Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: SusyCherry    07/08/2018    4 recensioni
«Ok, ok. Ti salvi solo perché ho una bella notizia. Un tizio del nostro ospedale è andato in pensione e ho fatto domanda per il suo posto. Sherlock sarò un urologo!» dichiarò con un sorriso trionfante.
«Un…urologo?» domandò sinceramente confuso Sherlock.
«Sì un urologo. Sai apparato urinario. Non avrai cancellato anche quello insieme al sistema solare, vero Sherlock?»
«Certo che no, non essere sciocco. Apparato urinario e…apparato genitale maschile, no?»
«Esatto.»
«John vedrai peni dalla mattina alla sera?» chiese Sherlock con faccia scioccata.
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[Fanfiction scritta in occasione della Summer Challenge organizzata dal gruppo "Aspettando SHERLOCK 5 - SPOILERS & EVENTI!"]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve, ecco a voi il nuovo capitolo. È arrivato prima del previsto per un motivo: la parte centrale, rappresentata dal secondo, terzo e quarto capitolo dovrebbe essere un tutt'uno, ma sarebbe uscito un qualcosa di davvero troppo lungo. Quindi ho deciso di dividerla in tre parti, ma non volevo farvi aspettare troppo, quindi eccoci qua! ​Non preoccupatevi, le cose si sbloccheranno a breve e il prossimo capitolo arriverà molto presto. Ringrazio chi sta leggendo la storia, chi ha lasciato una recensione e chi l'ha inserita in qualche categoria. Spero la lettura sia di vostro gradimento, a presto!



John continuava a ripensare alla conversazione avvenuta con Sherlock, cercava di analizzare ogni sua reazione per cercare di capire cosa passasse nella testa del detective. Aveva provato con tutto se stesso a pensare ad altro, a concentrarsi sul suo lavoro, ma niente, il suo pensiero continuava a tornare a Sherlock. Per di più quello era un pomeriggio particolarmente fiacco in ospedale e John si annoiava come non mai. O forse era una fortuna visto che la sua mente era da tutt’altra parte. Stava giusto per decidersi a mandare un messaggio al coinquilino quando udì qualcuno bussare alla porta.

«Avanti!»

«Salve John. Perdonami se ti interrompo, ma ci sono arrivati questi moduli su cui avrebbe dovuto esserci la tua firma che invece manca.»

«Salve Monica. Non disturbi, figurati, come puoi vedere la giornata scorre a rilento. Hai ragione, Karen avrà fatto casino come al solito e si sarà dimenticata di mostrarmeli. Ma non c’era bisogno che venissi personalmente, sarei potuto passare io più tardi.»

«Non preoccuparti, giornata fiacca anche per noi. Goditi questi momenti, li rimpiangerai nei giorni di fuoco! Certo che per uno come te, che arriva dal Pronto Soccorso, per non parlare di tutta la tua carriera militare, tutto questo sembrerà estremamente noioso!»

«Fidati, la mia vita è già abbastanza movimentata. Ecco qua, scusami ancora per l’inconveniente.»

«Tranquillo. Sai…io credo proprio che la tua segretaria ti odi!» e accompagnò questa frase con una risata cristallina.

“Ma non mi dire! Chissà perché dovrebbe poi, in fondo il mio simpatico coinquilino le ha solo dato della ragazza triste e scialbetta, facendo intendere che questo fosse il mio pensiero su di lei. Che persona permalosa” ma si limitò a pensare ciò, rispondendo invece con un sorriso tirato.

«Che fai di bello dopo il turno? Notti brave a far follie?»

«Credo uscirò a cena» rispose evasivo.

«Oh certo, certo. Capisco.» esordì la donna con un sorrisetto malizioso.

“Ma cosa…?” si meravigliò John “Oh ma certo, la dottoressa Wright era uno degli anelli della catena del pettegolezzo che avevano riportato la notizia della scenata di Sherlock al dottor Goodwin.”

«Tu invece? Programmi interessanti?» si affrettò a domandare John, più desideroso di cambiare l’oggetto della conversazione, che per un reale interesse.

«Mi sarebbe piaciuto andare a quel famoso concerto di musica classica, non so se ne hai sentito parlare, sarà l’ultimo concerto di un importante violinista venuto da chissà dove. La fine di un’era a quanto dicono. A dire il vero io non ci capisco poi così tanto, non sono io l’appassionata, ma il mio ragazzo. Mi sarebbe piaciuto fargli un bel regalo. Ma i biglietti sono introvabili, a meno che non si conosca la regina in persona è praticamente impossibile riuscire a recuperarli!»

John ascoltò la risposta della donna improvvisamente più attento alle sue parole. Sembrava un’occasione praticamente perfetta. Forse era davvero il caso di scomodare la regina in persona.
 
 
 
Salve Mycroft. Potremmo vederci dopo la fine del mio turno di lavoro? JW


La risposta arrivò quasi immediatamente.


Troverai una mia macchina ad aspettarti. MH


 
Ovviamente Mycroft fu di parola e all’uscita dall’ospedale John trovò come di consueto una macchina nera dai finestrini oscurati ad aspettarlo. Entrò senza proferire parola e fu accompagnato nel totale silenzio al Diogenes Club. Solo quando fu finalmente accompagnato nello studio privato del maggiore degli Holmes si permise di ricominciare a parlare.

«Salve Mycroft.»

«Buonasera dottor Watson, a cosa devo l’onore?» domandò l’Holmes con un sorriso mellifluo. John sapeva che con molta probabilità alla personificazione del governo inglese era bastato un solo sguardo per capire quasi tutta la situazione, ma era ugualmente a conoscenza del fatto che non gli avrebbe fornito nessuno sconto in tal senso. Lo avrebbe costretto a vuotare il sacco e non avrebbe mosso un dito finché John non avesse ammesso i veri motivi che l’avevano portato lì.

«Devo chiederti un favore. Riguarda Sherlock.»

«Ovviamente.»

«Hai sentito parlare del concerto di stasera? Domanda stupida, certo che sì, non rispondere» aggiunse immediatamente bloccando sul nascere l’occhiata di biasimo che l’altro stava per rivolgergli.

«È un violinista che piace a Sherlock?»

«Lo adora.»

John chiamò a raccolta tutto il suo coraggio, deglutì un groppo di saliva e chiese tutto d’un fiato:

«Per caso potresti procurarmi due biglietti? A quanto so sono introvabili.»

«Lo sono, non è vero?» gli disse, rivolgendogli un sorrisetto furbo «E come mai questo improvviso interesse per la musica classica?»

Lo sapeva, Mycroft non l’avrebbe mai risparmiato. Gli avrebbe fatto confessare ogni singola cosa, gli avrebbe tirato le parole con precisione chirurgica se ce ne fosse stato il bisogno. Ma lo stava facendo per Sherlock. E sì, valeva bene quella conversazione con il fratello. In fondo, anche se non l’avrebbe mai ammesso, era lì anche per cercare una sorta di…benedizione? Beneplacito? Sospirò profondamente pronto ad ammettere ogni cosa, quando Mycroft impugnò il telefono per mormorare qualcosa alla sua segretaria.

Quando terminò si rivolse nuovamente a lui e iniziò a parlare con voce calma:

«Sono ottimi posti, avrete una vista magnifica.»

Mycroft…lo stava risparmiando? Aveva rinunciato al piacere di vivisezionarlo davanti ai suoi occhi e gli stava dando ciò che voleva senza troppe spiegazioni? Cosa diamine stava succedendo agli Holmes?

«Mi pareva di avertelo già spiegato una volta» cominciò, probabilmente seguendo il filo dei pensieri del medico «Io mi preoccupo per lui. Costantemente. Voglio solo la felicità del mio caro fratellino.»

In quel momento Anthea fece il suo ingresso lasciando due biglietti in elegante cartoncino sul tavolo di fronte al suo capo. Questo aspettò che la donna uscisse per porgerli al dottore che li afferrò e fece per alzarsi.

«Io…non so che dire. Grazie Mycroft» e avvertendo che l’incontro fosse giunto al termine, si diresse verso l’uscita.

«Dott… John. Solo una cosa.» John si bloccò e si girò verso di lui. «Vacci piano con lui. Non è…abituato a questo genere di cose. Presta…presta attenzione.» Al suo cuore, avrebbe voluto aggiungere. Ma non ce ne fu bisogno, perché John aveva capito perfettamente. Gli sorrise, un sorriso rassicurante.

«Non potrei mai fargli del male. Non a lui.»

E Mycroft sorrise in rimando. Non un sorriso sarcastico o affettato, un vero sorriso. Forse ci aveva visto giusto quel giorno, quando aveva conosciuto per la prima volta John Watson e gli aveva permesso di avvicinarsi a suo fratello. Forse davvero aveva trovato qualcuno che tenesse al suo adorato fratellino tanto quanto lui. Forse d’ora in poi avrebbe potuto preoccuparsi meno per lui, sicuro che sarebbe stato in buone mani. Forse avrebbe potuto vederlo finalmente felice.
 
 
 
Venti minuti e sono a casa. Il tempo di una doccia e usciamo. Fatti trovare pronto. JW

 
Attese qualche secondo rigirandosi il cellulare in mano. Andava bene quel messaggio? Era stato troppo diretto? Forse Sherlock non aveva voglia di uscire con lui dopo quello che era successo a pomeriggio. Eppure John non poteva lasciare le cose così com’erano, non con quella atmosfera pesante che aveva avvertito prima di uscire di casa. Non attese nemmeno la risposta al primo messaggio prima di inviarne un altro.
 

Sempre se a te sta bene, ovvio. JW
 

Sospirò e si accasciò contro il sedile in pelle, chiudendo gli occhi. La macchina mandata da Mycroft, che lo stava ora accompagnando a casa, era impeccabile. Non un odore si percepiva all’interno dell’abitacolo, i suoni erano attutiti a dei meri rumori di fondo e i colori all’interno erano ridotti al minimo. Anzi a dirla tutta ovunque posasse gli occhi riusciva a vedere un unico colore, la tappezzeria, i sedili in pelle, persino i finestrini fumé viravano sul nero. Pensò alla macchina che suo padre guidava quando lui era ancora bambino, alla confusione perenne che regnava al suo interno, all’odore di cane bagnato, di gelato rovesciato sul sedile, alla tappezzeria mordicchiata dal suo cucciolo, alle urla gioiose sue e di Harry. E poi pensò a Sherlock, a Mycroft, a quanto quella macchina fosse incredibilmente simile a loro. Austera, severa, rigorosa. Pensò a Mycroft con la sua rigidità e i suoi formalismi, a Sherlock con il suo autocontrollo e la sua impermeabilità al mondo. Eppure sotto la facciata si nascondeva un universo di colori, John lo sapeva bene. In quegli anni di convivenza solo a lui era stato permesso di sbirciare sotto la superficie e ciò che aveva visto lo aveva affascinato, ammaliato. Ora non gli bastava più scrutare dalla riva quell’oceano che era il suo coinquilino, voleva immergersi completamente, farsi avvolgere, perdersi in lui. Sherlock era stato un’onda anomala che aveva ribaltato la sua esistenza, smosso ogni singola fibra del suo io, risvegliato la sua energia primordiale, la sua voglia di vivere, l’aveva scosso da quello stato di apatia in cui era piombato, gli aveva offerto cose che non sapeva nemmeno di desiderare, ma a cui si era ritrovato ad aggrapparsi con tutto se stesso. Pensò ancora a Mycroft, all’uomo di ghiaccio che tutti pensavano fosse e a ciò che aveva visto quella sera, all’attimo in cui gli aveva mostrato tutta la sua umanità. Sì, forse per alcuni poteva rappresentare una disgrazia avere a che fare con i fratelli Holmes, ma lui era ben fiero di appartenere a quella famiglia, in un certo qual senso. E su questo almeno non aveva incertezze, Sherlock lo considerava senza ombra di dubbio la sua famiglia. Era ancora totalmente perso nei suoi pensieri quando avvertì il cellulare vibrargli in mano.

 
Sto per entrare nella doccia, non toccare il mio esperimento sul tavolo quando rientri. SH

…e ti consiglio anche di non aprire il frigo. SH

 
John roteò gli occhi, ecco magari con quella parte del detective avrebbe volentieri evitato di averci a che fare. Ma in fondo bisognava prendere tutto il pacchetto, no? Nel frattempo la macchina si era fermata davanti al 221B, John salutò ringraziando educatamente l’autista e si precipitò su per le scale. Entrò in casa appena in tempo per osservare l’asciutta figura del consulente investigativo che si portava, avvolta dall’accappatoio, verso la sua stanza. Osservò le goccioline d’acqua che, dai capelli ancora fradici del detective, si portavano verso il suo niveo collo, riuscendo a distogliere lo sguardo da quell’immagine meravigliosa solo un attimo prima che il suo coinquilino si voltasse per salutarlo. Senza dire nemmeno una parola, poiché non era sicuro di come queste sarebbero suonate, si portò in bagno recuperando un asciugamano e porgendoglielo. Solo dopo essersi schiarito la voce ed essersi assicurato che il suo tono non risultasse troppo incerto, si permise di parlare.

«Asciugati i capelli o ti prenderai un malanno.»

Sherlock lo guardò interrogativo, era chiaro che non sapeva bene come interpretare quella situazione.

«Ordini del dottore» aggiunse sorridendo.

«Beh in questo caso non posso rifiutarmi» sorrise di rimando, mostrando di assecondarlo in quello sciocco giochino.

«Faccio una doccia e poi usciamo, va bene?»

«Dove andiamo di bello?»

«È una sorpresa» e John si sforzò di nascondere un sorriso di soddisfazione «Ah e ti prego di non cercare di dedurre nulla.»

«Ma…John!»

«E dai, non rovinarmi tutto. Lo so che ti sto chiedendo una cosa quasi impossibile, ma tu sforzati ok? Fallo…fallo per me, va bene?»

Sherlock tentennò un attimo, sul viso un’espressione che poteva quasi sembrare di imbarazzo, ma ritornò alla sua solita espressione imperscrutabile nel giro di pochi secondi. Sbuffò una sorta di consenso e si chiuse in camera. Non c’era nemmeno bisogno di chiedergli di vestirsi elegante, lo era praticamente in ogni momento, ma John sperò che indossasse la camicia viola, la sua preferita. Quella camicia gli stava particolarmente bene e spesso si incantava a guardare come lo fasciava e come i bottoni tiravano un po’ all’altezza del petto, Sherlock non poteva non aver notato la sua particolare predilezione per quello specifico indumento. Lui piuttosto avrebbe dovuto ben ponderare la scelta dell’abito, non aveva il fisico statuario del coinquilino, ma non poteva nemmeno lamentarsi, tutti quegli anni nell’esercito gli avevano scolpito un corpo di tutto rispetto. E lui ci teneva particolarmente a fare bella figura. Si preparò in fretta e scese al piano di sotto, dove Sherlock lo aspettava stranamente con pazienza. Gli rivolse un’occhiata e tentò con tutto se stesso di soffocare un grande sorriso che gli stava per nascere sul volto. Aveva indossato la camicia viola.



 
   
 
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