Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PeNnImaN_Mercury92    26/08/2018    1 recensioni
Anno 846. Claire Hares si unisce all'Armata Ricognitiva in compagnia della sua migliore amica Petra Ral. Un fato atroce che la attende a casa influenza la sua scelta, ma il suo animo audace, generoso e un po' istintivo la renderanno una magnifica combattente sul fronte. Claire ci racconta la sua vita dopo essersi unita al Corpo di Ricerca, le sue emozioni, le sue soddisfazioni, i suoi timori e il suo rapporto con i suoi cari amici e con un soldato in particolar maniera. Armatevi di lame e di movimento tridimensionale e seguitela nelle sue avventure!
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio, Petra Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Wings of Freedom Series '
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29. Soccorso Imminente

Quella sera, i due esemplari in trappola fecero il loro ingresso a Krolva.
E’ difficile dimenticare la visione delle strade sorprendentemente sgombre, in particolar maniera quella principale, che collegava il portone esterno a quello da ingresso all’interno delle mura. Decine di nostri compagni, appostati sui tetti delle case, erano pronti ad intervenire in qualsiasi momento, mentre i ragazzi della squadra di Levi tenevano d’occhio i “cuccioli” di gigante direttamente alle loro spalle, cavalcando alla stessa velocità dei carri. Per chi è tutt’ora abituato a vedere tali spazi cittadini sempre abitati e affollati, potrà probabilmente comprendere la sensazione di smarrimento che mi causò l’osservazione di una città tanto silenziosa.
Pochi minuti dopo ci dirigemmo all’interno del Wall Rose. Per quanto fossi stanca, reggevo le redini di Edmund con felicità e ammirazione, facendo sì che comunque nessuna espressione trapelasse dal mio volto: ero comunque infastidita dagli sguardi interrogativi di coloro che intravedevo dietro le finestre illuminate delle casupole.
-Giganti dentro il Wall Rose?
-Già. È sempre ad opera di quel Corpo di Ricerca eccessivamente ostinato.
-Magari ‘sti mostri potrebbero servirgli da cavia per scoprire qualcosa di importante.
-Spero solo che riescano a tenerli a bada. Non vorrei trovarmeli in giro dopo che li hanno fatti tutti fuori.
Molti osservavano la nostra opera confusi e impauriti, altri manifestavano apertamente il loro disappunto tanto che, inizialmente, non resistei alla tentazione di ricambiare con un analogo sguardo arcigno.
Poi riflettei meglio, capii che coloro i quali mai avevano assistito con i propri occhi all’orrore di vedere divorati i propri compagni d’armi da quelle creature misteriose e spietate non avrebbero mai potuto comprendere appieno la minaccia che essi rappresentavano, e che gli uomini sarebbero stati i soli a restituire ai propri simili la libertà perduta. Prima o poi, pensai fiduciosa, avremmo fatto cambiare loro idea. Prima o poi, avremmo liberato anche loro dalla soggiogazione.
D’altronde, io e la mia squadra ci eravamo impegnati a realizzare il primo vero e proprio trionfo dell’Armata Ricognitiva, e ciò non poteva che rendermi pienamente orgogliosa dei miei compagni e delle capacità di una razza che poteva ancora dimostrare il proprio valore, dopo anni di soggiogazione.
Più tardi – in piena notte, potremmo dire – giungemmo distrutti in caserma. Se i ricognitori avevano sempre potuto vantare di una vastissima area per l’addestramento, adesso una buona parte del campo era stata occupata e attrezzata per l’arrivo dei due piccoli esemplari titanici e sarebbe stata usata esclusivamente per gli esperimenti ad opera della seconda unità.
I due giganti ancora addormentati furono immobilizzati da strutture apposite - io e il resto della mia squadra, benché sfiniti, ci offrimmo volontari per quell’ultima operazione - e tutti i soldati della caserma, a differenza dei civili, ammaliati ed esultanti, accorsero ad osservare il frutto delle fatiche del Corpo di Ricerca. Tutti sapevano quanto fosse stata importante quella vittoria, da cui ne eravamo usciti tutti incolumi. Più tardi, nell’ufficio riunioni, dove avremmo dovuto fare rapporto, Erwin annunciò soddisfatto che la conquista più grande era stata proprio la primissima sconfitta dei giganti senza che fosse occorso il sacrificio della vita di un solo uomo.
La caserma fu dominata in men che non si dica dal silenzio: soldati di qualsiasi rango e giganti di bassa statura erano caduti in letargo – fatta eccezione, molto probabilmente, per Hanji Zoe, così in preda all’eccitazione per essere riuscita finalmente a coronare il suo sogno più grande da non poter proprio permettersi di acquietarsi. Si potrebbe dire che, a vedersi, nessuno avrebbe potuto testimoniare la presenza di qualche forma di vita umana/titanica; io stessa avrei potuto giurare di sentirmi profondamente sola in un edificio di mattoni sperduto tra le colline del Wall Rose.
Parlando proprio della sottoscritta, quella sera non avevo preso la decisione di rintanarmi nei dormitori come sempre e approfittai del grande sonno di Petra per fuggire sul tetto senza l’ansia di essere cercata dalla mia amica, già rannicchiata sotto le coperte del suo letto a dormire beata.
Da lì, non potei fare a meno di osservare la “zona-giganti”, appostata giusto qualche decina di metri più avanti alle spalle della caserma: in quello stato di beatitudine, i due esemplari, per quanto potessero intimorire chi non vi era abituato anche in quell’istante date le loro sproporzionate dimensioni, mi parvero improvvisamente gli esseri più docili del mondo.
Paradossalmente, la mia logica li aveva incolpati dello strano quanto inaspettato scatto d’ira che mi aveva colta qualche ora prima, un episodio così raro a causa di cui la mia mente era in un perenne stato di turbamento, quella sera. Adesso ci ripensavo più e più volte, a tutti quei vuoti da riempire riguardante la storia della mia famiglia, a quelle domande sull’umanità e sulle mura a cui cercavo disperatamente una risposta. Questi dilemmi a quei tempi irrisolvibili rappresentavano, così credetti, il motivo per cui avevo provato un odio sconsiderato per quegli esseri brutali di cui non conoscevo le intenzioni, di cui non sapevo niente che li riguardasse. Di cui mi ero inevitabilmente convinta che fossero i responsabili di tutto il male del mondo, lo stesso che avevo avuto modo di sperimentare sulla mia pelle per la prima volta all’innocente età di tredici anni.
Questi pensieri non fecero altro che alimentare la mia frustrazione interiore, benché fossi infine contenta del lavoro svolto quel giorno. Eppure rimanevano ancora troppi dubbi che mi turbavano, a cominciare da ciò che era accaduto qualche ora prima a Krolva.
Percepii un lieve rumorio di passi provenienti dalla rampa di scale che conducevano al tetto. Sentii la porta aprirsi, il suono di prima che si faceva sempre più vicino.
Per qualche strano motivo, l’avevo riconosciuto fin da subito, ma decisi di attendere che si accostasse a me prima di controllare.
-Se pensi che ti possa dare qualche attenzione con quel lerciume addosso, allora non mi conosci bene come credi– esordì il piccolo caporale, scrutando la mia divisa con disgusto. Portava un maglioncino grigio da cui spuntava la clavicola biancastra e forse troppo lungo per lui, motivo per cui l’orlo ricadeva sotto l’inguine. Il suo sguardo sempre rigido, ma i suoi occhi erano spettacolari e riflettevano i raggi lunari.
-Mi crederesti se ti dicessi che non mi sono cambiata per vedere la faccia che avresti fatto? – ridacchiai, stropicciandomi gli occhi per la stanchezza. –Come sapevi che ero qui?
Sedette accanto a me con una tazza fumante nella mano destra, mantenne la parola dato che rimase ad una certa distanza. –Mi dispiace deluderti, ma non ero certamente venuto qui apposta per incontrare te.
Ero troppo sfinita per ribattere a quella provocazione, semplicemente emisi un piccolo grugnito di disapprovazione.
-Questo posto è l’unico che mi tranquillizza un po’, e poi lo sai che mi risulta davvero difficile dormire. Soprattutto se con me non ci sei tu – aggiunse, prima di nascondere il volto nella tazza di tè.
Mi strinsi nelle spalle, spogliandomi della giacca, che ripiegai sulle cosce. Iniziai a giocherellare con i bottoni che la impreziosivano, imbarazzata.
-Tu, piuttosto, che ci fai qua sopra? – continuò. –Non dovresti essere sfinita?
-Non riuscirei a prendere sonno, anche se mi ritirassi – spiegai, osservandomi le mani ancora bendate. –Ci sono troppe cose che mi turbano. Hai presente la strana reazione che ho avuto stamattina? Non mi sta dando tregua.
Sentii il suo sguardo posato su di me per qualche altro attimo, poi parlò: -Non riesco a capire perché una stronzata simile ti stia preoccupando tanto. Perché dovrebbe essere diverso dalle altre volte?
-Perché ho provato una rabbia incontenibile, ecco perché! – dissi ad alta voce, rimproverandomi per aver usato un tono tanto elevato. Sospirai, impedendo ad una ciocca di capelli fuori posto di coprirmi il viso. –Dannazione… Non è da me, credo.
Lentamente, la sua mano prese la mia, ne studiò con la punta delle dita le fasciature, soffermandosi sulla piccola chiazza rossa che si lasciava intravedere sul palmo. Intrecciò le sue dita con le mie, stringendola leggermente. Quel tocco mi provocò un conforto indescrivibile. Un mezzo sorriso apparve sulla mia bocca.
-Non ammetto che tu ti faccia deprimere da tutte queste apprensioni, Claire – esordì lui.
-Non l’ho certo deciso io – ribattei. –Tutti quegli interrogativi e le parole di Conrad… mi sento proprio uno schifo.
La mia mente si caricò di altri quesiti senza risposta, di pensieri scandalizzanti e ardui da tollerare. Avvertii un bruciore nel petto, qualcosa di talmente forte da distruggermi ancor di più psicologicamente. Inspirai profondamente, cercando di liberare non solo l’aria penetrata, ma assieme tutti le innumerevoli preoccupazioni che quella sera avevano deciso di opprimermi in maniera tanto violenta.
Sentendomi più tranquilla, dapprima mi concentrai sulla mano di Levi, poi sul suo volto; il sol guardarlo mi rendeva decisamente più consolata e serena: quel ragazzo era diventato una presenza tanto importante nella mia vita, in quegli ultimi mesi, e sentivo che avrei potuto e avrei dovuto contare su di lui, una persona tanto dolce nei miei riguardi che infinite volte mi aveva promesso il suo sostegno. Nonostante ciò, dopo l’episodio di Petra, pensai ancora una volta che il mio comportamento fosse da considerarsi altrettanto indisponente nei suoi confronti, quella sera. Avevo lasciato che tutti quei dilemmi mi tormentassero, non curandomene affatto del suo sostegno.
La sua mano stava lentamente lasciando la mia, motivo per cui decisi di stringerla con entrambe.
-Mi dispiace, Levi – dissi, in preda alla vergogna. –Mi sto comportando da bambina capricciosa, non faccio altro che caricarmi di preoccupazioni ed essere poi tanto negativa anche in tua presenza.
Non ottenni risposta. Il corvino semplicemente mi carezzò una guancia, un gesto talmente tenero a cui non potei resistere.
L’ansia si stava attenuando sempre più: quello scenario di assoluta pacatezza, la gioia di avere Levi al mio fianco, la pace di quella notte, illuminata dalla luna più placida e radiosa di sempre e da quegli incantevoli astri luccicanti sopra di noi, mi permisero di conciliare una volta per tutte il mio animo turbato.
Lo guardai, comprendendo ancora una volta la ragion per cui necessitavo tanto la sua presenza: Levi era il mio rifugio, colui che più era in grado di farmi sentire felice e in pace con me stessa. Talvolta capitava che non bastasse alcuna parola perché egli intendesse che mi occorreva aiuto, e non avevo nulla da criticare al riguardo.
-Ti senti meglio, adesso? – chiese a bassa voce.
Annuii, contemplando il cielo, abbozzando un sorriso. –Merito tuo, capitano.
Ebbi la fortuna di vederlo arrossire; incrociò le braccia, brontolando. –Tch. Le tue solite stronzate adolescenziali.
-Quanto rompi. Ti ho già detto che mi appresto a diventare una donna; mi dai ancora dell’adolescente? – portai le braccia serrate al petto, come aveva fatto lui.
Levi mi tirò un orecchio senza farmi troppo male, infastidendomi talmente tanto da farmi dimenticare la storia dello scatto d’ira. –Mocciosa patetica.
-Nano malefico.
Ricambiò guardandomi con dissenso e sbigottimento. Ridacchiai non appena mi massaggiai il lobo arrossito; egli mosse lo sguardo altrove, nascondendo una smorfia divertita.
Era cosa ormai scontata che Levi mi procurasse una gioia infinita ogni qual volta comparisse attorno a me, e gli attimi condivisi da entrambi, senza che ci fosse nessun altro nei dintorni, erano pura magia e incanto. Dimenticavo la tristezza causata dal vivere in un mondo troppo minuscolo, dallo stare lontano da mio fratello Lex, dalla paura che i giganti potessero prevalere sul genere umano, timore che accomunava, nel profondo, tutti noi soldati ricognitori, giacché noi membri dell’Armata Ricognitiva con i giganti avevamo a che fare ogni istante della nostra vita. Esseri che ci avevano insegnato l’orrore di vedere i propri compagni d’armi perire negli ultimi istanti della propria vita tra i loro giganteschi denti.
Quelle sofferenze non mi sfioravano dal momento in cui avevo quella persona così speciale per me al mio fianco. Anche quella sera ogni ansia era svanita in pochi attimi, malgrado, da lì a poco, sarei stata costretta ad affrontare una nuova, terribile atrocità.
 

Alcuni giorni successivi, fui convocata da Hanji Zoe per occuparmi degli esperimenti in programma riguardanti i due campioni catturati precedentemente. Per quanto potesse affascinarmi avere un contatto tanto inusuale con il nostro nemico naturale, lo stesso giorno Petra era partita per Karanes dopo aver ufficializzato il permesso dal capitano, motivo per cui, proprio allora, avrei preferito una visita a mio fratello e ai coniugi Ral, piuttosto che svolgere un compito in caserma molto più arduo del solito.
Nel frattempo, avrei dovuto accontentarmi della compagnia di Oruo, che quel giorno mi era stato affiancato dal capitano Levi.
Entrambi assistemmo a quello che sarebbe divenuto “l’abitudinario” rituale della Caposquadra Hanji, ossia il saluto di quei due poveri sciagurati che solo qualche giorno prima erano stati battezzati dalla loro nuova “madre” con i nomi di Chicatiloni e Albert. Tale saluto consisteva nell’augurare il buongiorno ad entrambi, prima di porre loro alcune domande relative le loro intenzioni nei confronti di noi umani, il motivo per cui si apprestavano a divorarci, da dove avessero fatto la loro comparsa. Queste domande, come nel caso di Ilse Langnar, si dimostravano del tutto inutili e privi di risposta; il saluto terminava con il tentativo di Albert, uno spietato assalitore di soldatesse – quello stesso giorno, come Hanji rischiò di essere decapitata, io stavo per per perdere un braccio durante l’esperimento in programma – di sbranare la Caposquadra, nonostante le catene.
Al termine del saluto generale, Hanji ci convocò, spiegandoci che il compito di quel giorno consisteva nel tenere a bada i due esseri affinché si potesse procedere all’estrazione di uno dei loro arti per analizzarlo prima che esso evaporasse.
Io – probabilmente anche Oruo fece lo stesso – mi domandai il motivo di quella bizzarra richiesta: sarebbe stato assurdo, infatti, esaminare il braccio o il polpaccio di un essere di tre metri il cui solo passo era capace di simulare la stessa vibrazione di un terremoto.
Dopo aver discusso con lei riguardanti i miei dubbi, Hanji mise da parte tutta la sua vivacità e, come mi era stato possibile notarlo anche precedentemente, in un attimo si fece spaventosamente seria, chiaro segnale che ella fosse pienamente consapevole delle sue parole e di ciò che stava cercando.
Qualche ora più avanti, ne compresi la ragione: io e il mio compagno di corso smontammo cautamente le corde e i chiodi che immobilizzavano Chicatiloni, permettendo ad Hanji di amputare il suo braccio destro.
Questo cadde a terra in men che non si dica, dopodiché mi domandai come potessimo esaminarlo quando questo si trovava ad una distanza tale da rendere semplice al mostro di afferrarci, il che complicava il trasporto di un elemento anatomico sicuramente troppo pesante per essere mosso con facilità.
Inaspettatamente, mentre Chicatiloni era distratto dalle mie spade, Hanji alzò il suo braccio da terra con una velocità scandalosa, tenendolo con entrambe le mani. Dapprima, lo esaminò da un estremo all’altro, poi alzò la testa, mostrando il suo sguardo attonito, sollevò gli occhiali protettivi, lasciando andare nuovamente a terra il braccio amputato, che cadde accompagnato da un rumoroso tonfo.
Non ero pienamente conscia di quanto stesse accadendo, ma il mio intuito mi induceva a convincermi che qualche cosa riguardante l’esito di quell’esperimento era da considerarsi di natura assolutamente anomala e atipica.
Il volto scioccato di Oruo e il mio incontrarono quello di Hanji, che urlò a Moblit di fare rapporto.
-E’ incredibile – aggiunse poco dopo, la voce tremante. –Abbiamo a che fare con esseri con cui le leggi della fisiologia non contano minimamente.
Oruo non si fece alcuno scrupolo per chiedere alla Caposquadra di spiegarsi con più semplicità; gliene fui grata.
Hanji ci ordinò con diligenza – un modo di impartire comandi che a me e al resto della squadra di Levi era quasi completamente sconosciuto – di riprendere il lavoro sui due esemplari.
Gli sguardi di interdizione tra me e Oruo iniziarono a farsi via via sempre più frequenti, spesso erano accompagnati da giudizi poco positivi da parte del mio amico circa il fatto che Hanji non avesse avuto ancora riferire a noi due, gli unici che in quel momento ci trovavamo al reparto esperimenti come collaboratori della Caposquadra, la cosa sconcertante di cui era venuta a conoscenza.
Al termine del lavoro, non appena ella constatò di non voler più affaticare i due mostri, ci convocò fuori dall’area “giganti” per metterci al corrente di quanto appreso.
Prima che iniziasse a parlare, invitò entrambi a riflettere riguardante il modo con cui noi osservavamo abitudinariamente quegli esseri mostruosi che avevano improvvisamente invaso il mondo.
Le risposte mie e di Oruo non furono particolarmente differenti: essi erano giganteschi viventi dalle sembianze umane senza un apparato riproduttore che mostravano una particolare ossessione nel divorare le membra degli esseri umani; questi, inoltre, erano particolarmente feroci, possedenti una forza tale da stringere e massacrare un essere umano adulto senza problemi.
-E’ proprio come dite: abbiamo a che fare con esseri che dimostrano una forza vitale sbalorditiva, capaci di distruggere e spolpare corpi umani per poi divorarne voracemente le membra. Ma allora, per quale motivo gli stessi arti che afferrano, stringono, strangolano i corpi di noi soldati, come ad esempio è accaduto ad Oruo, dovrebbero pesare giusto qualche grammo?
Mentre il mio compagno tentava disperatamente di trattenere conati di vomito, io ero entrata in uno stato di choc: la mia mente aveva rievocato il ricordo di quel braccio teso nelle mani di Hanji, da lei sollevato senza applicare il minimo sforzo. Era stato un caso che quell’arto amputato fosse tanto leggero, quando, come avevamo avuto modo di constatare precedentemente, altri giganti avevano usato la medesima bizzarra costituzione fisica per uccidere tante persone?
-Ma ciò è assurdo! – esclamai.
-Esatto. Comprendete la straordinarietà di questi esseri? Essi emettono una quantità di vapore impressionante, posseggono una temperatura interna al di sopra dei cinquanta gradi e la loro struttura corporea, per quanto possa sembrare resistente e massiccia, è la più leggera di sempre e non si avvicina neanche un po’ al peso che dovrebbero avere in rapporto alle dimensioni.
Per un attimo credei di star sognando, qualche istante dopo iniziai a domandarmi se la mia esistenza, in realtà, non facesse parte di una ridicola fiaba, in cui nulla che riguardasse la mia vita, soprattutto i giganti, era da considerarsi reale.
Qualsiasi essere vivente necessitava acqua e cibo per sopravvivere. Questo fabbisogno non contava per i giganti.
Qualsiasi essere vivente, comprese le piante, necessitavano di respirare per vivere. I giganti, malgrado le loro corde vocali, non respiravano.
Qualsiasi essere vivente possedeva un peso proporzionato alla loro massa. Questa caratteristica non aveva alcuna valenza per i giganti.
Iniziai a sentirmi sempre più scossa e spaventata, al contempo fui lieta di credere che il Corpo di Ricerca fosse giunto a capo di una scoperta di tale rilevanza. Una scoperta impressionante, se vogliamo, a dir poco traumatizzante, ma che comunque avrebbe fatto comprendere a molti che la natura dei giganti non era comune ai restanti esseri viventi, e che sarebbe risultato piuttosto complesso capire a fondo la loro origine, in quanto del tutto fuori da ciò che era giudicato “normale”.
Più tardi, ebbi modo di realizzare che non fui l’unica ad aver reagito con particolare inquietudine ed incredulità alla fine dell’esperimento di quel giorno: nel refettorio non si parlava d’altro, tutti i ricognitori erano profondamente turbati e scossi.
 

Proprio quando la mensa aveva iniziato ad affollarsi, il cavallo di Petra aveva appena terminato la sua vivace cavalcata, durante la quale i sentimenti della ragazza erano i più angoscianti di sempre. Come glielo spiegherò con calma?, si domandava, stringendo le redini del suo destriero. Certamente lui non era quel genere di persona da agire così d’impulso, pensò.
 

Mentre immergevo una fetta di pane leggermente stantia nella zuppa di carote, tentavo di ascoltare i discorsi dei tre ragazzi della mia squadra. Tuttavia, ero particolarmente stanca per seguirne i particolari. Ricordai improvvisamente di avere nella tasca della giacca quella lettera giuntami da Lex che avevo ricevuto il giorno precedente e che, a causa di svariati impegni, era rimasta sigillata nella sua busta. Dimenticai la fetta di pane e la zuppa, rovistando nella tasca per poi estrarre il messaggio di mio fratello.
 

Petra non aveva impiegato troppo tempo nella stalla ché si era già addentrata nell’edificio della caserma, camminando a passo svelto affinché raggiungesse il refettorio quanto prima. Devo per forza allarmarla tanto?, si chiese, correndo per i corridoi. Sarebbe stato alquanto scortese, pensò, presentarsi a lei in maniera tanto brutale al termine di una giornata tanto faticosa, eppure non faceva altro che ripensare al volto preoccupato di suo padre, lo stesso che l’aveva accolta quella mattina dopo il suo viaggio. La porta del refettorio era proprio davanti a lei.
 
 

14 maggio, 846
Claire,
Mi spiace non poterti spiegare meglio la situazione, perdonami per aver scritto queste righe tanto sintetiche: il mio cuore è in preda all’eccitazione, non sono capace di esprimermi.
Malgrado la camera regale e accogliente che il comandante mi aveva concesso dopo il nostro ritorno, non sono riuscito a chiudere occhio, quella sera: possibile che i nostri genitori fossero a conoscenza di tanti segreti riguardanti il mondo in cui viviamo? E nostra madre… non ce la faccio a vivere all’oscuro di tutto quello che la riguardava.
Mi sono sentito impotente, vorrei trovare un modo per poterla rivendicare: la mia posizione mi vieta di fare qualsiasi cosa, al contrario tuo che valorosamente uccidi quelle bestie, ragione di tutti i problemi del nostro mondo; ma anche a me piacerebbe tanto rendermi utile. Poi è successo qualcosa di inaspettato: ho ricevuto una lettera anonima, e ho subito intuito che fosse ad opera di Conrad. Mi invita a raggiungerlo alla città sotterranea per mettermi a conoscenza di molte altre cose riferenti a ciò su cui avevano riflettuto lui, papà e anche il signor Smith.
Sono in viaggio verso Mitras a bordo di un carro mercantile diretto alla capitale: ho incontrato un ragazzo il quale mi ha garantito che questa lettera raggiungerà la tua caserma quanto prima.
Ti prego di non preoccuparti. La mia curiosità non mi frenerà dal mio intento. Me la caverò.
Lex
 

Persi un battito non appena lessi gli ultimi paragrafi della lettera. Tentai disperatamente di non perdere i sensi dallo sgomento, alzandomi dal posto scombussolata, tremante. Prima che Gunther, Erd o Oruo potessero chiedermi il motivo di quella mia strana reazione, Petra era entrata, percorrendo l’intero refettorio per raggiungermi.
-Claire, devo dirti una cosa importante… - iniziò, interrompendosi non appena osservò l’orrore dipinto sul mio volto. –Lex… lui è…
-So cos’è successo a Lex – sventolai la lettera. Se non avessi avuto la mente tanto annebbiata dall’angoscia e dalla frustrazione, mi sarei meravigliata di notare che non mi era occorso tanto tempo prima di constatare che Petra mi stesse cercando con irruenza per parlarmi di ciò che la mia mente ancora stava faticando a realizzare. –So anche dov’è, devo andare.
Petra mi bloccò il polso. –Ma che sta succedendo, Claire? Dove si trova?
Afferrai il braccio della mia amica, con le lacrime agli occhi dalla paura. –Non è come l’altra volta – dissi, riferendomi al motivo che aveva causato il nostro allontanamento qualche tempo prima. -E’ una cosa che ha che fare con i miei genitori. Ti prometto che ti spiegherò tutto al mio ritorno, adesso devi lasciarmi andare.
-Claire, posso aiutarti in qualche modo? – mi domandò, anche i suoi occhi luccicavano.
Non riflettei su come le avevo maleducatamente accennato l’accaduto, piuttosto mi affrettai a dirigermi nei magazzini dell’edificio senza risponderle, correndo mentre tentavo disperatamente di ricostruire quanto accaduto, di capire più che altro quanto tempo fosse passato dal giorno in cui Lex aveva preso la folle decisione di seguire un uomo dalla fama alquanto infida a quello in cui avevo finalmente letto la sua lettera. 14 maggio: erano trascorsi tre giorni.
I magazzini teoricamente avrebbero dovuto disporre di un addetto al quale bisognava rivolgersi per transitare (rigorosamente assenti per mancanza di personale), ma ero talmente scossa da non pensare nemmeno se fosse stato giusto prendere l’iniziativa di entrare senza consenso: perciò prelevai una delle torce che illuminavano il corridoio e aprii la porta socchiusa, addentrandomi nel gigantesco deposito.
Iniziai a domandarmi quali fossero le probabilità che gli fosse successo qualcosa di spregevole durante quell’arco di tempo, o semplicemente se l’avesse impiegato soltanto per sfuggire ai controlli in dogana e giungere nei pressi di Mitras con la pazienza e la lentezza necessaria.
Dimenticai il motivo per cui avevo raggiunto il magazzino del Corpo, ansiosa qual ero, poi recuperai un minimo di lucidità per decidere se armarmi o meno: cosa avrei trovato, una volta giunta nuovamente lì? Perché non mi stavo fidando di quella strana lettera ricevuta da mio fratello?
Non pensavo ad altro che al luogo angusto nel quale viveva Conrad e al fatto che Lex potesse essere in pericolo solo per essere tornato nuovamente in quella città misera e spietata.
Sarei riuscita io, banale soldatessa dell’Armata Ricognitiva, a spiegare in dogana la situazione? Tantomeno nei miei documenti personali il mio grado di soldato semplice mi permetteva di transitare nei territori interni senza il consenso di un mio superiore.
Avrei dovuto probabilmente utilizzare lo stesso metodo illegittimo di cui aveva fatto uso mio fratello, pensai mentre indugiavo se prendere in prestito un ingombrante dispositivo di manovra sistemato sul gigantesco tavolo adoperato per la manutenzione.
Poco più avanti, scorsi degli eleganti e sottili pugnali. Percepii un colpo allo stomaco inevitabile, ma non facevo altro che credere che quegli oggetti tanto brutali avrebbero comunque dimostrato la loro utilità in un’occasione simile.
Mi è difficile riportare al lettore qualunque traccia di riluttanza che accompagnò il mio gesto; ne presi un paio, scrutandoli. Non valeva la pena soffermarsi molto su quella scelta: combattere o morire, sarei stata costretta a optare una di queste due scelte, nel caso in cui si fosse presentata una situazione tanto spiacevole.
Proprio mentre ero intenta a infilarli nella cintura dell’imbracatura, una voce tuonò alle mie spalle: -Claire, che stai facendo?
La lucidità pian piano mi stava abbandonando per l’ennesima volta. Talmente agitata da non essere in grado di chiarire a Levi a cosa stessi andando incontro, mi sfilai la giacca con sopra cucite le Ali della Libertà per poi frugare nella parte opposta del deposito alla ricerca di un soprabito sopra il quale non fosse cucito il medesimo stemma; ne trovai uno di colore grigio, abbastanza malmesso ma ancora integro.
-Lex si è messo nei guai, Levi – scaraventai la lettera sul tavolo, mentre mi infilavo il pastrano. –Devo andare da lui.
Levi non tardò a comprendere l’accaduto, nemmeno a strattonarmi perché mi calmassi e cercassi di affrontare quella circostanza con più calma. –Sei veramente impazzita, cazzo? Hai davvero intenzione di andare lì come una matta rincoglionita?
Respinsi le sue mani avvinghiate al soprabito. –Sei tu che non ragioni. Pensi davvero che voglia lasciare Lex lì sotto, come se nulla fosse? – una lacrima di frustrazione mi rigò il volto. –Non faccio altro che convincermi che sta rischiando davvero di morire, per un motivo o per un altro! È un brutto presentimento che ho, non ce la faccio a rimanere qui!
Levi dapprima incrociò le braccia. –Merda! – esclamò, sferrando un calcio a quello che rimaneva di una vecchia sella scucita.
Conoscendolo bene, sapevo che non avrebbe gradito lasciarmi partire da sola, ma, come sapevamo entrambi, certamente non potevamo trasgredire un regolamento chiaro ed esteso a tutto l’esercito; anche se ne avessimo parlato con la massima autorità del Corpo di Ricerca, sarebbe trascorso troppo tempo prima di ottenere una pattuglia di soccorso da inviare nei bassifondi della capitale, una zona tanto disprezzata, in cui scarseggiavano persino i gendarmi.
Alzai il mantello del soprabito. –Viaggerò questa sera, Levi. Non lascerò Lex in balia di qualsiasi pericolo.
Egli sospirò. –Cosa credi di fare, andartene da sola? Vengo con te.
Il suo appoggio fu capace di regalarmi un minimo di conforto. I nostri sguardi si incontrarono, la sua mano raggiunse la mia spalla. –Non ti lascerei mai andare in quel posto da sola – aggiunse austero. -Aiuteremo Lex.
Gli strinsi forte la mano, chiedendogli di prepararsi per affrontare quell’avventura sprovveduta prima che calasse il sole.
 
Spazio Autore: rieccomi, dopo un altro breve periodo di assenza!
Nuove scoperte e nuovi problemi stravolgono la vita di Claire… non posseggo la stessa infamia di Isayama, ma devo dire che ci tengo affinché la vita di questa povera soldatessa non sia tanto tranquilla XD.
L’unica cosa che forse potrà consolarla è che tra non molti capitoli la nostra protagonista terminerà la stesura di questo diario e mi chiedo quali saranno i motivi per cui deciderà di interrompere la sua narrazione (perfidia, portami via XD).
Oggi è domenica, per giunta: sono ansiosa di vedere la scena animata della caverna dei Reiss *_*. Sto davvero apprezzando il lavoro dei Wit Studios, questa stagione va a gonfie vele *_*.
Nient’altro da aggiungere, ringrazio chi continua a leggere la storia nonostante la mia incostanza e soprattutto chi la recensisce. Un bacio!
  
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