L’ULTIMO CAVALIERE DELLA PIETRA
CAPITOLO OTTAVO
Gli
odori di cipolle e aglio che si mischiavano al pizzicore pungente e
dolce
provocato dall’erba tagliata e dal grano mietuto, le invasero
i polmoni in una
grande boccata d’aria fresca che Sianna accolse con un
sorriso soddisfatto
rivolto al sole. I risolini e il vociare allegro le davano il buon
umore, o
forse era solo tutta quella luce e la brezza fresca a risollevarle
l’animo e
renderlo leggero. Addobbi vivaci di stoffe e lanterne vivificavano le
strade e
i banchi dei commercianti, e la musica non era mai cessata da quando si
erano
levate la mattina presto. Da una composizione naturale di rami e
muschio Sianna
recuperò una spiga, la rigirò tra le dita lunghe
e l’oro dei chicchi pieni
baluginò di caldi riflessi. Avevano trascorso gli ultimi
giorni a intessere un
fantoccio di spighe che quella notte sarebbe stato dato alle fiamme, e
ad
intrecciare le corone di vischio che le sacerdotesse e i sacerdoti
stavano
indossando duranti i canti rituali.
Al Cerchio di
Pietre i sacerdoti ricevevano gli
abitanti per risolvere questioni di ordine giuridico, una tradizione di
Lughnasadh, ma non la più interessante. Era nella piazza del
mercato che si
respirava la vera festa, erano giunte molte persone dai villaggi vicini
per
rendere grazie alla divinità e celebrare matrimoni e vendere
merci, e le vie
sembravano incapaci di contenere una tanto trasbordante vita.
«Questo
profumo di dolci mi
sta facendo impazzire!» si lagnò prontamente
Lisanda, il rumore del suo stomaco
borbottante risultava imbarazzante.
«Resisti,
stasera ci sarà il
banchetto e mangeremo come non facciamo da una vita!»
cercò di risollevarla,
ottenendo però altre smozzicate lamentele «Non
dirmelo, io non lo so come
sopravvivono questi sacerdoti, a pesce insipido e brodini. Non
è vita, è un
incubo»
Iris
strabuzzò gli occhi per
l’indignazione e la rimbeccò
all’istante, così mentre le due battibeccavano su
quanto fosse eticamente inappropriato il commento di Lisy, Kea
sollevò lo
sguardo sulla folla assiepata nella piazza del mercato.
«Qui non
ci facciamo molto,
andiamo ad assistere alle gare?»
Marion si
aggrappò alla manica
della sua veste con eccessivo entusiasmo «Sì, vi
prego! Tra poco dovrebbe
esserci il tiro con l’arco, me lo ha detto Will!»
Le venne da
ridere, le sorrise
strizzando gli occhi per la troppa luce, un evento più unico
che raro nel Regno
d’Ombra, e annuì «Non sia mai che ci
perdiamo la prova del nostro prode
William. Voi due la finite di litigare?»
Iris
assottigliò le labbra in
una linea ostile «È inadeguata, rifiuto qualunque
forma di legame con questa
barbara»
Lisanda la
seguì a ruota con una
smorfia «Non mi risulta che tu sia nata nobile,
sai?»
Da qualche parte
una divinità
deve esistere, e deve odiarmi anche molto
Le aree destinate
alle
manifestazioni sportive erano state circoscritte fuori dal centro
abitato da uno
steccato che già era stato preso d’assalto da
numerosi spettatori. Le grida
d’incitamento erano assordanti, Sianna e Marion, seguite da
Kea, decisero di
abbandonare le gemelle alle loro discussioni e si infiltrarono tra le
persone.
Complice la scarsa massa dei loro corpi sottili, riuscirono a
raggiungere la
recinzione e ad affacciarsi sul terreno di prova.
Ci sarebbero stati
combattimenti di spada e anche scontri corpo a corpo a cui chiunque
poteva
prendere parte, indipendentemente dall’esperienza ma, come
aveva detto Mari, in
quel momento erano stati allestiti i primi bersagli. Si ritrovarono
compresse
nella calca che odorava di birra e sudore, tra le urla
d’incoraggiamento
lanciate ai parenti o ai conoscenti. La maggior parte dei presenti era
già ubriaca,
alcuni bambini si erano seduti sulla recinzione, altre testoline
spuntavano tra
le assi di legno, in basso.
Sianna
guardò i primi
partecipanti dare prova della propria abilità, o
inabilità a seconda dei scarsi
risultati. Al pubblico importava poco delle capacità dei
concorrenti,
quell’estasi collettiva trascinava tutti in un entusiasmo
appassionato che si
scatenava in applausi e fischi.
«Voi
vedete Will?» gridò
nell’orecchio di Mari per sovrastare i rumori. Kea si trovava
in difficoltà, la
sua piccola statura la faceva mangiare dalla folla che le toglieva il
respiro.
«Guardalo
là, il terzo da
destra!»
Sianna
osservò i concorrenti,
una trentina di uomini di dubbia lucidità nonostante
l’orario, e quasi soffocò
nella propria saliva quando identificò, nella persona
accanto a William, la
figura slanciata e imprevista di suo fratello.
«C’è
anche Ynyr!» batté le
mani Marion, come le avesse letto nel pensiero. Non nutriva il medesimo
entusiasmo nel vederlo partecipare a quella prova. Non che ci fosse
qualcosa di
male, ma ignorava quel talento e interesse del fratello.
La
maggior parte dei
concorrenti venne eliminata fin dalle prime fasi, erano tutti contadini
dalle
braccia forti e muscolose, ma inadeguate, accanto a loro Ynyr sembrava
eccessivamente magro, quasi mingherlino. Eppure, contro le scommesse
che gli
uomini si gridavano da un lato all’altro sopra le loro teste,
le file si
sfoltirono rapidamente, mano a mano che i bersagli venivano allontanati
e il
livello di difficoltà si alzava, e in quel gruppetto di
finalisti figurò
proprio il fratello, per il suo sbigottimento. Più di
chiunque Sianna pensava
di conoscerlo, ma ignorava questo suo talento. Insieme ad un improvviso
senso
di straniamento, s’insinuò in lei una calda
sensazione di rimembranza. Mentre
lo osservava, guardava i muscoli della schiena che si tendevano, il
profilo
corrucciato dalla concentrazione, le sembrò di averlo visto
compiere quei gesti
mille volte e niente era più elegante ed appropriato per lui.
William venne
eliminato poco
dopo, ma Sianna non riuscì a prestargli attenzione, invero
non sentiva più
nulla, seguiva solo Ynyr con un’avidità inedita
anche per lei, cercando di
ricordare perché tutto questo le fosse così
familiare e come mai suo fratello
le apparisse se possibile più nobile e bello, ammantato di
una luce quasi
accecante.
Vennero chiamati
altri
concorrenti, in un gioco all’esclusione che infine
lasciò sul campo proprio
Ynyr ed un uomo che non era più giovane ma doveva essere
stato un soldato a
giudicare dal portamento e dal fisico: le deformità delle
dita e il gonfiore
dei muscoli delle braccia tradivano una vita spesa da arciere per
l’esercito
d’Ombra. Il bersaglio era stato spostato e distava dalle
postazioni di tiro
circa centotrenta piedi, ogni concorrente aveva tre frecce a
disposizione.
Quando lo vide incoccare l’ultimo e decisivo dardo,
d’istinto si sporse e gridò
il suo nome sopra tutti, con tutta la voce che aveva.
Quell’”Ynyr!” tra i tanti
suoni sguaiati lo tradì: il fratello sussultò e
la freccia andò a conficcarsi
nel secondo anello dipinto sulla paglia, decretando l’altro
concorrente come
decisivo vincitore. Scoppiò un boato di gioia e applausi a
cui Sianna non prese
parte. Fissava il fratello incredula che davvero l’avesse
udita, ed Ynyr a sua
volta, impermeabile alla situazione e indifferente alle persone
presenti,
ricambiò il suo sguardo per un lungo, pesante istante.
Alla fine le diede
la schiena
e si allontanò, uccidendo in lei qualunque iniziativa di
raggiungerlo per
congratularsi e magari parlare, dato che non si erano più
visti dopo il casuale
incontro nel bosco con Kii.
Marion la riscosse
aggrappandosi ancora alla manica della sua tunica
«È stato incredibile! Lo hai
visto? Poteva vincere!»
«Non
sapevo che Ynyr sapesse
tirare con l’arco» considerò Kea, con
l’espressione serena ed orgogliosa di una
sorella maggiore, una sensazione che paradossalmente Sianna non
riusciva a
condividere. Svicolarono dalla folla per raggiungere William.
Lo trovarono
seduto su una
roccia a parlare con Henry e Daniel, aveva il volto imperlato di sudore
ed i
capelli biondo cenere appiccicati alla fronte.
«E bravo
il nostro Will» lo
canzonò Mari, con un ampio sorriso che metteva in risalto i
denti bianchissimi.
Il ragazzo finse abbattimento, chinò il capo sconsolato e
borbottò «Come sei
crudele. Almeno tu, Sianna, sei venuta a consolarmi, vero?»
Presa in
contropiede, non le
riuscì di camuffare il volto che si arrossava «Non
ci penso proprio!»
«A
proposito» le si rivolse
Daniel con un sorriso indulgente che sapeva di salvezza «Non
sapevo che Ynyr
fosse tanto bravo!»
Come non detto,
argomento
sbagliato
Si morse il labbro
inferiore
per non mostrare troppo il proprio disappunto «In
verità nemmeno io» borbottò.
«È
un peccato che non sia
riuscito a vincere, se la stava cavando davvero bene»
ponderò Kea, rivolgendosi
a Daniel, gli occhi neri accesi di entusiasmo. Era tanto impacciata con
il
sacerdote che quando l’occasione di parlargli le si
presentava in maniera
naturale diventava felice come una bambina.
«Già,
ma non poteva mica
sperare in due premi» intervenne William, ancora risentito
dalla pesante
sconfitta «Onestamente, pensavo di batterlo facilmente, il
ragazzino» e sotto
il tono scherzoso, Sianna lesse una nota di amarezza che non la
stupì. Da che
ricordava, i ragazzi si erano sempre posti in modo competitivo verso
suo
fratello, per motivi differenti Ynyr aveva capacità di un
altro livello e per
questo aveva finito con il restare più isolato e in
disparte. Era infastidita
nel rintracciare quella sfumatura in Will, l’avvertiva come
una minaccia latente
verso il suo fratellino.
La sua aria
sconsolata però
fece ridere Mari, che gli concesse pacche poco leggere sulla spalla in
segno di
conforto «Sarà per il prossimo anno!»
«Due
premi?» apostrofò invece Iris,
a fronte aggrottata, non lasciando cadere l’unica cosa che
aveva attirato anche
la sua, di attenzione, guardandola poi di sottecchi a tastare la sua
reazione.
Sianna si sforzò di non emettere un suono e nemmeno di
muovere un muscolo
facciale, anche solo uno spasmo, per non tradire il nervoso.
Henry
confermò «Sì,
parteciperà alla sfida tra Bardi, stasera» Daniel
gli gettò un braccio al
collo, in un abituale gesto di confidenza che li caratterizzava: da che
li
conosceva, erano inseparabili in tutto e ritrovavano l’uno
nella presenza
dell’altro una certezza e un conforto, per questo anche
mentre parlavano
tendevano sempre a cercarsi «Da quello che ho sentito,
è proprio dotato»
specificò con un grande sorriso.
Sianna si
ritrovò ad aggredire
l’unghia già provata del pollice in un moto
d’innegabile collera ormai non
proprio latente.
«Lo
sentiremo stasera» rincarò
Will e Lisanda rispose con un gridolino eccitato «Non vedo
l’ora!»
«Io
invece proprio per nulla»
mugugnò, a voce sufficientemente bassa perché
l’acidità passasse inosservata. I
ragazzi si lanciarono in un dibattito sulle prossime prove, sul brutto
vizio di
Henry di piazzare scommesse perdenti in partenza e Sianna ne
approfittò per
defilarsi dal gruppetto con una scusa personale sulla quale nessuno
sollevò
quesiti.
Mentre si
allontanava a
falcate iraconde, sentiva lo stomaco rimestarsi e pensò che
si stesse mangiando
da solo e si sarebbe ritrovata con una nocciolina minuscola al posto
dell’organo. In quel frangente, l’unica cosa che
gli veniva in mente era
recuperare la piccola kitsune che con il fratello doveva aver trascorso
gli
ultimi giorni, e farle un terzo grado sufficientemente aggressivo da
spingerla
a parlare senza rimostranze.
A fermare il non
troppo
brillante piano che la faceva avanzare tra i campi come uno spirito
posseduto
dal demonio ci pensò Henry, che doveva aver deciso di
seguirla.
«Sianna?
Ti fermi?»
«Quale
parte di “devo fare una
cosa privata” ti sfugge?»
Henry
tossicchiò, forse per
una volta nella vita le era riuscito di metterlo a disagio.
«Non
sembrava volessi davvero
fare qualcosa di privato» borbottò indisponendola
ancora di più. Furente e
inacidita, sfoderò il peggior repertorio da contadina
iraconda e rozza che le
riuscì «Benissimo, solleverò la gonna e
piscerò gioiosamente davanti a te per
toglierti ogni dubbio»
Sperò
di umiliarlo e umiliarsi
abbastanza da spingerlo ad andare via, perché con lui nei
dintorni Kii sarebbe
rimasto ben nascosto, ma sortì l’effetto opposto,
il suo migliore amico,
altrettanto irritato, l’afferrò improvvisamente
per il polso costringendola ad
una brutta battuta d’arresto che la fece incespicare.
Come ha fatto a
sembrarmi una
buona giornata?
Maledizione a te
Ynyr
«Si
può sapere che cos’hai? È
tutto a posto?»
«No!»
Agitò
goffamente il braccio
per liberarsi, senza successo, di lui. Alzò gli occhi ed
incontrò lo sguardo
confuso e colpevole di Henry. Si pentì di aver alzato la
voce, ma la
frustrazione inspiegata che la rimestava non accennava ad affievolirsi.
«Se ci
penso mi viene una
rabbia! Se lo avessi davanti io… gli farei sicuramente
qualcosa!»
Le sopracciglia
del ragazzo
s’inarcarono sotto la montatura degli occhiali «Non
sono un indovino, ma
suppongo tu stia parlando di tuo fratello»
Sianna
sbuffò, scacciando la ciocca
di capelli che a causa di una rosa sulla fronte tendeva a ricadergli
sul volto
«E di chi altri?»
Henry si
lasciò sfuggire una
leggera risata, un misto di esasperazione e disagio «Cosa
esattamente ha messo
a dura prova i tuoi nervi?»
Sianna
riuscì finalmente a
liberarsi e si sedette a terra, imbronciata e capricciosa in maniera
terribilmente infantile, ne era conscia, eppure al di là
dell’imbarazzo non
poteva impedirselo.
«Che
vuoi che ne sappia? Non
lo so nemmeno io, so solo che è colpa sua. Come
può sparire così? A malapena mi
guarda se ci incrociamo, l’unica volta che mi ha parlato
quasi mi inceneriva… e
adesso questo!»
Il sacerdote
esitò, ma alla
fine si sedette accanto a lei, tra le stoppie, e si grattò
il collo a disagio
«Questo significa quello che sta facendo?»
Annuì,
assorta, e dopo qualche
minuto di ponderato silenzio gli chiese «Non ti sembra
naturale?»
«Non ti
seguo»
Sianna
scacciò i capelli con
astio «Nemmeno sapevo che sapesse tirare con
l’arco, non lo aveva mai fatto. Mi
sembra di trovarmi di fronte uno sconosciuto all’improvviso.
Ma non è questo
che mi fa arrabbiare» si morse il labbro inferiore,
cercò le parole per
esprimere quell’insensata sensazione «Non
l’ho trovato strano, solo irritante.
Come se fosse naturale che sia in grado di farlo, ma farlo fosse una
provocazione rivolta a me»
Henry si
accigliò, si sistemò
meglio gli occhiali sulla punta del naso, la fronte si
arricciò ulteriormente
in rughe di confusione.
«Non ha
molto senso» optò
infine, abbozzando un sorriso di scusa, come se non poterla assecondare
fosse
una colpa. A volte Sianna non riusciva a capire quel ragazzo, anche se
si
conoscevano fin da bambini.
«Lo so,
però non so spiegarlo
diversamente. È un’impressione di già
visto. Io l’ho già visto fare questa cosa,
ma in realtà non l’ho mai visto farla. Mi sembra
quasi di dover ricordare
qualcosa, ma è solo una sensazione neanche troppo distinta e
mi dà rabbia
perché è come se Ynyr mi stesse pungolando, mi
stesse dicendo che c’è qualcosa
di lui che non ricordo e devo ricordare»
L’amico
sbuffò e si mise a
ridere, stemperando un po’ il suo umore tetro e dando un
leggero colpo di
spugna a quei pensieri contorti e pesanti «Voi due siete
sempre troppo strani,
lo sapete? Volete sempre leggere nei gesti dell’altro
più di quanto non ci sia»
Sianna sorrise
debolmente, non
lo corresse. Non gli disse che, in realtà, di solito i loro
gesti
sottintendevano l’uno verso l’altro
realtà e verità comprensibili solo a loro
che escludevano veramente tutti gli altri. Non lo fece,
perché sapeva bene
quanto fosse malsano il rapporto esclusivo che li legava. Il sacerdote
si alzò,
le porse una mano senza cancellare quell’accenno
all’insù delle labbra, non un
vero e proprio sorriso; Henry era un malinconico e anche quando si
sentiva di
buon umore restava comunque sospeso su di lui un alone di rassegnazione
e
sconforto.
«Vieni
con me, testa dura»
Sianna
gonfiò una guancia
d’indignazione, accettò il suo aiuto e tenne
stretta la mano dell’amico mentre
questo la guidava. Non troppo lontano si era alzata una
melodia, un misto
di strumenti a fiato e percussioni, e nei prati uomini e donne si
raccoglievano
in cerchi festanti e iniziavano a danzare. Si perse con lo sguardo a
contemplare quelle figure non del tutto nitide e le parve di
riconoscere Kea
insieme a Daniel.
«Dove mi
stai portando?»
chiese quando si accorse che anche Henry puntava al bosco, la linea
degli
alberi sempre più nitida e vicina. Erano nei pressi del
Cromlech ora, la folla
assiepata di fronte ai Brithen nascondeva parte di
quell’affascinante struttura
in pietra. Tanet le aveva spiegato la valenza magica del cerchio come
simbolo,
le aveva detto che il Cromlech era costituito da due cerchi di pietra
concentrici e che l’ingresso era rivolto ad est, incorniciato
da due alti
menhir che fungevano da sentinelle protettrici. C’era un
piccolo fossato che
seguiva il contorno della circonferenza e gli altri punti cardinali
erano
segnati da altrettanti menhir solitari.
Sapeva tutto
questo, ma il
Maestro non le aveva concesso di avvicinarsi per poter toccare con mano
quelle
pietre antiche, le aveva detto che i loro luoghi sacri non erano un suo
gioco e
doveva portare rispetto per le antiche credenze. Così, lo
contemplò da lontano
finché non sparì dalla sua vista.
Henry
imboccò uno dei numerosi
sentieri che s’inoltravano nel bosco d’Ishitar, una
stradina di terra battuta
come un’altra, eppure l’amico sembrava avere
un’idea molto precisa di dove la
stesse portando. Il mistero si svelò prima che potesse
tornare alla carica con
qualche domanda: gli alberi si dipanarono per mostrare una piccola
radura. Al
centro sorgeva una casetta di pietra di forma circolare con il tetto in
paglia,
sopraelevata dal terreno, sostenuta da grossi piloni di legno. Una
scaletta
conduceva alla porta d’ingresso, accanto era stato costruito
un pozzo con un
secchio di legno dimenticato sul bordo dell’anello di pietra.
Una musica
leggera copriva i rumori di uccelli ed animali, il suono di
un’arpa tra le mani
di un ragazzo seduto sui gradini d’ingresso.
Ynyr era
concentrato, tanto
concentrato che forse davvero non l’aveva sentita arrivare,
per quanto assurdo
le potesse sembrare. Ynyr l’aveva sempre percepita con largo
anticipo, in modo
del tutto inspiegato. D’istinto, Sianna acchiappò
Henry e lo costrinse a
nascondersi dietro un albero. Lei stessa vi si appiattì,
facendo aderire la
schiena alla superficie ruvida.
«Quindi
è qui che è sempre
stato. Che posto è questo?»
Henry si sporse
come lei per
spiare il ragazzo «È un nemeton, un luogo di
ritiro dei sacerdoti, per
isolarsi. Negli ultimi anni ci vive il nostro più anziano
File. È un Cruitire,
un arpista»
Sianna
inarcò scettica un
sopracciglio e lo fissò con la sua più minacciosa
espressione, per invitarlo
neanche troppo gentilmente a chiarire perché Ynyr si
trovasse lì. Henry alzò le
mani in segno di resa «Non prendertela con me. È
tuo fratello che quando è
stato meglio ha chiesto di essere condotto qui. È stato
affidato ad Armogen, e
lui è un asceta, non rientra praticamente mai al monastero,
anche se è qui
vicino. Per questo non lo vedi mai»
Riflettendo su
quella scelta,
quell’esilio praticamente, Sianna si oscurò. Fu
istintivo pensare a se stessa e
a come in qualche modo, quella comunità di sacerdoti Drui
l’avesse confinata
nelle mani di Tanet perché non entrasse in contatto con gli
altri. Ora, la
situazione di Ynyr pareva specchio della sua.
«Henry,
c’è un qualche
collegamento?»
Ancora una volta,
il ragazzo
non la capì, né poté biasimarlo
«C’è un collegamento nel fatto che sia
io che
mio fratello siamo stati separati completamente ed esclusi dal resto di
voi?»
L’amico
si affrettò a negare,
con troppa veemenza per quello che la riguardava. Era sbiancato
all’improvviso,
come se tutto il sangue fosse fluito via dal suo volto, e trasmetteva
una
profonda inquietudine, un disagio indefinito. Non era semplice
interpretarlo,
Henry e Daniel erano diversi dalle persone normali, erano
più schermati dalle
sue sensazioni rispetto a chiunque altro, per questo non riusciva a
leggere le
sfumature del suo imbarazzo. Perciò si sporse nuovamente,
per guardare suo
fratello.
Era seduto in
maniera
scomposta, l’arpa tra le sue gambe sembrava un veliero pronto
a salpare, con la
vela gonfia di vento ed elegante come il collo di un cigno. Le dita
lunghe e
sbiancate, delicate come rami morti esposti all’acqua e al
sole, sfioravano
appena le corde, le pizzicavano indolenti, eppure il suono che nasceva
da quei
movimenti delicati era dolce e pieno, commovente.
«Il
sussurro del dolce albero
delle mele» ricordò, ma non sapeva che ricordo
fosse. Da quando aveva incrociato
gli occhi di Ynyr durante la gara, non aveva smesso un solo istante di
provare
quella sensazione di già visto. Henry non era nuovo a quei
suoi sprazzi di
straniamento e non le fece domande. Piuttosto, disse «Credo
che vi dovreste
parlare»
«Forse
dovremmo» confermò
Sianna, sfiorando con le dita la corteccia dell’albero, a
seguire linee di
incisioni a cui non aveva prestato troppa attenzione.
L’occhio le cadde sopra
quei solchi e si accorse che erano rune. Sospirò per
scacciare il panico.
«Ma tu
non vuoi» constatò
l’amico, ripetendo ancora quel suo abituale gesto di
risistemarsi gli occhiali.
Scrollò le spalle, si concentrò sui capelli
bruniti d’Ynyr, un biondo rosso che
portava in sé il fulvo materno, sul modo in cui gli
coprivano parte del viso,
gli occhi socchiusi.
«Penso
che potrebbe farvi
bene. Penso che dovreste restare insieme in un momento come
questo»
«Momento
come questo?» lo
apostrofò accusatoria, ed Henry fu attraversato da un moto
di vergogna che
travolse anche lei.
«Intendo
solo che questo silenzio
fa male a entrambi» svicolò.
Sianna accolse la
stoccata in
silenzio, colpita in pieno.
Fin da bambina,
sua madre le
aveva ripetuto sempre un’unica, lapidaria raccomandazione:
prenditi cura di tuo
fratello. Non era mai stato un rapporto a senso unico, troppe erano
state le
volte in cui era stato Ynyr il pilastro di entrambi, il porto sicuro.
Eppure
quel mantra riecheggiava nella sua memoria e la faceva sentire in
colpa.
Davanti alla sua indecisione, Henry fece un passo indietro e le diede
la
schiena.
«Mi
lasci sola?» lo richiamò
con il tono da bambina lamentosa più efficace del suo
repertorio. Non funzionò,
il sacerdote abbozzò un gesto di commiato con la mano e
imboccò il sentiero del
ritorno. Si alzò una brezza leggera che cambiò la
disposizione dei cirri
nell’unico sprazzo di celeste visibile dal cerchio di alberi,
le fronde
frusciarono tra loro e questi suoni si unirono in maniera armoniosa
alla
melodia solo accennata che suonava Ynyr.
Il fratello
alzò il capo, si
voltò nella sua direzione e sorrise «Pensi di
uscire di lì ora che Henry se ne
è andato?»
Sussultò,
ma non fu troppo
sorpresa di essere stata scoperta. Ynyr la percepiva, aveva
probabilmente finto
di non accorgersi di loro per darle la possibilità di
andarsene non vista, però
doveva averla tenuta d’occhio da quando si era avvicinata
alla radura. A passi
strascicati uscì dal nascondiglio e
s’incamminò pigramente verso di lui.
«Ciao,
Ynyr»
«Ciao,
Sianna»
Sianna imbronciata
era sempre
spassosa, sarebbe valsa la pena farla arrabbiare fino allo sfinimento,
se
quell’espressione era ciò che ne guadagnava. La
squadrò discretamente mentre la
sorella si trascinava verso di lui con la stessa gioia di vivere di un
sasso,
cercando di mettere a fuoco i dettagli che gli erano sfuggiti nel loro
ultimo incontro.
Aveva sempre cercato di non prestarle troppa attenzione, per ovvie
ragioni, ma
da quando Marilien era morta si era reso conto di come qualcosa si
fosse rotto
senza speranze di poter essere riparato, e così ora non
c’era più il freno, la
ragione umana che lo bloccava, e porsi un limite spontaneamente
diventava più
difficile.
Ovviamente, quella
tonta di
sua sorella non se ne era resa conto, per lei che non ricordava nulla
era tutto
più semplice, le invidiava l’innocenza ritrovata,
allo stesso tempo la odiava,
perché in qualche modo riusciva a renderla più
adorabile e lo costringeva
all’indulgenza. Non era trascorso troppo tempo senza che
parlassero, eppure era
stato sufficiente ed ora la ritrovava diversa, più bella,
più eterea. E ancora
altrettanto ignara.
Tornò
alla sua musica, ben
sapendo che questo l’avrebbe solo fatta arrabbiare.
E infatti, precisa
e
capricciosa, la sentì sbuffare e pestare un piede
«Hai un
attimo?»
Sorrise ferino e
le fece cenno
di parlare, senza però guardarla. Se fosse stato
più intelligente, più
razionale, le avrebbe detto di no, non le avrebbe concesso nemmeno un
istante.
Ma era semplice ammorbidirsi, quando riscopriva nei suoi gesti la
bambina con
cui era cresciuto, movimenti come il piede che grattava il terreno in
imbarazzo, i versi e i rumori delle sue guance che si sgonfiavano e
gonfiavano
per prendere tempo e contenere la stizza.
Se tu avessi
imparato qualcosa
in tutto questo tempo, ti alzeresti e te ne andresti, non commetteresti
ancora
e ancora lo stesso errore.
Ma è
evidente che né tu né lei
siete particolarmente intelligenti.
Tu però
hai meno attenuanti,
ricordatelo!
Poteva fare il
duro con se
stesso quanto voleva, ma alla fine non sarebbe cambiato nulla. Non
erano mai
stati tanto uniti, era difficile anche solo contemplare di rinunciare a
quel
legame. Paradossalmente, ora a legarlo a lei c’era un
sentimento ibrido, di
desiderio e repulsione, che lo bloccava e lo lasciava a ristagnare
nelle
proprie reminiscenze.
«Da
quando tiri con l’arco?»
lo accusò subito, la voce aspra e ruvida come un limone.
Accennò l’ennesimo,
provocatorio sorriso, alzò il volto ad incrociare gli occhi
di sua sorella,
così azzurri da dargli le vertigini.
«Non lo
ricordi?»
Sianna si fece
seria «Non è
divertente»
Cancellò
ogni espressione dal
proprio viso «Non volevo esserlo» rispose
lapidario. Troppo freddo, forse,
perché la vide vacillare, presa in contropiede. Non si
spazientiva mai con lei,
non davvero, ma negli ultimi tempi stava sfiorando un proprio limite
personale,
si era imbattuto in debolezze che ignorava di avere e gestirsi ora era
più
complesso.
«Perché
mi sembra così
spontaneo, eppure mi sento tradita? Non capisco Ynyr» gli
occhi grandi si
colmarono di una confusione spaventata. Si costrinse a non farsi
imbrogliare da
quella sua bellezza angelica, ma era difficile per lui, una delle cose
più
difficili.
«Non
sono tenuto a dirti
tutto»
La
fissò dritta negli occhi,
in quelle iridi che ricordavano petali di fiordaliso ricoperti dalla
brina
dell’inverno, e si pentì di quel suo gesto di
sfida: le pupille nere, minuscoli
puntini in quel cielo terso, erano abissi che stordivano, uno stralcio
d’infinito e perfezione in cui smarrirsi era facile, quasi
impossibile da
reggere per qualunque essere umano. Lui però non era come
gli altri, perciò si
costrinse a non cedere e le sorrise.
Sianna si morse le
labbra e
alla fine desistette, chinando la testa, sconfitta.
«Non ti
capisco. Ho l’impressione
che tu stia cercando di provocarmi e non so il perché o che
senso possa avere.
Sento che mi rimproveri qualcosa, però poi non mi parli.
Ynyr, lo sai che se
non mi parli io non posso capirti. Quindi perché stai
complicando tutto? Se hai
qualcosa da dirmi, dimmelo»
Non posso.
Ho aspettato fino
ad ora e
adesso capisco di aver aspettato troppo. So che non posso farti questo,
eppure
il peso di non poterlo fare mi opprime.
Scrollò
il capo e non rispose,
sarebbe stato troppo complesso e ingiusto, ma soprattutto Sianna non lo
avrebbe
accettato in quel momento, non se prima non avesse risvegliato in lei
delle
reminiscenze. Doveva esserle costato molto, riuscire a dimenticare, e
ancora
non si sentiva tanto egoista da rigettarla in quel baratro di malessere
per una
propria soddisfazione personale.
Sua sorella si
arrese e si
sedette accanto a lui, su un gradino più basso, con le
braccia e la testa
appoggiate alle ginocchia raccolte al petto.
«Come
stai?»
Le sorrise storto
«Bene»
«Mi ha
detto Henry che gareggerai
con i bardi, stasera»
«Infatti»
Gli
sfuggì un sospiro nel
vederla non solo arrabbiata, ma anche terribilmente sconfortata. Il
piacere di
vederla sofferente, come una ripicca, era sempre mitigato da un
terribile senso
di colpa.
«Non lo
sapevo» mentì, per
darle un sollievo che avrebbe cancellato ogni suo tentativo di
risvegliare
qualcosa che forse, a quel punto, nemmeno esisteva più.
«Cosa?»
Sianna si raddrizzò
all’istante e lo studiò con una serietà
stonata sul suo viso da ragazzina.
«Non
sapevo di saper tirare
con l’arco. Ti giuro che era la prima volta. Volevo solo
provare»
Il sollievo che le
si dipinse
in volto sarebbe potuto apparire insensato, non fosse che Ynyr ne
conosceva la
ragione più profonda.
Perfetto, ora sono
io lo
sconfortato!
«Non ne
so il motivo, ma
davvero mi è sembrato naturale che tu lo sapessi
fare» osservò lei, poi scrollò
le spalle per togliere importanza ad una questione che per lui invece
risultava
fin troppo fondamentale.
«Già,
ho provato una
sensazione simile» mentì ancora, e
sentì la schiena cedere ed accartocciarsi
sotto l’ennesima sconfitta. In realtà, si sentiva
patetico, per quei vani
tentativi troppo deboli per poter davvero funzionare. Lui stesso non
sapeva
tutto, aveva consapevolezze a sprazzi, ricordi che erano fulmini a ciel
sereno
nella sua memoria. Il quadro della situazione gli sfuggiva e Sianna era
l’unica
certezza, forse proprio per questo tentava senza tentare sul serio:
quello
stato d’incertezza e confusione era troppo frustrante, non
voleva coinvolgerla,
non ancora.
«Hai
ancora il nastro»
Sianna
passò le dita tra i
capelli, a sfiorare il fiocco rosso, insensatamente legato ad una
ciocca, per
abitudine.
«Lo sai
che ci credo a queste
cose. Korakas non mi avrebbe mai detto di indossarlo se non avesse
senso»
Ynyr
accarezzò le corde in
un’unica, angelica scala di note «Già,
ma non basta a tenerti lontano inutili
spiriti pelosi»
«Parli
di Kii?» si accigliò,
scavando un solco tra le sopracciglia.
«Chi
altri?»
Sua sorella
sbuffò esasperata «Non
hai motivo di avercela con lui, non ti ha mai fatto nulla»
Cerca di
riportarti indietro e
nemmeno te ne accorgi, non è un motivo sufficiente odiarla
perché vuole
allontanarti da me?
La Kitsune, con
ogni probabilità,
ci sarebbe anche riuscita, non trovava alcun modo per fermare la ruota
che
aveva ricominciato a girare, quel destino era un ingranaggio di una
realtà
molto più grande e incomprensibile di quella loro banale
esistenza.
Distrattamente, aveva ricominciato a suonare.
«Ti ha
insegnato Armogen?»
Fece spallucce
«Qualcosa,
quando ne ha voglia. Non parla molto, sta nel suo»
Sianna si mise a
ridere.
Per un attimo,
Ynyr si ritrovò
a trattenere il respiro. Certe verità non potevano cambiare,
né una piccola
distanza moderare l’affetto che nutriva per lei, o
l’effetto che riusciva ad
esercitare su di lui con la semplicità della sua
ilarità.
«Ti
piace. Non sono abituata a
vedere persone che ti piacciono!»
«Infatti
le persone non mi
piacciono. Le piante, le piante mi piacciono» la
guardò di sottecchi mentre
ridacchiava scuotendo la testa, con quella sua indomita chioma che la
rivestiva
come una criniera scompigliata «E i sassi, Ynyr. Non
dimenticare il tuo amore
per i sassi»
Le sorrise
«Personalmente, mi
basta che la cosa non respiri»
«Se
cercherai di soffocarmi
nel sonno, saprò il motivo» considerò
sua sorella, mordendosi le labbra. Spirò
una lieve brezza, gradevole, in controluce le ciglia di Sianna
sembravano
lunghissime, socchiuse gettavano ombra sulle guance. Si riscosse,
riprese lo
strumento e vi dedicò tutta la sua attenzione, per non osare
troppo. Pizzicò le
corde, sorrise
«Come
accade al caprifoglio
Che al nocciolo
s’attacca
Quando vi si
è intrecciato e
avvolto
E
tutt’attorno al tronco s’è
messo,
assieme possono
vivere a
lungo;
ma poi, quando si
tenti di
separarli,
subito muore il
nocciolo
e insieme il
caprifoglio.
“Amica,
così ne è di noi:
non te senza me,
non io senza
te”»
La
osservò ancora, dal basso
in alto, con il sorriso più candido e scavezzacollo che
avesse, per deridere il
rossore innocente che già si era diffuso sulle guance di
Sianna, una candida
fanciulla sorpresa da troppo ardore. Non era quella,
l’immagine dei suoi
ricordi, come sua sorella riuscisse a differire da se stessa senza mai
allontanarsi
dalla propria essenza, era il più grande mistero della sua
vita. Sianna si
passò le dita tra i capelli, pettinando la rosa che le
sollevava il ciuffo in
uno sbuffo irriverente.
«Sei
bravo. È questa che hai
scelto?»
Il sorriso
provocatore morì un
poco «Oh, no. Questa non è mia. È molto
più antica, parla di un amore
indissolubile che può portare solo alla morte. La mia
ballata sarà una
sorpresa» gli sfuggì un sospiro pesante
«Promettimi di ascoltare»
Sianna si
addolcì, gli
occhioni azzurri scivolarono in un languore nostalgico «Io ti
ascolto sempre»
disse.
Lo disse con una
convinzione
diversa, una certezza assoluta che non si riferiva alle sciocchezze di
tutti i
giorni, ma aveva radici più profonde. Ecco, quando la vedeva
così, profonda e
lontana, gli sembrava assurdo pensare che davvero Sianna non si
rendesse conto
di star ricordando qualcosa. Era terribile e implacabile la
verità poi, quando
si abbatteva su di lui e lo costringeva a realizzare che per lei erano
solo
minuscoli, impercettibili frammenti, pulviscoli di memorie senza valore
o
senso.
«Lo sai
che mi sei mancato,
vero?» sorrise laconica e Ynyr si ritrovò a
ricambiare mestamente quell’aria
remissiva da condannato.
«È
mai successo che non ci
mancassimo?»
Sianna
sbuffò, indicò con le dita
affusolate la sua casacca, all’altezza del cuore
«È diverso, tu mi senti. Hai
quest’assurda fortuna che ti tiene tranquillo. Io sono sempre
in ansia, se si
tratta di te»
Avrebbe voluto
abbracciarla,
ma si sentiva a disagio nel farlo. Avrebbe voluto dirle che quel
sigillo sul
suo cuore non era la sua fortuna, era la sua più grande
condanna. Se solo
avesse voluto ascoltarsi, Sianna avrebbe potuto avvertire le medesime
sensazioni, in fondo anche lei era marchiata, sul suo braccio.
Appoggiò l’arpa
e le porse la mano, con l’aria malandrina che la faceva tanto
ridere «Vieni con
me!»
Quasi prevedibile,
Sianna si
lasciò andare all’allegria e ricambiò
la stretta. Ynyr la condusse dentro la
capanna, raggiunse il giaciglio di Armogen e trafficò con un
tappeto ruvido e
consunto. Sotto, un asse mobile rivelò una fiasca di liquido
dorato.
«Che
roba sarebbe?»
«Uisce
beatha» mormorò lui,
facendo oscillare la bevanda all’interno del vetro
«Armogen la chiama “acqua
della vita”» sghignazzò «Puoi
immaginarne il motivo! Prendi due tazze»
La sorella
annuì e recuperò da
una piccola credenza, fin troppo sporca e usurata, due tazze di legno.
Il suo
impaccio la rendeva tragicamente comica, Ynyr le riempì e
gliene restituì una.
«Intreccia
il braccio al mio,
così» le mostrò, portandosi il bordo di
legno levigato alle labbra. Sianna lo
imitò, senza abbandonare l’aria confusa di un
cucciolo innocente.
«Questo
che sarebbe?»
«Un
brindisi, scema. Voglio
vederti ubriaca prima di sera»
Sianna si
accigliò, annusò
cauta il contenuto del bicchiere e storse la bocca «Per quale
motivo?»
«Beh,
diciamo che gli uomini
risolvono tutto con una sana bevuta»
«Io non
sono un uomo»
puntualizzò lei, indignata come ogni volta che metteva in
dubbio la sua
femminilità. Se solo avesse avuto percezione di se stessa,
pensò Ynyr, non
avrebbe dubitato nemmeno un istante della propria avvenenza, avrebbe
scorto
senza difficoltà la scintilla di divino che la rendeva
radiosa per esistenza.
Un ego luminoso e splendente, era quell’essenza pura nascosta
sotto una spoglia
mortale a renderla irraggiungibile per chiunque.
Sorrise ancora,
sbilenco e
provocatore «Non è che io possa festeggiare con te come
farei con una ragazza
qualunque, ti pare?»
Il pudore
virginale che le
imporporò le guance valse più di qualunque
protesta.
ANGOLO AUTRICE
NOTE: il
brano citato da
Ynyr fa parte di un passo tratto da un'opera di Maria di Champagne su
Tristano
e Isotta... non ho resistito!
Per il resto, in
realtà questo
capitolo è una parte di un capitolo più lungo,
inframmezzato da "Ricordi:
parte due". Per lo stile di EFP ho preferito dividerlo,
perciò potrebbe
sembrarvi inconcludente, proprio perchè mancante della
seconda parte. Diciamo
che qui almeno posso porre l'accento sul primo punto di vista di Ynyr,
il
protagonista secondario, personaggio chiave anche in futuro per leggere
le
situazioni che dal punto di vista di Sianna sembreranno... insensate!
Alla prossima!