tenere sottocontrollo quelle crisi ma nessuno sforzo aveva dato il risultato sperato. Si era di nuovo trovato in balia delle sensazioni che il proprio corpo gli inviava, totalmente incapace di controllarle.
«Ti dispiace per cosa?»
Aveva visto un rivolo di sudore freddo rigare la tempia di Jungkook, da come respirava si capiva che era ancora molto agitato e faticava a seguire il discorso di Taehyung.
«Per essere come sono».
«Oh no, io… accidenti hyung, perché devi sempre darti la colpa per tutto».
«Perché è colpa mia. È colpa mia se non mi hai potuto dire fin da subito che avevi passato il provino, è colpa mia se avevi il timore di farlo perché non potevi prevedere la mia reazione. Sono tutto sbagliato, Jungkook, è questa la verità».
«No che non lo sei!»
«Il fatto è che ho voluto proseguire facendo di testa mia. Ti coinvolto in una sofferenza che non meriti di provare».
Jungkook continuava a guardarlo, stringendogli entrambe le mani – sperando che prima o poi ricambiasse, ma le sue dita erano molli, abbandonate, senza un briciolo di forza vitale all’interno. Il volto di Taehyung era girato da un lato, la frangia liscia gli ricadeva sugli occhi, assorbendo assieme alle ciglia l’accenno di un pianto.
«Che… che devo fare, hyung? Dimmelo, ti prego».
Si percepiva chiaramente quanto il più piccolo fosse in difficoltà nel gestire una situazione molto più grande di lui.
«Devi lasciare che le cose facciano il loro corso, Jungkookie. Non possiamo farci niente. Tu hai la tua vita… ed io ho la mia. Ho sempre saputo che un’esistenza così non sarebbe mai stata compatibile con una normale, ma ho voluto chiudere gli occhi e sbatterci la testa contro».
«Sono io che ho deciso di essere tuo amico» aveva buttato fuori Jungkook, quasi con rabbia. «Io ho scelto per me stesso e non mi pento di ciò che ho fatto. Non si tratta di compatibilità, hyung. Noi due siamo amici, è questo che conta».
Taehyung aveva sentito un battito in più scuotergli il petto, poi un altro e un altro ancora, si era aggrappato alla maglia all’altezza del proprio cuore, liberandosi dalla presa di Jungkook. Poteva essere una normale tachicardia – ne aveva avute tante prima di quel momento – ma allora perché gli sembrava di morire?
«Non sono capace di mantenere un’amicizia» aveva sussurrato, coprendosi il volto con una mano.
«Verrò a trovarti» Jungkook si era sentito sprofondare vedendo l’altro singhiozzare. «Ogni volta che potrò. Sarà difficile con il training, ma te lo prometto».
Taehyung era stato in grado di biascicare solo altre scuse, dopodiché Jungkook aveva sentito dei passi provenire dal piano di sopra e in breve tempo aveva visto la sagoma della nonna raggiungerli a passo concitato.
«Ragazzo, forse è meglio che tu vada adesso» aveva detto la donna accarezzando la spalla di Jungkook e tentando, allo stesso modo, di calmare Taehyung. «Non so cosa sia successo tra voi, ma credo che Taehyung abbia bisogno di restare solo».
«No, io non posso andarmene ora, lui-»
«Jungkook-sshi, per favore. È necessario».
«Taehyung!» l’aveva chiamato per nome, voleva che lo guardasse, che gli dedicasse anche solo un istante della sua attenzione. «Tu non vuoi che io me ne vada, vero? Per favore, dillo!»
Ma Taehyung non era stato in grado di aprire bocca; era scosso da singhiozzi silenti, rannicchiato su se stesso come se cercasse invano di proteggersi dal dolore.
«Ti accompagno alla porta» la nonna, con una mano dietro la schiena e l’espressione addolorata, lo aveva guidato verso l’uscita. Jungkook si era lasciato trascinare, ormai incapace di reagire, ma non aveva smesso di guardare lo hyung, in attesa anche di una sola risposta da parte sua. Poco prima di vedersi chiudere la porta in faccia ne aveva scorto il profilo e forse, per un secondo, aveva trovato il suo sguardo, ed era stato come guardare all’interno di un immenso buco nero.
 
I medici gli hanno sempre detto che, durante le crisi, è necessario concentrarsi e pensare a qualcosa di bello, un ricordo o una semplice immagine che riesca a distrarre la mente dalla sofferenza corporea. Taehyung ci sta provando, con tutte le sue forze, ma ogni tentativo si trasforma in dolore fisico, ogni pensiero lo riporta a Jungkook e al fatto che – forse – non potrà più vederlo, e la sofferenza lo rende inerme, in balia di ciò che credeva di poter tenere a bada, di ciò che pensava stupidamente di aver superato attraverso il consolidamento di un legame speciale. Ma, da quel giorno in poi, Jungkook avrebbe vissuto un’esistenza diversa, lontana anni luce dalla sua, e per quanto la loro amicizia potesse esser forte, di sicuro non avrebbe resistito alla lontananza e ai limiti che Taehyung non poteva superare. Sente il cuscino sotto di sé sprofondare, la nausea salirgli e bruciare l’esofago – dovrebbe andare in bagno ma le gambe sono troppo pesanti per muoversi, così cerca di trattenerla, combatte con il proprio corpo per ottenere dei respiri regolari, tiene strette le ginocchia per non perdere il controllo dei propri arti e ancora piange, silenziosamente, sperando che quelle lacrime lo facciano sentire di nuovo vivo. Ma ora gli manca un motivo, il motore che lo spinge ad andare avanti sembra essere andato in avaria e nessun’altra possibilità vuole offrirsi come via d’uscita. Non vede più niente, Taehyung, è solo buio ciò che riflette la sua retina, un buio abissale nel quale si sente inghiottito, indifeso e troppo debole per pensare di ritrovare la luce. Ha chiesto alla nonna di lasciarlo solo, ed è effettivamente l’unica, debole essenza vitale che c’è in quella stanza. Percepisce un ticchettio e pensa sia il suo cuore, ma ben presto si rende conto che è un rumore proveniente da fuori – sta piovendo tanto e lui odia la pioggia. Ciò che avviene dopo è un automatismo: Taehyung si alza senza nemmeno rendersene conto, ma, invece di rintanarsi sotto il tavolo – come spesso faceva quando arrivavano i temporali -  si avvicina cautamente alla porta d’ingresso, quella da dove qualche minuto prima Jungkook era stato mandato via. Rimane lì, immobile, ancora in balia degli impulsi che gli manda il proprio corpo – fanno male, tanto, ma sembra che ci si stia abituando. Chiude gli occhi, ascolta ancora il rumore delle gocce che si infrangono sull’asfalto, il fruscio del vento che ne devia la traiettoria, sente le proprie mani tremare per la paura, ma ormai cos’altro ha da perdere? Ha vissuto una vita rinchiuso in una casa – la sua tana, il suo guscio protettivo – al riparo da tutto ciò che poteva ferirlo, al riparo da tutto ciò che è vita. Allunga una mano verso la maniglia, esita un poco, perché il cuore lo sta avvertendo che quello è un grande rischio, ma per la prima volta lo ignora, sicuro del suo intento, e dopo aver spalancato la porta, un passo dopo l’altro, è sui gradini che lo portano al cortile; scende ancora, guardando avanti, traballando, incespicando nei propri passi, fino ad arrivare lì, al centro del giardino, fino a sentire la pioggia bagnargli i capelli, i vestiti, le membra, e ora non sente più niente, c’è il vuoto dentro di lui – forse è così che si muore, pensa, guardando verso l’alto e affrontando di petto una delle sue più grandi paure. D’un tratto però sente il panico assalirlo, la vista annebbiarsi di nuovo e il corpo tremare per il freddo – il cuore batte più lentamente – sta forse per arrestare la sua corsa? - e tutto è di nuovo nero, fin quando un inaspettato calore lo avvolge donandogli respiro. Per un istante crede di aver messo fine ad una vita che gli è sempre stata stretta, ma nel riaprire gli occhi, tra le gocce di pioggia impigliate tra le ciglia, scorge un volto familiare, anch’esso fradicio e coperto da ciuffi di capelli neri attaccati alla fronte.
«Hyung… che cavolo stai facendo?»
Quella voce è l’unico appiglio che lo fa rinsavire – Jungkook è in ginocchio, di fronte a lui, non ha nessun ombrello con sé – gli tiene le braccia, forse prima lo ha stretto a sé, e lo guarda negli occhi, qualche lacrima nascosta dalla scorrere incessante delle gocce di pioggia.
«Io voglio vivere, Jungkook».
Finalmente, Taehyung ricambia lo sguardo e il dolore comincia a svanire, c’è solo freddo e qualche brivido che scuote il corpo. «Lo voglio più d’ogni altra cosa».
Sente Jungkook sospirare e vede le sue labbra muoversi mentre si scontrano con il forte getto d’acqua che è sopra di loro. «Allora vivi, hyung». Percepisce di nuovo quel calore e le braccia di Jungkook chiuse fermamente dietro la propria nuca. Alza lentamente le proprie per cercare di stringerlo a sua volta con la poca forza che gli è rimasta, ed è proprio quel contatto a far scorrere di nuovo sangue caldo nelle vene, a donargli un battito più tranquillo, a riportare le sue funzioni vitali alla normalità.
«E invece moriremo di freddo» commenta Jungkook dopo quel fugace abbraccio e gli scappa da ridere, o forse è un singhiozzo, non saprebbe dirlo con certezza.
Taehyung sorride a sua volta, anzi, è una vera risata quella che Jungkook può udire, debole e sottomessa al rumore forte delle gocce di pioggia. Fortunatamente, quasi in risposta ai loro timori, il vento sembra voler portar via le nuvole e scoprire lentamente una piccola fetta di cielo.
Il più piccolo si alza e aiuta l’altro a fare lo stesso. Per qualche istante i loro sguardi rifuggono altrove, ma uno starnuto di Jungkook li riporta entrambi alla realtà.
«Le cose cambieranno, adesso?» gli domanda cautamente, saggiando con una mano che sembra aver smesso di piovere.
Taehyung alza le spalle. «Non lo so, Jungkookie. Ma stai pur certo che rimedierò un biglietto in prima fila per la tua prima esibizione pubblica». Non sarebbe stato così facile, ma avrebbe fatto di tutto per far avverare quell’affermazione.
Un altro starnuto e la certezza di un malanno imminente accompagnano la risposta del più piccolo. «Un concerto? – lo aveva detto con l‘incredulità nella voce, ma si poteva percepire con nitidezza quanto quell’idea lo facesse sognare – Non corriamo troppo. Intanto, quando ci rivedremo, dovrai offrirmi una cena».
«Cosa? Perché?!»
«Non è questo che fanno gli hyung quando i propri dongsaeng si impegnano?» Schiva appena un calcetto debole di Taehyung, ridacchiando. L’aspetto tremendamente bagnato dell’altro, specchio del suo, lo fa però tornare serio. «Forse è meglio che adesso rientri in casa, hyung».
Il più grande si scosta i capelli dal volto, adocchiando i polsini gocciolanti della propria camicia. «Quando partirai, Jungkookie?» Il fatto che abbia deliberatamente ignorato la sua affermazione non sorprende il più piccolo, che risponde cautamente. «Tra una settimana. Senti hyung, pensi che Yeontan-»
«Certo. Rimarrà qui» finisce per lui Taehyung.
«Sei… sei sicuro? Altrimenti-»
«Voglio averlo con me» ripete il più grande, deciso più che mai ad ottener ragione. Non l’aveva posta come una possibilità, ci aveva voluto credere fin da subito, perché ormai si sentiva in grado di superare qualsiasi scoglio. «Credo mi stia salendo la febbre» considera poi con molta tranquillità, perché sente che è qualcosa di fisiologico, non dovuto alle sue solite crisi.
«E perché stai sorridendo? Uno non dovrebbe essere felice quando ha la febbre».
La considerazione di Jungkook non lo aveva nemmeno scalfito - abbassa la testa per nascondere un ennesimo sorriso, dopodiché decide di dar ascolto ai consigli dell’altro. «Credo di dover andare, adesso. Ci vediamo, allora?»
«Certo, hyung».
«Se ti dimenticherai di me, verrò a cercarti. Con Yeontan».
«Hyung, non mi dimenticherò di te».
«Tu tienilo a mente».
«Suona come una minaccia».
«E lo è, a tutti gli effetti».
«D’accordo, me ne ricorderò».
«Bravo».
La conversazione sarebbe finita lì, se solo Taehyung non si fosse voltato un istante prima di rientrare di nuovo in casa. Un po’ temeva il fatto di dover nuovamente mettere piede lì dentro, ma qualcosa gli suggeriva che niente sarebbe più stato come prima e quello scudo che per anni lo aveva protetto ora ce l’aveva addosso, proprio dentro di sé: era lui stesso.
«Vuoi… entrare a farti una doccia calda? Ti ammalerai se torni a casa così».
Un altro starnuto, seguito da una risata nervosa. «Credo di essermi già ammalato, hyung».
«Forza, non fartelo ripetere».
«Io gli abiti da pinguino non li metto».
«Non li metterai».
Vengono interrotti da una porta che si apre accompagnata da un’espressione di puro sconcerto da parte della nonna, che cerca invano di articolare le sillabe che formano il nome del nipote, per poi scendere i gradini in fretta e furia, agguantare Jungkook per un braccio e portarlo sotto la tettoia dell’appartamento. Li guarda tutti e due, poi molla uno schiaffo sulla guancia di uno e subito dopo lo fa con l’altro. I ragazzi rimangono muti, pietrificati, fin quando non si sentono stringere in un caldo abbraccio che sembra voler sancire, finalmente, l’inizio di qualcosa di nuovo per entrambi.





















 
Più che spiegare il significato di tutto ciò, io sarei molto lieta di sapere cosa tutto ciò ha significato per voi. Vorrei capire fino a che punto questa storia è riuscita ad entrarvi dentro e quali emozioni ha suscitato. Ovviamente qui c’è un lieto fine, forse chiamarla guarigione è ancora un po’ azzardato, ma ci avviciniamo di molto. So che è qualcosa di particolare e che può non essere gradito a tutti, perciò ringrazio di cuore chi ha inserito la storia nelle varie categorie e chi si è fermato a lasciare il proprio pensiero. Soprattutto per un lavoro del genere, avere un feedback di ritorno è per me importantissimo. Quindi grazie di cuore♥
Alla prossima allora,
 
Vavi


 
  
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