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Autore: shilyss    10/09/2018    53 recensioni
Vissi nella tua casa come una prigioniera. Incatenata dal terrore che mi scuoteva le vene, la notte mi rannicchiavo nel letto sperando di non sentire la tua mano che sfiorava la mia. Ma tu non eri il mostro delle fiabe pronto a divorare l’incauta sposa che ti era stata assegnata da una strega crudele; rispettasti il mio riserbo senza violare lo spazio che c’era tra noi. Così passarono i mesi. Entrambi eravamo vittime di una maledizione.
1618: don Pedro Gonzalez sta morendo nella dolce Italia, sul lago di Bolsena. Catherine, sua moglie, rievoca la loro storia d'amore simile a una fiaba. La vera storia de "La Bella e la Bestia."
Storia vincitrice del contest: "E se le fiabe fossero vere...?" indetto da Faejer sul forum di Efp
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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bella e la bestia

Il mio cuore per una rosa

 

I wish I could come back to you

Once again feel the rain

Falling inside me

Cleaning all that I've become

(The beauty of the beast, Nightwish)

 

 

Il lago di Bolsena è uno specchio d’acqua placido e azzurro che si perde in mezzo al verde della campagna italiana. Appartiene ai principi di Roma, questa landa verde e rigogliosa protetta dall’Appennino, antica come i popoli perduti di cui mi parlavi e che, non lontano da qui, hanno ancora le loro necropoli mute. Morirai qui Pedro, mon chere. Il mio sguardo stanco dalla lunga veglia corre sui libri che ingombrano ogni angolo, mensola, tavolo della nostra casa. Da troppi mesi giacciono intonsi. Edizioni preziose, stampate ad Anversa, Roma e Venezia, uscite direttamente dai laboratori di Aldo Manuzio o provenienti dalle fredde terre tedesche. Alcuni, come quelli proibiti di quel monaco eretico che trovò la morte nella piazza di Campo de’ Fiori, li brucerò io stessa non appena la tua anima lascerà il tuo corpo sbagliato, amore mio. Ma davvero c’è un errore, nell’aspetto animalesco che il Signore ti ha donato? Il tuo fisico è ormai roso dalla malattia e forse non mi ascolti già più, mio principe, mio amore, mio signore e allora, nelle poche ore che ci restano da trascorrere insieme prima che l’Angelo della Morte venga a portarti via, ti racconterò di nuovo la nostra storia, perché è vero quello che dicevi quando mi stringevi a te dopo aver soffiato sul lume, nella nostra camera da letto. Catherine, mia bella, sussurravi nel buio, la nostra storia dovrebbe essere scritta perché assomiglia a certe fiabe antiche – a quella, così dolce, di Apuleius su tutte – e allora, mentre mi addormentavo sul tuo petto largo e ampio, con voce bassa e lieve ti mettevi a raccontare di come Psiche s’innamorò di Eros e poi lo perse. Anche io ora ti sto perdendo, Pedro. Ogni tuo respiro è un rantolo, la vita scivola via dal tuo corpo strano e diverso.

Sotto il pelo che ti ricopre da capo a piedi e che suscita nel prossimo dileggio e stupore, ammirazione e meraviglia, dietro la maschera di lupo, io lo so, batte un cuore d’uomo. La pelliccia non nasconde la dolcezza del tuo sguardo né la tua voce cortese e gentile o il tuo spirito appassionato e brillante. Me ne sono accorta tardi, mio signore. Adesso, mentre ti stringo la mano e tu a malapena riesci ad ascoltarmi, sento il cuore accartocciarsi in un senso di colpa senza soluzione per non aver capito né visto immediatamente cosa c’era, dietro la faccia che mostravi.

Occhi belli, ma tristi. Quelli che gli altri non vedono. Naso regolare, fronte alta, labbra sottili, ma belle. Basta chiudere gli occhi e posare le dita sul tuo viso, per riconoscere la tua bellezza di principe lontano, di figlio dei re Guanci. Hai vissuto sempre a corte ma nel modo sbagliato, mon chere. A Parigi come a Parma e a Roma hai incontrato prima il dileggio e poi, solo poi, il sospetto dell’ammirazione. Quella è venuta dopo, quando l’ilarità e lo stupore abbandonavano finalmente gli occhi di chi ti guardava. Via il mostro, l’uomo cane, la Bestia che ha sposato la Bella per il sollazzo di una regina straniera e spietata, ed ecco l’uomo di lettere colto e sensibile che parlava con i grandi del suo tempo tenendogli fieramente testa.

 

Mi hai conquistata con una rosa colta in un giorno di pioggia e offerta con una frase gentile. L’hai fatto quando ormai nel tuo cuore non c’era più la speranza di essere visto per quello che eri, di essere amato, perché è vero quello che diceva il poeta fiorentino esiliato, che amor c’ha nullo amato amar perdona. Credevi che il tuo aspetto mostruoso e il vello che nasconde i tuoi lineamenti celassero completamente la vera essenza della tua anima gentile, l’animo appassionato e sensibile che alla fine ho visto. Sfiorando i petali serici di quella rosa offerta con devozione, capii che dei due ero io, il mostro. Troppo giovane, vanitosa e ingenua per comprendere, vedere, sentire.

Vorrei confessarti, ora che sono al tuo capezzale e il nostro tempo insieme è finito e molti anni sono trascorsi dal nostro primo incontro, che la prima volta che ti vidi riuscii a scorgere la tua anima bella, mio signore. Mi piacerebbe ricordare, con il cuore traboccante d’orgoglio, di come fui in grado di capire immediatamente la fortuna che mi sarebbe toccata sposandoti. Vorrei dirlo, il Signore sa se lo vorrei, ma sarei più bugiarda e crudele di quelli che hanno osato trattarti come fossi un animale parlante. Non hanno saputo guardare nei tuoi occhi, amore mio, e la verità è che non sono stata in grado di farlo nemmeno io.

Mi hai sempre detto che il tuo aspetto è stato la ragione della fortuna che hai avuto. Avresti potuto condurre un’esistenza ordinaria, banale: morire dove sei nato e non vedere nulla del mondo, non incontrare me. Invece Dio ti ha regalato la possibilità di parlare con re e regine, papi e principi, dotti e scienziati di tutto il mondo. I più grandi pittori del nostro tempo ci hanno ritratti – io, te e i nostri figli – e le immagini su tela di noi sono esposte nelle regge d’Europa e ci rimarranno per chissà quanto tempo. Non ci saremmo mai incontrati, Catherine, mio amore, se non fosse stato per il mio viso di lupo. Lo hai detto tante volte da perdere il conto, a volte con voce mesta, altre ridendo.

È arrivato un messaggio da Praga, marito mio. Una città lontana persa nel cuore dell’Europa dove si recò un uomo di lettere che conoscesti a Parma. Dovrei aprirla e leggerti quello che succede nel mondo, ma stanotte, Pedro, voglio raccontarti un’altra storia: la nostra. Il sole tramonta già sul lago di Bolsena, in questa terra antica abitata dai Volsci e poi dai Romani; forse non vedrai l’alba, e allora lascia che le mie parole ti accompagnino nel tuo ultimo, estremo viaggio. Stringendo la tua mano stanca e debole, non posso fare a meno di chiedermi cosa dirà la gente di noi. Osserveranno i nostri visi riprodotti con pennellate sapienti e precise e si chiederanno cosa ci faceva la Bella con la Bestia, se l’abbia mai amata. Scriveranno di noi i poeti? E se anche fossero ispirati e le loro penne corressero veloci sulla carta, riuscirebbero a cogliere, a capire quello che c’è stato tra noi? La tua Catherine si preoccupa ancora di quello che pensa la gente, alle volte.

 

C’era una volta Parigi, Pedro, dove mi chiamavano Catherine la Bella. Indossavo abiti di seta e raso, mi guardavo allo specchio ammirando le collane e gli anelli che avevano il solo scopo di esaltare ancora di più la mia pelle chiara, il naso regolare, le labbra ben disegnate. Una ragazzina vestita da donna cui era toccato l’enorme, assoluto privilegio di servire la regina madre di Francia in persona, Caterina de’ Medici. La ricordi, Pedro? Ancora oggi tremo un po’ nel rievocarla, marito mio. Forse era per via del suo accento, forse per quel viso triangolare su cui spiccavano due occhi attenti e severi o per le battute taglienti che uscivano dalle sue labbra sottili. L’italiana che non era figlia di re e che storceva il naso se qualcuno toccava il cibo con le mani, la sovrana che ha donato tre sovrani alla Francia. Non ho mai conosciuto una donna così volitiva, intransigente, rigida, vendicativa, intelligente. Nei suoi occhi scintillava sempre una luce indefinibile, divertita e allo stesso tempo spietata. La servivo da pochissimi mesi quando mi disse che ero bella.

Mi alzò il mento con due dita, sorrise appena e mi guardò come si fissa un cappello nuovo o una giumenta: mi stava valutando. Aveva deciso di fare un esperimento, di creare un bizzarro miscuglio, di punire l’ingenuità del mio sguardo e la giovinezza che lei aveva dimenticato. Nelle rughe che le solcavano il viso c’era il dolore per i figli morti troppo giovani e avuti con difficoltà, per il marito amato disperatamente che l’aveva sempre divisa con la sua amante, per la famiglia di papi e signori straziata dal fato. Le piacevano le stranezze, alla regina Caterina, e io portavo il suo stesso nome, ero la sua dama più bella. “Ti sposi,” disse solo.

La prima volta che ti vidi svenni, amore mio.

Agghiacciata dal tuo aspetto di bestia, non ressi l’orrore e persi i sensi. Cos’eri, Pedro? Un animale su due gambe, vestito di tutto punto come un uomo? Le altre dame, dietro di me, ridevano di gusto sussurrando divertite oscenità, mentre il resto della corte ci fissava allibita e stupita più che se fosse stata davanti a uno spettacolo teatrale. E quello messo a punto da Caterina per ammazzare la noia e punire la mia famiglia era questo, nient’altro. Il gioco di una bambina dal volto di vecchia che, come una strega crudele, voleva divertirsi a creare un ossimoro ambulante: la bella con la bestia. Tu eri stato maledetto dal Cielo in persona, io dalla mia sovrana.

 

All’inizio fu l’orrore, a serrarmi il cuore e il petto. Non riuscivo a guardarti né a pensare che il mio corpo e la mia anima sarebbero stati tuoi fino a che la morte non ci avrebbe divisi. Mi arrivarono strane dicerie all’orecchio, in quei mesi di preparativi dove la mia voce e le mie lacrime non significavano niente per nessuno: raccontavano di come la regina avesse scommesso – che tremenda menzogna – sulla natura dei nostri figli. Altri ancora, più pietosi o semplicemente vicini a te, sussurravano di come Caterina volesse trovarti una sposa degna del tuo nome e della tua mente acuta e brillante, capace di guardarti l’anima e scoprire quanto fosse bella. Non era stata lei e il suo entourage a volere che tu ricevessi la migliore delle istruzioni, quella degna di un dotto umanista? Non era grazie al suo interessamento che potevi parlare di qualsiasi opera con i dotti della Sorbona? Tu, lo strano principe guancio meraviglia d’Europa che solo la corte di Valois aveva il piacere e l’onore di ospitare, don Petrus Gonsalvus.

Ma allora perché scegliere me, una ragazzina? Solo per il mio aspetto? O vide qualcos’altro, sua Maestà Caterina? Fu mio padre che aveva offeso in qualche modo la discendente del magnifico Lorenzo a causare la mia rovina? Aveva desiderato, per me, un matrimonio importante vantandosi della mia bellezza, e così l’astuta regina italiana aveva trovato il modo per esaudire in maniera tragica il suo desiderio superficiale?

Il giorno delle nostre nozze non fu felice per nessuno dei due, amore mio. Il tuo sguardo scivolò su di me più volte con rassegnata tristezza, perché leggevi sul mio viso l’angoscia e la paura e pensavi che nessuno, mai, avrebbe potuto amarti: soprattutto non io. Avevi deciso di sposarti perché la tua sovrana te lo aveva ordinato e nutrivi nei suoi confronti una riconoscenza enorme per le possibilità che ti aveva dato, ma la speranza, quella, era svanita dal tuo cuore. Come poteva una dama di corte come me capire la tua stranezza e accettarla?

Vissi nella tua casa come una prigioniera. Incatenata dal terrore che mi scuoteva le vene, la notte mi rannicchiavo nel letto sperando di non sentire la tua mano che sfiorava la mia. Ma tu non eri il mostro delle fiabe pronto a divorare l’incauta sposa che ti era stata assegnata da una strega crudele; rispettasti il mio riserbo senza violare lo spazio che c’era tra noi. Così passarono i mesi. Entrambi eravamo vittime di una maledizione.

Furono i libri, ad avvicinarci. Gli studi foraggiati dalla regina Caterina ti avevano reso un uomo appassionato di lettere e sensibile, e io lo scoprii sfiorando il dorso consunto dei testi che amavi e che avrei desiderato consultare: l’educazione di una fanciulla, di una dama di corte, deve limitarsi a ciò che può esserle utile per intavolare una conversazione piacevole, intrattenere gli ospiti, essere una padrona di casa affabile e gentile. Nella tua biblioteca c’erano libri di filosofia e di medicina, di arte e di letteratura, di matematica e di scienze. Li lessi avidamente, di nascosto da te, e quando mi scopristi – lo ricordi? – mi sorridesti con gentilezza dicendomi che potevo consultare ogni testo, appunto, volume che avessi trovato. Amavamo le stesse cose.

Furono le poesie che iniziasti a leggermi accanto al camino, ad avvicinarci. Mi parlavi d’amore traducendo dal latino al francese i tuoi libri e io rimanevo incantata ad ascoltarti, rapita dalle parole che uscivano dalla tua bocca e dal loro suono rotondo, gentile, caldo. Cosa c’era dietro il tuo aspetto così diverso? Me lo chiesi allora, in quelle sere in cui mi stringevo nello scialle chiedendoti di leggere ancora, per favore. I servitori che si occupavano di noi, già da tempo erano soliti raccontarmi aneddoti su di te e su quanto fosse nobile il tuo spirito, ma io non ero mai riuscita a credere ai loro racconti. Eppure, accanto al fuoco, vicino a te, riconobbi nella passione con cui leggevi i poeti antichi che c’era qualcosa che bruciava, nella tua anima. Me ne accorsi una sera qualunque, una tra tante: mi leggevi dell’amore appassionato di Arianna per Teseo e del suo dolore per essere stata abbandonata, e io sussultai sulla poltrona e mi ritrovai a piangere come l’eroina cantata da Ovidio. Nella tua voce c’era dolore, Pedro.

Fu una rosa donata in un giorno di pioggia, colta per me e offerta con un sorriso, a farmi pensare che la mia regina non era stata né ingiusta né crudele organizzando il nostro matrimonio. Lei, che aveva amato e sofferto, perso e ottenuto, aveva saputo guardare dentro di te più a fondo di quanto non avessi fatto io. La presi tra le dita e ti sorrisi per la prima volta come dovrebbe fare una donna devota e innamorata. La maledizione di una vita senz’amore che sembrava destinata a scandire la tua esistenza si stava per spezzare, ma noi ancora non lo sapevamo.

 

Non ci si sveglia un mattino innamorati, questo lo so. Eppure c’è un momento, un istante particolare, in cui i sentimenti che già abitano nel nostro cuore smettono di nascondersi ed esplodono. A volte è la gelosia a togliere il velo dai nostri animi, altre il desiderio che soffoca l’orgoglio. La rosa non era ancora appassita sul mio comò quando capii che non c’era luogo, in terra o in cielo, dove sarei voluta andare senza di te. Tu mi amavi già, questo lo so. Non a parole, ma con i gesti, i fatti, le piccole attenzioni quotidiane che io notavo appena e che oggi mi scaldano ancora il cuore. Un libro di poesie fatto arrivare da lontano, la decisione sofferta di dividere il letto senza consumare affatto, un mantello poggiato con attenzione sulle spalle un pomeriggio di vento, il vezzo di regalarmi un servizio da tè realizzato con la porcellana più fine solo per strapparmi un sorriso.

 

L’orologio sulla mensola batte solennemente le due del mattino e il lume accanto al letto getta un’ombra triste sulla parete. La corte di Valois non esiste più e Parigi è ormai una città estranea, per noi. La magnifica eccentricità della nostra famiglia e l’amore che ci lega ha incantato la corte di Parma e Roma. Fantasticano di noi – della bella che s’innamorò della bestia – e già qualche scrittore ha mutato i dettagli e i particolari della nostra vita per creare una fiaba più bella. Nelle loro parole io sarò Psiche e tu Eros, un mostro crudele travestito da principe che incanterà le fanciulle facendo sognare loro un amore perfetto, reso più inebriante dal brivido che scaturisce al pensiero di avere accanto un uomo simile a una bestia. Ma questa è una favola che non ci appartiene, Pedro. Noi siamo solo due peccatori che si sono incontrati, due spiriti affini che una sera lontana hanno letto insieme un libro d’amore e, a un certo punto, hanno lasciato le pagine stampate e si sono guardati negli occhi per poi sfiorarsi le labbra. Mi confessasti il tuo amore quella notte, dopo un bacio a lungo cercato e spontaneo. “Sei così bella Catherine,” mi dicesti, “troppo.”

Non risposi, non dissi nulla, perché il cuore mi batteva troppo forte nel petto. Il mio ti amo lo avrei gridato in un’alba gelata pochi giorni dopo, quando la nostra rosa non era ormai che un fiore quasi appassito. China su di te, con le guance bagnate di lacrime, ti avrei stretto con disperazione e, singhiozzando, ti avrei implorato di non lasciarmi. Ricordare quel momento fa male, Pedro, fa ancora male. Sento una spina nel petto, se penso alla tristezza del tuo sguardo quando mi allontanai da te per tornare nella casa di mio padre anche se solo il tempo di dargli l’estremo saluto, tirandomi dietro, senza volerlo, un uomo che pretendeva di sfidarti a duello e portarti via da me. Il letterato contro il soldato. Ti difendesti con onore, fosti ferito – lo ricordi? – e lui vinse. Ma io, quella mattina gelata, scelsi di rimanere con te.

Fu l’inizio di un amore lungo cinquant’anni, marito mio, che nemmeno la morte riuscirà a spezzare. Nel buio della nostra stanza da letto ci siamo scoperti e svelati, amati e consolati come un uomo e una donna, come due amanti. Con quella rosa donata in un giorno di pioggia, spezzammo la maledizione lanciata con scherno da chi pensava che la nostra unione di fronte a Dio fosse una farsa, uno scherzo, l’esperimento di un alchimista. Siamo stati felici, Pedro, ci siamo amati come nelle fiabe, e per questo lasciarti andare è così difficile, stanotte.

E allora resto qui, Pedro, ad aspettare che il tuo respiro si faccia sempre più leggero, a tenerti la mano mentre la vita scivola via dalle tue dita e l’alba si avvicina portandosi via le stelle. La nostra storia d’amore è stata meravigliosa, Pedro.

Buonanotte, amore mio.

 

 

Fine

 

 

 

Note Autore:

Scrivo su altri fandom e ora, per via di un contest, sono approdata qui.

Questa storia partecipa a un contest ed è basata sulla vita vera della coppia che ispirò la Bella e la Bestia, Petrus Gonsalvus (affetto da ipertricosi) e sua moglie Catherine, dama di corte della regina Caterina de’ Medici. La coppia si sposò nel 1573. Raccontano le cronache, che la giovanissima e bellissima Catherine svenne quando vide il marito per la prima volta. Nonostante questo, l’animo gentile di don Pedro riuscì a conquistare il cuore di sua moglie. Nel testo ho cercato di inserire alcuni elementi propri della fiaba: la rosa, l’amore di Belle per i libri, il lume, l’orologio, lo specchio e il servizio da tè, Gaston (il nobile che sfida a duello Pedro) e, ovviamente, la strega/fata, impersonata da Caterina de’ Medici. La regina di Francia è famosa per aver introdotto l’uso delle posate alla corte dei Valois e per aver rivoluzionato la cucina francese. Pedro morì nel 1618 in Italia, in una casa vicino al Lago di Bolsena: la lettera che Catherine sceglie di non leggergli parlava, con tutta probabilità, della guerra che presto avrebbe sconvolto l’Europa e che proprio quell’anno iniziò con la defenestrazione di Praga (1618). Il monaco bruciato a Roma è, chiaramente, Giordano Bruno (1600). Ma basta con i dettagli storici, che pure amo. La verità è che questo è il mio primo originale scritto appositamente per il contest “E se le fiabe fossero vere?”

Ecco perché, semplicemente, ho scelto di raccontare la fiaba de La Bella e la Bestia. Solo che Pedro non era un uomo incattivito dalla vita, un’oscura bestia che viveva rinchiusa in un castello incantato. Era un cortigiano che viveva in una delle corti più potenti d’Europa. Un’ultima nota: nel testo sono volutamente presenti alcuni termini/paragoni poco lusinghieri nei confronti di Pedro (affetto da ipertricosi), che viene appellato dalla moglie, tra gli altri, come “uomo cane.” Un simile modo di esprimersi oggi non sarebbe assolutamente lecito, ma lo era nel 1618, epoca in cui la fanfiction è ambientata. La sensibilità cambia. Nel testo spesso Catherine, voce narrante, si rivolge alla divinità. Anche in questo caso, si tratta di un modo, un escamotage che ho ideato per far sembrare più realistico il racconto. La fiaba di Eros e Psiche influenzò effettivamente la storia della Bella e della Bestia e, nel testo, sono presenti riferimenti alle Heroides di Ovidio e a Dante (Canto V).

Grazie per essere giunti fin qui,

Shilyss

   
 
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