Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: SusyCherry    03/08/2018    4 recensioni
«Ok, ok. Ti salvi solo perché ho una bella notizia. Un tizio del nostro ospedale è andato in pensione e ho fatto domanda per il suo posto. Sherlock sarò un urologo!» dichiarò con un sorriso trionfante.
«Un…urologo?» domandò sinceramente confuso Sherlock.
«Sì un urologo. Sai apparato urinario. Non avrai cancellato anche quello insieme al sistema solare, vero Sherlock?»
«Certo che no, non essere sciocco. Apparato urinario e…apparato genitale maschile, no?»
«Esatto.»
«John vedrai peni dalla mattina alla sera?» chiese Sherlock con faccia scioccata.
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[Fanfiction scritta in occasione della Summer Challenge organizzata dal gruppo "Aspettando SHERLOCK 5 - SPOILERS & EVENTI!"]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci qua con un altro capitolo, perdonatemi per la lunga attesa ma è stato un periodaccio. Vi prometto che l'aggiornamento dei prossimi capitoli sarà più costante. Ringrazio immensamente chi sta seguendo la storia, chi ha lasciato una recensione e chi l'ha inserita tra le preferite, ricordate o seguite. Spero il capitolo vi piaccia, a presto!



Quel giorno il tempo sembrava trascorrere col contagocce e quando finalmente giunse alla fine del turno John sospirò sonoramente. Raccolse velocemente le sue cose e si defilò in fretta prima che qualche collega potesse fermarlo per fargli qualche domanda o invitarlo a bere qualcosa. Solitamente non gli dispiaceva socializzare con gli altri, ma quel giorno aveva qualcosa di molto più importante da fare.

Si sentiva piuttosto nervoso quindi decise di tornare a casa a piedi, una passeggiata lo avrebbe rilassato e dato tutto il tempo per ripassare il suo piano. Era quasi arrivato al 221B quando, immerso nei suoi pensieri, fu attirato da un dolce profumo. Portando gli occhi verso quella che il suo olfatto aveva inquadrato come l’origine di tale fragranza si ritrovò a fissare una pasticceria che aveva esposto nella sua vetrina delle fantastiche e appetitose torte. Arrestò il suo passo solo per pochi secondi, riflettendo su tale eventualità, poi si decise ed entrò nel negozio. In fondo con molta probabilità Sherlock non aveva ancora messo nulla sotto i denti, in più quasi sicuramente era molto irritato per il comportamento di John di quella mattina e ciò che il dottore stava per mettere in atto avrebbe peggiorato notevolmente l’umore del detective. John non voleva assolutamente ferirlo, ma non vedeva nessuna alternativa per agire con la certezza di non creare un disastro. Ciò nonostante l’idea di fare qualcosa che avrebbe intristito il suo coinquilino lo faceva stare malissimo. “Solo un piccolo prezzo da pagare Sherlock” continuava a ripetersi tra sé e sé “lo faccio per non rovinare tutto, per non rischiare di perderti sul serio. Solo questa volta, poi ti giuro che farò di tutto per renderti felice ogni giorno della mia vita. Qualsiasi saranno i risultati di questo mio piccolo esperimento.”

Ma questo mantra che continuava a ribadire nella sua mente non lo aiutava a sentirsi meglio. Al diavolo, quella torta Sherlock se la meritava tutta. Scelse la sua preferita, un mastodontico dolce con diversi tipi di cioccolata e il lato medico di John rabbrividì di fronte a quella fonte infinita di calorie. Senza ombra di dubbio Sherlock non era goloso tanto quanto Mycroft, ma quando ci si metteva riusciva a spazzolare ingenti quantità di dolciumi, certo non quando lavorava ad un caso, in quelle circostanze iniziava dei lunghi digiuni che lo facevano dannare nel tentativo di fargli mangiare qualcosa. Per questo a John non dispiaceva vederlo sgranocchiare biscotti, torte e pasticcini, era sempre così tanto magro… John sospirò nell’attesa che la ragazza dietro il bancone gli incartasse la torta in una graziosa confezione, bastava un comportamento strano del suo coinquilino ed eccolo trasformato nella signora Hudson, che si preoccupava della linea fisica del suo caro ragazzo. Oddio, forse un giorno anche lui avrebbe potuto chiamare Sherlock il suo ragazzo. Certo non nello stesso senso con cui veniva usato dalla loro padrona di casa, ma ecco, sì, insomma…

Nel momento stesso in cui realizzò questa cosa sentì un gran calore al viso, probabilmente doveva essere arrossito fino alla punta delle orecchie e sperò con tutto se stesso che la ragazza non si girasse proprio in quel momento.

“Sei John Hamish Watson, Quinto Fuciliere Northumberland, tre anni in Afghanistan, veterano del Kandahar, dell’Helmard e di quel dannato Saint Bart’s Hospital, smetti di arrossire e di comportarti come una ragazzina alla sua prima cotta!”[1] si ordinò mentalmente John, tossicchiando per cercare di riprendere il controllo di sé. La ragazza finì di aggiungere fiocchi e nastri alla confezione, dopo di che gliela porse con un enorme sorriso seducente, ma che John notò a malapena. Sorrise educatamente di rimando, afferrò il pacchetto e si rimise in marcia verso casa, chiamando a raccolta tutta la sua concentrazione e il suo sangue freddo da soldato. Si andava in scena.
 
 
 
«Sherlock sono a casa!»

«Che cos’hai in mano? Oh una torta.»

Il consulente investigativo lo aveva osservato dalla testa ai piedi nel momento stesso in cui il medico aveva poggiato un piede all’interno dell’abitazione. John sperò con tutto se stesso che il suo piano non fosse stato scoperto.

«Sì, mi sono ritrovato nei pressi di una pasticceria ed ho pensato di portarti un regalo.»
Sherlock assottigliò lo sguardo guardandolo più intensamente. John ebbe quasi paura che i suoi occhi potessero radiografarlo e passarlo da parte a parte.

«Sei tornato a piedi perché avevi bisogno di camminare. Qualcosa su cui pensare immagino. E mi hai preso una torta. Qualcosa da farti perdonare?» chiese sospettoso.

Aveva ben intuito il suo senso di colpa, c’era da aspettarselo, ma non aveva compreso da cosa fosse derivato, gli mancavano troppi elementi. Dopo tutto John poteva sfruttare la cosa a suo vantaggio.

«Ma cosa dici Sherlock, avevo solo voglia di fare due passi, ho avuto una giornata piena al lavoro e stavo ripensando ad alcuni casi. Devo dedurre che non la vuoi la torta?»

«È quella al cioccolato? La mia preferita?» chiese Sherlock con l’entusiasmo di un bambino cercando di sbirciare all’interno della confezione.

«Certo, ma potrai mangiarla solo se prima consumerai un pasto completo.»

«D’accordo mamma» ribatté Sherlock con voce fintamente esasperata, mentre John si portava in cucina per preparare da mangiare, accogliendo la sua risposta con una risata.
 
 
 
Sherlock mantenne le promesse e mangiò tutto quello che John aveva preparato, quindi come ricompensa si tagliò un’enorme fetta di torta. Stavano entrambi assaggiando il dolce quando John iniziò a parlare con voce un po’ imbarazzata:

«Sai oggi mi è capitato un caso molto particolare…»

«Oh eccolo qui il senso di colpa. Bene finalmente capiremo a cosa è dovuta questa torta!»

«Continui a dire stupidaggini, stai perdendo smalto, caro il mio consulente investigativo.»

A tale affermazione il diretto interessato rispose con una buffa espressione da prima donna offesa e John prese a ridere ancora più forte quando vide che un baffo di cioccolata decorava il labbro superiore del coinquilino. Sherlock a questa reazione assunse un atteggiamento ancora più risentito, non capendo cosa avesse scatenato l’ilarità dell’altro.

«Vieni qui, sei tutto sporco di cioccolata» e detto questo si sporse per pulirgli via la cioccolata con un dito, sfregando inevitabilmente sulle sue soffici labbra. Fu un gesto spontaneo, impulsivo, ma estremamente intimo che fece immediatamente zittire Sherlock. John osservò l’espressione persa del detective, le labbra schiuse, le pupille dilatate, lo sguardo confuso che gli stava rivolgendo e si rese conto di ciò che aveva appena fatto. Ritirò immediatamente la mano borbottando uno “scusa” tra i denti e cercò di riprendere il discorso con una risatina nervosa. Tutto ciò che aveva appena osservato doveva significare qualcosa.

«Comunque dicevo, è venuto da me un paziente che lamentava dei sintomi…beh…strani. Non mi ha parlato chiaramente fin dall’inizio della sua problematica, come puoi capire i miei pazienti non sono desiderosi di condividere i loro aspetti più intimi, ma alla fine è venuto fuori che si trattava di…beh…» John giocherellava nervosamente con la forchetta nel proprio piatto, lo sguardo basso cercando di raccogliere tutto il suo coraggio «…priapismo.»

«Priapismo, dal dio greco Priapo noto per la sua erezione sproporzionatamente grande e permanente, è una condizione di erezione persistente, dolorosa, nonostante l'assenza di stimolazione erotica, di durata superiore alle quattro ore» sputò Sherlock meccanicamente e tutto d’un fiato.

«Esatto» annuì John «non credevo la conoscessi. Comunque è la prima volta che mi imbatto in un caso del genere. In un ragazzo di trent’anni poi. Fortunatamente siamo riusciti ad intervenire per tempo e il ragazzo sta bene. È stato…beh sì, è stato molto interessante»

Sherlock che era stato in silenzio fino a quel momento si alzò di scatto.

«Perdonami, credo di sentirmi poco bene, forse ho mangiato troppa torta, vado a stendermi in camera mia» pronunciò queste parole alla velocità della luce per poi battere in ritirata senza che John avesse nemmeno il tempo di pronunciare una sola parola.

Il dottore fu molto confuso da quella reazione, innanzitutto era avvenuta troppo presto, onestamente aveva immaginato di dover infarcire il discorso con molti più particolari, di dover essere ambiguo ed evasivo, invece Sherlock se l’era data a gambe alla prima frase. E poi si aspettava una reazione totalmente differente, prevedeva scenate isteriche di gelosia come quella che gli aveva riserbato all’ospedale. Ora quell’atteggiamento che diavolo voleva dire? Si portò le mani davanti agli occhi stropicciandoli energicamente per poi passarle sulle tempie e tra i capelli. Sherlock non era una persona semplice, questo lo sapeva, ma non credeva sarebbe stato così complesso capire ciò che provava. In fondo non aveva mai avuto problemi con tutte le donne con cui era uscito. Ma Sherlock non era come tutte le donne, lui era speciale e gli avrebbe riservato un trattamento speciale. Fino a quel momento aveva provato a giocare di astuzia, il tutto per cercare una sicurezza che tutt’ora non aveva. Di una cosa era però certo: poteva avere dubbi sui sentimenti di Sherlock, ma non li aveva sui suoi.

John non era una persona da giochetti intellettivi, la mente tra i due era Sherlock. Lui era cuore, coraggio. Azione.[2] E quello è ciò che avrebbe fatto, avrebbe agito, si sarebbe buttato, non come quando si buttava provandoci con una donna appena incontrata, ci avrebbe messo tutto se stesso, avrebbe dato tutto di sé, a costo di farsi molto, molto male. Perché John poteva flirtare tranquillamente con qualcuno conosciuto un attimo prima, ma non si sarebbe mai esposto troppo con qualcuno a cui teneva senza sapere di andare a colpo sicuro. Ma era lì che risiedeva l’essere speciale di Sherlock, con lui potevi dare il cento per cento e ancora non sarebbe bastato, ancora ti avrebbe spinto oltre, oltre ogni limite, oltre la ragione. E se c’era una cosa di cui John Watson era sicuro in quel momento era che per Sherlock avrebbe sempre, sempre oltrepassato tutti i limiti possibili e immaginabili.
 

Con fare deciso si alzò dalla sedia e si diresse verso la camera del consulente investigativo, bussò, ma non ricevendo risposta (non si era aspettato diversamente) entrò senza troppi complimenti. Sherlock era sdraiato di lato, con la faccia rivolta verso il muro e gli porgeva la schiena. John non si lasciò ingannare nemmeno un attimo dall’idea che stesse dormendo e gli si avvicinò lentamente.

«Come ti senti? Stai meglio?» gli domandò con voce dolce.

«Sì John. Grazie John.»

Il tono piatto con cui gli aveva risposto il detective lo preoccupò un attimo, ma cercò di non farsi condizionare da ciò.

«Io ora devo tornare a lavoro, fammi sapere se ti serve qualcosa. Mandami qualche messaggio, anche solo per dirmi come stai.»

Visto il silenzio ostinato di Sherlock, John decise di avvicinarsi ulteriormente e portando una mano tra i suoi capelli glieli scompigliò dolcemente, lasciandogli una carezza sulla testa.

«Ehi, che ne diresti se stasera andassimo a cena? Solo noi due.»

Sherlock a queste parole finalmente si voltò, mostrando un’espressione smarrita in risposta al gesto di John e alle sue parole. Una cosa era certa: non era l’unico, John, ad essere in totale confusione.

«Non abbiamo casi risolti da festeggiare.»

«Non importa.»

«Quindi per quale ragione dovremmo andare a cena fuori?»

«Perché ci va? O almeno io ne ho voglia, per questo te l’ho chiesto. Non abbiamo bisogno di un motivo per farlo.»

Sherlock continuava a fissarlo come se si fosse bevuto il cervello e John dovette fare un enorme sforzo per non farsi scoraggiare da quella reazione. “Magari è solo spaventato” continuava a ripetersi.

«Dai, tu riposa, più tardi ti mando un messaggio con i dettagli e se ne hai voglia anche tu usciamo. Cerca di rimetterti del tutto. A dopo.»

«O-ok John. A dopo.»

John uscì dalla sua stanza e solo quando fu sicuro che l’altro non potesse sentirlo si appoggiò al muro e riprese a respirare normalmente, dopo esser rimasto col fiato sospeso per quasi tutto il tempo.

Nello stesso momento Sherlock immergeva la faccia nel cuscino impedendosi di urlare.

Cosa diavolo stava succedendo in quella casa?
 
 
[1] Piccola citazione, modificata ovviamente, della 3x02
 
[2] Credo sia il caso di chiarire: non concordo con la definizione di Sherlock come la mente, quasi come se non avesse sentimenti, e John come il cuore, come se fosse uno stupido e mancasse di intelletto, quindi non è a questa duplicità che si riferisce questa frase. È però vero che per quanto John sia molto più intelligente rispetto alla media è Sherlock il genio tra i due, quindi l’intelletto è sicuramente il punto forte del consulente investigativo. D’altro canto l’impulsività e l’azione le vedo come caratteristiche principalmente associate a John, per quanto anche Sherlock possegga queste qualità.
Ecco quindi, in questo caso, non dovete vedere questo dualismo come privativo, Sherlock ha un grande cuore e John un intelletto piuttosto sviluppato, piuttosto quanto una caratteristica che prevale in uno o nell’altro.
   
 
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