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Autore: 50shadesofLOTS_Always    27/07/2018    2 recensioni
Dal terzo film della saga: “Si comincia con qualcosa di puro, di eccitante. Poi arrivano gli errori, i compromessi. Noi creiamo i nostri demoni.”
I demoni - e non solo - incombono su Tony Stark, che ha appena dichiarato al mondo di essere Iron Man...
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[probabile OOC di Tony/dosi massicce di Pepperony con una spolverata di zucchero a velo/perché amo Ironman]
Genere: Azione, Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Tony Stark
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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OF OCCASIONS AND INVITATIONS

“And I want it, I want my life so bad.
I’m doing everything I can,
then another one bites the dust.
It’s hard to lose a chosen one.
You did not break me,
I’m still fighting for peace.”
- Elastic Heart, Sia
 
“I been up to my neck in wiskey,
I been up to my neck in wine.
I been up to my neck in wishin’
that this neck wasn’t mine.
I’m a loser that ain’t lost it.
Baby, you were to good…
Too good to be true.
What you done, no one else could do.”
- Up to my neck in you, AC/DC 

Quel Natale non fu dimenticato.
Virginia non poteva non sorridere ogni qualvolta le capitava di pensare al momento in cui, aprendo gli occhi, aveva scoperto che a tenerla al caldo – e al sicuro – era stato Tony al posto delle coperte.
‘Si è solo spostato e ti ha scambiata per un peluche’, la sgridò la ragione e lei mosse una mano nell’aria come a scacciare un moscerino. L’altra invece impugnava una penna che scorreva da ore sui fogli, arrecando firme, annotando vari impegni e scadenze da rispettare.
Inspirò profondamente e socchiuse le palpebre, ripensando alla tenerezza con cui l’aveva protetta e cullata durante il sonno. Non le era capitato di dormire così bene dall’ultima volta sul divano, la sera prima del processo a Washington.
Si grattò la nuca quando s’imbatté in una clausola contrattuale poco chiara. Si accigliò, avvicinando il documento al viso ma le sue dita incontrarono la catenella dorata che, da quasi una settimana, portava al collo. Seguì la filigrana pregiata fino al medaglione, che Tony doveva aver recuperato dallo Stanzino. Oppure gli era stato regalato dalla zia Carter.
Era senza alcun ombra di dubbio un oggetto d’inestimabile valore, non solo come monile di alto artigianato. La superficie liscia rifletteva la luce della lampada sulla scrivania del proprio capo, dove si era quasi segregata dopo l’ammutinamento del Colonnello.
Lasciò la biro e con una certa deferenza, schiacciò il piccolo pulsante – arricchito con un intarsio floreale – e il gioiello si aprì con un leggero scatto argentino. Inclinò un poco la testa e ammirò i due personaggi nella miniatura fotografica.
Howard Anthony Walter Stark che portava dei baffi curati, storti da un sorriso amorevole rivolto verso la sposa. E Maria Stark, i cui boccoli chiari si raccoglievano sulle spalle in sinuose volute, incorniciando il viso angelico.
Da lui il figlio aveva preso il fascino, la mascella decisa e la mente geniale. Da lei, i grandi occhi rotondi.
Cercò di figurarsi come sarebbero stati, se non fossero scomparsi così presto dalla vita di Tony. Come sarebbe stato lui, se non fosse stato abbandonato. Sicuramente Obadiah non avrebbe avuto mai modo di attuare il suo piano. Forse lei non sarebbe stata assunta.
Carezzò il bordo della foto e richiuse il medaglione, nascondendolo nella scollatura dell’abito e proprio allora, la porta di aprì. Tony entrò con una camicia e dei jeans che sembravano appena usciti dalla tintoria.
« Posso fare qualcosa per lei? » esordì cortese, riprendendo in mano il contratto.
« Una cosa ci sarebbe » ammise lui, spingendo la porta dietro di sé.
Virginia cambiò postura sulla sedia quando l’uomo prese ad avvicinarsi. Si chiese se stesse camminando così lentamente di proposito perché nessuno che appartenesse alla specie umana, secondo lei, sarebbe stato capace di trasudare tanto sex appeal senza apparire innaturale.
Tony – che ormai leggeva il suo corpo e i suoi occhi come un libro aperto – si accostò alla scrivania e con una mano, abbassò il foglio che la donna stava leggendo.
« Potrebbe smettere di lavorare e festeggiare l’ultimo dell’anno col sottoscritto » disse, carezzevole.
« Non mi dica che non è stato invitato a nessuna festa? » rispose lei, tralasciando il modo in cui la sua voce l’avesse fatta sentire debole e incapace di abbandonare il sortilegio dei suoi occhi scuri.
« In realtà il mio invito è sempre implicito »
« Nessuna amichetta? » lo stuzzicò, accigliandosi quando Tony abbassò lo sguardo sul bordo del ripiano, intaccandolo con l’unghia di un pollice.
« Nessuna disponibile » mormorò, sembrandole perfino imbarazzato.
Virginia capì il significato di quelle parole appena pronunciate e il suo ego lievitò quando realizzò cosa le avesse effettivamente rivelato.
« Che cosa c’è per cena? » chiese interessata e Tony cambiò atteggiamento.
« Ho ordinato qualcosa da Tramonto Bistrò »
« Quindi ha dato per scontato che accettassi? »
« Ho dato per scontata la sua educazione nel non rifiutare una cena pagata » mentì perché aveva semplicemente sbirciato nella sua agenda.
Virginia ridacchiò, spingendosi indietro con la sedia.
« D’accordo – disse, alzandosi e riordinando velocemente la scrivania – Mi concede qualche minuto? »
« Non ha bisogno di rendersi più bella per me » la rassicurò, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.
« E chi ha detto che voglia rendermi più bella? Magari vorrei fare l’esatto opposto » rispose lei, aggirando il tavolo e fermandosi per un attimo davanti a lui, come per sfidarlo.
« Sarebbe impossibile » la riprese, scorgendo il suo sorrisetto mentre si allontanava verso la propria stanza.
Intanto uscì dall’ufficio e si occupò di sistemare gli ultimi dettagli. Prese un tavolino dalla zona piscina e lo coprì con una tovaglia. Sistemò le stoviglie per poi occuparsi dell’ordine del ristorante, che arrivò grazie ad un facchino trafelato. Gli lasciò una più che lauta mancia e si premurò di abbellire anche la presentazione delle vivande sotto l’occhio – o per meglio dire, la voce – vigile dell’AI. Posò la bottiglia di vino e i bicchieri appena lustrati al centro quando si accorse che l’unica e ultima, nonché la più importante, cosa mancante era l’invitata.
« Jay, avverti la Signorina Potts che la cena… – si volse quando sentì i suoi passi – è servita… » mormorò quando la vide avanzare con indosso una semplice blusa bianca e dei pantaloni neri a vita alta, che le delineavano la curva delle anche e scendevano morbidi fino ai piedi, calzanti delle semplici ballerine bianche impreziosite da alcune pietre.
« Che cosa abbiamo? » cinguettò, raggiungendolo sul balcone.
Dovette sforzarsi di smettere di fissarla come la portata principale – ‘O come dessert’, pensò – di quella cena e per mascherare la manovra, sorrise.
« Lasagne e per secondo, del pollo con insalata caprese » presentò lui, scoperchiando le portate.
« Ha fatto le cose in grande »
« Sono Tony Stark » replicò con ovvietà.
« Touchè » commentò lei con un alzata di spalle.
« Adesso mi ruba le battute? » chiese indispettito.
« Sarà il caso di ridurmi lo stipendio – scherzò e Tony rise – Come va? » gli domandò poi, indicando col mento la mano fasciata.
« Meglio, uhm… grazie – farfugliò per poi indicarle la sedia – Iniziamo? ».
‘Stark, concentrati’, asserì a sé stesso.
Virginia annuì e arrossì quando lui le sistemò la sedia come prevedeva il galateo.
« Devo ammettere che sono sorpresa – mormorò, aspettando che si sedesse a sua volta – Non mi aspettavo di passare con lei anche il Capodanno » aggiunse, fingendosi volutamente irritata.
Tony captò la giocosità delle sue parole e sogghignò, pregustando la serata.
« E le dispiace? » chiese, prendendola in contropiede.
Virginia infatti abbassò gli occhi, sapendo che le proprie orecchie sarebbero diventate viola. Inoltre aveva sfoggiato nuovamente quella, maledettamente piacevole, voce. Palpitante e melliflua, come la crema al cioccolato che lo aveva ricoperto nella sua fantasia.
« No – rispose, afferrando il tovagliolo – E a lei? » domandò, accorgendosi troppo tardi quanto fosse sembrata cedevole e il suo cuore fece una doppia capriola quando Tony le restituì lo sguardo.
« Conosce già la risposta ».
Lei si aggiustò una ciocca di capelli dietro il lobo e dopo le comuni buone maniere, cominciarono a mangiare. Per i primi cinque minuti, fra loro aleggiò un lieve disagio.
Avevano mangiato insieme, in abiti decisamente più costosi, ma mai completamente soli. Al chiaro di luna, su un terrazzo di Villa Stark.
L’ottimo sapore del ragù e il formaggio filante del primo piatto però sciolse anche l’ultimo velo di tensione e Virginia trovò finalmente la risolutezza necessaria per alzare lo sguardo.
« Che c’è? » chiese quando si accorse che l’uomo la stesse già osservando. Con molta scrupolosità.
Sentì le guance prendere fuoco e temette di essersi sporcata la camicetta. O peggio ancora, la faccia.
‘Datti una calmata’, si ordinò.
« Ho notato la sparizione di una certa Gonnella » rispose Tony con non curanza, notando quel lampo di preoccupazione negli occhi della donna. Ne ebbe la conferma quando vide le sue spalle rilassarsi.
« Sono stata impegnata – disse, arcuando un sopracciglio – Ma vorrei »
« Bene. Perché non vorrei »
« …ricordarle che sono io a »
« …trovarla in situazioni compromettenti » dissero in coro.
« …con un altro eventuale spasimante »
« …con occasionali spasimanti. E sono sempre io »
« Sarebbe imbarazzante »
« …a buttare fuori la sua spazzatura »
« Se le reca tanto fastidio perché continua a farlo? » domandò Tony infine, prendendo sulla forchetta l’ultimo boccone di lasagna.
« Non mi da fastidio » rispose lei, imitandolo con un secondo di ritardo.
Tempo che le era servito per ponderare le parole adatte, che si dimostrarono dure da deglutire al contrario del pasto.
« Allora si è mai chiesta perché continuo a lasciarglielo fare? » ribatté lui prima di ripulire la posata. 
Quella di Virginia si fermò a metà lungo in tragitto verso la bocca, schiusa per replicare.
« Non si bruci l’anno nuovo ancor prima che finisca quello vecchio » lo redarguì per poi mandare giù il mozzico di pasta.
« Mi chiedo come le vengano certe perle di saggezza » asserì Tony, scuotendo lievemente il capo.
« Ritengo che lavorare per lei doni a una donna una lungimiranza sopra la media »
« Le sue parole d’amore per me mi toccano il cuore – rispose, portandosi una mano sul reattore mentre Virginia scoppiava a ridere – Non ci scherzi troppo o dovrà sostituirlo »
« Adesso so cosa fare in caso di guasti » si adeguò, tamponandosi il fazzoletto sulle labbra per provare a celare il riso.
Le fossette che si crearono sulle sue guance però la smascherarono e Tony si limitò a servirle la seconda portata. A quel punto fu tutta una discesa: continuarono a prendersi in giro, a tormentarsi come loro consuetudine e due ore e mezza volarono via.
Tony, dopo averle chiesto il permesso, si accese un sigaro. Sperando che quel vizio latente potesse impedirgli di fare pensieri proibiti sulla donna.
Soffiò via il primo tiro, volgendosi verso il mare cosicché il vento portasse via il fumo senza infastidirla. Si beò del Pacifico, rincorrendo l’orizzonte divenuto un tutt’uno con la volta celeste, punteggiata di stelle, finché il suo sguardo non raggiunse il profilo di Virginia, attratta dal paesaggio e con le dita distratte dal medaglione.
Cercò nelle sue vaste conoscenze teoriche – e non – di ricondursi ad una formula o un’equazione per dimostrare come fosse possibile l’esistenza di un’essere tanto perfetto in ogni sua minuzia. La linea del naso sembrava tracciata dalla mano di un pittore che, doveva aver poi deciso di vivacizzare le gote con delle graziose macchie di efelidi e di rendere visibile la morbidezza delle labbra color fragola.
E a lui piacevano le fragole…
« Lo sa che è maleducazione fissare tanto intensamente una persona? » si espresse lei all’improvviso per poi girarsi a guardarlo e ponendogli l’implicita richiesta di farle la domanda che si stava tenendo dentro.
Tony, allarmato di aver mutato ambito lavorativo, recuperò il decoro e riprese a fumare.
« Le va un ballo? »
« Ma non c’è musica » gli fece notare mentre si alzava, lasciando il sigaro in bilico sul posacenere.
« JARVIS? »
« Sì, Signore » rispose l’AI e da un paio di casse ben piazzate, si esibì Patrick Swayze in una canzone che Virginia non sentiva da quando si era tolta l’apparecchio ai denti.
Mentre cercava di capire se She’s like the wind fosse stata scelta dal computer o dal suo creatore, quest’ultimo le porse una mano.
« Stavolta non ci sono colleghi » le disse quando esitò.
I suoi occhi azzurri indugiarono in quelli del miliardario mentre accettava l’invito per poi lasciarsi guidare nel lento. Avrebbe dovuto sentirsi in colpa per essersi concessa tanto facilmente alle sue lusinghe, per quanto innocenti le fossero apparse, ma le sembrava ancora più orribile l’idea di aver potuto rifiutare e tornarsene nel proprio appartamento a Downtown. Avrebbe festeggiato da sola con una bottiglia di vino, dei crackers e una buona dose di rancore nei confronti di sua madre. No, non le era ancora passata.
Fortunatamente il suo cuore aveva un certo diritto di veto e aveva scelto al posto del cervello, che ora galleggiava in un brodo anestetico di endorfine ed estrogeni. La loro quantità industriale era da ricollegarsi al fatto che a sostenerla non fossero le proprie gambe con l’ausilio di un discreto apparato motorio e della gravità, ma un braccio del miliardario attorno alla sua vita.
Tony invece fissò il vuoto mentre dondolava a ritmo della musica, completamente rilassato. Aumentò un poco la stretta sul busto della donna, portandola più vicina al proprio petto e non si sarebbe inquietato se non si fosse appoggiata timidamente a lui, come se non volesse mostrarsi davvero.
« Ho esagerato? » chiese, rallentando il ballo e scostandosi un poco.
Virginia negò con convinzione, facendo ondeggiare la coda.
« Stavo solo pensando »
« A cosa? Se è lecito »
« Non lo è » sussurrò e Tony non insisté nonostante la patina liquida che intravide sulle sue iridi chiare.
Vedendo che il suo rinnovato silenzio le fosse di conforto, tornò a cingerle i fianchi e le permise di appoggiare la testa sulla propria spalla. Con l’altra mano, Tony continuò a reggere – più in basso e vicino a loro – quella di lei mentre riprendeva il ritmo.
« Può pestarmi i piedi, se vuole » disse e si tranquillizzò quando la sentì ridere contro il suo collo.
Virginia fece scivolare la mano dalla spalla dell’uomo al suo bicipite, all’altezza del gomito dove la manica della camicia era stata arrotolata. Respirò il suo dopobarba al ginepro nero mischiato al lieve tocco di ammorbidente alla lavanda e alla più virile traccia della sua pelle, resa dorata dal sole straniero.
Socchiuse le palpebre, ingoiando il groppo alla gola e ringraziandolo per la sua abilità nel mettere a proprio agio le persone.
« Vorrei solo sapere il perché… ».
Tony non ebbe bisogno di delucidazioni.
« Sa, la lista delle persone a cui tengo ha subito dei tagli di recente » mormorò, desideroso di parlare con lei seriamente.
Tuttavia era terrorizzato dal confessarle – ‘Com’è che li chiama zia Peggy? Ah…’ – i propri sentimenti.
« E fra questi tagli ci sono anche le sue amichette? » chiese dopo qualche minuto, ripensando all’ultima chat avuta con James.
« Non ci sono mai state su quella lista, Pepper ».
Virginia strinse le dita sul suo avambraccio scoperto mentre la brezza salmastra soffiò da oltre oceano, offrendo ai due un po’ di ristoro dalla situazione fattasi pesante mentre aspettavano la mezzanotte.
 
*
Vennero rimossi i fermi e la saracinesca si alzò gradualmente. L’angar ombroso era decisamente più areato e meno soffocante dell’esterno, dove il sole rendeva l’aria liquida. Al centro del grosso ambiente, un’armatura argentea era stata appesa a dei grossi ganci.
La testa era leggermente inclinata in avanti e le braccia pesanti pendevano verso il basso.
« Con questa dovrei togliermi il Senato dalle palle – esordì il Generale, portandosi i pugni sui fianchi – E’ funzionante? » chiese poi senza voltarsi verso James, che gli stava accanto con le mani giunte dietro la schiena.
« Completa capacità di missione » rispose e il grosso caporale – la cui tuta mimetica poteva vantare di diverse medaglie – annuì compiaciuto.
« Chiami Hammer e la faccia armare ».
James sgranò leggermente gli occhi, che poi puntò di sottecchi sul Generale.
« Hammer? » chiese perplesso.
« Il Senato ha deciso di accogliere la sua offerta » disse, incrociando le braccia sul petto.
« E in che cosa consiste quest’offerta? » domandò lui, cercando di apparire distaccato.
« Non siamo tenuti a saperlo »
« Ma questo è »
« …un ordine, Colonnello » lo avvisò il Generale, girandosi verso di lui.
« Signor sì, Signore » cedette James, osservandolo allontanarsi.

Seppur reticente, fece quella chiamata e circa qualche ora dopo, si accingeva ad allentare dei bulloni. Non poteva fare a meno di ringraziare la sua accortezza nell’aver recuperato la Mark II e non l’ultimo modello, che con tutta probabilità doveva essere estremamente più accessoriato.
Nonostante la bile premesse per uscire ogni qualvolta ripensava alla notte della Vigilia – o quando il setto nasale tornava a dolergli – sentiva di aver fatto bene a confidare nel proprio istinto. Mentre portava via l’armatura, un brutto presentimento lo aveva spinto a non fidarsi completamente dei propri superiori. Lo stesso che adesso lo guidava mentre smontava il piastrone per raggiungere il piccolo reattore arc.
« Dice che questo è il loro alimentatore? » chiese il Maggiore, sporgendosi sul tavolo per vedere.
« Maggiore, non stiamo facendo formazione scientifica. Quello che ci interessa è armarla, va bene? » sbottò James, posizionando con cura il marchingegno in una valigetta che bloccò con dei lucchetti, con la medesima oculatezza.
« Oh, sì! – intervenne Justin – Sì, sì… dev’essere il mio compleanno! » aggiunse, ballonzolando verso di loro.
James lo fissò, avvertendo la tipica puzza di doppiogioco.
« Signor Hammer » esordì, assicurandosi che la valigetta fosse ben nascosta dallo sguardo infido dell’industriale.
« Colonnello Rhodes – mormorò l’altro, togliendosi il lecca lecca di bocca – Credevo che lei e il Signor Stark foste amici ».
James mantenne la sua espressione da sfinge, malgrado avesse annusato la trappola.
« Concentriamoci sul lavoro » lo ravvisò con tono minaccioso.
Justin sogghignò, sapendo di aver trovato un punto debole. Studiò il corpo metallico sotto il proprio naso, tornando a suggere la caramella con aria meditabonda.
« Siete sicuri che sia proprio lei? » chiese e il Colonnello riuscì a captare un fugace scintillio negli occhi dell’uomo.
« Cosa farà per noi? »
« Beh, la prima cosa che farò sarà un upgrade del vostro software e poi… »
« Mi riferivo alla potenza di fuoco » rispose James, sovrastando la fiumana di infruttuosi discorsi.
« Sono la persona giusta » dichiarò, schioccando le labbra per poi mordere il chupa chups al lampone fino a romperlo tra i denti.
 
***
Quel Natale e quel Capodanno non furono dimenticati.
A distanza di ben tre mesi, quasi quattro, Tony continuava a ripensarci e a rosicchiarsi le dita. Ipotizzava le innumerevoli opportunità che il caso gli aveva fornito e che lui non aveva colto – non che non le avesse apprezzate, visti i momenti che aveva trascorso – o perché semincosciente a causa dell’alcol o perché troppo spaventato da quella che andava sempre più ad indentificarsi con la paura di morire prima del previsto. Non era la morte in sé a fargli tremare la coscienza, e le ginocchia, quanto più le cose che si sarebbe lasciato dietro. Molte delle quali irrisolte.
Inoltre ciò che più lo tratteneva erano le conseguenze. Lui, che alle ripercussioni non vi aveva mai badato, continuava ad analizzare le possibili reazioni che la donna avrebbe potuto avere alla notizia del suo avvelenamento. Fu quel pensiero, e la fitta dolorosa al petto, a farlo svegliare di soprassalto comme succedeva sempre più spesso.
I suoi occhi si spalancarono sul presente, guizzando da una parte all’altra della propria stanza come aveva fatto molte volte nella grotta. Sicuro della non presenza di alcun tipo di estraneità, tornò ad accasciarsi sul materasso. Sbuffò e non potè fare a meno di disgustarsi quando si accorse di aver sudato come un peccatore in chiesa. Altro sintomo da aggiungere alla nausea e alle vertigini.
Si tirò su a sedere e si liberò della blusa del pigiama con un gesto nervoso. Si passò entrambe le mani sul volto e si massaggiò le tempie, augurandosi che l’emicrania che sentiva insorgere non dipendesse dal palladio. Il suo sguardo cadde sul proprio petto dove un intreccio di venule bluastre aveva cominciato a delinearsi da qualche settimana, da quando l’avvelenamento era progredito al quaranta per cento. Piuttosto stabile se non contava i picchi del cinquanta, a cui però sembrava essersi assuefatto.
Era riuscito ad allontanare la questione salute dai propri ingarbugliati processi psichici quando…
« Buongiorno, Signor Stark. Sono le quattordici e trenta del ventinove marzo. Oggi è il giorno ideale per compiere trentan- »
« Muto » grugnì mentre le sue viscere ebbero uno spasmo.
La mancanza di sonno adeguato – e soprattutto sereno – e di una dieta decente peggioravano la sua condizione. Per non parlare della morsa della solitudine.
Pepper passava solo quando era strettamente necessario e di rado, si fermava da lui per una cena.
In quegli sporadici incontri aveva annotato la crescita esponenziale delle occhiaie sul viso, sempre più defesso, della donna. Un sorriso si affacciò sul proprio quando rievocò quelle cene all’insegna di conversazioni disputate a colpi di sarcasmo e frecciatine.
Sorrideva, Pepper. Dall’altra parte della tavola imbandita, ogni volta con specialità diverse.
Sorrideva nonostante fosse prosciugata dalle pratiche e dagli incontri col Consiglio – divenuto la sua ombra – a cui andavano aggiunti i continui spostamenti fra le sedi per i piani regolatori coi governi, volti alla privatizzazione della pace globale, e l’organizzazione dell’esposizione al Flushing Meadows Park.  
Erano quel suo incrollabile sorriso e l’espressione trasecolata ad ogni sua battutina che lo avevano invogliato a riprendere il lavoro sull’armatura, la Mark V, a cui mancavano solo le cromature.
Col desiderio di completarle in fretta in vista di qualche entusiasmante collaudo, si alzò dal letto e dopo una dovuta doccia, scese al piano inferiore.
Su una poltrona del salotto c’era Natalie Rushman, che riordinava la cartellina.
« Buon pomeriggio, Signor Stark – lo anticipò, educata – Ow, buon compleanno » aggiunse con un cipiglio più allegro.
« Grazie » borbottò, diretto come un ago magnetico sul polo nord verso la caraffa di caffè.
Da quando era tornato dall’Afghanistan, era l’unica sostanza nociva di cui fosse riuscito a riappropriarsi. Gli faceva credere che non fosse cambiato nulla, che fosse tornando dal Medio Oriente senza un congegno pronto ad ucciderlo incastonato nel petto. Se ne versò una tazza abbondante, ma non la bevve subito.
La contemplò, con sguardo scoraggiato, come se potesse trarne un consiglio.
« Signor Stark? – ripeté Natalie, inclinandosi per cercare un contatto visivo – Si sente bene? ».
Una domanda che non avrebbe mai posto se non fosse stata obbligata da una copertura.
Tony si riscosse e la osservò per un attimo.
In quel fugace sprazzo di confidenza, Natasha ebbe un tuffo al cuore. Non ricordava l’ultima volta di averlo provato. Anni e anni di addestramento, torture e lavaggi del cervello l’avevano privata – o pressappoco – di qualsiasi emozione umana. Specialmente la compassione. Non c’era alcun onore in ciò che aveva fatto e non temeva una punizione che sentiva di meritare, ma qualcuno aveva deciso diversamente per lei.
« Forse dovrei… Cancellare la festa » capitolò il miliardario e lei comprese che si aspettava una conferma.
« Forse »
« Sì, perché potrebbe essere sconveniente »
« …e mal interpretabile » terminò, cominciando a nutrire una vaga inquietudine.
« Posso farle una domanda? Un po’ strana… – disse Tony, stropicciandosi un occhio – Se questo fosse il suo ultimissimo compleanno, come lo festeggerebbe? ».
« Farei tutto quello che ho voglia di fare – rispose Natasha, scrollando le spalle – Con chiunque abbia voglia di farlo ».
Restò immobile con il dossier delle Enterprises fra le mani mentre Tony assentiva, senza però aprire meramente la bocca.
‘Pepper’, si rispose mentalmente ‘Se solo Pepper lo volesse…’.
Natalie si fece un’idea sui pensieri che dovevano aver sfiorato i neuroni del bizzarro individuo, che conosceva da mesi e, se non fosse stata una spia – con una certa reputazione da difendere – gli avrebbe fatto pure una bella strigliata fino a renderlo biondo.
« Bene. Se non ha bisogno di me, io andrei »
« Dove di preciso? »
« Dalla Signorina Potts. Vuole che le dia un messaggio? » chiese mentre raccoglieva la borsa.
« No. Ma si accerti per conto mio, che stia bene »
« Certamente. A stasera » lo salutò e Tony si gustò finalmente la propria dose di caffeina.
 
*
Virginia fissò a lungo l’ingresso della Villa, alla guida della propria Saab. Abbassò lo specchietto e diede un’ultima avvisaglia ad inesistenti sbavature di mascara. Si aggiustò un ciuffo ribelle della frangetta e spinse nuovamente in alto il parasole.
‘Entri e gli dai il regalo. Fine’, si disse.
Ma la sua voce, neanche in testa, le suonò convinta.
Inspirò, afferrò il pacchetto e smontò dalla vettura. I fanali lampeggiarono segnalando la chiusura delle portiere mentre lei superava la scansione retinica. L’AI la accolse con l’innata ospitalità inglese, avvisandola che la festa si sarebbe svolta al piano di sotto dove già si trovava gran parte degli invitati.
Virginia si affacciò dalla rampa di scale, tornò nel corridoio precedente e salì verso il boudoir. Si fermò davanti alla porta, assalita da una serie di dubbi infinta, più o meno legati alla sua posizione attuale all’interno delle Industries. Il più terrificante comunque era che si fosse costruita un castello di carte sul semplice desiderio di sentirsi apprezzata, amata dall’unico uomo che paradossalmente le dava sicurezza pur essendosi dichiarato al mondo come Ironman.
Che avesse sbagliato, frainteso tutto a partire da quella sera?
No, non poteva essersi immaginata una cosa simile. Non dopo aver dormito – rigorosamente vestiti – insieme, non dopo essersi presi cura l’uno dell’altro, non dopo aver ammesso l’esistenza di un legame oltre la professionalità attraverso quelle assurde cene divenute quasi abituali dopo Capodanno.
Bussò, facendo capolino e lo intercettò davanti allo specchio. Aveva l’aria di chi stesse affrontando un conflitto di opinioni interne.
« Tony? » mormorò, facendolo sobbalzare.
Distolse subito lo sguardo quando notò il riflesso della camicia aperta, che lasciava intravedere quelli che pensava come solidi addominali e che il miliardario prese ad abbottonarsi.
« Pepper – quando il reattore fu nascosto, si volse per raggiungerla – Che ci fa lei qui? » domandò confuso.
Per qualche strana ragione, il suo subconscio non la voleva lì.
« Se non erro oggi è il suo compleanno » rispose lei, chiudendosi la porta alle spalle e stringendo un pacchetto fra le mani tremanti.
« Credevo che non le piacessero le feste che organizzo » disse, cercando di ignorare il fastidio che ancora gli dava la puntura all’altezza del gomito.
Quel dettaglio insieme alla rabbia per non esserci arrivato prima – e soprattutto da solo – alla soluzione contro l’avvelenamento fu sostituito dalla corroborante curiosità di conoscere il furbetto, che lo aveva superato e dall’immediata e maggior capacità di respiro. Gli sembrava che i suoi polmoni fossero capaci di trattenere più ossigeno. Ma più probabilmente la sua testa era diventata più leggera nel vedere l’unica donna che bramava presente al proprio compleanno, con un tubino che avrebbe sedotto anche un cieco.
« Oh, ma io non sono qui per la festa. D’altronde non ho ricevuto nessun invito » gli fece notare, arcuando un sopracciglio e spegnendo del tutto la sua aura di perfetta faccia di bronzo.
Tony mosse la mascella, senza parole. Com’era possibile? Avrebbe detratto una grossa fetta di stipendio alla Rushmann, ma adesso doveva porre rimedio a quel pasticcio.
« In tal caso la invito personalmente e ufficialmente alla mia festa di compleanno » asserì con un sorriso sbilenco che Virginia non potè fare a meno di ricambiare.
Il fatto di averlo colto di sorpresa però, solleticò il suo intuito femminile.
« Allora credo che potrei fermarmi per… un po’ » disse, abbassando gli occhi sulle proprie scarpe.
Fu quasi per caso che si accorse di un bottone della camicia di Tony nell’asola sbagliata che, di conseguenza, aveva sbalzato tutti gli altri. Appoggiò il regalo su un tavolino vicino, poi prese ad aggiustargli la camicia.
Tony seguì i suoi movimenti e s’irrigidì quando vide sgusciare fuori il primo bottone, vicino alla clavicola.
« Un po’ quanto? » chiese per temporeggiare.
« Dipende » mormorò Virginia, trovando qualche difficoltà a impedirsi di arrossire come un’adolescente.
Le era già capitato di occuparsi del suo abbigliamento – un pelucchio invisibile sulla giacca, una brutta piega dei pantaloni – ma c’era qualcosa di diverso…
« Da cosa? » la incalzò lui, costringendola a guardarlo negli occhi.
« Da come si comporterà » balbettò lei, continuando nel proprio compito.
Tony inspirò sollevato quando Virginia terminò coi bottoni senza aver visto il reattore e il cruciverba ad alta tecnologia che li circondava. Si appuntò mentalmente di far sparire la siringa usata.
« La prossima volta preferirei che mi spogliasse » disse sfacciato, usando volontariamente un tono basso e sensuale per cambiare discorso e lei scosse la testa, sorridendo rassegnata, ma divertita.
Poi gli porse il regalo e Tony la guardò incuriosito. Non tanto per l’oggetto, che prese e di cui riusciva a percepire il valore, quanto per l’atteggiamento astruso della donna.
« Pensavo che se ne fosse dimenticata »
« Non sono io che sto invecchiando oggi » rispose Virginia di rimando, osservando poi le sue dita callose sciogliere il fiocco bianco.
Strizzò il labbro inferiore tra gli incisivi e scrutò con attenzione il volto dell’uomo per scorgerne la reazione in tutti i dettagli. Quando aprì il cofanetto in legno scuro, riuscì a cogliere una nuova sfumatura dorata nelle iridi cioccolato del miliardario, che portò le sue labbra a schiudersi per lo stupore davanti all’orologio firmato Jaguar.
« E’ un pezzo unico… » lo avvertì pur di interrompere il silenzio.
« Non so cosa dire » rispose lui, scuotendo un poco il capo, spiazzato per poi sollevare lo sguardo su quello della donna.
« Non deve dire niente »
« …a parte grazie » concluse, scrollando una spalla.
« Devo confessarle che ho trovato qualche difficoltà a farle un presente visto che ha praticamente tutto »
« …e niente » bisbigliò Tony a sé stesso, ricordando Yinsen.
Ma Virginia non lo sentì e continuò a parlare.
« Così nel dubbio le ho preso un orologio di una casa automobilistica » concluse, dandosi mentalmente della stupida quasi si accorse di essersi trasformata in una macchinetta.
Tony sorrise e mise via la scatola, porgendole l’orologio.
« Mi farebbe l’onore? » disse, sollevando il braccio sinistro.
Virginia acconsentì e glielo allacciò al polso. Mentre lui lo studiava contento, qualcuno bussò alla porta.
« Buonasera, Signorina Potts – esordì Natalie educatamente – Signor Stark, gli ospiti cominciano a chiedere di lei »
« Arrivo – la liquidò apatico per poi volgersi verso di lei – Scende con me? ».
Il suo sguardo terso indugiò sul viso dell’uomo: gli occhioni cacao tradivano una sorta di aspettativa, le rughe agli angoli delle palpebre invece testimoniavano la serenità che albergavano in lui e le labbra cesellate erano appena increspate da un sorriso carico di dolcezza.
« Volentieri » mormorò, lasciandosi prendere a braccetto.
Insieme uscirono dalla camera patronale, indirizzati verso due piani più sotto e Virginia sentì che un cambiamento era in atto. Ma quell’atmosfera durò poco.
Infatti dopo neanche mezz’ora si rifugiò nell’unico angolo rimasto tranquillo, vicino alla parete in vetro che dava su un terrazzo. Osservò la calca di gente che ballava e un movimento in quel confuso marasma di braccia sollevate, chiome agitate e urla di eccitazione, attirò la sua attenzione.
Tony la invitò a ballare con l’indice di una mano e lei sorrise appena, scuotendo il capo per rifiutare quando intercettò un trio di sconosciute circondarlo. Stava per chiamarla, ma l’alcol che aveva già ingerito stava facendo il suo effetto e si dimenticò di lei.
Virginia rimase a fissarlo in disparte mentre le tre giovani ragazze gli ballavano attorno e addosso, strusciandosi e carezzandogli – maldestramente a suo avviso – le braccia e il collo. Cercò di distogliere lo sguardo, ma più ci provava e più tornava a guardarlo. E più gli spilli al cuore sostituivano gli istinti omicidi.
Quando non fu più in grado di sopportare quella scena, si fece spazio lungo il bordo della pista per lasciare la stanza, aggirando gli invitati e accostandosi al bancone – che conservava un’apparenza di tranquillità e di quiete – dove un barista, assunto per l’occasione, stava asciugando un bicchiere.
« Vorrei un Mart… Un Gibson » rettificò, salendo su uno sgabello.
« Arriva subito » disse, affatto stupito vista la faccia mogia della cliente che lo osservò nella preparazione.
Il gin venne versato assieme al Vermouth e al ghiaccio dentro il mixing, agitato e poi servito in una coppetta da cocktail, decisamente fredda a giudicare dalla condensa che si formò quasi subito.
Lo fermò quando volle aggiungere la cipollina di rito e lo fissò, dura come se avesse a che fare con un bambino indisciplinato.
« Questo bicchiere non dovrà mai restare a secco per più di cinque secondi » ordinò e il ragazzo annuì.
Virginia si sistemò e dopo un primo sguardo critico al drink, ne mandò giù un sorso. Scosse leggermente il capo quando l’alcol quasi le bruciò la gola, scendendo nello stomaco che sentiva pieno di bolle.
Come divenne la sua testa più meno a mezzanotte, cioè nel bel mezzo dei festeggiamenti.
La musica alta le aveva otturato i timpani e il mal di testa che stava insorgendo non migliorava certo la situazione. Non aveva neanche iniziato il secondo bicchiere quando un giovane dall’aria spavalda – e molto brilla – le si avvicinò, poggiandosi con un fianco al bancone.
« Ciao, zuccherino »
« Smamma, idiota – intervenne Matt, spingendolo di malagrazia – E’ occupata »
« Matt? » borbottò meravigliata.
« In tutto il mio splendore, chèrie » si presentò, sollevando le braccia coi palmi rivolti al cielo.
« Non credevo fossi tra gli invitati »
« Non lo sono, ma quell’adorabile orsacchiotto mi ha riconosciuto e lasciato entrare. Non potevo perdermi un simile evento » commentò frizzante come suo solito per poi farsi serio quando fece scorrere lo sguardo su di lei, che aveva arcuato un sopracciglio nel sentire l’appellativo con cui si era riferito ad Happy.
Matt la fissò con sospetto quando lei tornò ad essere taciturna, limitandosi a guardare il proprio cocktail. Guardò verso un punto imprecisato della stanza accanto e vide il festeggiato andarsene a spasso con un gruppo di galline.
« Dove vai? » chiese, scrutandola mentre faceva spallucce come se fosse un fatto di poca rilevanza.
« Fuori – disse Virginia, scendendo con attenzione dallo sgabello – Chiamami se… Ahm, se fa qualcosa d’illegale ».
Spinse la maniglia ed uscì. Il vento la raggiunse e si passò le mani sulle braccia, malgrado non fosse freddo quella sera. Salì i gradini che portavano alla piscina, scese dai tacchi e si sedette a bordo vasca. Immerse i piedi, osservando lo smalto color pesca sulle propria dita. Poi alzò gli occhi verso il manto blu sopra di sé, dove si mise a contare i diamanti che lo punteggiavano.
 
Aggrottò la fronte quando le parve di sentire un gatto agonizzante cantare Steve Wonder, ma ciò che la risvegliò dallo stato di depressione indotta dall’alcol fu uno scoppio seguito da grida un po’ troppo briose.
« Forse è meglio se vieni a dare un’occhiata, chèrie » mormorò Matt, affacciandosi dalla porta.
Virginia lo raggiunse e lo superò, diretta in pista dove spinse qualche invitato. Quello che vide la lasciò con l’amaro in bocca. Evidentemente Tony aveva pensato bene di invitare Ironman al suo posto e ora ballava – o almeno ci provava – con indosso la tuta metallica. Si chiese come riuscisse a non stritolare il microfono che teneva fra i guanti mentre annunciava che avrebbe dato prova della propria tecnologia. L’ultima parola fu pronunciata in un tentativo di malizia, ma quel dettaglio passò subito in secondo piano quando qualcuno lanciò in aria un’anguria, che venne quasi disintegrata da un fascio energetico.
Virginia e Matt si ripararono dalla pioggia appiccicosa e dai semi, che si riversarono sugli invitati.
« Come facciamo a farlo smettere? »
« Non lo so ancora… Tu butta fuori questa gente, per favore » disse prima di avviarsi a passo di carica verso il festeggiato.
 
Angolo Autrice: Pur essendo un po' di passaggio come questo magro capitolo... Salve salvino!
Vi sono mancata? *fa' l'occhiolino*
Ebbene eccoci arrivati alla fatidica festa di compleanno, vi annuncio che la situazione peggiorerà ulteriormente... ma questo già lo sappiamo tutti ;)
Prima di congedarmi per questa notte (...o mattina, a seconda dei punti di vista), voglio ringraziare 
Auroracastlecate25 e leila91, che è stata velocissima a recuperare la storia. Non so che cosa dirvi se non che mi ha fatto piacere rileggervi e che non vedo l'ora di conoscere le vostre future opinioni! :*
Un grazie enorme va anche a _Lightning_: preparati ad "ottovolare" nuovamente, perchè il meglio - o peggio - deve ancora venire. Ho riletto più di una volta le tue parole, ma non so davvero cosa scriverti (a parte che non potrei mai superarti per quanto concerne la scrittura, sei er mejo der Colosseo! :D) se non GRAZIE ancora, di tutto <3
E' una soddisfazione per me vedere che il mio lavoro venga così tanto apprezzato e condiviso! Ve' amo na' cifra *-*
Al prossimo capitolo,
50shadesOfLOTS_Always

 
   
 
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