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Autore: SusyCherry    15/08/2018    3 recensioni
«Ok, ok. Ti salvi solo perché ho una bella notizia. Un tizio del nostro ospedale è andato in pensione e ho fatto domanda per il suo posto. Sherlock sarò un urologo!» dichiarò con un sorriso trionfante.
«Un…urologo?» domandò sinceramente confuso Sherlock.
«Sì un urologo. Sai apparato urinario. Non avrai cancellato anche quello insieme al sistema solare, vero Sherlock?»
«Certo che no, non essere sciocco. Apparato urinario e…apparato genitale maschile, no?»
«Esatto.»
«John vedrai peni dalla mattina alla sera?» chiese Sherlock con faccia scioccata.
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[Fanfiction scritta in occasione della Summer Challenge organizzata dal gruppo "Aspettando SHERLOCK 5 - SPOILERS & EVENTI!"]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve! Rieccoci qui con il penultimo capitolo. Spero davvero che vi piaccia perché ci avviamo purtroppo (almeno per me che sono tanto affezionata a questa storia) verso la conclusione. Ringrazio chi la sta seguendo, chi ha lasciato una recensione (grazie davvero, lo apprezzo tantissimo) e chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate o seguite. Vi lascio alla lettura, a presto!



Quando Sherlock si rese conto di dove John lo avesse portato restò semplicemente sbigottito. Aveva tenuto fede alla richiesta del medico, quindi aveva evitato di dedurre la meta della serata. John si voltò un attimo a guardare l’ingresso del teatro e osservando una locandina si rivolse al suo amico:

«Mi sa che ci tocca aspettare un po’, siamo arrivati troppo in anticipo, spero che per te…» ma le parole gli morirono in gola quando si voltò nuovamente a fissarlo.

Quando Sherlock aveva capito qual era lo spettacolo per il quale il medico aveva rimediato i biglietti era stato molto felice, entusiasta come poche volte lo era stato, John era sicuro di questo. Quindi perché ora la faccia del detective aveva assunto quell’espressione…triste? Affranta avrebbe osato dire. Dove aveva sbagliato?

«Nessun problema John» e quel tono di voce? Non lo aveva mai sentito tanto flebile e sconsolato.

«Sherlock, va tutto bene?»

«Certo John.»

No, no, no! Così non andava! Le cose non sarebbero dovute proprio andare così.

«Qui di fronte c’è un parchetto, andiamo a fare un giro, ti va?»

Il detective non lo guardava nemmeno, aveva il viso basso e si limitò a un cenno di assenso.

Camminarono per un po’, ma non trovando una panchina John fece sedere il coinquilino su un’altalena. Sherlock doveva stare certamente molto male per non aver fiatato a quella scelta, nemmeno una flebile protesta, semplicemente si era seduto e attendeva come un condannato a morte che John iniziasse a parlare pronunciando chissà quale sentenza. John, dal canto suo, si prese un attimo per osservare la scena: il parco era completamente deserto, le luci dei lampioni li illuminavano rendendo la scena molto intima e il detective seduto su quell’altalena non era nemmeno troppo buffo. Non mentre lo guardava con quell’espressione, con quegli occhi che gli chiedevano “ti prego, sii rapido nell’esecuzione”. Ma perché diavolo Sherlock si stava comportando così? Cosa era successo da fargli cambiare così rapidamente umore? Forse aveva capito di cosa John volesse parlargli e non sapeva come fargli capire che non era interessato alla cosa? Ma in quel caso sarebbe bastato ripetergli la solita tiritera dello “sposato con il lavoro” e John non avrebbe insistito. Ma forse per Sherlock qualcosa era cambiato, forse quello andava bene quando erano ancora due sconosciuti. Forse non se la sentiva più, adesso, dopo tutto quello che avevano passato, di dividere la casa con un qualcuno che era innamorato di lui. Forse John avrebbe dovuto soltanto ingoiare tutto e far finta di nulla, continuare la loro vita e semplicemente ringraziare di potergli essere vicino, in un modo o nell’altro.

Ma John non voleva tirarsi indietro, non questa volta. Era stanco di nascondere continuamente i suoi sentimenti, di reprimere tutto. Non dopo quel pizzico di speranza che si era concesso. Il vaso di Pandora era stato aperto e John non poteva più semplicemente rinchiudere nuovamente ciò che provava al suo interno e continuare come se nulla fosse. In fondo ciò che voleva era semplicemente un’occasione per aprire il suo cuore, perché diamine Sherlock non poteva concedergli almeno quella?

John strinse i pugni fino a farsi male, era stanco di continuare a rimuginare sulle cose, aveva deciso di vuotare il sacco quella sera e lo avrebbe fatto, anche se in modo diverso da come si era prefissato.

«Sherlock, mi vuoi dire che cosa ti prende? Non sono uno stupido, ho notato il tuo repentino cambio di umore. Cosa ho fatto? Ho sbagliato qualcosa?»

Ma Sherlock serrò forte le labbra e non rispose. John si concesse un lungo sospiro e cominciò:

«Se è perché hai capito...»

«Ho capito tutto John. E scusami, so che volevi farmi questo discorso dopo lo spettacolo, ma io…io non ho potuto impedirmi di…scusami, non volevo rovinare i tuoi piani.»

Fu il turno del medico di abbassare lo sguardo. Quindi Sherlock sapeva, aveva capito e questo era quello che lo aveva intristito.

«Ho capito fin da subito che c’era qualcosa che non andava, il cambio del lavoro per iniziare…»

Il suo lavoro? Ma che c’entrava adesso?

John rialzò immediatamente lo sguardo per fissarlo confuso, ma Sherlock ormai era partito e non si poteva più fermare quella raffica di parole.

«Poi sei tornato a casa con quella torta ed era lampante ormai che nascondessi qualcosa. Ed ora questo. È meraviglioso John, non voglio che tu pensi che non l’apprezzi, non sono un ingrato. È solo che non me la sento.»

A quelle parole il medico sentì chiaramente il cuore spezzarsi in mille pezzi. Si era voluto illudere per una volta e quello era il risultato. Sherlock non se la sentiva di iniziare una storia con lui, in fondo cosa si era aspettato? Forse il detective aveva ragione sullo svantaggio derivante dai sentimenti, magari se fosse stato un po’ più simile a lui si sarebbe risparmiato quel sordo dolore che in quel momento gli impediva di respirare.

«…non me la sento di entrare in quel teatro e sedere vicino a te facendo finta di niente. Non con la consapevolezza del fatto che stai per abbandonarmi. Ma non c’era bisogno di indorarmi la pillola con tutte queste premure, John io voglio la tua felicità e se questo vuol dire…»

«Sherlock fermati. Non ti abbandonerò, non ho mai avuto l’intenzione di farlo. Certo non posso dire di stare bene adesso, ma mi riprenderò, ho solo bisogno di un po’ di tempo. Ma se a te sta ancora bene, non ho intenzione di andarmene.»

Sherlock lo fissò in completa confusione.

«Certo che mi sta bene, perché non dovrebbe? E perché dici tu di non stare bene? Dovresti essere felice! Se è per me non devi preoccuparti, all’inizio sarà difficile, ma ce la farò, sarò in grado di…»

Felice? Va bene che Sherlock non era esperto di relazioni e non era la persona più sensibile sulla terra, ma questo era un po’ troppo anche per lui! Un dubbio cominciò ad assalirlo.

«Sherlock? Ma stiamo parlando della stessa cosa?»

Il consulente investigativo finalmente si ammutolì. Lo fissò con attenzione socchiudendo leggermente gli occhi, ma il dottore in quegli occhi vi lesse paura e tristezza. Di certo non era in grado di dedurre nulla in quello stato. Dopo un lungo momento di silenzio Sherlock ricominciò a parlare, ma questa volta con circospezione.

«John tu ti sei innamorato.»

«È vero.»

Un’altra pausa e quando il detective ricominciò a parlare il tono era più basso.

«Di un uomo»

«Anche questo è vero» ma non riuscì a non abbassare il capo arrossendo leggermente mentre sussurrava questa risposta.

Sherlock riprese allora a parlare a raffica, con il tono mortalmente triste e serio.

«È un tuo paziente vero? Magari proprio quel modello che ho beccato l’altra volta con i pantaloni abbassati fino alle caviglie. L’ho capito subito che c’era dell’altro. Ed ecco spiegato il tuo senso di colpa, non è molto etico per un dottore iniziare una relazione con un proprio paziente. Eppure John dici di non volertene andare, ma proprio non capisco come questo dovrebbe stare bene a lui. Ne sei innamorato ed è ovvio che prima o poi lui vorrà qualcosa di più da te!»

John doveva trovare un modo per arginare quel flusso di parole, “o ora o mai più” si disse prima di sporgersi in avanti con uno scatto. Afferrò con le mani entrambe le funi che tenevano l’altalena avvicinando il detective a sé e, piegandosi leggermente, appoggiò le labbra sulle sue. Fu un contatto incerto, ma allo stesso tempo speranzoso. John ci mise tutta l’urgenza e il trasporto che covava dentro di sé, ma fu abbastanza delicato da lasciare una via di fuga per il coinquilino, che avrebbe potuto facilmente scostarsi, se lo avesse desiderato. Ma Sherlock non mosse un muscolo, si limitò a restare immobile come una statua di sale, con gli occhi spalancati e la bocca leggermente socchiusa. John si allontanò dalle sue labbra dopo un lungo momento, ma rimase nel suo spazio vitale, guardandolo incerto.

«Credo che questo sia un avvenimento più unico che raro, hai completamente sbagliato una deduzione, anzi una serie di deduzioni!» scherzò con voce flebile il dottore, più per smorzare la tensione che era nell’aria che per una reale voglia di ironizzare sulla situazione.

Quando Sherlock torno parzialmente in possesso del proprio corpo riuscì con fatica a balbettare:

«Quell’uomo di cui ti sei innamorato, John, sono…sono io?»

John non riuscì a rispondere a parole a ciò, quindi si limitò ad annuire col capo.

Sherlock tornò nel suo stato di completa immobilità, fissando il vuoto e John cominciava a preoccuparsi seriamente. [1]

«Sherlock, ti prego di’ qualcosa!» e il suo tono di voce esprimeva tutto il terrore che provava per la reazione del detective a ciò che aveva appena fatto.

A quelle parole Sherlock si riscosse immediatamente, rialzò lo sguardo fissando i suoi occhi in quelli del medico e portò le mani al bavero della sua giacca, costringendolo ad abbassarsi nuovamente. Avvicinò la sua bocca a quella del suo John e si prese solo un attimo per perdersi nei suoi occhi, prima di tuffarsi con voracità sulle sue labbra. Fu un bacio molto più scomposto e disordinato rispetto al primo, che invece era stato più dolce e titubante. John non si fece trovare impreparato e portò le sue braccia dietro la nuca del consulente investigativo, stringendolo più forte a sé, mentre Sherlock, dal canto suo, si aggrappava al suo dottore come se ne andasse della sua stessa vita.

Il detective era chiaramente più inesperto rispetto al medico, il quale si ritrovò ben presto a prendere il controllo della situazione, guidandolo nei movimenti. Iniziò ad accarezzargli le labbra con la lingua e queste si schiusero in risposta, permettendogli di saggiare la consistenza della sua bocca. John si sorprese a pensare di non essere mai stato così emozionato nel baciare qualcuno, aveva dato e ricevuto baci molto più passionali, più spinti ed esperti, ma quello, con la sua semplicità e spontaneità, aveva in un attimo cancellato dalla sua mente ogni altro pensiero che non riguardasse lo stravagante e meraviglioso essere che aveva di fronte.

Rimasero a lungo così, stretti l’uno nelle braccia dell’altro a scambiarsi tenere effusioni, fino a che John non si staccò leggermente da quelle labbra così invitanti per riprendere fiato. Osservò il viso affannato dell’altro, le guance leggermente arrossate, gli occhi di un meraviglioso azzurro liquido, le labbra gonfie per i baci che si erano appena scambiati e sorrise teneramente di fronte a tale visione. Sherlock era bellissimo. Probabilmente anche lui doveva avere un aspetto piuttosto scalmanato, soprattutto perché a un certo punto il detective aveva portato una mano tra i suoi capelli e glieli aveva scarmigliati tutti, ma non gli importava minimamente, era troppo felice per pensare ad altro. Resistette stoicamente alla tentazione di dedicarsi totalmente a quelle labbra così maledettamente allettanti e fece un passo indietro, aggiungendo ulteriore spazio tra i loro corpi, avvertendo immediatamente la mancanza di quel calore già così familiare. Sherlock istintivamente strinse la presa sul suo fianco, a volergli impedire di allontanarsi, ma lui gli portò una mano sulla sua, in una stretta rassicurante.

«Credo che lo spettacolo stia per cominciare, sarebbe un peccato perderlo, che dici?»

Sherlock non rispose direttamente, in realtà non gli aveva posto nemmeno una vera e propria domanda, ma si alzò un po’ controvoglia dall’altalena su cui era ancora seduto e prese a seguirlo lentamente. Percorsero tutta la strada in silenzio, il consulente investigativo non aveva ancora detto una parola su ciò che era successo e John valutò l’idea di cominciare una conversazione, accantonandola subito dopo. Le parole sarebbero venute da sé, non voleva partire con un discorso artificioso e preparato, ciò di cui avevano bisogno era spontaneità e sincerità.
 
 

Stavano attendendo di poter entrare, per poter prendere posto, in un lungo corridoio dove nel frattempo si era accalcata un po’ di gente, tutti erano vestiti in maniera distinta, ma né Sherlock né John sfiguravano nei loro elegantissimi abiti. Un gruppo di persone che passò di fianco a loro li spinse l’uno più vicino all’altro e i dorsi delle loro mani si sfiorarono per un attimo. Sherlock reagì a tale contatto come se si fosse scottato, mentre il suo viso si imporporava lievemente. Non era da lui essere così sensibile, ma era pur sempre una situazione straordinaria, tutto era completamente nuovo per lui. Forse in quel momento si stava addirittura tormentando sulla questione se John avrebbe riprovato a baciarlo o meno, se avrebbe mostrato ciò che c’era tra di loro alla luce del sole o se sarebbe rimasto un evento isolato, troppo preoccupato del giudizio altrui per esibirlo apertamente. Ma il medico volle chiarire immediatamente la sua posizione e facendosi coraggio afferrò la mano del compagno, sperando non si sottraesse a quel contatto. Non lo fece e un sorriso illuminò il viso del dottore. Furono però costretti a lasciarsela poco dopo, quando John dovette avvicinarsi a un’impiegata del teatro per domandare un’informazione. La ragazza era giovane, molto carina, sicuramente abbastanza scaltra, valutò velocemente l’assenza di donne nei dintorni dell’uomo e iniziò a parlargli con voce suadente, sorridendo maliziosa. Quella ragazza sorrideva un po’ troppo al suo dottore, o almeno fu quello che Sherlock dovette pensare, perché quella scenetta pietosa lo mandò su tutte le furie e con un gesto secco e nervoso arpionò il gomito del compagno attirandolo verso di sé, per poi avvolgergli un braccio intorno alle spalle. Voleva ben chiarire a quella donna che quella era una sua proprietà. Aveva mandato a monte ogni appuntamento del dottore quando ancora non poteva avere nessuna pretesa su di lui, figuriamoci adesso che poteva legittimamente reclamare dei diritti! La cosa non disturbò il medico, sapeva bene quanto geloso potesse essere, anzi fu rallegrato da quel primo gesto d’intimità che partiva dal detective. Dopo il bacio certo. Il ricordo ancora gli faceva tremare le gambe. Fortunatamente a distogliere i suoi pensieri da ciò che probabilmente l’avrebbe portato a gesti inconsulti (tipo ripetere l’esperienza lì davanti a tutti) fu l’apertura delle porte che permettevano l’accesso all’interno della sala, per cui entrambi si mossero in quella direzione per prendere posto. Il braccio di Sherlock non accennò nemmeno per un secondo a volersi spostare dal suo corpo.

 
[1] Avete presente la scena in The Sign of Three in cui Sherlock si immobilizza di fronte alla richiesta di John di fargli da testimone? Ecco più o meno così!
   
 
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