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Autore: Urban BlackWolf    05/09/2018    5 recensioni
Può un falco forzare se stesso e rallentare per mettere in discussione le scelte fatte nonostante la sua natura lo costringa alla velocità, alla determinazione nel raggiungimento dell’obbiettivo di una vendetta?
E può una gru riuscire a proteggere con l’amore e la cieca fedeltà tutto ciò nel quale crede fermamente?
Possono due esseri tanto diversi fondersi in uno per tentare di abbattere le barriere che li separano pur solcando lo stesso cielo?
Ungheria 1950: Michiru, figlia della ricca e storica Buda, dove tutto è cultura e tradizione, lacerata tra il dovere ed il volere, dalla parte opposta di un Danubio che scorre lento e svogliato, Haruka figlia di Pest, che guarda al futuro correndo tra i vicoli dei distretti operai delle fabbriche che l’hanno vista crescere forte ed orgogliosa.
Una serie di eventi le porteranno ad incontrarsi, a piacersi, ad amarsi per poi perdersi e ritrovarsi nuovamente, a fronteggiarsi e forse anche a cambiare se stesse.
Genere: Romantico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Le Gru della Manciuria

 

 

I personaggi di Haruka Tenoh, Michiru Kaioh, Setsuna Meioh, Usagi Tzukino. Mamoru Kiba, Makoto Kino, Rei Hino e Minako Aino apparsi in questo capitolo appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Capitolo XXI

 

 

La follia di un amore distorto

 

 

Provò dolore quando la lama del Kés di Haruka le penetrò il petto. Un dolore che mozza il respiro e porta quasi nell’immediato la mollezza nelle gambe. Non appena Mery le si era avventata contro, con una torsione del busto era quasi riuscita a schivare l'affondo, ma sbilanciandosi aveva finito per urtare il muro alle sue spalle agevolando la donna. Ormai impossibilitata nella fuga, Johanna aveva distintamente avvertito la punta di metallo morderle la carne poco sotto la clavicola sinistra e la foga dell’assalitrice spingersi su di lei. Non aveva rivisto flash della sua vita come si dice accada prima di una morte violenta, ma in compenso si era ritrovata suo malgrado tutti i sensi vigili, così che al bruciore di carne, era arrivato l’odore ferrico del sangue, quello dell’alito carico di bile dell’altra, il suono della sua risata incontrollata, l’urlo di Tesla, il ronzare delle lampade che stavano perdendo potenza ed lo sgocciolare di una delle cannelle della grande vasca di pietra della lavanderia. Estratta l’arma aveva avuto come l’impressione che tutto si smorzasse in tinte grigie, che il suo stomaco esplodesse in una generale sensazione di nausea e che il suo cuore perdesse un colpo per poi riprendere a perdifiato.

Johanna Tenoh non seppe mai se quello scherzo fisico fosse dipeso da una reale scossa multisensoriale scatenata da qualche reazione chimica o no, ma sta di fatto che portandosi il palmo della destra alla giacca, iniziò a scivolare giù, contro il muro grezzo, fino ad arrivare a sedersi in terra.

“Mery! - Tesla le fu addosso prima che questa potesse infierire ancora. - Sei impazzita?!”

“Lasciami.” Ordinò tagliando l’aria con la mano armata costringendo la compagna ad arretrare.

“Come fai ad avere un coltello!?”

Quella sogghignò vagamente soddisfatta. “Bello vero? Non immagineresti mai di chi è.”

“P…Perché ce l’hai… tu?” La voce di Johanna arrivò dolorante anche se ancora chiarissima.

“Taci sporca bastarda! - Imperò la rossa puntandole la lama contro. - E’ stato grazie ad una serie di coincidenze se sono venuta in possesso di questo bell’oggettino. - Poi tornando a guardare Tesla si fece più calma. - Inizialmente di questa cagna non me ne fregava niente; era solo l’amante che pensavo si scopasse la bionda che ti piace tanto, amore. Si, quella bellezza che sogni ogni notte, quando sento che ti tocchi, quando preferisci le tue dita invece che chiedere a me di soddisfarti! L’ho capito sai; ho capito che vorresti lei al tuo fianco. Non mi hai mai guardata come ti scopro fare quando scende in cortile per correre o si rilassa sotto l’acqua della doccia!”

“Ma cosa stai dicendo…”

“Ma ho preso a fottermene anche di questo, perché sapevo che prima o poi gliel’avrei fatta pagare. Te l’avrei strappata dal cuore strappandole la vita. Ma avevo bisogno di conoscere tutto di lei, per trovarne il punto debole ed agire. Così ho iniziato a fare domande, a seguirla, ma quella se ne stava sempre rintanata in cella o per i fatti suoi, tanto che mi stavo arrendendo all’evidenza…”

“Basta con queste stronzate! Sei tu che guardi le altre, che ti fai sbattere nelle docce quando giro gli occhi!” Tuonò Tesla provando a fare un passo, ma alzando minacciosa la mano Mery la sbloccò continuando con folle lucidità.

“Kōtei mi attrae lo riconosco, ma è il suo corpo che voglio, non il suo cuore. Per te è diverso, non ti accontenteresti di avere Tenoh nel tuo letto, perché tu…, tu sei innamorata!”

“Che cazzata…” Soffiò Johanna tossendo e ridendo insieme.

“Tu crepa." E giù un calcio tra spalla e collo che la schiantò su un fianco.

La donna slava intervenne frapponendosi. “Sei uscita di senno?! Per chi ammazza una di queste c’è la pena capitale!”

“Voglio che quella bionda provi dolore e facendo fuori Horvàth gliene farò tanto, puoi starne certa.”

“E’ solo una che si scopa! Non penserai mica che si strapperà i capelli se…”

“E’ sua sorella!” Urlò e l’eco tornò a riempire un ambiente spettrale.

Tesla rimase bloccata per qualche istante, poi spostando lo sguardo dalla compagna alla guardia che intanto era riuscita a rimettersi seduta, scosse la testa incredula.

“La sorella?! Anche se fosse rischieresti un cappio al collo solo per colpire Tenoh?”

“Esattamente."

“Dove hai trovato quell’arma!?”

“Ho gente in gamba che mi gira intorno sai? Non hai mica l’esclusiva.”

“Mery non scherzare! Quello è un Kés. Come diavolo hai fatto a farlo entrare?!”

“Non l’ho fatto entrare… C’era già, ben custodito in una delle scatole che contengono gli oggetti che vengono sequestrati all’arresto. Ho dovuto tagliare la gola a quella schifosa, ma tutto sommato n’è valsa la pena.”

“Sei stata tu…” Una costatazione, perché gli occhi che adesso Tesla aveva davanti valevano più di mille conferme verbali.

“Inizialmente l’ho fatto solo per far accedere la mia amichetta alla scheda personale della tua bionda. Aveva bisogno di una scusa per potersi aggirare indisturbata in quella parte del Blocco C che a noi è interdetta. Ma poi una serie di fortunate coincidenze mi hanno portato questo.” Baciando velocemente la lama se la guardò come il più bello dei regali di nozze.

Lo zerbino, pensò Johanna non riuscendo quasi più a tamponare la ferita resa ormai viscida dal sangue che lentamente le stava imbrattando la giacca.

“Vedi cara, sapevo che sarebbe stata lei la sostituta per le faccende se a quella vecchia fosse accaduto qualcosa e confidavo che con il putiferio dell’omicidio, prima o poi sarebbe riuscita ad accedere all’archivio. Ma non avrei mai pensato che all'arresto Tenoh avesse questo con se, che sua sorella maggiore fosse una guardia carceraria…- Accovacciandosi vicino a Johanna proseguì riprendendo a giocherellare con il manico del coltello. - … e che per questo sarebbe stato tanto soddisfacente prendermi la mia vendetta. Siete state furbe a far passare il vostro legame come una sbandata, ma la cosa mi ha fatto incazzare ancora di più!”

“Tu hai ucciso per questo?!” Chiese Tesla scuotendo la testa.

“Mi era d’intralcio amore! Non mi hai sempre detto che gli ostacoli vanno rimossi? Ebbene... l’ho fatto!”

Non tanto in Johanna, alla quale era ormai ovvio quanto l’assassina della detenuta 0056 fosse instabile, quanto alla slava parve chiaro che in anni di reclusione nella sua compagna si fosse sviluppato il tarlo della follia. Se Mery fosse stata già predisposta o meno, questo non sarebbe servito saperlo. L’attrazione dimostrata da Tesla per Haruka era stato l’innesco e la gelosia il comburente silenzioso per quell’esplosione.

“Va bene, adesso cerchiamo di stare calme e proviamo a capire come fare ad uscire da questa situazione.”

Ma tornando a ridere isterica, l’altra scrollò le spalle spostando l’attenzione sulla ferita e Tesla capì. Ormai Johanna sapeva chi fosse l’assassina della casa della Luce. Non avrebbe potuto rimanere in vita.

“Voglio vederla morta! Ma prima potremmo usarla come ostaggio per evadere da questa merda! Con il ballo e la tormenta che si sta scatenando fuori… - Lasciando in sospeso la frase Mery guardò la luce ambrata ormai sempre più fioca della lampada che pendeva sopra le loro teste. - Presto saremo al buio.”

Ma la slava invece di avvallare il piano, esplose rabbiosa. “Potevi pensarci prima di conciarla così! Adesso morirà prima di arrivare al cancello di servizio. E poi tu stai male e…”

Forse illuminata da una lucidità che nonostante la ferita sembrava esserle scesa addosso, Johanna intervenne dando la più ovvia delle spiegazioni. “Non lo capisci che è stata tutta una messa in scena?!”

Corrugò la fronte Tesla, perché pulendosi la bocca con la manica del maglione, Mery diede ragione al secondino stirando le labbra. “Non ti sembra che sia stata un’ottima mossa il mordersi un poco la lingua per eludere parte della sorveglianza… amore?”

“La tua amica non avrebbe dovuto trafugare dal deposito il Kés di mia sorella. Quella lama è sacra.”

“Sciocchezze! E' una lama come un'altra! E quando ti ammazzerà ci proverò ancora più gusto. Ti avrebbe gia' sgozzata se l'avessi avuta in mano quando eri nel cunicolo. Ma ammetto comunque di essere stata fortunata, perche' la mia amica è riuscita a prenderlo poco prima che il vostro capo squadra decidesse di non farla più lavorare nel blocco. - Afferrandola per i capelli si avvicinò tanto da sussurrarle in un orecchio. - Ma sappi che per me avevi già le ore contate. Barattandolo in cambio di favori, sono riuscita ad entrare in possesso di un cacciavite che una detenuta aveva trovato per caso e ti ripeto che se non fossi stata baciata dalla sorte, saresti già morta.”

Alzandosi la trascinò su con se. - Adesso però muovi il culo e ci porti fuori di qui. - Ma Johanna gemendo si sostenne nuovamente contro il muro.

La mano ormai totalmente imbrattata di sangue spinse Tesla ad intervenire. “Ti ho detto che conciata così non arriverà al cancello. Lasciala, forse possiamo ancora salvarla.”

“Cosa? Tieni dunque così tanto a quella bionda da salvarle la sorella?!”

Ma in realtà non era affatto così. “E’ a te che tengo imbecille!”

“A si, con la scusa di una condanna alla forca?! Credi realmente che la vita di questa, per lo Stato valga tanto?” E come una bambina che prende a sfidare l’autorità materna, spostò la lama alla gola di Johanna.

“E tu credi che la tua valga di più? Non scherzare con il fuoco Mery. La legge parla chiaro!”

“Dobbiamo solo riuscire ad arrivare in strada! Poco importa se con una moribonda o un cadavere.” Serrando l’avambraccio al collo della ferita, fece per muovere i primi passi quando una serie di voci catturarono la loro attenzione.

“Porca puttana, sono già qui!” Esplose la slava iniziando a provare uno strano panico.

In realtà della loro relazione Mery non aveva mai capito nulla o forse non fino in fondo. Era vero, Tesla si era innamorata di un’altra, ma pur se di carattere non sempre semplice e con tutti i difetti di questo mondo, non avrebbe mai lasciata la compagna di anni per una ragazza che non la corrispondeva e che per di più, sarebbe uscita da li a pochi mesi. E poi c’era sempre l’affetto, la quotidianità, l’impossibilità di vivere una nuova storia senza arrecare danno ad una donna che avrebbe comunque dovuto vedere tutti i giorni.

“Allora dobbiamo sbrigarci! - Strattonando una Johanna ormai al limite, si adirò nel sentirla tanto pesante sulle gambe e così poco reattiva. - E’ inutile che cerchi di boicottarci! Ti farò muovere il culo dovessi portarti in spalla!”

“Mery… no!” Bloccandola Tesla provò un’ultima volta a farla ragionare mentre le voci accompagnate da passi concitati si facevano via via più vicine.

“Ma lo capisci che è un’opportunità?!”

“Lasciala e dammi quel coltello!” Ordinò guardandola dritta negli occhi convinta che come sempre sarebbe stata ascoltata.

Questa volta però non avvenne. Questa volta Mery non obbedì e la lama corse rapida l’ennesima volta tra le ombre tremolanti delle lampadine.

 

 

Le verità di un amore profondo

 

Accarezzandole lievemente il braccio con l’indice, ammise a se stessa di non riuscire a spiegarsi del perché quella pelle potesse essere tanto profumata nonostante il sudore speso. Contraendosi a quel tocco Michiru sorrise affondando il viso nell’incavo del suo collo.

“Mi fai il solletico.” Sussurrò respirandole a pochissimi centimetri dall’orecchio sinistro.

Era quella la felicità. Una felicità data e ricevuta, bramata, prima lentamente, quasi con pudore, poi gemuta, soffocata negli spasmi di un piacere mai provato prima. Una felicità di corpo. Una felicità di cuore. Una felicità d’anima. Moltitudine di colori miscelati insieme; quelli forti e vibrati di Haruka, quelli temperati e profondi di Michiru.

“Alza il viso. Voglio guardarti.” Comandò la bionda dolcemente vedendola eseguire imbarazzata.

Questa volta era stata Kaioh a prendere l’iniziativa e lo aveva fatto sfacciatamente, guidata più dall’impulso di averla che da altro. Ora, dopo i baci e le carezze, i tocchi e le spinte, dopo la frenesia tesa fino allo spasmo dell’esplosione di un piacere condiviso, ora, si sentiva come un pugile rivolto supino sul tappeto di un ring; vinta, battuta, completamente inerme.

“Cosa fai adesso, ti vergogni?” Domandò Haruka portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“Abbiamo fatto l’amore.” Soffiò Michiru non riuscendo a darle gli occhi.

“Sei pentita?”

“Assolutamente no!”

“E allora cosa c’è?”

“Abbiamo fatto l’amore.” Ripeté e questa volta Haruka capì fondendo il sorriso a quello che stava nascendo dolcissimo sulle labbra dell’altra.

“Ed è stato perfetto.”

“Non avrebbe potuto essere più intenso neanche se fossimo state in un palazzo.” E Kaioh tornò a guardarla con un’intensità disarmante.

“Come fai a darmi tanto con un solo sguardo, Michiru?”

“Perché ti amo Haruka.”

Scese un improvviso silenzio in quella cella tre per due immersa nella penombra della notte, spingendo la bionda a pensare che se fosse durato troppo allungo, Michiru sarebbe riuscita a sentirle il battito impazzito del cuore. Era sempre stata amata in vita sua; dai genitori, dalla sorella, gli amici, perfino dal suo nagyapa e avrebbe dovuto perciò essere in un certo senso abituata a parole intense come quelle. Ma era così diversa quella sensazione, così immensamente profonda, che a quella semplicissima quanto potente frase, la bionda si piantò l’indice in mezzo ai denti emettendo una specie di singulto soffocato.

Accorgendosene l’altra le spostò la mano riprendendosi il rossore delle labbra. Un bacio delicato. Imparagonabile alla foga dei precedenti.

“Non dovrei?”

“Forse…” Lamentò di risposta e lo fece talmente piano che Michiru le chiese spiegazioni con la sola espressività del viso.

Non era corretto, Haruka avrebbe dovuto parlarle prima di permettersi di sfiorarla anche solo con la punta di un dito, ma non aveva potuto non cedere all’impulso di averla. Quella ragazza di Buda le era entrata sotto pelle da troppo tempo per riuscire a fermarsi quando se l’era sentita premuta contro. Ma ora che il corpo aveva ricevuto la sua dose d’ambrosia, ora si, era arrivato il momento di esporsi e confessare.

“Sono una vigliacca e non sono certo pura come acqua di fonte… - Ricordò ammettendo la grande labilità che sentiva di avere da mesi. - Non credo che vorresti ancora le mie mani addosso se ti raccontassi alcune cose di me.”

Puntando le braccia Michiru si alzò leggermente guardandola con severità. “Mettiamo subito in chiaro una cosa; io amo l’animo di una ragazza meravigliosa che ha nelle sue mani solo il prolungamento della sua anima.”

Haruka piegò leggermente gli angoli delle labbra. Con quanta chiarezza riusciva a sottolineare le cose.

“Se si tratta di quello che ti spingi a fare quando ti apparti con l’agente Horvàth, bè… non posso certo dire che mi faccia piacere, ma dovresti aver capito che non sono una donna che lega a se le persone con mezzucci tipo bronci o ricatti.”

“O Michi…”

“Perciò se vuoi dirmi che tra le due non sai chi scegliere…” Una carezza sulla guancia la bloccò immediatamente.

“No Michiru, no! Come potrei dopo quello che ci siamo scambiate poco fa?! E’ mia sorella… - Sorridendo mesta le toccò la punta del naso con l'indice. - Johanna è mia sorella maggiore.”

“Cosa?!"

“Si. Perdonami se te l’ho tenuto nascosto, è che più passava il tempo e meno riuscivo a dirtelo. Forse avevo paura che pensassi che ti stessi prendendo in giro o forse era solo un altro modo per cercare di proteggerti, ma tu non sopporti quando lo faccio, così…”

“Proteggermi da cosa!” Una leggera inflessione d’insofferenza nel timbro che la bionda lesse come pericolo.

“Michi, la legge delle carceri è molto chiara in merito al rapporto che può istaurarsi tra detenuta e secondino. Puoi farti sbattere come e dove vuoi, ma guai ad andare oltre. Mai una storia d’amore seria, mai un’amicizia, figuriamoci un grado di parentela stretto come il nostro. Quando sono stata messa dentro, per starmi vicina Johanna ha chiesto alla direttrice Meioh di poter essere assunta pur non avendone ne i titoli, ne le capacità. Setsuna visse con noi quando nostro padre partì per il fronte ed è proprio grazie a quest’amicizia che ha avvallato quest’enorme fesseria. Devo ammettere però che averla qui è stata una fortuna. Le volte che sparivamo era per parlare e ci faceva comodo che tutte le altre pensassero ad un rapporto carnale. Le cose che mi faceva arrivare da fuori, fino agli sguardi d’intesa, sono stati un aiuto enorme per me, ma se a qualcuno dovesse arrivare voce del nostro legame, entrambe rischieremmo la vita. - Spostando il palmo dal fianco dell'altra proseguì stancamente. - Ho pensato che non dicendoti nulla ti avrei tenuta fuori da questa cosa.”

“E io che mi sono roduta l’anima…”

“Johanna mi ha spronata a dirtelo, persino l’altro giorno, durante la perquisizione della nostra cella, ma io…, lo sai, sono una gran testona.”

Ecco perché a tratti Horvàth le ricordava Haruka, ed ecco il perché di quell’affetto nei loro gesti.

“Tu non puoi neanche immaginare quanto mi sia sentita meschina nei suoi confronti. Ero gelosa da morire e più vedevo la vostra complicità e più cercavo di trattenermi dal non volerle male. Non è stato corretto, Ruka.”

“Scusami…” Accogliendola nuovamente tra le sue braccia la baciò tenerissima sulla fronte.

“Horvàth è il cognome di vostra madre?”

“Si. Setsuna non brilla per fantasia visto che ha usato lo stesso espediente con te e le sorelle Aino.”

“Mmmm… Ma non c’è solo questo vero? - E prese ad accarezzarle lieve la pelle e lo fece in prossimità del dorso dell’avambraccio destro. - Una volta l’ho intravisto nelle docce, ma solo questa sera sono riuscita a metterlo veramente a fuoco.”

Girandole il polso scoprì il tatuaggio che Haruka aveva provato a nascondere ogni santo giorno da quando avevano preso a vivere insieme. La sera, quando s'infilava il pigiama, la mattina, quando si vestiva, sotto le docce, all’aria aperta, quando era solita tirarsi su le maniche del giaccone per godere pienamente dell’aria fresca. Ratta evitava di farle vedere le braccia, compiendo movimenti alle volte grotteschi e totalmente innaturali. Viste le stranezze che ogni tanto emergevano da quella ragazza, Michiru non ci aveva badato più di tanto, arrivando addirittura ad ipotizzare un pudore cronico che, in tutta franchezza, la bionda non possedeva affatto.

Anche se abbastanza eloquenti, cercò comunque di farsi spiegare cosa rappresentassero quei segni. Quando e perché se li fosse fatti fare.

“Fino all’autunno scorso non mi sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello di farmi deturpare così, ma… “ Sospirando cercò le parole giuste.

“Ma?” Incalzò l'altra stuzzicandola con una stretta alla vita.

“Diciamo che rappresenta una sorta di promemoria.”

“Per ricordarti?”

“Per ricordare mio padre…, la sua morte, o meglio… il responsabile della sua morte.”

“Me ne vuoi parlare?”

“C’è poco da dire; il mio apa era un uomo in gamba, cresciuto dal niente, ma arrivato a dirigere una fabbrica solida. A causa della perdita di una partita d’acciaio che sarebbe servita per l’inizio di una grossa commessa statale, il settembre scorso si è visto costretto a mettersi nelle mani di un uomo che alla fine si è rivelato un disonesto bastardo. Non riuscendo a pagare il materiale e visto che di mezzo c’era anche il Ministero dei Trasporti, è stato arrestato dalla Polizia Tributaria e portato alla casa della giustizia. - Alzando l’avambraccio a mezz’altezza, Haruka ne studiò il disegno che in genere guardava solo di sfuggita. - Gli agenti dell’ÁHV l’hanno torturato per giorni convinti che nascondesse chissà cosa.”

Michiru rabbrividì ricordando la sera che aveva deciso di entrare a far parte del sottobosco rivoltoso tessuto del generale Aino, quando ferma davanti a quel palazzo inquietante, aveva visto un uomo in abiti da lavoro, alto anche più di suo padre, trascinato verso il portone d’accesso neanche fosse la peggiore delle bestie. Era stata quella scena a farle capire che sarebbe stato suo dovere provare a cambiare le cose.

“Ce l’hanno ammazzato Michi e questo tatuaggio mi ricorderà per sempre la missione che mi sono prefissa di portare a compimento.”

“Quale missione Haruka?”

“Farla pagare a colui che l’ha tradito. Vedi la lama di questo pugnale? E’ vero che ha una parte scura che rappresenta una cosa negativa come la vendetta, ma ha anche una parte chiara, la giustizia, ed è questa luce che mi porterà a dare finalmente pace all’anima di mio padre. La giustizia.” Rimarcò convinta.

“Vuoi farlo arrestare?” Chiese con un filo di voce avendo già intuito dalla durezza di quelle parole che non potesse essere quella la soluzione.

“No Michiru, devo ucciderlo.”

Alzandosi di scatto l’altra trattenne il fiato mentre Haruka continuava a guardarsi l’avambraccio con una strana calma.

“Dovrò ritrovare la forza che avevo prima di entrare qui dentro. Devo ritrovarla assolutamente.” Lo disse più a se stessa e alla punta della lama del suo disegno, che rivolta verso l’alto, stava a significare quella determinazione che avrebbe dovuto usare per affondare il suo Kés nella carne di Alexander Kaioh.

“Nessuno te lo riporterà!”

“Non essere ovvia come Johanna! E’ un altro il punto, Kōtei.”

“Un altro punto?! Quale altro punto potrebbe mai esserci per giustificare un omicidio?”

“Speravo avresti capito. - Disse glaciale scansandola per mettersi seduta ed iniziare così a cercarsi la biancheria intima. - Ma come potresti. Sei cresciuta nell’agiatezza di Buda, estranea a tutte quelle antiche leggi che hanno scandito per secoli la dignità e l’onore delle popolazioni ungare.”

Arpionandole una spalla Michiru la costrinse a voltarsi. “Non stiamo parlando di chissà quale retaggio culturale Tenoh, ne del sangue ungherese, ma di una scelta! Quella di mandare o meno un uomo all’atro mondo!”

“Credi non lo sappia! - Ringhiò scostandosi. - Credi che non mi sia fatta mille domande prima d'intraprendere questa strada? Ma è una cosa che devo a mio padre e ne te, ne Johanna, tantomeno Scada o Setsuna potrete farmi cambiare idea!”

Come se improvvisamente quel pensiero fisso andato stemperandosi con il passare delle settimane di reclusione, si fosse rinnovato, la bionda si alzò infilandosi la maglietta proprio mentre alcuni passi si avvicinavano alla porta. Lo spioncino si aprì e una parte del viso di una delle guardie del turno di notte comparve ordinando loro di vestirsi.

“Muoviti Tenoh! E anche tu Kōtei. Il capo squadra Shiry vi vuole vedere.”

Azzerando la discussione le due ragazze si guardarono e nella semioscurità iniziarono ad indossare le prime cose trovate. Uscirono notando subito la bassa tensione dell’illuminazione e le prime donne che facevano ritorno al blocco.

“Cos’è… la festa è già finita?” Chiese Michiru ancora scioccata dalle rivelazioni della bionda. Non ebbe risposta.

“Ehi agente,, vi ha fatto una domanda.”

“Calmina Tenoh! Fuori è un inferno bianco e la luce potrebbe saltare da un momento all’altro. Le detenute devono rientrare tutte nelle celle.”

“Ed è per aiutarvi a farlo che il capo squadra vuole vederci?!” Rispose ironica non gradendo lo strano atteggiamento che la donna stava avendo con loro e non potendo certo immaginare quello che si era appena consumato nella lavanderia, la seguì con Michiru al fianco verso la zona più protetta del Blocco C.

 

 

La forza di un amore fraterno

 

Shiry si portò una mano sul viso allontanandosi di qualche passo dal lettino dell’infermeria. Non riusciva a ragionare, a prendere decisioni lucide, perché in una manciata di minuti era accaduto di tutto. Si era vista consegnare da due agenti dell’ÁHV l’ordine di trasferimento per le detenute Minako e Usagi Aino e giâ questo di per se l’aveva gettata nel panico. Non era pronta a perdere quelle due ragazzine e Setsuna Meioh non aveva ancora un piano per cercare di strapparle al destino che le stava aspettando nelle stanze del seminterrato della casa della giustizia. Così aveva colto l’occasione del ritorno dell’agente scelto Hino per temporeggiare, tornare dalla Direttrice e sperare di ricavarne un qualcosa di costruttivo.

Non aveva potuto. Bloccata da Julie, il suo vice, sudata e in debito d’ossigeno, era venuta a conoscenza di quello che stava accadendo in lavanderia; Mery stava male, sputava sangue e aveva bisogno del dottor Kiba.

Dio Santo anche questa, aveva pensato intimando all’altra di andare a chiamare l’uomo ancora immerso nei divertimenti del ballo, mentre lei si sarebbe diretta a prestare i primi soccorsi. In più Horvàth era rimasta sola e nel saperlo una bruttissima sensazione d’irrequietezza aveva preso a stringerle il petto. Così era corsa.

Una volta svoltato l’angolo del corridoio che portava ai locali di servizio, le si era presentata una scena agghiacciante; Johanna seduta contro il muro accanto ad una chiazza scura che scintillava ad ogni pulsazione rimandata dalle lampade. Bloccandosi ed estraendo il manganello, si era avvicinata con circospezione, cercando di richiamare l’attenzione della ragazza che però non aveva risposto. Con la testa mollemente abbandonata da un lato, le spalle leggermente incurvate in avanti e la mano destra ferma sul petto, non le aveva dato cenni di vita neanche quando Annamariah le era stata sufficientemente vicina per poterla toccare.

“Johanna!” Si era sporta, quando l’occhio l’era caduto sulla strana superficie riflettente che altri non era che una pozza densissima di sangue.

Scattando all’indietro aveva intimato alla sua razionalità di calmarsi, di alzare il bastone metallico e guardarsi intorno. Con la schiena protetta dal muro si era abbassata lentamente continuando a scrutare la porta e gli angoli in ombra della lavanderia, mentre portava indice e medio alla carotide della ragazza. Al primo battito aveva rilasciato la poca aria trattenuta nei polmoni e al secondo era finalmente riuscita a prenderne una boccata piena. Era ancora viva.

“Johanna mi senti? Apri gli occhi.” Poi arrivandole alle orecchie le voci dei soccorsi, aveva abbassato un poco il manganello voltandosi verso l’altra.

Quello che aveva visto l’aveva atterrita. Raggomitolata in posizione fetale quasi del tutto nascosta dalla sagoma di Tenoh, se ne stava Tesla la slava. Le mani portate all’addome, lo sguardo spalancato verso un punto indistinto del corridoio, come a voler cogliere chissà quale sfumatura nel pulviscolo dello sporco. Shiry lo aveva riconosciuto immediatamente quello sguardo. Occhi che non vedono più.

Calma Annamariah, devi stare calma! Non è questo il momento di cedere, si disse intravedendo oltre la porta dell’infermeria la collega che era venuta ad avvisarla. Bianca come un cencio, non faceva altro che andare avanti e in dietro presa sicuramente dal senso di colpa.

Quando il capo squadra uscì sul corridoio, lei la guardò per poi sbirciare all’interno della stanza medica. Di Johanna riusciva a vedere solo i piedi e parte delle gambe. Il resto era coperto dal corpo del dottor Kiba, alacremente impegnato a cercare di fermare l’emorragia all’altezza del quadrante superiore sinistro.

“Non avrei dovuto lasciarla sola! Sono un’imbecille. Mi sono fatta prendere dal panico - Bloccata per le spalle dall’altra, la sottoposta tornò a fissarle gli occhi scuri scuotendo la testa. - Mi dispiace Anna. Mi dispiace tanto…”

“Julie basta! Non serve a nulla fare così! Senti, ho bisogno di una mano e devo sapere se sei in grado di darmela. - Scuotendola un paio di volte riuscì ad ottenere una soffocata affermazione. - Bene. Ora va a prendere le sorelle Aino. Spiega loro che l’ÁHV è venuta a prelevarle per trasferirle alla casa della giustizia, fa che indossino abiti pesanti e portale al vano caldaia. Fino a quando fuori imperverserà la tormenta, abbiamo ancora un po’ di tempo.”

“Cosa intendi fare?”

“Non possiamo lasciarle in mano a quegli aguzzini. Il Generale non ce lo perdonerebbe mai. Gli abbiamo promesso che in sua assenza avremmo protetto le sue figlie ed ora è il momento di farlo. - Abbassò di colpo la voce diventando più comprensiva. - Te la senti? Hai famiglia…”

“Anche tu Anna e sapevamo a quali rischi saremmo potute andare incontro quando abbiamo deciso di entrare a far parte della resistenza capeggiata da Ferenc.”

Sospirando Shiry le staccò le mani dalla giacca d'ordinanza stirando le labbra in un sorriso amaro. Era dall’immediata fine della guerra che ne facevano parte, da quando ai nazisti si erano sostituiti i comunisti di Stalin. Era li, in una delle loro tante riunioni per cercare di riorganizzare la resistenza, che aveva conosciuto Julie e la sua famiglia. Tutti combattenti, tutti contrari al nuovo padrone. Per lei invece il discorso era diverso, perché suo marito non soltanto non sapeva delle sue idee liberali, ma non avrebbe neanche mai approvato.

“Fai in modo che nessuno ti veda. Intesi?”

“Tranquilla. Una volta arrivate al locale caldaia?”

“Aspettami li. Cercherò di fare prima che posso.”

“E Horvàth?” Chiese tornando a sbirciare la sua sagoma della porta.

“E’ nelle mani di Dio… Ora vai.” Ammise rientrando.

Ed in effetti lo era, perché per quanto potesse stare facendo del suo meglio, Mamoru Kiba era solo e a quel che aveva potuto capire da un primo approccio tattile, la ferita riportata dalla pugnalata aveva provocato danni.

“Porca puttana!” Lo sentì sbraitare stupendosene un poco.

Con l’abito da sera scuro completamente imbrattato di sangue, sembrava non riuscire a dare un freno a quella massiva perdita ematica, tanto che Johanna già da qualche minuto aveva iniziato a tossire e respirare a fatica.

“Dannazione, dov’è la signorina Kōtei!?” Alzando per un solo istante gli occhi dalla paziente, sembrò trasfigurato in un fauno ungherese. Gli occhi fiammeggianti, la fronte imperlata di sudore, i capelli, che di norma riportavano una precisissima riga laterale, arruffati e le dita di entrambe le mani rosse.

“L’ho mandata a chiamare. Sarà qui a momenti.”

“Me lo auguro. Venite qui e datemi una mano!” Ed Anna, che non era certo abituata a ricevere ordini da un uomo, per di più tanto giovane, eseguì non emettendo un fiato.

“Prendete quelle garze e comprimete la ferita. Io devo preparare il kit per la trasfusione e cercare di suturarle l'arteria.”

Il capo squadra si mosse rapida, ma prima che potesse essere in grado di eseguire, avvertì la cancellata che apriva quella sezione del blocco catapultandosi verso il corridoio.

Haruka, Michiru e l’agente che le stava accompagnando comparvero percorrendo velocemente il corridoio. Andandole incontro Annamariah ordinò alla subalterna e a Kaioh di andare ad aiutare il dottor Kiba.

“Haruka… E’ successa una cosa brutta.” Se ne uscì mentre la ragazza prendeva a guardare con aria interdetta le altre due entrare.

“Che succede?”

“C’è stata un’aggressione nella lavanderia. Cerca di stare calma, ma…”

Non seppe come, ma Haruka comprese al volo e scattando la testa in direzione della porta iniziò ad agitarsi. “Johanna!”

“Aspetta! - Parandosi a scudo cercò di spiegarle. - Non dare di matto e lascia lavorare il dottore. Johanna è stata pugnalata qualche centimetro al di sotto la clavicola sinistra. La ferita è profonda, ma Kōtei potrebbe…” Nulla! Con un movimento tanto fulmineo quanto violento, Haruka la travolse catapultandosi all’interno dell’infermeria.

Con il cuore nel cervello la bionda posò lo sguardo prima su Kiba, che con movimenti convulsi ma precisi, afferrava uno strano cilindro di vetro con due tubi ed una specie di stantuffo in sommità, poi su Michiru, che nel frattempo stava tirandosi su la manica destra del maglione, infine su Johanna, che ormai privata della giacca abbandonata in un angolo del pavimento, se ne stava con la camicia aperta e i palmi sovrapposti dell’altro secondino a schiacciarle il petto.

“Johanna!” Urlò raggiungendo il lettino con due salti e afferrandole la mano.

La sorella non ne avvertì subito la voce, ma poi, dopo qualche istante, aprendo leggermente gli occhi riuscì a guardarla e a sorriderle debolmente.

“Ru… ka…” Un filo sottilissimo che mandò l’altra nel panico.

“Hei.. Sono qui… Sono qui!” Sussurrò inginocchiandosi al suo fianco iniziando ad accarezzarle i capelli.

“Fa… malissimo…” Lamentò tra una boccata d'aria e l’altra.

“Ma che mi combini! Te l’avevo detto di stare attenta, ma tu niente!”

Jo non obbiettò. Non ne aveva la forza.

“Chi è stato?! - Le chiese per poi rifare la domanda a Shiry ferma accanto a loro. - Chi cazzo è stato!?”

“Tenoh…”

“E’ stata Tesla non è vero? Lo sapevo io che quella è matta da legare! Ma quanto è vero Iddio…”

“Tesla è morta! - La interruppe la graduata. - Colpita dalla compagna.”

Sgranandole contro due occhi stupiti la bionda ascoltò a grandi linee il resoconto della storia e quando il capo squadra ebbe finito, mettendo finalmente un po’ di forza nelle dita per stringere la mano della sorella, Johanna aggiunse lieve. “Ha cercato di proteggermi… Ruka, Mery ha il tuo Kés.”

“Ha usato quello per colpirti?!” Aveva senz’altro del grottesco; la slava che per chissà quale motivo si frappone tra lei e la compagna e quest’ultima che usa il suo coltello per fare del male a sua sorella.

“E’ stato… E’ stato lo zerbino. Ha ficcanasato nell'archivio e nel degli oggetti… - Un altro paio di colpi di tosse che diedero maggior slancio al dottore. - E’ Mery l’assassina della detenuta 0056. Ha ordito tutto questo per gelosia. Ruka… quella vuole te.”

“E mi avrà Johanna! Ti assicuro che mi avrà e non puoi immaginare quanto le farò male!”

“Non dire… stupidaggini e… ascoltami. Ho da dirti una cosa… importante… su nostro padre…”

“Basta parlare adesso! - Interrompendo quel delirio, il medico guardò Michiru pronta ad un paio di metri da loro. - Signorina Kōtei è proprio certa che il suo gruppo sanguigno sia quello riportato nella scheda?”

Vista la perdita di sangue che la parziale lacerazione alla succlavia stava provocando e l’incompatibilità tra i gruppi sanguigni delle sorelle Tenoh, il medico si era visto costretto a spulciare in fretta e furia le cartelle mediche di gran parte delle detenute riscontrando in Michiru Kōtei una potenziale donatrice.

“Si. Poco prima dello scoppio della guerra, la scuola che frequentavo rese obbligatorio il saperlo, nel caso … Sono zero. Ne sono certa dottore.” Rispose lei ricordando lo scrupolo fatalista degli adulti di allora.

“Bene, allora iniziamo.”

“Deve andare in ospedale!” Emettendo come un gemito, la bionda si maledisse perché lei aveva il gruppo B mentre la sorella quello A. In fabbrica, dove Jànos aveva chiesto a tutti i dipendenti di farsi le analisi per evitare che in caso d’infortunio non si fosse perso tempo all’arrivo dei soccorsi, le prendevano sempre in giro asserendo che Haruka avesse ereditato il sangue irruento del padre, mentre Johanna quello ponderato della madre.

Shiry cercò di spiegarle che avevano provato a chiamare un’ambulanza, ma erano isolati. “Tenoh, le linee telefoniche sono saltate circa mezz’ora fa. Siamo tagliati fuori dal mondo.”

“Allora la volete far morire dissanguata?!”

“E io avrei fatto chiamare la signorina Kōtei per cosa?! Avanti, scansatevi e lasciatemi lavorare.”

Spostandola di peso, Kiba l’allontanò di un passo iniziando a pulire e disinfettare la lacerazione. Un taglio di neanche un centimetro e mezzo che si vide costretto ad allargare un poco con la forza affilata di un bisturi e dove senza troppi scrupoli entrò con indice e pollice destri.

All’ovvio dolore di Johanna, Haruka gli inveì contro di usare almeno un poco di morfina.

“Ruka, il dottore sa quello che fa.” La voce di Michiru la raggiunse dolce, anche se la presa al suo braccio fu tutto l’opposto.

Uno sguardo determinato che riuscì a controllarle i nervi con una forza che riusciva ancora a stupirla e che n’era sicura, non avrebbe mai imparato a domare. “Michi…”

“Datele retta Haruka. Mi dispiace, ma vostra sorella ha la pressione troppo bassa per poter sopportare un’anestesia… Eccoti piccola bastarda. - Avvertendo sulla superficie dei polpastrelli la spinta del flusso ematico che stava uscendo dalla ferita, strinse la vena vedendone l’immediato risultato. - Preparatevi signorina Kōtei. Appena avrò finito di clampare partiremo con la trasfusione.”

“Va bene dottor Kiba.”

“Michiru sei sicura?”

“Certo Ruka. Sicurissima.”

Alzandosi e posandole la fronte sulla sua aggiunse un mormorato sarai stanca, che riuscì a sentire solo l'altra.

“Non più di te.”

"Ma io non devo donare del sangue... Non posso."

"Stai tranquilla..."

Sentendosi accarezzare una guancia, Haruka le passò una mano dietro la schiena attirandosela contro. Infischiandosene degli altri la baciò lievissima mormorandole il suo grazie più sincero.

“Ruka.” Chiamò Jo provando ad allungare il braccio destro verso di lei.

“Eccomi.” Afferrandole nuovamente la mano la bionda ritornò ad accovacciarsi al suo fianco.

“Io devo… dirti… Devo dirti una… cosa.”

“Non è il momento. Adesso riceverai un po’ di sangue e andrà meglio. Poi potrai ricominciare ad affliggermi con la tua logorroica parlantina. Ora pensa solo a risparmiare le energie. - La rassicurò notando con terrore quanto fosse spento l’acciaio dei suoi occhi. - Ma non mi fare scherzi del cazzo o puoi scommetterci il culo che ti strappo la testa a morsi. Hai capito?! Sono stata chiara Johanna!?”

Sempre tanto affettuosa la mia sorellina. Tranquilla… non intendo stirare le zampe ora che so chi è realmente il responsabile della morte di apa, disse convinta di aver dato forza alla sua voce. Invece fu soltanto un pensiero, seguito dalla consapevolezza di stare scivolando verso l’incoscienza con il ritmo del cuore a correrle improvvisamente nel petto.

“Johanna! Johanna!”

Afferrando uno dei due tubicini di gomma che terminavano con un grosso ago cavo, Kiba strappò il braccio della ragazza dalle mani di Haruka ed una volta individuata una vena, glielo piantò nella pelle senza troppi complimenti. Fece altrettanto dopo aver invitato Michiru a porgerli il suo. Suo malgrado le provocò dolore, ma come ogni donna giapponese che si rispetti, lei rimase impassibile. La bionda invece ingoiò a forza. Serrando la mascella guardò il sangue fuoriuscire dal corpo della compagna, risalire lentamente, gettarsi nel cilindro, per poi rinfilarsi nel secondo cannello ed avvicinarsi alla sorella. Una vita succhiata con vorace avidità per salvarne un’altra.

“Per favore capo Shiry, prendete una sedia per la signorina Kōtei. E voi, venite qui prego.- Ordinò all’altra guardia rimasta ferma accanto al lettino con ancora le garze sporche in mano. - Lo vedete questo stantuffo? Guardate bene come faccio, perché adesso sarete voi a pompare il sangue da un braccio all’altro.”

“E voi?!” Lo fulminò Haruka.

“Io devo ricucire. Mi sembra di avere solo due mani, ma se siete tanto brava potete pensarci voi Tenoh!” Mostrandole il filo da sutura l’azzittì borbottando male parole. La stessa cosa fece lei.

“La medicazione reggerà?” Chiese Shiry buttando un occhio alla pendola a muro che stava segnando l’arrivo della mezzanotte. Doveva far fronte anche all’arrivo dell’ÁHV.

“Si spera, ma deve essere operata. Se le linee telefoniche non saranno ripristinate a tormenta finita, manderemo qualcuno all’ospedale.”

Potrebbe durare ore, pensò la bionda sapendo che quando il vento di tramontana tirava giù dal cielo così tanta neve, Budapest poteva ritrovarsi isolata per giorni.

“E se ci andasse qualcuno adesso?!”

“No Tenoh, è troppo pericoloso. Se avessimo un mezzo di trasporto… forse.” Pensando al piccolo mezzo blindato con il quale la Polizia Segreta a breve avrebbe preso in consegna le sorelle Aino, Shiry non si rese conto di aver acceso in Haruka un’idea.

“Il furgoncino! - Alzandosi da terra serrò il pugno con disperata speranza. - E’ quasi pronto! Mi manca poco. Annamariah… potremmo utilizzare quello!”

“Intendi il rottame che sta fermo nella rimessa accanto al vano caldaia?”

“Si! Il pianale è spazioso.”

Al capo squadra la Meioh aveva detto che Tenoh si stava prendendo la briga di smontare e rimontare pezzo per pezzo quel ferro prebellico, ma in tutta franchezza non avrebbe scommesso un solo giorno di paga sulla riuscita di quella follia.

“Credi davvero di poterlo mettere in moto?”

Muovendo frettolosamente la zazzera Haruka trattenne il fiato e quando l’altra ammise che meglio che restar ferma a non far nulla avrebbe potuto tentare, si sentì finalmente utile a qualcosa.

“Cos’abbiamo da perdere?”

“Grazie capo.”

“Aspetta! Non andrai da sola!”

“Non siate sciocca, non ho certo intenzione d'evadere!”

“Non è per questo Haruka! Mery è ancora in giro ed è armata. - Disse avvicinandosi. - Ti coprirò le spalle, almeno fino a quando non saremo arrivate alla rimessa.”

La bionda guardò Michiru, Johanna e Kiba.

Uno sguardo d’amore per la prima.

Uno sguardo d’angoscia per la seconda.

Uno sguardo che fu tutto un programma per il terzo.

Come a volergli intimare di stare attento ad ogni passo successivo, si trattenne su di lui per più tempo, fino a quando anche gli occhi del medico non la raggiunsero, poi scattando come una furia, abbandonò la stanza inforcando la porta seguita dal capo squadra.

 

 

NOTE: Ciau. Ho tagliato anche qui, perché devono accadere ancora delle cosucce abbastanza movimentate. Stiamo andando verso la terza ed ultima parte di questa ff.

Allora; non so se qualcuno ricorderà che all’inizio del XII capitolo c’è un breve dialogo tra Ferenc Aino e uno dei suoi collaboratori in fuga verso il confine, dove il secondo rassicura un preoccupatissimo padre sulla sorte delle sue figlie ricordandogli che alcune guardie all’interno della casa della luce sono delle loro collaboratrici, ebbene, una di queste è il capo squadra Shiry, che adesso si trova tra l’incudine ed il martello. Usa e Mina stanno per essere prelevate e lei deve inventarsi qualcosa. E qualcosa si inventerà, vedrete.

Nel frattempo ho pensato di riabilitare parzialmente Tesla, la quale da possibile o probabile carnefice, si è dimostrata anche lei una vittima. In realtà di tutta la storia del’omicidio, dell’agguato a Johanna, dei macabri ricordini lasciati in giro per la struttura, del cacciavite, non ne ha mai saputo niente. L’unica sua colpa è stata quella di non voler vedere cosa stava montando dentro la mente contorta ed un tantino schizzata di Mery, che ormai è armata e continua a girare per la struttura immersa nella semioscurità della tormenta.

Bell’ambientino.

 

 

   
 
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