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Autore: Roscoe24    20/08/2018    5 recensioni
“Ahi,” si lamentò, toccandosi la fronte. Ci sarebbe spuntato un bel bernoccolo, se lo sentiva.
“Oh santi numi!” sentì esclamare e poi di nuovo il botto metallico dello sportello che veniva chiuso. Alec aveva ancora le mani sulla fronte, quindi non poteva vedere chi fosse il suo interlocutore. La verità era che si stava vergognando così tanto di essersi comportato come un tale imbranato che non aveva il coraggio di togliersi le mani dal viso.
“Ehi, là sotto. Tutto bene?” lo sconosciuto appoggiò le mani sui polsi di Alec, il quale percepì il tocco caldo contro la sua pelle. Curioso, si liberò la faccia.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alec era certo che la prima volta che lui e Magnus si erano baciati fosse intorno alla fine di settembre, il 29 per essere precisi. Non sapeva se bisognasse contare quella data come quella effettiva per festeggiare (era il termine giusto?) il loro mezzo anno insieme. Soprattutto perché la mattina del 29 era la stessa in cui Alec e Magnus si erano visti in quella pasticceria e Magnus aveva esplicitamente detto che non era un appuntamento, ma solo due persone che prendono un caffè insieme. E se avesse fatto la figura dell’idiota, dando per scontato che quella data fosse la data giusta? Non avevano mai festeggiato niente durante questi mesi, perché quindi il 29 di marzo (che sarebbe arrivato solo nel giro di una settimana!) doveva essere diverso? Alec si chiese se non fosse il caso di lasciar perdere, mentre scansava il portatile, appoggiandolo ai piedi del materasso. Gettò la testa all’indietro, sul cuscino, e rimase a fissare il soffitto. Era una cosa stupida? Stava dando importanza ad una data che forse era anche quella sbagliata? Non lo sapeva. Una parte di lui gli suggeriva di lasciar perdere, un’altra – quella che ancora si sentiva in colpa per essersi dimenticato di San Valentino (quale essere umano normale dimentica la festa degli innamorati, quando è innamorato cotto del suo fidanzato?) gli suggeriva di inventarsi qualcosa di carino per rimediare. Sì, ma cosa? 
Si sollevò sui gomiti e lanciò un’occhiata al portatile: il salva schermo, con le bolle di sapone che partivano dal basso e volavano verso l’alto, sembrava volesse deriderlo e sbattergli in faccia la sua totale mancanza di inventiva. In altri casi, avrebbe chiesto consiglio ad Izzy, ma si trattava di Magnus e si era promesso di sforzarsi per trovare da solo qualcosa di carino per il suo ragazzo. Anche se, fino ad ora, andare a cercare su internet sorprese da fare al proprio fidanzato  non aveva portato a nulla di utile e gli aveva persino dato la sensazione di star barando.
Si accasciò di nuovo sul cuscino, esasperato. Il soffitto bianco ricambiava il suo sguardo e Alec ci si focalizzò, come se all’improvviso avesse potuto veder comparire delle parole nere scritte appositamente per lui, per suggerirgli la soluzione.
Parole, scritte nere su bianco.
Forse era quella la soluzione, pensò Alec, mentre si alzava dal letto e andava a recuperare il quaderno che gli aveva regalato Magnus.


Caro Magnus,
Anche se dovrei usare qualcosa che assomigli più a “Adorato,” o, visto che stiamo parlando di te, la cui modestia, lo sappiamo benissimo entrambi, è inesistente, “Magnifico,” ma sto andando fuori tema.
Ho deciso di scriverti una lettera, cosa che di questi tempi ti sembrerà antiquata, ma una volta mi hai detto che sei uno all’antica, in fondo, e credo di esserlo anche io, a modo mio.
Ti chiederai il perché di un gesto tanto insolito e, se avrai un po’ di pazienza, lo scoprirai.
È partito tutto da San Valentino, e sebbene tu sia stato comprensivo e dolce – come solo tu sai essere – riguardo la mia dimenticanza, volevo trovare un modo per rimediare.
Volevo trovare un modo per esprimerti cosa sei per me, nello stesso modo in cui tu hai fatto con me, regalandomi quelle rose, che hanno profumato camera mia per giorni interi, facendo starnutire Jace. Ancora non ho capito se sia allergico a tutto ciò che simboleggia manifestazioni di affetto o se sia semplicemente allergico ai fiori, ma questi sono dettagli irrilevanti, adesso. 
Devi sapere, caro Magnus, che sei tutto ciò che ho sempre desiderato, anche quando non sapevo cosa desideravo.
Sei un’epifania, che mi ha fatto comprendere che sei tu la parte mancante del mio cuore, quel pezzo che mi completa e che mi permette di vivere la vita in un modo diverso, migliore.
L’hai presa in mano, la mia vita, insieme al mio cuore insicuro, e hai reso la prima migliore, il secondo più forte. Perché non si sarebbe mai rafforzato, se tu non avessi incrociato il mio sguardo, quella mattina di settembre, facendolo iniziare a battere con un’intensità tale che temevo mi sarebbe esploso da un momento all’altro. Gli hai ridato vita, portandolo a muoversi ad un ritmo intenso e indomabile.
Indomabile. È di questo che si tratta… eri tu, sei sempre stato tu, l’unico, il solo. Colui che mi avrebbe fatto muovere il mondo intero, pur di raggiungerti, pur di averti al mio fianco. Non sarei riuscito a domare i miei sentimenti per te, a nasconderli, nemmeno se avessi impiegato tutte le mie forze. Questo perché ce n’era un’altra, dentro di me, molto più forte di tutte le altre: l’amore. Ti ho amato dalla prima volta che ti ho visto, senza rendermi effettivamente conto di farlo.
Ti ho amato quando mi hai compreso con una facilità disarmante.
Ti ho amato quando mi hai baciato, la prima volta, e ti amo un po’ di più ogni volta che continui a farlo.
Ti amo, sempre, quando stai al mio fianco.
Ti amo quando ti rannicchi contro di me e, assonnato, combatti contro Morfeo pur di provare a sentire la fine dei miei discorsi. Anche quelli senza senso. Per quelli ti meriteresti una medaglia, davvero.
Amo guardarti mentre fai ciò che ti piace, perché il tuo viso si illumina in un modo che ti rende ancora più bello. Il che dovrebbe essere umanamente impossibile, eppure è così. Sei tutto ciò che di spettacolare esiste al mondo. Persino la bellezza dei tramonti che ti piace tanto fotografare, impallidisce a confronto con la tua – esteriore e interiore.
Ti amo perché nonostante io sia una frana in certe cose, hai sempre avuto pazienza. E riesci a vedere oltre i miei difetti, forse amando anche quelli. Non lo so, sto diventando presuntuoso? Dici sempre che è una caratteristica che non mi appartiene, ma non ne sono molto sicuro, in questo momento, sai?
Non sono sicuro di moltissime cose, in realtà. Non so che tipo di uomo sarò, non so nemmeno se riuscirò a fare tutto ciò che mi sono prefissato di fare. La vita è imprevedibile e illuderci di poterla controllare è da sciocchi. Ma di una cosa sono sicuro: voglio te, ora e sempre. E ti amerò con tutto me stesso, adesso e per tutta la mia vita.
Tuo,
Alec.


“Cosa stai facendo?”
Alec sussultò, rischiando di scarabocchiare la lettera con la penna, la cui punta era ancora appoggiata alla carta. Chiuse velocemente il quaderno e alzò lo sguardo verso la porta. Jace lo sguardava con gli occhi socchiusi, le iridi bicromatiche vigili e indagatrici.
“Scrivo.”
“Questo lo vedo, non sono così idiota. Ma perché stai tutto rannicchiato sul tuo letto?”
Alec arrossì. “Perché sono più comodo.”
“Ingobbito e appollaiato come un avvoltoio? Non me la bevo.” Jace si avvicinò con un’agilità felina al letto di Alec, con le mani pericolosamente allungate verso il suo quaderno. Il maggiore ebbe la tentazione di morderlo, ma desistette e optò per qualcosa di meno animalesco. Tipo nascondere il quaderno sotto al cuscino e sedersi sopra di esso.
“Sono affari miei.”
Jace gli rivolse un sorrisetto da squalo. “D’accordo, Shakespeare. Come vuoi.”
Alec assottigliò lo sguardo e sostenne quello del fratello. Jace non era uno che mollava e non gli aveva mai dato un attimo di tregua in tutta la loro vita, quindi il maggiore sapeva che non era il caso di abbassare la guardia. Scese dal letto e recuperò le sue cose – quaderno compreso, ovviamente – e si diresse verso l’uscita della camera, per andare nello studio, dove avrebbe nascosto il quaderno in un posto che Jace non avrebbe mai trovato.

*

Alec aveva passato tutta la settimana fino al 29 marzo a chiedersi se la sua idea della lettera fosse una trovata carina o una schifezza assoluta. Era agitato come non mai, mentre sistemava i guantoni da boxe nel borsone. Era tardo pomeriggio e lui aveva appena finito il suo allenamento, mentre sapeva che Magnus era ancora impegnato al corso di fotografia. Se si fosse sbrigato a fare la doccia, avrebbe potuto raggiungerlo nella sua aula e fargli una sorpresa. Fissò la busta con la lettera che si trovava in una angolo del suo borsone. Era piccola, bianca, una normalissima busta. Era il contenuto che agitava Alec. Lui non era mai stato un tipo troppo espansivo e in quella lettera lo era stato assai, esponendosi più di quanto avesse mai fatto in vita sua. Questo un po’ lo preoccupava. Non sapeva se avesse esagerato, se fosse una cosa troppo sdolcinata. Non sapeva se Magnus avrebbe apprezzato, o se avesse visto quel gesto come un’azione fuori luogo.
C’è solo un modo per scoprirlo – pensò Alec, facendosi forza. Sì, poteva provare. Accantonò tutti i suoi dubbi e si diresse verso le docce dello spogliatoio, cercando di prepararsi un discorso decente che precedesse la consegna manuale della lettera.

Alec con le parole faceva schifo, aveva appena appurato. Il che era davvero una tragedia perché non si è mai visto un aspirante scrittore che fa schifo con le parole. Poteva dire a sua discolpa, però, che era una frana quando doveva parlare, mentre se doveva scrivere la cosa era un po’ diversa. O almeno, così voleva credere per non iniziare a dubitare delle scelte di vita sulle quali avrebbe voluto basare il suo futuro. Sospirò, concentrandosi su quello che stava per fare. Lavato e vestito – con dei jeans neri strappati sulle ginocchia e una maglietta grigia – si appostò davanti all’aula di Magnus. Secondo i suoi calcoli, avrebbe finito quell’ultima lezione pomeridiana tra tre minuti – un lasso di tempo che Alec avrebbe passato a cercare di preparare un discorso.
«Ehi Magnus. Prendi, questa è per te.» NO, terribile.
«Ciao Magnus. So che ti piace leggere, quindi ho scritto questa per te.» Assolutamente NO, questa era ancora più terrificante della prima. Ma che gli prendeva, santo cielo? Si era rincitrullito da un momento all’altro? Forse i colpi presi durante il nuovo allenamento stavano offendendo i suoi neuroni più di quanto si sarebbe mai aspettato. Si appuntò di chiedere al coach se ciò fosse possibile… Concentrati! Sì, sì giusto. Divagare e perdere tempo non sarebbe stato minimamente utile.
Allora, Magnus… Magnus e il discorso... Magnus e il discorso per consegnare la suddetta lettera. Quel discorso?
Oh, Gesù, Lightwood! Le botte in testa ti hanno reso un cretino.
Il rumore della porta dell’aula che si aprì distolse Alec dai suoi pensieri (e dalla voce accusatoria della sua coscienza), facendogli tornare una punta di panico. Fece un respiro profondo, ripetendosi mentalmente che sarebbe andato tutto bene, mentre guardava gli studenti uscire dall’aula. In ogni volto cercava quello di Magnus, ma senza risultati. Erano quasi usciti tutti quando Alec cominciò a chiedersi se Magnus fosse uscito prima, o se magari si fosse sbagliato e avesse confuso gli orari del suo ragazzo, ma poi una figura familiare attirò la sua attenzione.
“Magnus è ancora in aula.” Disse Imasu, che frequentava letteratura francese e fotografia con Magnus. Alec aveva l’impressione che avesse cominciato a seguire quest’ultimo corso per avere un’occasione in più di stare a contatto con il suo ragazzo, ma si era trattenuto dal farlo notare a Magnus perché non voleva fare la figura del fidanzato paranoico. Comunque, l’occhiata rassegnata che il peruviano lanciò ad Alec, gli fece pensare che forse aveva ragione. Da quando avevano smesso di fare finta di essere solo amici, cominciando a tenersi per mano anche a scuola e scambiandosi segni d’affetto di tanto in tanto, Imasu aveva cominciato a guardare Alec in modo strano. Non con astio, ma come se si fosse arreso all’idea che le sue chance erano davvero diventate nulle e in qualche modo invidiasse Alec per essere riuscito dove lui aveva fallito. Il ragazzo provò una sorta di dispiacere per l’altro, che sembrava davvero interessato a Magnus – forse era addirittura innamorato di lui – e che doveva accettare il fatto che stesse con qualcun altro.
Per un attimo, Alec si immaginò al suo posto: essere innamorato di Magnus, mentre questi era innamorato di qualcun altro – magari dello stesso Imasu – e sentì una fitta dolorosa al cuore, come l’ombra profonda di un’assenza di qualcosa di estremamente vitale per lui. Scacciò quel pensiero e rivolse ad Imasu un sorriso accennato. “Grazie.” Gli disse, prima di vederlo andare via.
Alec rimase sulla soglia qualche istante, indeciso sul da farsi, ma poi optò per entrare. L’aula di fotografia era diversa dalle altre. Era più ampia, lunga e larga rispetto alle aule normali. Alec si inoltrò in quel territorio a lui sconosciuto, facendo vagare lo sguardo sulle pareti, alcune spoglie altre piene di fotografie. C’erano dei banchi e dei treppiedi su cui erano appoggiate macchine fotografiche con degli enormi flash attaccati sopra ad esse, delle luci e un silenzio irreale, come se provenisse da un’altra dimensione. Alec si sentì quasi un estraneo, o un miscredente che invade qualcosa di sacro. Solo quando i suoi occhi colsero la figura di Magnus, china sopra ad un banco a sfogliare quello che aveva tutta l’aria di essere un album, quella sensazione di essere di troppo svanì. Un sorriso nacque spontaneo sul suo viso, nel momento esatto in cui Magnus appuntò qualcosa su un quaderno al suo fianco, in seguito ad un’esclamazione. Alec pensò che se fossero stati in un cartone animato, sopra alla testa del suo ragazzo adesso ci sarebbe stata una lampadina.
“Ehi, Steve McCurry.” Lo salutò Alec, attirando l’attenzione del ragazzo. Magnus alzò il capo dal suo quaderno e sorrise, sorpreso.
“Che ci fai qui?”
Alec si avvicinò al banco di Magnus e si sedette – gesto a cui il fotografo reagì chiudendo di scatto album e quaderno. Alec alzò un sopracciglio davanti a quel comportamento sospetto, ma decise di non dire nulla.
“Volevo farti una sorpresa. Ti ho disturbato?”
Magnus si sporse verso di lui e gli baciò una guancia. “Non disturbi mai. Soprattutto quando mi paragoni ad un’artista del calibro di Steve McCurry.”
Alec ridacchiò. “Che stavi facendo, a proposito?”
Magnus rimase sul vago, scrollando le spalle con noncuranza. “Nulla di che, sistemavo alcuni dettagli, aggiungevo idee nuove…”
“Quando devi consegnarlo?”
“Tra un po’. Ho ancora tempo…”
Alec annuì, ammutolendosi. Il suo sguardo cadde sul borsone poggiato a terra, vicino a lui. Doveva fare ciò per cui era venuto. Sì, anche se non aveva un discorso preparatorio. Non servivano, con Magnus. A volte bastava semplicemente che si guardassero per capirsi, quindi Alec non vedeva perché scervellarsi tanto per trovare qualcosa da dire, quando poteva semplicemente chinarsi, aprire il borsone, estrarre la lettera e consegnarla a Magnus.
Il ragazzo lo guardò per una frazione di secondo con le sopracciglia aggrottate, un’espressione buffa che lo fece assomigliare ad una civetta confusa. Alec sorrise davanti a quella reazione, sentendo tutta la sua apprensione scivolare via.
“Aprila.” Disse soltanto e Magnus fece come gli era stato detto.
Le sue dita affusolate ed anellate, aprirono delicatamente la busta, facendo attenzione a non strapparla brutalmente, e ne estrassero il contenuto.
Alec, nonostante tutto, trattenne il respiro, mentre gli occhi di Magnus vagavano sul foglio. Il silenzio li avvolse per istanti che ad Alec parvero infiniti. Si sforzò di non dare importanza a quella parte di lui che tornò ad agitarsi, mentre Magnus continuava a leggere.
“Alexander.” Affermò il fotografo quando ebbe finito, dopo istanti che ad Alec parvero eterni.
“C-cosa?” Balbettò, nervoso – perché quella parte di lui prese improvvisamente il sopravvento.
“Gli altri ti chiamano Alec. Per me sei Alexander.” Magnus si sporse per dargli un bacio a stampo, prima di prendergli il viso tra le mani. “Il mio Alexander.” Gli accarezzò le guance con i pollici, mentre lo guardava negli occhi come se fosse la cosa più bella del mondo. E in effetti lo era: la cosa migliore che gli fosse capitata. “Ti amo.” Gli sussurrò sulle labbra, prima di baciarlo dolcemente. Alec portò le sue mani sui polsi di Magnus, mentre rispondeva al bacio: sentì sapore di menta, mischiata alla sensazione appiccicosa e dolciastra del burro di cacao, e il suo cuore gli rubò una quantità di battiti che Alec non seppe definire, prima di riprendere la sua corsa. “Anche io.” Gli sussurrò, con gli occhi ancora chiusi, mentre appoggiava la fronte alla sua.
“Guardami.”
Alec obbedì, allontanandosi quel tanto da riuscire a vedere meglio Magnus – il quale spostò una delle mani dalla guancia alla bocca di Alec, dove tracciò il contorno delle labbra con il pollice; i suoi occhi seguivano quel movimento, notò Alec, come se Magnus riuscisse a leggere qualcosa che a lui stesso sfuggiva. Era come guardare un cieco che legge una poesia bellissima in braille, cogliendone un significato tutto suo, prezioso e particolare.
“Sapevi che era un appuntamento, quindi?” domandò dopo attimi di silenzio, riportando i suoi occhi ambrati su quelli di Alec.
“A dire la verità no.”
Magnus sorrise. “Lo era. Non volevo spaventarti chiamandolo così.”
Alec si sporse verso di lui per dargli un bacio sulla fronte. Rimase fermo, con le labbra a contatto con la pelle di Magnus, pensieroso. “Sei mesi, Magnus. Tutto ciò che è scritto in quella lettera è vero.”
“Lo so.”
“Mi hai capito anche in quel caso. Non hai affrettato niente. Potevi baciarmi, quella mattina, quando ci siamo salutati, ma non l’hai fatto.” Lo guardò negli occhi, andando a cercare la sua mano e intrecciando le loro dita.
“Avrei voluto farlo, ma volevo che lo volessi anche tu, così ho aspettato.”
“Non mi ci è voluto molto per capire che volevo farlo, comunque.”
Magnus ridacchiò. “No, è successo più in fretta di quanto mi aspettassi.”
Alec strinse la presa sulla mano di Magnus e sorrise. “Il fatto è che eri così bello. Ero curioso di sapere che sapore avessi.” Ammise, nonostante ricordasse benissimo che, se si erano baciati quella volta, era perché Magnus aveva fatto il primo passo, cogliendo dei segnali che Alec sperava gli fossero arrivati. Non era sicuro della sua capacità di flirtare. O meglio, era sicuro di non esserne capace, ma Magnus riusciva a capire anche i suoi impacciati segnali.
“Sono ancora bello, chiariamo. E puoi assaggiarmi quando vuoi.”
Alec arrossì e nascose il viso nell’incavo del collo del maggiore, il quale usò la mano libera per andare ad accarezzare i capelli dell’altro, all’altezza della nuca. “Mi dispiace essermi dimenticato di San Valentino.” Sussurrò Alec, dopo qualche istante passato sotto le carezze amorevoli di Magnus.
“Lo so, ma ti ho già detto che non importa. E nel caso, penso che siamo pari, no? Mi hai scritto una cosa dolcissima, amore.”
“Ti è piaciuto davvero? Non è… non è un po’ troppo?” domandò Alec, il viso ancora nascosto, la voce che uscì un tantino ovattata.
Magnus si lasciò andare ad una risatina affettuosa. “Troppo è il mio secondo nome.”
Alec, a quel punto, alzò il viso, così vicino a quello del suo ragazzo che i loro nasi si sfiorarono, e lo guardò con un’intensità tale che a Magnus mancò il respiro. Non dissero altro, rimasero soltanto a guardarsi per lunghi attimi, o forse per un attimo soltanto. Il tempo perdeva il suo ritmo davanti ai loro sguardi, quasi come se dovesse arrendersi al fatto che, se si trattava di loro due, non era più il sovrano indiscusso della realtà. Sembrava che perdesse ogni supremazia divina, davanti ai loro giochi di sguardi; davanti al loro amore così puro, che persino Crono doveva inchinarsi a tale bellezza, abbandonando tutte le sue leggi, antiche come la Genesi stessa.
Niente tempo, niente mondo circostante, solo Alec e Magnus, occhi negli occhi.

*

Magnus era assente. O meglio, la sua mente lo era. Fisicamente era proprio vicino a Catarina, seduto all’enorme tavolo situato al centro dell’aula usata dal comitato che organizza eventi, che quel pomeriggio era rappresentato solo da tre persone. Il tema era il ballo di fine anno, ovviamente, al quale mancavano due mesi. Non andava ad un ballo scolastico da… beh, da un bel po’ e aveva scoperto che quest’anno ci teneva particolarmente. Non tanto perché avrebbe contribuito lui stesso alla creazione di qualcosa di straordinario, quanto piuttosto perché voleva andarci con Alexander. Aveva già pensato a come chiederglielo, ma non trovava il coraggio. Cosa nuova, questa, per lui, che tendenzialmente prendeva il toro per le corna senza pensarci un attimo. Ma questa volta era diverso: si trattava di Alexander e voleva che tutto fosse perfetto. Pensò a come era stato facile per Isabelle: a lei era bastato chiedere a Simon se poteva aiutarla a togliersi l’enorme felpa che stava portando e una volta privata dell’indumento, aveva mostrato un’aderente canottiera piena di paillettes che formavano la scritta: prom? – Simon si era messo a ridere e l’aveva abbracciata di slancio, accettando la proposta tra un bacio e l’altro. Quell’anno dovevano essere i ragazzi ad invitare le ragazze, ma Isabelle Lightwood era abbastanza fuori dagli schemi per sorpassare le regole convenzionali e prendere le redini della faccenda. A Magnus piaceva anche per questo.
Una cosa che non gli piaceva, invece, era il timore che l’idea che aveva avuto lui per chiedere ad Alexander di andare al ballo insieme si trasformasse in una catastrofe.
Se ha vuelto sordo? Non bastava che fosse già estúpido!”
La voce di Raphael distolse Magnus dai suoi pensieri, facendo portare la sua attenzione sull’amico. Santiago, vestito di nero anche ad aprile, lo fissava con i suoi profondi occhi scuri, mentre Catarina gli riservava un’occhiata tra l’interrogatorio e il preoccupato. “Magnus, non rispondi alle nostre domande. Va tutto bene?”
“Certo! Perché non dovrebbe?”
Eso te callas. E tu non stai mai zitto!”
Magnus guardò l’amico con gli occhi ridotti a due fessure. “Fingerò di non cogliere una nemmeno troppo sottile accusa di essere logorroico, così come fingerò di non averti sentito darmi dello stupido.”
“Magnus…” intervenne Catarina, con tutta la pazienza di cui era capace, mentre si scostava una delle treccine che adornavano il suo capo dietro all’orecchio.
Magnus guardò la ragazza, consapevole che gli avrebbe fatto vuotare il sacco in un modo o nell’altro, e sospirò. “Tutti questi preparativi mi fanno pensare ad Alexander.”
Por el amor de Dios!” sbuffò Raphael, alzando gli occhi al cielo e portandosi i palmi in faccia con esasperazione. “Non gliel’hai ancora chiesto?”
“No, genio, altrimenti non sarei angosciato, ti pare?”
Darse prisa, allora, o qualcuno glielo chiederà al posto tuo. E fossi in lui accetterei anche l’invito di Godzilla, pur di non avere a che fare con te per qualche ora.”
“RAPHAEL!” esclamarono all’unisono Magnus e Catarina, ottenendo come unica reazione da parte dell’interessato una scrollata incurante di spalle.
“Che volete?” Commentò annoiato Raphael. “Ho solo detto la verdad.
“Come se passare del tempo insieme a te fosse piacevole.”
Catarina si massaggiò la radice del naso. A volte avere a che fare con quei due la snervava più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. “Adesso finitela. Mancano due mesi al ballo, dobbiamo ancora organizzare un mucchio di cose, gli altri membri di questo comitato non prendono la cosa seriamente, saltando la maggior parte degli incontri, e la Herondale mi sta con il fiato sul collo.” Fissò i suoi occhi castani su Magnus. “Chiedi ad Alec di venire con te, dirà di sì in ogni caso.” Poi guardò Raphael. “E tu, mostra un po’ di empatia, a volte.”
“Sì, signora.” Dissero all’unisono i due ragazzi, mesti.
“Bene. Adesso sfornate qualche idea grandiosa!”

*

Magnus stava seduto sugli spalti della palestra della scuola. Era passata una settimana da quando aveva avuto quella conversazione con Catarina e Raphael riguardo invitare Alexander al ballo, ma, ancora, non gli aveva chiesto niente. Il fatto era che ogni volta che provava a convincersi che quello era il giorno giusto, qualcosa lo faceva ricredere.
«Sai come si chiama questa, hermano? Nella tua lingua si dice codardia.»
«Non per essere pignoli, ma è la mia
seconda lingua. E comunque, non accetto consigli da uno che pur di non avere contatti umani, quella sera, si è offerto volontario per gestire la sicurezza.»
Raphael sapeva sempre tirarlo su di morale, insomma. Era davvero stimolante avere a che fare con un raggio di sole come lui. Un arcobaleno, proprio.
Magnus appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si mise la testa fra le mani, mentre seduto in palestra ripensava a quella conversazione avuta con l’amico solo due giorni prima. Comunque, doveva ammettere che la brutale sincerità di Raphael aveva colto nel segno: Magnus si stava comportando da codardo. Perché poi? Aveva paura che Alexander gli avrebbe detto di no? Non era mica una proposta di matrimonio! Se anche avesse rifiutato, non significava mica che non lo amava più! Poteva semplicemente stare a significare che non era un amante di quel genere di eventi… e questo spiegava anche perché Alec non gli avesse ancora chiesto niente. Non perché non era interessato a lui, ma perché non era interessato al ballo.
Certo, gioia. Convinciti pure che non hai una specie di paura mortale riguardo al fatto che pensi che non gli interessi stare con te.
La voce della sua coscienza aveva centrato il punto: Magnus era terrorizzato all’idea che Alec, nonostante tutto, avesse remore ad andare a quel ballo. Sarebbe stato un evento pubblico, pieno di coppiette che ballano lenti, si tengono la mano e pomiciano vicino alle uscite di sicurezza. Si sentiva uno sciocco a pensarlo, soprattutto per il cambiamento che era avvenuto in Alexander dopo aver fatto coming-out con la famiglia, ma… ma continuava a pensare che erano due ragazzi e se quell’anno toccava ai ragazzi  fare formalmente un invito, perché il suo non gli aveva ancora proposto niente?
Nemmeno tu gliel’hai chiesto, perché sei un cabrón codardo.
Perché Raphael doveva insultarlo anche quando non era lì con lui? Ma, soprattutto, da quando Raphael era nella sua testa? Santo Cielo, doveva smettere di ascoltare i suoi pareri perché, apparentemente, erano più influenti di quanto si aspettasse. Tanto da riportarlo quasi sulla via della razionalità.
Quasi, chiariamo.
Il giorno in cui Magnus Bane userà totalmente Raphael Santiago come voce ufficiale della sua coscienza, sarà il giorno in cui dovranno internarlo in una struttura psichiatrica con un’urgenza immediata.
Comunque non aveva tutti i torti. Nemmeno lui gli aveva ancora chiesto niente e di certo non era perché non voleva andarci. Solo non riusciva ancora a trovare il momento adatto.
Forse per Alexander era la stessa cosa…
“Magnus!”
Il ragazzo sussultò sentendosi chiamare dalla voce euforica di Clary. Le partite del suo ragazzo la mettevano sempre di buon umore. Mentre a Magnus non interessava granché parteciparvi, soprattutto se Alexander non era con lui a fare il tifo per il fratello, ma quel giorno il suo ragazzo aveva un allenamento extra con il coach Garroway, quindi era impossibilitato a raggiungerli. In realtà erano meno del solito: normalmente, alle partite dei Nephilim partecipava quasi tutta la combriccola, ma quel giorno erano solamente Magnus e Biscottino. Raphael sprizzo-allegria-da-tutti-i-pori Santiago stava aiutando Simon (nessuno gli dica che l’ha chiamato con il suo vero nome, altrimenti si monta la testa, credendo di essere diventato improvvisamente importante) con lo spagnolo perché a quanto pareva, non riusciva proprio a parlarlo come si deve; Isabelle stava scrivendo una tesina per il suo corso di chimica avanzata, mentre Catarina era impegnata con la tipografia addetta alla stampa dei volantini per il ballo.
Rimanevano solo lui e Clary, la quale, con indosso un adorabile vestitino giallo con le maniche a tre quarti, abbinato a delle Converse alte e bianche, si era appena seduta vicino a lui.
“Ciao, biscottino.”
Clary gli rivolse un sorriso, sistemando dietro all’orecchio una ciocca di capelli ramati fuoriuscita dalla treccia. “È tanto che mi aspetti?”
“No, stai tranquilla. Trace ha guardato in questa direzione trecento volte. Forse era preoccupato che non venissi.”
Jace, Magnus.” Lo rimproverò bonariamente la ragazza. “Gli avevo assicurato che sarei venuta. Non capisco perché si agita tanto.”
“Eri presente alla prima partita, dove hanno vinto. Ed eri presente anche a tutte le partite in cui hanno vinto. L’unica volta che non c’eri, hanno perso. Devo ricordarti quanto sono superstiziosi gli atleti, mia cara?”
Clary si lasciò andare ad una risata. “No, non serve. Lo tengo sempre bene a mente.”
Magnus stava per dirle che, comunque, era più che sicuro che, superstizioni a parte, Jace teneva davvero a vederla, ma la palestra cadde improvvisamente nel buio. Prima che gli studenti entrassero nel più completo panico, però, un cono di luce illuminò il centro della palestra, dove uno stereo, comparso da chissà dove, stava trasmettendo una canzone che Magnus non conosceva, ma Clary si, evidentemente, perché trattenne rumorosamente il respiro.

I am caught off-guard by you
Like a wave, I'm pulled into
It's a feeling I can't fight
Like a wildfire, deep inside

You're taking my heart, by storm
I'm lost in your love, lost in your love
I can't hold back anymore
I'm lost in your love, lost in your love
You're taking my heart, by storm
You're taking my heart
You're taking my heart, by storm
You're taking my heart

E mentre la canzone proseguiva, piano piano nuovi coni di luce andavano ad illuminare ad uno ad uno i giocatori della squadra di basket, i quali indossavano una maglietta bianca con una lettera rossa ciascuno: P, il primo; R, il secondo; O, il terzo ed M il quarto.
Clary aveva le guance rosse e il cuore che le martellava nel petto. Si rese conto che in palestra erano state riaccese le luci solo perché un boato che si levò dalla folla di studenti le fece dare uno scossone. Non vedeva altro, se non Jace in fondo agli spalti con una maglietta bianca addosso, uguale a quella dei suoi compagni, su cui, però era stampato un punto interrogativo. Il ragazzo la guardava con un sorriso – sghembo e sicuro di sé allo stesso tempo – e un mazzo di girasoli (i suoi fiori preferiti) in mano, in attesa di una risposta. Come se non fosse ovvio che gli avrebbe detto di sì. Clary si alzò dagli spalti e quasi corse giù da essi, rischiando di inciampare sull’ultimo gradino. Jace la afferrò per la vita e lei gli buttò le braccia al collo, baciandolo di slancio, con tutta se stessa. Un gesto che fece impazzire la palestra. Se non fosse stata così presa da quella proposta, forse si sarebbe lasciata andare all’imbarazzo per essere al centro dell’attenzione; forse avrebbe prestato attenzione al rossore che stava colorando le sue guance e si uniformava sicuramente ai suoi capelli. Ma non riusciva a prestare attenzione ad altro che non fosse il suo ragazzo, che le stava ancora stringendo la vita e la stava baciando con un’intensità tale da farle girare la testa.
“Devo dedurre sia un sì?” Le domandò Jace con il fiatone, appoggiando la fronte alla sua.
“Hai usato la nostra canzone. Posso dirti di no di fronte ad un tale colpo basso?”
Jace rise. “Pensavo che il colpo basso sarebbe stato il mio faccino mozzafiato, a cui non sai resistere.”
Clary alzò gli occhi al cielo e gli diede uno schiaffetto giocoso sulla spalla. “Sbruffone.”
“Mi ami anche per questo. Allora, è un sì?”
La ragazza lo guardò con amore, come se avesse davanti la cosa più importante della sua vita. E in effetti era così. Amava quel ragazzo con tutta se stessa, in un modo così profondo che a volte le faceva paura. “Certo che è un sì.” Affermò, prendendo il mazzo di fiori che le veniva porto. Non ebbe il tempo di guardare i girasoli con attenzione perché Jace la abbracciò sollevandola da terra e facendole fare un giro completo, prima di rimetterla giù e urlare a tutta la palestra: “Ha detto sì!” scatenando un fiume di risate.
Era stato un gesto plateale, Clary lo sapeva, ma era stato anche romantico. Gli diede un bacio sulla guancia e gli augurò buona fortuna, prima di tornare sugli spalti vicino a Magnus, che aveva un grosso sorriso sulle labbra.
“È stato…”
“Esagerato, lo so.”
“Sì, una cosa molto alla Jace, del tipo guardatemi, ho una ragazza bellissima e voglio urlarlo al mondo, sfigati! Ma è stato anche molto dolce. Non pensavo che Biondino fosse avvezzo alle manifestazioni d’affetto.”
Clary guardò i fiori e poi cercò con gli occhi Jace, guardandolo con adorazione. “Lo è. Non immagini quanto.”
Magnus, mentre guardava l’amica che teneva ancora lo sguardo fisso sul suo ragazzo, decise che avrebbe fatto il primo passo con il proprio. Avrebbe chiesto ad Alexander di andare al ballo con lui e l’avrebbe fatto a modo suo.

*

Era un lunedì mattina. Magnus lanciò l’ennesimo sguardo all’orologio affisso alla parete della sua aula di biologia per la centesima volta nel giro di cinquanta secondi. Quella dannata lancetta non aveva la minima intenzione di arrivare a segnare le tre del pomeriggio, ora che segnava la fine delle lezioni e la messa in atto del suo piano. Era passata una settimana da quando Jace aveva fatto la proposta a Clary – sette giorni e ancora non si parlava d’altro che di quello, di quanto fosse stato romantico Jace, di quanto Clary fosse fortunata. Quella proposta era finita tra le Instragram Stories di almeno metà dei suoi compagni di liceo – tutte ragazze, ovviamente, che esprimevano il loro desiderio di ricevere un gesto simile, un giorno.
Sbuffò. Il tempo sembrava si fosse dilatato, rallentando all’infinito e lasciandolo con i suoi pensieri: Alec era distante, in quel periodo, e nel week-end passato non si erano visti, limitandosi semplicemente a qualche messaggio, dove il suo ragazzo gli diceva che i nuovi allenamenti lo stavano impegnando moltissimo e stancando più di quanto si sarebbe aspettato. C’era qualcosa di strano, secondo Magnus, ma non voleva saltare a conclusioni affrettate, finendo per fare la figura del fidanzato paranoico. Quindi, ignorando quella vocina nella sua testa che gli suggeriva di chiedere spiegazioni, Magnus decise che quel pomeriggio avrebbe portato a termine il suo piano “Proposta per Alexander” – che detta così suonava tanto come una proposta di matrimonio, con tanto di Magnus munito di anello e inginocchiato davanti ad Alec.
Il suono della campanella lo estraniò dai suoi pensieri e Magnus raccolse le sue cose così in fretta che ebbe l’impressione di essere una specie di aspirapolvere. Segnò velocemente sull’ultimo quaderno che non aveva ancora messo nella sua tracolla i compiti che il professore stava dettando e poi, dopo aver ficcato l’oggetto nella borsa, uscì dall’aula quasi volando. Il corridoio di quella scuola non gli era mai sembrato così lungo e affollato. Sembrava che gli studenti lo intralciassero di proposito, rallentando la sua corsa. Impiegò quasi due minuti in più a raggiungere l’aula di storia di Alexander e fece appena in tempo a vederlo uscire.
Il ragazzo gli andò in contro con un’espressione a metà tra il sorpreso e il preoccupato. “Perché hai il fiatone?”
Magnus si mise una mano sull’addome, appuntandosi mentalmente di ricominciare a correre, il sabato mattina, perché evidentemente la palestra e lo yoga non bastavano. “Ho corso. Volevo venire da te.”
Alec si sporse per lasciargli un fugace bacio a stampo. “Ma dovevamo vederci fuori, ricordi?”
Magnus annuì. “Sì, ma ho cambiato idea. Dovresti venire con me.” Ripreso totalmente fiato, infilò una mano nella sua borsa a tracolla e ne estrasse un foulard grigio.
Alec guardò quell’indumento con scetticismo. “Cosa vuoi farci con quello?”
“Legartelo intorno agli occhi.”
Le sopracciglia di Alec schizzarono in alto. “Vuoi rapirmi?”
“Non dire sciocchezze, zuccherino. Voglio solo farti una sorpresa.”
“E mi devi bendare?”
Magnus gli rivolse uno sguardo di bonario rimprovero. “Amore, sai cosa vuol dire sorpresa, o devo cominciare a dubitare che la tua intelligenza stia degenerando?”
Alec ricambiò quello sguardo con uno risentito. “La mia intelligenza sta benissimo.”
“Sono felice di sentirlo, tesoro. Adesso, lasciati bendare.” Sorrise ferino Magnus.
Alec si arrese e si voltò, dando le spalle al suo ragazzo in modo che si alzasse un tantino sulle punte dei piedi per riuscire a bendarlo. “Fatto, caramellina. Adesso, seguimi.” Lo prese per mano e lo condusse lontano dall’aula di storia.

Camminarono per un po’. Alec aveva ancora gli occhi bendati e l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi erano le dita di Magnus intrecciate alle sue. Sentiva il cuore che si agitava, cercando di indovinare quale potesse essere la sorpresa, ma prima che Alec lo potesse chiedere, Magnus si fermò, facendo fermare di conseguenza anche lui.
Alec rimase in silenzio, mentre percepì una mano di Magnus appoggiarsi al centro della sua schiena. “Cammina, tesoro. Ci siamo quasi.”
Alec non fece domande, nonostante ormai la sua curiosità fosse a mille. Cercò di indovinare dove si trovassero, ma non c’era nessun indizio utile che potesse aiutarlo: erano circondati dal silenzio e l’aria non aveva un odore particolare, o almeno il luogo in cui si trovavano non aveva un profumo che risvegliasse nella sua mente un particolare ricordo. Erano ancora a scuola, comunque. Di questo ne era certo.
“Sto per toglierti la benda. Non ti nascondo la mia agitazione, muffin…”
“Tu, agitato?” domandò sorpreso Alec, gli occhi ancora bendati. Sentì Magnus muoversi, spostandosi davanti a lui. Non poteva vederlo, ma riusciva a percepire la sua presenza: il suo profumo, il calore emanato dalla sua pelle, così familiare che lo portò istintivamente ad alzare una mano per andare a toccare il viso di Magnus. Non aveva bisogno di vederlo per sapere a che altezza porgere la mano: aveva accarezzato quel viso così tante volte da conoscerne ogni dettaglio, ogni sfumatura. Conosceva i lineamenti di Magnus a memoria e nemmeno se improvvisamente avesse perso la vista, avrebbe potuto dimenticarli.
Dopotutto, è impossibile dimenticare il sole. L’unica differenza che c’era tra la stella più importante della galassia e il viso di Magnus era che quest’ultimo non feriva gli occhi.
Alec sentì Magnus sporgersi verso la sua mano, appoggiando la guancia al suo palmo.
“Mi capita di esserlo, quando tengo molto a qualcosa.”
Alec abbozzò un sorriso e sentì Magnus sospirare. “D’accordo. Adesso te la tolgo.” Il maggiore lasciò la propria posizione per andare nuovamente dietro ad Alec e sciogliere il nodo che aveva fatto al foulard. Alec, nonostante non avesse passato troppi istanti al buio, si trovò comunque a battere le palpebre un paio di volte per riabituare gli occhi alla luce e quando lo fece rimase letteralmente senza parole, capace solo di guardarsi intorno.
Erano in un’aula che Alec non aveva mai visto e che forse veniva usata come riserva per il corso di fotografia. Quella stanza era piena, zeppa, di foto sue. Ce n’erano di varie dimensioni, alcune incorniciate, altre grosse quasi mezza parete, appese come se fossero dei quadri, altre ancora erano di medie dimensioni e appoggiate sui treppiedi. Alec balbettò qualcosa di incoerente non trovando parole adatte ad esprimere ciò che provava adesso: aveva sempre odiato guardarsi e le poche volte che lo faceva, il riflesso che vedeva allo specchio non gli piaceva per niente, ma adesso era diverso. Era come se riuscisse a guardarsi attraverso gli occhi di Magnus e attraverso il suo modo di vedere la vita e le persone, tutto migliorava, compreso Alec. Una foto in particolare attirò l’attenzione del ragazzo: lo ritraeva il giorno dell’incontro contro Monroe, durante una pausa tra i round. Alec dava le spalle all’avversario, mentre teneva la testa bassa, in direzione del coach fuori dal ring. Le braccia lasciate lungo i fianchi, i muscoli ancora tesi, le mani coperte dai guantoni e il viso mezzo tumefatto dai colpi presi. I colori erano vividi, in un perfetto gioco di luci; lo sfondo era sfumato, mentre il ring e in particolar modo Alec erano messi a fuoco. Avvicinatosi maggiormente alla foto, Alec notò che i dettagli del suo viso – nonostante ad una prima occhiata potesse sembrare la cosa più nascosta, dal momento che guardava verso il basso – erano ciò su cui si era concentrato Magnus. Come fosse stato possibile, Alec non lo sapeva, ma si notavano: il taglio sullo zigomo, il livido violaceo che stava comparendo sotto l’occhio e il labbro offeso. 
“Ti prego di’ qualcosa.”
Alec si voltò verso Magnus, che lo guardava con gli occhi colmi di apprensione. “È bellissima.” Sussurrò.
Magnus sospirò di sollievo e si avvicinò alla foto, mettendosi al fianco di Alec. Le loro spalle si sfioravano. “È una delle mie preferite.” Il fotografo fece passare gli occhi sulla fotografia un istante, prima di voltarsi verso Alec. “Questo è il mio progetto.”
“Io che prendo colpi?”
Magnus abbozzò un sorriso, ricambiando quello che era comparso sul viso del suo ragazzo. “Ovviamente no. Ma tu sei il mio progetto, tutto ciò che ti riguarda. Hillton, il mio professore, voleva qualcosa che ci ispirasse e… ricordi cosa ti ho detto, in una delle nostre prime uscite?”
Alec annuì. “Che vuoi fotografare la quotidianità perché pensi che sia quella che mostri davvero ciò che ci rende umani e evidenzi il modo in cui affrontiamo i problemi.”
Magnus sorrise, sentendo il cuore che si dilatava: nonostante ne avesse la certezza, era comunque bello avere conferma che Alec lo ascoltasse davvero. “Esatto. Ti ho fotografato a quell’incontro perché potevi arrenderti. All’inizio ti stava massacrando ed era una sofferenza starlo a guardare mentre infieriva su di te. Quando è suonata la campanella del primo round, potevi chiedere al coach di gettare la spugna, ma non l’hai fatto. Hai visto un problema e l’hai affrontato, hai combattuto, come fai sempre. E quei segni sul tuo viso sono ciò che testimoniano la tua tenacia.”
Alec sentì gli occhi umidi. “Mi vedi così?” chiese in un sussurro.
“Ti vedo per quello che sei, Alexander.” Magnus sorrise e alzò una mano per indicare una foto vicino a quella appena esaminata. Ritraeva Alec e il coach: Luke stava alzando il braccio di Alec vincitore, entrambi si stavano concedendo un sorriso per festeggiare quella vittoria.
“I-io… i-io non so davvero cosa dire, Magnus. È una cosa… importante. Nessuno mi ha mai visto così.”
Magnus lo prese per mano. “Tu non ti sei mai visto così. Non vuol dire che gli altri non lo facciano.”
Alec usò la mano che Magnus teneva nella sua per tirarlo a sé e abbracciarlo forte, in una stretta decisa e devota.
“Vieni, voglio farti vedere un’altra cosa.”
Alec sciolse l’abbraccio e annuì. Magnus lo prese nuovamente per mano, guidandolo attraverso quel labirinto di foto. Ce n’erano veramente moltissime: ce n’era una che ritraeva Alec in biblioteca, la fronte corrugata e una matita tra le labbra, mostrando quante energie impiegasse a cercare di capire dei concetti che all’inizio sembrano davvero complicati; c’era Alec che saltava la corda, il viso contratto in una smorfia; un’altra ancora che lo ritraeva di spalle, le braccia appoggiate alla parete, sopra alla testa, e la schiena nuda, le mani coperte dalle fasciature, ma senza guantoni. Era in bianco e nero. Alec ricordava benissimo quel giorno: primo allenamento da peso massimo, non era riuscito a svolgere a pieno l’esercizio che il coach gli aveva assegnato e in un attimo di pausa, si era lasciato prendere dallo sconforto, appoggiando la fronte alla parete fredda della palestra. Gli piaceva quella foto, che rappresentava molto il concetto che voleva esprimere Magnus. Gli ci erano voluti giorni interi per perfezionare quel movimento di gambe, ma alla fine ci era riuscito.
Il suo sguardo vagò ancora, mentre camminava al fianco di Magnus, sempre mano nella mano. Le foto variavano dal bianco e nero, ai colori più vivaci. E in tutte, c’era il viso di Alec. In alcune era serio, ma ce n’erano altre dove sorrideva, senza mai però guardare l’obiettivo. Scatti rubati, ma che sembravano tratti da un photoshoot. Magnus era davvero dotato.
“Chiudi gli occhi.” Disse Magnus e Alec lo guardò con le sopracciglia aggrottate in una silenziosa domanda.
“Andiamo, zuccherino. La vera sorpresa è proprio dietro quel lenzuolo.” Magnus indicò un treppiede coperto, la sagoma quadrata celata sotto di esso suggeriva la presenza di una foto incorniciata.
Alec era divorato dalla curiosità, ma obbedì. Sentì un fruscio d’aria, segno che il lenzuolo era stato sollevato, ma aspettò comunque che fosse Magnus a dirgli di aprire gli occhi, cosa che fece quasi subito.
Ciò che gli occhi di Alec videro, fece accelerare il suo cuore in una maniera disumana. Lo sentiva battere forte in petto, rimbombare nelle orecchie e arrivargli fino ai polpastrelli. Era una foto. No, era la foto. La prima che si erano fatti insieme, quella che Alec aveva guardato fino a conoscerla a memoria e che continuava ancora a guardare, di tanto in tanto. Sorrideva, timidamente, lo sguardo basso, mentre Magnus gli lasciava un bacio sulla guancia. Le loro mani, intrecciate a creare qualcosa che avrebbe sempre fatto agitare il cuore di Alec come se fosse stato una zattera in mezzo ad un oceano indomabile. Amava quella foto tanto quanto amava Magnus. Era davvero bella.
“Prendila. È tua.”
“Posso, davvero?”
Magnus annuì. “Ho pensato che adesso che hai fatto coming-out e che la tua famiglia ha accettato la mia presenza nella tua vita, potresti tenerla. Niente più cartelle nascoste nel cellulare.”
Alec gli sorrise pieno di gratitudine e dolcezza. Si avvicinò alla foto e allungò le mani per afferrarla. Non era gigantesca, ma nemmeno grossa come una normale fotografia. Era media, di quella grandezza apposita per venire attaccata ad una parete.
“Girala.”
Alec, concentrato nella contemplazione della foto, pensò di aver sentito male. “Come?”
“Girala.” Ripeté allora Magnus, una punta di agitazione tornò a farsi strada nel suo tono.
Alec lo guardò un attimo e notò nello sguardo del suo ragazzo un’esortazione a fare ciò che gli aveva suggerito, così girò la foto. Gli si mozzò il respiro senza che se ne rendesse effettivamente conto.
Prom?
Alec passò lo sguardo da quella domanda, scritta dietro la foto, a Magnus, che teneva il labbro inferiore stretto tra i denti, più agitato di quanto volesse mostrare.
Il cuore di Alec arrestò momentaneamente la sua corsa impazzata solo per riprendere a battere ancora più furioso. “Sì.” Disse solo, e Magnus quasi si gettò su di lui, tanta era l’urgenza che aveva di baciarlo. Alec sorrise sulle labbra del proprio ragazzo, mentre ricambiava quel bacio, dolce ed esigente allo stesso tempo, proprio come era Magnus.
“Mi hai battuto sul tempo.” Confessò Alec, quando si separarono. “Volevo chiedertelo io. O almeno, trovare un modo adeguato per chiedertelo.”
Magnus ricollegò tutto all’istante. “È per questo motivo che da qualche giorno sei strano?”
Alec annuì. “Lo scorso week-end, l’ho passato con Izzy per elaborare una strategia, ma niente di quello che proponeva mi sembrava adatto. E ovviamente lei aveva da ridire su quello che proponevo io, quindi ero ad un punto morto.”
Magnus si aprì in un sorriso tenero al pensiero di Alec che si scervella per trovare il modo giusto di chiedergli di andare al ballo insieme. “Pensavo non volessi andarci, ecco perché ero un po’ agitato.”
“Non dire assurdità, Magnus. So quanto ti piacciono queste cose, non volevo assolutamente che te lo perdessi. In più, lo stai organizzando tu, quindi…”
Magnus lo baciò di nuovo. “Sei un tesoro, lo sai?”
Alec arrossì repentinamente e gli lasciò un bacio a stampo. “Anche tu lo sei.”  
Magnus abbozzò un sorriso e ripensò ai suoi timori, al fatto che una parte di lui temeva che Alexander non volesse chiederglielo perché sarebbe stata una cosa estremamente esplicita e si sentì in colpa. Non avrebbe mai dovuto farsi sfiorare da quel dubbio.
“Mags, che hai?” gli domandò Alec, notando il cambiamento di espressione sul viso dell’altro.
“Niente, è che…” Sospirò, ma poi optò per dirgli tutto. “…avevo paura non volessi chiedermelo perché, sai, sarebbe stato… inequivocabile.”
“Anche prenderti per mano in pubblico è un gesto inequivocabile.”
“Lo so, ma…”
“Magnus.” Lo interruppe Alec, prendendogli il viso tra le mani. Lo capiva benissimo. Avevano passato la maggior parte della loro storia a fare attenzione ad occhi indiscreti e Magnus l’aveva fatto solo ed esclusivamente per lui. Aveva accettato le condizioni di segretezza di Alec, senza dire una parola. Ma per uno che vive la sua sessualità apertamente da anni, era normale che adesso avesse questo tipo di timori, riguardo a qualcuno che invece, aveva appena cominciato ad ammettere ad alta voce quale fosse la verità. “I tempi in cui ti chiedevo di essere discreti sono finiti. Non voglio nascondermi più.”
“Non voglio che ti senti forzato.”
“Non mi ci sento. Ti amo, Magnus. Per quanto mi riguarda, possono saperlo tutti.”
Magnus rise e si sporse per baciarlo. “Vuoi solo vantarti di me, ammettilo.”
Alec arricciò le labbra, picchiettandosi il mento con l’indice in una studiata espressione pensosa. “Sì. Si, penso proprio che sia così.” Si chinò per dargli un altro bacio, che Magnus ricambiò volentieri. “Mi dispiace averci messo tanto.” Sussurrò il minore, facendosi più serio.
“Ci hai messo il tempo di cui avevi bisogno. E va bene così. Dispiace a me di aver dubitato del fatto che ormai sei pronto.”
Alec abbozzò un sorriso, alzando solo un angolo della bocca e appoggiò la fronte a quella di Magnus.
Era davvero pronto.
A tutto.
Alle mani intrecciate in pubblico, ai baci scambiati senza aver timore di essere visto, o senza dover contare la loro lunghezza; agli abbracci affettuosi. 
Alec non aveva più paura, di niente – e questo lo faceva sentire forte come mai si era sentito in tutta la sua vita.
Era una sensazione a cui non avrebbe rinunciato per nulla al mondo.


*

“Possiamo tutti concordare che sono il Lightwood che ha più stile, giusto?”
“Tu sei solo il Lightwood più spocchioso.”
“Pff, come se tu non lo fossi!”
“Rimangiatelo!”
“La verità fa male, Izzy, ma è sempre meglio di una comoda bugi- AHI, perché mi picchi?”
“Perché te lo meriti!”
Alec osservò i suoi fratelli bisticciare. Era pomeriggio e si trovavano in sala da pranzo perché volevano studiare tutti e tre insieme e quella era l’unica stanza che avesse un tavolo abbastanza grande da riuscire a ospitare tutti. Il fatto era, però, che avevano finito per distrarsi, cominciando a chiacchierare del più e del meno ed Izzy, ovviamente, aveva tirato fuori l’argomento ‘ballo’ perché non aveva ancora avuto il tempo di cominciare a cercare il vestito perfetto. Alec le aveva suggerito di scegliere uno dei vestiti che aveva nell’armadio e che ancora portavano il cartellino, ma lei l’aveva guardato come se fosse un eretico da bruciare sul rogo e quindi aveva optato per non aggiungere altro. Sapeva che comunque Isabelle avrebbe comprato un vestito nuovo per l’occasione. La cosa che ad Alec interessava, a questo punto, era che evitasse di trascinarlo in ogni negozio di New York alla ricerca dell’abito perfetto. Il ragazzo, comunque, confidava nella profonda amicizia che legava Clary e sua sorella e che decidessero di fare questa cosa insieme.
“Non mi merito un pugno per aver detto la verità!”
“Sei così tragico. Ti ho appena sfiorato!”
Alec alzò gli occhi al cielo e decise di intervenire, o avrebbero rischiato di scannarsi. “Izzy, non picchiare Jace. Jace smetti di comportarti così.”
“Solo se ammetti che sono quello che ha avuto più stile. La mia proposta è finita sui social.”
“E quindi?” disse Alec, per nulla impressionato.
“Quindi gradirei che mi apprezzaste un po’ di più. Soprattutto perché la proposta di Izzy consisteva nel far vedere le tette a Simon e tu… tu hai lasciato che fosse Magnus a farla.”
Alec alzò gli occhi al cielo e si massaggiò una tempia. “Primo: Izzy aveva una maglietta, non si è visto niente. Secondo: Magnus mi ha battuto sul tempo, stavo cercando un modo carino per chiederglielo!”
“Io sento solo delle grosse scuse.”
Alec sospirò, sentendo la propria pazienza sciamare. “Perché devi essere sempre così…”
“Perfetto?”
“Competitivo.” Lo smontò Alec. “Sul serio Jace, tu hai un problema!”
“Anche tu: aspettare troppo per fare le proposte.”
Alec si lasciò andare ad uno sbuffo esasperato e lanciò un’occhiata glaciale al fratello, ma per il bene della sua sanità mentale decise di lasciar perdere. Izzy ne approfittò quindi per riprendere nuovamente parola.
“Lasciate da parte tutte queste divergenze, potremmo parlare di cosa indosseremo!” Propose, entusiasta.
Alec e Jace si voltarono simultaneamente verso di lei, nei loro occhi il puro terrore. “NO!” dissero con un po’ troppo slancio e una punta di panico.
“Queste cose le discuterai con Clary. Per l’amor del cielo Izzy, non voglio sentire una parola sui pizzi, le trine, il tulle, le stoffe, gli accessori e bla, bla, bla.” Affermò Jace, avendo tutto il pieno sostegno di Alec.
“Guastafeste. Non venite da me se poi non saprete cosa mettervi!”
“Non avremo questo tipo di problemi.” La rassicurò Alec.
Izzy alzò le spalle. “Va bene, come preferite.”
Jace e Alec si guardarono, sospettosi: non era da Isabelle arrendersi così facilmente, ma forse questo non era uno di quei casi che la spingevano ad intestardirsi. I due sperarono fosse così e si rimisero a studiare, insieme alla sorella.

*

Alec odiava quando sua sorella aveva ragione. Dal più profondo del suo cuore si sentiva uno stupido colossale, mentre guardava il suo riflesso allo specchio di un negozio in cui lui, Jace e Simon si erano recati sotto consiglio dei rispettivi partner.
Magnus non era con loro perché, a detta sua, portava male che si vedessero prima della fatidica sera. Alec gli aveva fatto notare che quell’usanza valeva solo per i matrimoni e allora Magnus aveva replicato dicendo che voleva l’effetto sorpresa – e che era così generoso da riservare lo stesso effetto anche ad Alec: «Spoiler alert, pasticcino: sarò splendido!»
Il ragazzo su questo non aveva dubbi. Ne aveva riguardo se stesso invece e cominciava a sospettare che Magnus sarebbe stato sorpreso sì, ma in negativo. Alec lanciò un’altra occhiata a se stesso: era terribile. Il completo che indossava era privo di grazia e lo faceva assomigliare ad un sacco deformato e lanciato in mezzo alla metropolitana, destinato ad essere calpestato da migliaia di pendolari in attesa. Non lo valorizzava per niente.
La cosa che lo deprimeva di più era il fatto che si era già provato cinque vestiti prima di quello e nessuno gli piaceva. Alec iniziava a pensare di essere lui il problema, di avere dei difetti corporei totalmente incompatibili con le fattezze dei completi eleganti. Sbuffò, mentre si sfilava la giacca e cominciava a sbottonarsi la camicia. Chissà se l’avrebbero fatto partecipare lo stesso se si fosse presentato con jeans e maglietta.
“In un universo parallelo, esiste sicuramente un Alec Lightwood modaiolo, che passa il proprio tempo ad organizzare grandiose feste a tema e che non ha bisogno dei consigli della sua deliziosa sorella per quanto riguarda i vestiti.”
Alec sussultò ed emise un verso strozzato di sorpresa, udendo prima la voce della sorella e poi vedendo comparire la sua testa all’interno del camerino dove si trovava il ragazzo. Izzy, scostata la tenda del camerino, guardava il fratello dallo specchio. Sul suo viso, un sorriso sornione e onnisciente.
“Che ci fai qui?”
“Ti salvo la vita e la reputazione, ovvio. Ora, togliti quell’affare di dosso e lascia fare a me!” Isabelle cominciò ad armeggiare con i bottoni della camicia del fratello, cercando di finire ciò che lui aveva iniziato, ma Alec allontanò le mani della sorella da sé.
“Izzy, che fai?”
“Ti aiuto.”
“So togliermeli da solo i vestiti, grazie. Piuttosto, rispondi alla mia domanda.”
Isabelle sospirò, ponderando se dire tutto al fratello, ma poi l’occhiata austera che le lanciò la convinse a parlare. A quanto pare, Isabelle non era l’unica in grado di replicare lo sguardo da non ammetto repliche di Maryse Lightwood: l’eredità genetica fa miracoli.
“Jace mi ha chiamata. Ha detto che non riuscivi a cavare un ragno dal buco e che necessitavi di un aiuto.”
Alec, le mani ferme sul quarto bottone della camicia, dovette ammettere a se stesso che suo fratello aveva ragione: era l’unico che non era riuscito a trovare ancora qualcosa di decente. Sia perché Alec odiava fare shopping, sia perché lo stesso Jace odiava fare shopping – e quindi rimaneva nei negozi solo il tempo necessario a trovare un abito, provarselo e decidere che quello andava benissimo perché tanto io sto bene con tutto, fratello – Isabelle rimaneva l’unica speranza del maggiore dei Lightwood.
Alec sospettava che la sorella lo sapesse fin dall’inizio e che fosse rimasta in paziente attesa fino al momento del bisogno, come una grossa anaconda che aspetta pazientemente di ingurgitare una preda che impiegherà mesi per digerire.
Il ragazzo scosse la testa, cercando di togliersi dalla mente quell’assonanza: non voleva sentirsi come un indifeso capibara, destinato a finire tra le spire di Isabelle-anaconda. Piuttosto, voleva pensare che sua sorella l’avrebbe consigliato in base a ciò che lui voleva indossare per quella fatidica sera.
Sospirò.
“Jace ha ragione. Non ci capisco niente di queste cose e per evitare di rallentare lui e Simon, ho detto che potevano andare. Non ho bene capito cosa devono comprare… qualcosa tipo un bracciale.”
“Farò finta di non aver sentito, visto che uno di quei corsage è destinato a me.”
Alec arrossì. “Scusa, non lo sapevo.”
Izzy alzò le spalle e rivolse un sorriso sereno al fratello. “Non preoccuparti.”
“Devo comprarne uno anche io?”
Isabelle dedusse che il fratello non aveva idea di cosa stessero parlando. “È un braccialetto floreale, Alec. Di solito lo indossano le ragazze, ma Magnus non è convenzionale, o un tipo che si fa tanti problemi a indossare qualcosa che gli piace, quindi se ti aggrada l’idea, puoi anche comprarlo, sì.”
Alec rifletté. Magari avrebbe potuto prenderne uno, visto che Magnus usava i bracciali. O avrebbe potuto prendere sempre qualcosa di floreale, ma più semplice, come un unico fiore da mettere nel taschino della giacca di Magnus. “Ci penserò.” Concluse, quindi.
Isabelle annuì. “Va bene. Finisci di toglierti quel vestito. Ti aspetto fuori e andiamo in un altro negozio.”
Alec la guardò confuso. “Ma pensavo che questo fosse quello più adatto.”
“Lo è, indubbiamente, ma ne esiste uno che mi piace di più e voglio portarti là.”
“D’accordo. Voglio fidarmi di te.”
Izzy gli fece l’occhiolino. “Allora sei in una botte di ferro, fratellone.”
Alec scosse affettuosamente la testa e tirò la tenda del camerino, lasciando fuori una Isabelle che ancora ridacchiava, per togliersi l’ennesimo vestito scartato.

*


Alec aveva fatto bene a fidarsi di sua sorella. Per quanto il primo negozio nel quale si era recato fosse rifornitissimo, solo in quello in cui Isabelle l’aveva trascinato era riuscito a trovare qualcosa che rispettasse i suoi gusti e che allo stesso tempo fosse abbastanza elegante per fargli fare una discreta figura. Isabelle aveva detto che vestito in quel modo avrebbe sicuramente fatto girare la testa a Magnus. Una parte di lui sperava che sua sorella avesse ragione.
E con una parte Alec intendeva ogni centimetro del suo corpo.
Era agitato.
La fatidica sera era arrivata e lui non sapeva assolutamente come comportarsi, mentre fissava la sua figura allo specchio. Alec indossava una giacca avorio, sotto alla quale stava una camicia bianca, arricchita da un papillon nero, che riprendeva il colore dei pantaloni.
Era il primo ballo a cui partecipava in tre anni – dal momento che non andava matto per quegli eventi e perché, prima di quest’anno, non aveva mai trovato nessuno per cui valesse la pena fare lo sforzo di partecipare a qualcosa che non lo faceva impazzire di gioia. Ma quell’anno c’era Magnus e lui adorava i balli, quindi Alec poteva decisamente infilarsi dentro ad un completo e partecipare ad un evento simile, se ciò significava far felice il suo ragazzo.
Si lisciò la giacca, cercando di stendere delle pieghe inesistenti. Isabelle l’aveva dettagliatamente istruito su come mantenere intatto il vestito dall’acquisto – avvenuto ormai settimane prima – fino al fatidico giorno. E Alec doveva ammettere che tutte quelle regole minuziose, che all’inizio gli erano sembrate una vera e propria spina nel fianco, erano state davvero utili. Izzy aveva un talento per certe cose.
Si diede un’ulteriore occhiata e annuendo allo specchio, come se cercasse di infondersi una sicurezza che improvvisamente sentiva venirgli meno, uscì dalla sua stanza. Mentre camminava per raggiungere il piano di sotto si toccò la tasca interna della propria giacca, dove aveva accuratamente sistemato la singola orchidea da regalare a Magnus e che avrebbe sistemato nel taschino della sua giacca, al posto di un fazzoletto. Dopo varie ricerche aveva optato per quel fiore perché simboleggiava raffinatezza, eleganza e bellezza – tutte qualità che Magnus possedeva – ma anche perché simboleggiava il ringraziamento di una concessione d’amore e la consapevolezza di essere ricambiati. L’orchidea era la rappresentazione di un amore importante e duraturo. Alec aveva letto che chi regala un’orchidea, regala anche la propria dedizione e ammirazione. Di conseguenza, aveva pensato che nessun fiore, meglio di quello, avrebbe potuto aiutarlo ad esprimere tutti i sentimenti che provava per Magnus.
Sospirò profondamente e prima di avviarsi verso le scale per scendere di sotto, decise di bussare alla camera di Izzy, per controllare a che punto fosse.
“Avanti!”
Alec aprì la porta e fece capolino all’interno della stanza della sorella, dove sembrava che un’intera linea di cosmetici fosse appena esplosa. C’erano trucchi dappertutto e Alec si chiese come fosse fisicamente possibile riuscire a maneggiarli tutti senza dimenticarsi quale fosse la loro funzione effettiva. Se fosse stato per lui, li avrebbe confusi di continuo. Ma Alec era un eretico – Magnus gliel’aveva fatto notare giusto un centinaio di volte – quindi non aveva propriamente voce in capitolo.
Izzy, seduta alla sua toeletta, lo guardò dallo specchio, rivolgendogli un sorriso. “Sei già pronto?”
Alec annuì. “Non sapevo quanto ci avrei messo, così mi sono sbrigato. In più, Jace è già uscito per andare a prendere Clary, quindi pensavo di essere in ritardo.”
Isabelle cercò il mascara nella sua trousse e cominciò ad applicarlo alle ciglia. “Jace era più agitato di te. Penso sia uscito con tipo quaranta minuti di anticipo. Clary lo ucciderà.”
“Perché?”
“Perché noi signore abbiamo bisogno del nostro tempo. Non esiste ‘tesoro, arrivo con cinque minuti in anticipo’ se non vuoi rischiare di mandarci in panico.”
Alec ridacchiò, ma il suo sorriso si spense non appena le parole di sua sorella gli risuonarono nelle orecchie. “Si vede tanto che sono agitato?”
Isabelle annuì allo specchio, mentre riponeva il mascara al suo posto. “Sì, ma è normale, suppongo. Magnus viene qui, o vai tu da lui?”
“Viene lui qui.” Alec si diresse verso il letto di Isabelle e ai piedi di esso. “Ha insistito tanto.”
Isabelle cominciò a cercare qualcosa dentro ad un’altra trousse. “È un gesto galante, no?”
Alec arrossì lievemente e non riuscì a trattenere un sorriso. “Molto. Lui è…”
Izzy fermò le sue ricerche per guardare il fratello negli occhi. Brillavano, come sempre da quando aveva conosciuto Magnus, e il suo sorriso era così largo e luminoso che avrebbe potuto far sentire in imbarazzo il sole, riducendolo ad una misera lampadina sbiadita. Chissà se Alec si rendeva conto dell’effetto che l’amore aveva avuto su di lui. Di certo, Izzy se ne rendeva conto e non poteva che esserne felice.
“Lui è…?” Lo spronò e le guance di Alec divennero di un rosso più intenso.
“Un gentiluomo.”
Isabelle sorrise. “Oh, ma si vede. Le ragazze ucciderebbero per uno come Magnus, lo sai?”
“Anche i ragazzi, se è per questo.” Le fece notare Alec ed Isabelle rise.
“Non posso darti torto.”
“Era un modo per dirmi che sono fortunato?”
Izzy si alzò dalla toeletta e percorse la breve distanza che la separava dal letto. Era bellissima, con i capelli sciolti tenuti di lato e fasciata dentro a quell’abito lungo e dorato che la faceva sembrare una dea, così magnanima da aver scelto di rendere partecipe il genere umano della sua bellezza ultraterrena. Alec era sicuro che Simon avrebbe perso i sensi, non appena l’avesse vista.
Izzy si sedette vicino a lui e gli prese le mani. “Indubbiamente lo sei. Ma lo è anche lui ad avere te. Sei speciale, fratellone, e sono felice che Magnus sia riuscito a capirlo.”
Alec le sorrise e l’abbracciò stretto, stretto. “Ti voglio bene.”
“Anche io, tanto.” Izzy sciolse l’abbraccio. “Devo finire di truccarmi. Rimani con me?”
Alec annuì. “Certo, purché non provi a truccare anche me.”
“Sono certa che Magnus impazzirebbe se ti vedesse con un po’ di matita.”
“Magnus mi ucciderebbe se mi vedesse con un po’ di matita. Gli ho promesso che se mai decidessi di truccarmi, lui dovrà essere il primo a farlo.”
“Vuole essere proprio il primo in tutto, eh?” Gli rivolse un occhiolino malizioso e Alec sgranò gli occhi.
“Isabelle!”
La ragazza ridacchiò e si diresse alla toeletta. “Prova a dire che ho torto!”
Alec era rosso fino alla punta delle orecchie. “Perché non finisci di prepararti??”
Isabelle non riuscì a trattenere un’altra risata, ma fece come le era stato detto, decidendo di risparmiare il fratello da altre torture.

Alec sentì suonare il campanello all’ora stabilita. Magnus non era un tipo che amava i ritardi, di conseguenza il suo tempismo era sempre perfetto. Quando l’eco del campanello suonò, il ragazzo era ancora con la sorella, ma avevano finito di prepararsi entrambi da un pezzo, passando il tempo che rimaneva a chiacchierare.
Entrambi, quando sentirono il campanello suonare, guardarono d’istinto l’ora sul display dei loro telefoni: le 20.45 in punto.
“Ci conviene andare ad aprire, o lo farà mamma e li tempesterà di domande.” Disse Isabelle, alzandosi dal letto con quanta più grazia possibile. Le veniva così naturale farlo, che a volte sembrava eterea come un angelo.
Alec si alzò a sua volta, tornando a lisciarsi quell’inesistente piega nella giacca, e fece un respiro profondo. Andrà bene, si disse. Andrà tutto bene.
“Andiamo?” gli domandò Izzy.
Il ragazzo annuì e le offrì un braccio per aiutarla a mantenere l’equilibrio, nonostante non ne avesse davvero bisogno. Izzy, comunque, accettò e insieme si diressero al piano di sotto.

Alec si riteneva un tipo abbastanza composto, uno di quelli in grado di mantenere un certo rigore.
Alec si sbagliava. Tremendamente. O almeno, si sbagliava quando si trattava di Magnus. In quel caso, tutto il suo rigore andava disperso. Soprattutto quando indossava completi eleganti, composti da una giacca bordeaux, che aveva dei particolari riflessi viola, e da camicia e pantaloni neri. Il fatto che fosse accuratamente truccato in modo che la matita risaltasse il colore dei suoi occhi e l’ombretto avesse una sfumatura glitterata color grigio scuro, rendeva la combinazione ancora più letale. Alec non riuscì a trattenersi dall’emettere un sospiro di sonora approvazione, quando aprì la porta di casa sua e incrociò la figura del suo fidanzato. Al suo fianco c’era anche Simon, ma non era compito di Alec notarlo. E comunque, anche se si fosse impegnato per prestare tutta la sua attenzione a Simon, Magnus lo oscurava completamente, rendendo impossibile guardare chiunque non fosse lui.
Sentì la bocca secca, mentre si accingeva a salutarlo e a farsi da parte per farlo entrare in casa.
“Ciao.” Disse soltanto, non riuscendo a trovare niente di sagace da dire. Il suo cervello era troppo impegnato a studiare i dettagli di Magnus: il modo in cui quella giacca aderiva perfettamente alle sue spalle, o il fatto che avesse colorato di viola le punte della sua cresta, o il fatto che stesse ricambiando il suo sguardo, facendogli afflosciare la colonna vertebrale.
Di certo, Alec era sicuro che Magnus non aveva mentito – ne esagerato – quando aveva detto che sarebbe stato splendido, quella sera.
“Ciao, tesoro.” Magnus entrò in casa, seguito da Simon, che non appena vide Isabelle aprì la bocca in un’espressione stupefatta, rischiando di toccare il pavimento con la mascella. Isabelle si aprì in un sorriso e le sue guance si colorarono – ma in modo impercettibile – di un delicato rosa. Quando i due si abbracciarono, Magnus riportò l’attenzione su Alec, che, invece, non aveva ancora distolto lo sguardo da lui. Era impossibile farlo: i suoi occhi erano attratti da Magnus come due dei più potenti magneti si attraggono a vicenda.
“A quanto pare, voi Lightwood avete intenzione di fare strage di cuori, stasera.” Magnus si sporse verso Alec, lasciandogli un bacio su una guancia. “Sei bellissimo.” Gli sussurrò e Alec arrossì repentinamente.
“A-anche tu.” Il ragazzo si schiarì la gola, abbassando per la prima volta lo sguardo e giocando con l’anello che portava al dito, facendolo girare. Aveva scoperto che era un gesto che lo rilassava. “A proposito di stasera, i-io… sì, ecco…” Alec alzò gli occhi su Magnus, maledicendosi per essere ancora un tale imbranato dopo tutti quei mesi passati insieme. Magnus rimase in attesa, dandogli tutto il tempo necessario per trovare le parole giuste, ma Alec si limitò, con mani tremanti, ad afferrare l’orchidea che custodiva nella tasca interna della sua giacca. “Per te.” Disse soltanto, interponendo il fiore tra lui e il proprio ragazzo. Magnus guardò l’orchidea, poi Alec e, intuendo le intenzioni del suo ragazzo, sorrise, intenerito da quel gesto tanto dolce.
“Non è un bracciale.” Si giustificò Alec. “Ma pensavo avrebbe avuto lo stesso significato.” Con le mani che ancora tremavano, il ragazzo si accinse a sistemare il fiore all’interno del taschino della giacca di Magnus.
L’orientale lo lasciò fare e poi afferrò una delle mani dell’altro, facendo intrecciare le loro dita. “L’orchidea è casuale, Alexander?”
Alec fece un cenno di diniego con la testa. “Sai cosa vuol dire?”
“Certo. Ed è una cosa dolcissima, amore.”
Alec sorrise. Le sue guance assunsero una calda tonalità di rosso intenso, mentre di chinava per lasciare un bacio sulle labbra di Magnus.

“Ragazzi?”

La voce di Maryse attirò la loro attenzione. I due si voltarono verso la donna, armata di macchina fotografica.
“Mamma no, ti prego.”
“Non fare il brontolone, Alec. Tua sorella e Simon mi hanno accontentata, fallo anche tu, per favore.” Maryse accennò un sorriso e Alec si voltò verso Magnus per sapere cosa ne pensasse. Quando il ragazzo annuì, Alec si sistemò al suo fianco, passandogli un braccio intorno alle spalle, mentre Magnus gli circondava la vita.
“Sorridete!” Non appena i ragazzi lo fecero, Maryse scattò. “Perfetto!” Esclamò, guardando la foto soddisfatta. “Avrei voluto farne una anche a Jace e Clary…”
“Non si preoccupi, Maryse. Rimedieremo noi.” La rassicurò Magnus, ancora in difficoltà a dare del tu  alla donna, nonostante lei gliel’avesse chiesto. Lui e Maryse si conoscevano da meno tempo rispetto a Ragnor e Alec, quindi Magnus era ancora nella fase in cui riusciva a chiamarla per nome, ma non ad abbandonare il lei.
“Grazie. Divertitevi stasera.” Maryse li salutò, abbracciando velocemente entrambi. I ragazzi vennero raggiunti da Simon ed Izzy, che erano si erano lasciati coinvolgere dal nuovo fumetto di Max – o meglio, Simon si era lasciato coinvolgere. I quattro salutarono Maryse e Max e si avviarono verso la porta.


Alec non sapeva cosa aspettarsi. Aveva sentito parlare dei balli scolastici solo nei film che ogni tanto piaceva guardare ad Isabelle – anche se lei tendeva sempre a negare questo particolare. Sono film smielati, Alec. Ma il ragazzo sapeva benissimo che rientravano nei così detti guilty pleasure della sorella. In ogni caso, Alec non riusciva ad avere un quadro chiaro della situazione. Di certo, non si era aspettato occhi addosso e Magnus che ogni momento doveva risolvere un qualche problema insieme a Catarina.
Avevano fatto indubbiamente un bellissimo lavoro. La palestra dove si teneva il ballo era irriconoscibile: i canestri erano stati coperti da festoni argentati, da cui scendevano pendenti colmi di stelle luccicanti, che erano attaccate anche al soffitto. Alec vedeva chiaramente il tocco di Magnus in quel particolare. Quel luogo era stato piacevolmente stravolto in un modo che Alec non avrebbe mai immaginato, con le luci e i colori, la musica e i tavolini pieni di bicchieri e cose da bere – tutta analcolica.
Ciò che il ragazzo trovava meno bello in tutto ciò che lo circondava erano le occhiate che sentiva su di sé. Gente come Reggie Monroe e amici che lo fissava come se avesse una testa in più. Non c’era da stupirsi. Lui e Magnus erano l’unica coppia dello stesso sesso e gente come Monroe non cambia idea da un giorno all’altro. Probabilmente non la cambia mai. Ma questo non era un problema di Alec. Se Reggie e i suoi amici preferivano passare la serata a fissare o lui o Magnus – o entrambi quando erano insieme – in cagnesco, rimaneva un problema loro.
Il problema di Alec, per ora, rimaneva il fatto che stava diventando tutt’uno con il muro, in attesa che Magnus venisse liberato dall’intoppo che si era dovuto precipitare a risolvere.
“Dov’è il tuo cavaliere?”
Alec per un pelo sussultò. Nonostante la musica, quella voce gli arrivò chiarissima e intensa. Si voltò verso la fonte di quella voce, trovandosi faccia a faccia con Lydia, fasciata dentro ad un vestito azzurro, simile ai suoi occhi.
“A risolvere un problema. Non ho capito di cosa si tratti esattamente.”
Lydia li rivolse un sorriso, che Alec ricambiò timidamente.
“E il tuo?” Le chiese dopo un po’, sperando di non sentirsi rispondere che era venuta con un paio di amiche e fare una bieca figura.
“A prendere da bere.” Lydia indicò un ragazzo vicino all’enorme contenitore di analcolico alla frutta al centro di uno dei tavoli. Alec lo conosceva. Era al quarto anno e frequentava un paio di corsi insieme a Magnus.
“John Monteverde?”
Lydia annuì, mentre le sue guance si coloravano di rosa.
“Beh, è molto carino.”
La ragazza arrossì e sorrise, mentre guardava il suo accompagnatore, che nel mentre era riuscito a prendere due bicchieri e a riempirli. “Sai, Alec… volevo dirti che…” I suoi occhi azzurri passarono da John ad Alec. “Che sono a conoscenza delle voci che girano su di te e sulla tua situazione famigliare. Volevo che sapessi che niente di tutto quello che potresti sentire dai miei genitori è un pensiero condiviso da me. Meriti di essere felice.”
Alec le rivolse un sorriso sincero. Lydia sembrava tenesse davvero a fare una distinzione, a separarsi da quel pensiero un poco bigotto che potevano avere i suoi genitori, condiviso dalla maggior parte delle persone che sua madre, tempo indietro, aveva chiamato amici e che suo padre, invece, continuava a chiamare tali, condividendo gli stessi pensieri. “Grazie, davvero. Anche tu lo meriti, e non mi riferisco solo a John.”
“So a cosa ti riferisci. Ci sto lavorando, sai? Non voglio che scelgano il mio futuro al mio posto. È la mia vita, dopotutto.”
“E hai tutto il diritto di dire la tua su come vorresti spenderla.”
Lydia gli sorrise ancora e lo abbracciò di slancio. Alec si trovò a ricambiare quel gesto istintivamente. Non c’era niente di malizioso, o impacciato, come poteva essere stato quel tentativo di prenderlo per mano, fatto mesi addietro. C’era solo una sincera gratitudine, una dimostrazione fisica di quella che sarebbe potuta diventare un’amicizia sincera. Ad Alec non dispiaceva l’idea. Lydia, dopotutto, gli stava simpatica.
“Aleeeeeeeec!” La voce di Isabelle squarciò quel momento. L’aveva chiamato a voce così alta che era riuscita a sovrastare non solo la musica relativamente alta, ma anche tutto il chiacchiericcio che circondava Alec e Lydia. “Vieni a ballare!” Disse la sorella, non appena raggiunse Alec.  Solo allora sembrò rendersi conto della presenza dell’altra ragazza. “Oh, ciao Lydia!”
La bionda ridacchiò. “Ciao, Isabelle.”
“Posso prenderlo in prestito? Altrimenti rischia di diventare un tutt’uno con la parete fino al ritorno di Magnus!”
Lydia emise una risata divertita. “Ma certo. Andate!”
“Grazie!” Esclamò Izzy, prendendo per mano il fratello. “Sei molto carina!” Le disse, infine. Lydia la ringraziò e nel momento stesso in cui i due fratelli si allontanarono, salutandola, lei si diresse nuovamente da John.

Alec aveva ballato pressoché con tutti.
Tutti tranne Magnus. Da quando avevano messo piede in quella palestra, infatti, il ragazzo era stato chiamato così tante volte che non erano riusciti a stare insieme per più di dieci, quindici minuti a volta. Alec non voleva lamentarsi – soprattutto perché sapeva benissimo che non avrebbe giovato a Magnus che, a sua volta, agognava un attimo di tranquillità – ma desiderava avere il suo ragazzo tutto per sé.
Izzy era stata la prima a trascinarlo in pista – per la seconda volta, dopo l’episodio con Lydia – e successivamente anche Clary gliel’aveva chiesto. O meglio, l’aveva quasi supplicato. Eddai, Alec. Sei l’unico Lightwood con cui non ho ancora ballato!
Dopo aver ballato con Clary, era stato coinvolto in una specie di ballo collettivo a cui anche Jace e Simon avevano partecipato. E da quell’episodio era nata tutta una serie di foto che li ritraeva insieme – alcune molto carine, altre veramente inguardabili, dove avevano fatto appositamente delle boccacce. Era stato divertente, doveva ammetterlo, ma gli mancava comunque qualcosa. Gli mancava Magnus, il pezzo che avrebbe reso il suo puzzle completo.
Sospirò, mentre si faceva spazio tra gli studenti e si dirigeva verso uno dei tavoli per prendersi da bere. Si stava giusto domandando se avrebbe trovato dell’acqua, quando una mano si strinse sul suo gomito. Alec si voltò repentinamente e quando incrociò gli occhi di Magnus, un sorriso comparve spontaneo sul suo viso. “Ehi.”
“Ehi, splendore.”
“Hai risolto?”
Magnus annuì. “Non dovrebbero più avere bisogno di me. Non capisco perché debbano trovare problemi inutili, quando io e Cat abbiamo appositamente stillato una lista di istruzioni ben precise da seguire per evitare inconvenienti simili!”
Alec notò una certa tensione in Magnus. Evidentemente, i preparativi lo avevano stressato un poco e l’idea che tutto il suo precedente lavoro rischiasse di venir vanificato per degli errori che potevano essere evitati, lo agitava. Il ragazzo si avvicinò all’altro e gli sistemò le braccia ai lati del collo, cominciando a giocare con i capelli sulla nuca. Un gesto che, di solito, tendeva a rilassare Magnus. “Forse è solo una scusa per averti un po’ intorno.” Gli disse, lasciandogli un bacio sulla fronte. Magnus rise, circondando la vita di Alec con le braccia.
“Li capirei se fosse così.”
“Anche io, sai? Soprattutto stasera. Sei particolarmente bello.”
“Mi aduli per farmi stare meglio?”
Alec accennò un sorrisetto. “Funziona?”
Il ragazzo parve pensarci su, arricciando le labbra in una smorfia adorabile. “Sì. Sì, funziona.”
Alec non riuscì a trattenere una risata. “Ne ero certo.”
Magnus strinse la presa sulla vita di Alec e sistemò il viso nell’incavo del suo collo. Rimase lì, in silenzio, senza dire nulla, mentre Alec continuava a giocare con i suoi capelli.
“Però pensi davvero che sia bello, giusto? Non lo dici solo per farmi un piacere?”
Alec rise di nuovo, tanto che tirò indietro la testa, esponendo le curve del collo, sulle quali gli occhi di Magnus indugiarono avidi. “Lo penso davvero, amore.” Alec si fece serio, avvicinando il suo viso a quello del proprio ragazzo. I suoi occhi si incatenarono a quelli dell’altro in quel modo adorante che faceva tremare le gambe di Magnus. La sua bocca era ad un millimetro da quella dell’altro. “Sei il più bel ragazzo su cui abbia mai posato gli occhi.”
Magnus deglutì a vuoto. Sentì un calore pervadergli le guance. Stava arrossendo, il che era davvero un evento raro. Solo Alexander gli faceva quell’effetto. “Sai essere piuttosto convincente.”
Alec annuì. “Lo so.” Si sporse verso Magnus per dargli un bacio, ma questi si scostò. Alec gli riservò uno sguardo tra il deluso e l’interrogativo.
“Aspettami qui.”
Alec aggrottò la fronte. “Sei serio?”
Magnus gli prese il viso tra le mani e gli accarezzò le guance con i pollici. “Fidati di me.”
Alec sospirò, ma annuì, osservando Magnus che si allontanava da lui e si inoltrava tra gli studenti. Lo seguì con lo sguardo, curioso di vedere cosa doveva fare. Lo vide mentre parlava con il dj, il quale annuì. Nel momento esatto in cui Magnus si allontanò da lui, la musica cessò per lasciare posto ad un’altra canzone.

Come to me
In the night hours
I will wait for you
And I can’t sleep
'Cause thoughts devour
Thoughts of you consume


Il cuore di Alec si fermò all’improvviso, come se fosse stato congelato. Riprese la sua corsa non appena Magnus fu nuovamente davanti a lui, con gli occhi carichi di amore e un sorriso insicuro sul viso. Perché doveva essere insicuro, poi? Temeva forse che Alec non avrebbe apprezzato un gesto simile? Nessuno gli aveva mai dedicato una canzone. Ma Magnus era il primo di tante cose, di conseguenza anche il primo in questo. E il cuore di Alec stava letteralmente esplodendo.

I can’t help but love you,
Even though I try not to


“Nemmeno se per qualche astruso motivo decidessi di provare a smettere di amarti, ci riuscirei.” Gli sussurrò Magnus, mentre avvicinava il viso al suo. Alec sentì la sua riserva d’aria venir improvvisamente meno. Tutto l’ossigeno in quella stanza era stato risucchiato e i suoi polmoni necessitavano di respirare.

I can't help but want you
I know that I'd die without you


“Non c’è niente, nessuno, che voglio al mondo più di te. Sei il mio miracolo.”

Alec deglutì a vuoto. Il cuore gli martellava nella orecchie, rendendolo sordo a qualsiasi suono che non fosse il proprio battito e le parole di Magnus. Era la dichiarazione più bella che qualcuno potesse mai fargli. Era qualcosa pregno di una sincerità che partiva dagli abissi di un cuore innamorato. Alec era così fortunato.
Alec era a sua volta così innamorato, che altro non riuscì a fare se non afferrare Magnus per i lembi della sua giacca e tirarlo a sé, baciandolo con tutto se stesso, dedicandogli ogni atomo del suo corpo e ogni fibra della sua anima.
Magnus rispose immediatamente a quel bacio. Le loro bocche cominciarono a muoversi all’unisono, creando quell’insieme perfetto che faceva venire le farfalle nello stomaco ad Alec.
Era Magnus.
Sarebbe sempre stato Magnus. E adesso era pronto per gridarlo al mondo che era lui la sua felicità, che era lui ciò che voleva e che avrebbe sempre voluto al suo fianco.
Alec si staccò solo per riuscire a guardare l’altro in viso, per cercare le parole giuste per dirgli ciò che aveva appena attraversato la sua mente. Ma Magnus si sporse verso di lui, come per dirgli che quel bacio non gli bastava, come per dirgli che voleva di più e voleva che lui lo assecondasse. E Alec non sapeva negare niente all’amore della sua vita. Così lo baciò di nuovo, con la stessa premura, con la stessa intensità. Lo strinse ulteriormente a sé e lo baciò ancora, e ancora. Avrebbero consumato le loro labbra a forza di baci.
E andava bene così.
Era tutto perfetto così.
Magnus, Alec, i loro baci. Le persone intorno a loro, i fischi di approvazione (Alec sospettava che Jace c’entrasse qualcosa), la sensazione che niente gli avrebbe più fatto paura.
Non si torna indietro. Non si torna nel buio dopo aver visto la luce. E Magnus era luce allo stato puro. Una supernova che Alec avrebbe voluto tenere con sé per il resto della sua vita.


*



Settembre era sempre stato un bel mese, per Alec.
Gli piaceva camminare per strada e vedere come le foglie degli alberi cominciavano a cambiare colore, ingiallendosi un poco. E trovava piacevole sentire la temperatura che si abbassava giorno dopo giorno, salutando la calura estiva per dare il benvenuto alla temperatura autunnale. La verità era che lui preferiva le stagioni fredde, a quelle calde.
Almeno, fino a quando non aveva passato l’estate con Magnus. Gli aveva davvero fatto rivalutare la stagione più calda dell’anno. E nonostante Alec continuasse a preferire le stagioni fredde, doveva ammettere che anche le spiagge cominciavano ad avere il loro fascino. Forse perché spiaggia stava a significare Magnus in costume e il suo ragazzo stava incredibilmente bene in costume. Forse perché spiaggia significava anche prendere il sole e la pelle di Magnus assumeva una tonalità bronzea che faceva impazzire Alec.
L’estate, in definitiva, era davvero una bella stagione.
Ma Alec continuava a preferire l’autunno e ancora di più l’inverno, che portavano con sé coperte pesanti e cioccolate calde.
E una miriade di scuse per stare abbracciati al proprio affascinante fidanzato.
Alec sorrise, mentre guardava le foto che teneva appese all’armadietto: c’era la prima che si era fatto con Magnus – risalente ormai a quasi un anno prima; c’era una serie di fototessere che si erano fatti in un pomeriggio estivo di pioggia; e, infine, c’era quella che si erano fatti al mare, dove si vedeva un Magnus bronzeo come una statua che sistemava amorevolmente la crema solare sul viso di Alec, che si era bruciato e assomigliava ad un’aragosta.
“Guardi quanto siamo belli?”
Alec sentì due braccia familiari abbracciarlo da dietro, circondandogli la vita. Magnus gli baciò una guancia. “Sì.” Alec si voltò per riuscire a guardare l’altro in viso. Magnus aveva ancora i segni dell’abbronzatura.
“Siamo meglio dei Brangelina.”
“Lo spero, visto che si sono lasciati.”
“Intendevo esteticamente.”
Alec accennò un sorriso, alzando solo un angolo della bocca, e gli lasciò un bacio sulla fronte. “Quindi ora ti inventerai un nome anche per noi?”
“Dovrei?”
Il ragazzo alzò le spalle. “Non lo so. Se la cosa ti aggrada, potresti anche farlo.”
“Se Brad e Angelina diventano Brangelina, Magnus e Alexander diventano… Malexander?”
“O più semplicemente Malec.”
Magnus parve pensarci su, poi annuì. “Mi piace come suona.” Stabilì, quindi, dando un bacio ad Alec. “Ora vieni con me.” Il maggiore fece intrecciare le loro dita e, dopo un’ultima occhiata alle foto sull’armadietto di Alec, chiuse lo sportello.
“Dove andiamo?”
“Al mio armadietto, tesoro. Voglio darti il tuo regalo di compleanno.”
Alec, incurante degli altri studenti che lo circondavano, si fermò in mezzo al corridoio, costringendo anche Magnus a fare lo stesso.
“Ti sei ricordato?”
“Potrei mai dimenticarlo?” Magnus si avvicinò e gli prese il viso tra le mani. “Non si dimentica il compleanno del proprio ragazzo.” Lo baciò dolcemente. “A proposito. Buon compleanno, amore mio.”
Alec arrossì e si sporse per dargli un altro bacio. Magnus era già di per sé il regalo di compleanno migliore del mondo – e quello passato era stato davvero l’anno più bello di tutta la sua vita.



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Ciao a tutti e ben ritrovati!
Innanzitutto, mi scuso per il gigantesco ritardo, ma ho avuto un po’ di cose da fare e il tempo per completare il capitolo era sempre poco.
In secondo luogo, chiedo scusa per eventuali errori, ma una parte del capitolo è già scritta da un pezzo, mentre l’ultima parte ho finito di scriverla in pratica adesso e, nonostante l’abbia riguardata, potrebbero esserci errori che mi sono sfuggiti – così come nella prima parte, perché ho riletto tutto un po’ velocemente. Quindi, vi chiedo scusa in anticipo.
Allora, siamo arrivati alla fine e la cosa mi mette una tristezza infinita, ma… abbiamo ancora l’epilogo, quindi siccome non me la sento ancora di mettere la parola fine a questa storia, i saluti e i ringraziamenti sono rimandati all’ultimissimo capitolo.
A proposito dell’epilogo, è già scritto, ma voglio ridargli una letta, quindi penso che lo pubblicherò o domani o mercoledì. Ditemi voi cosa preferite, se lo volete subito o volete aspettare qualche giorno in più.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, che sia un finale che troviate appropriato – anche se in pratica per la maggior parte è incentrato sul ballo di fine anno. Se avessi dato un titolo ai capitoli, questo l’avrei sicuramente chiamato prom. E ora capite perché non do titoli ai capitoli: non sono capace e non ho assolutamente fantasia per i titoli. Ad ogni modo, spero vi sia piaciuto e se avete voglia fatemi sapere cosa ne pensate di questa immensa dose di fluff.
Vi saluto e come sempre ringrazio chiunque legga, segua/metta tra i preferiti e chiunque spenda un po’ di tempo a recensire, lo apprezzo tantissimissimo!
Ci vediamo all’epilogo, un abbraccio, alla prossima! <3

PS: Sicuramente le avrete riconosciute, ma le canzoni citate sono "Storm" e "War of Hearts" entrambe di Ruelle. La prima era in sottofondo durante il primo bacio dei Clace e la seconda, beh, lo sappiamo praticamente tutti, ma lo specifico lo stesso, l'abbiamo sentita durante il primo, iconico, bacio Malec *v*
   
 
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