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Autore: Maeliemei    13/09/2018    1 recensioni
“Cadrai, cadrai come questa goccia d’acqua che casca sul pavimento”
Era facile parlare in terza persona, nessuno sapeva cosa stesse realmente provando, nessuno aveva mai provato quella sensazione di sperdimento, di rabbia contro se stessi che poteva aumentare e diminuire con la stessa velocità di un fulmine, o, cosa peggiore, nessuno, se non lui, sapeva quanto fosse doloroso e faticoso il cercare di non fallire per non deludere se stessi e chi sta intorno.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti, Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Abîmée

 

Pioveva.

Pioveva fuori casa, sulle foglie della sua betulla piantata in giardino, sui sassi nascosti nel terreno, sul fūrin posto fuori l’entrata del resort e nella sua mente.

Le chiome degli alberi pendevano in ogni direzione danzando sulle note del monsone, e nell’aria aerava un delizioso e pungente odore di erba bagnata.

Era magnifico, soprattutto se chiudeva gli occhi e si lasciava trasportare da quella melodia che stava accompagnando il suo sonno da ore, dimenticando così il mondo circostante.

Una volta isolati, però, non c’era nessun altro se non loro due: Yuuri Katsuki e i suoi pensieri.

Il giovane pattinatore giapponese, poteva assumere quanti sonniferi preferiva, poteva assaporare quante tisane e thè bollenti che voleva, ma prima o poi le sue ansie l’avrebbero raggiunto comunque, e tutto ciò che lui avrebbe dovuto fare, secondo il giudizio della gente, era affrontarle.

Era facile parlare in terza persona, nessuno sapeva cosa stesse realmente provando, nessuno aveva mai provato quella sensazione di sperdimento, di rabbia contro se stessi che poteva aumentare e diminuire con la stessa velocità di un fulmine, o, cosa peggiore, nessuno, se non lui, sapeva quanto fosse doloroso e faticoso il cercare di non fallire per non deludere se stessi e chi sta intorno.

 

“Hai voluto interrompere la tua carriera per degli sbilanciamenti, ora la vita ti sta dando un’altra chance. Non sprecarla, Yuuri”

 

La voce di sua madre riecheggiava chiara nella sua mente: riuscì anche ad intercettare una nota di desiderio nel modo in cui gli parlò.

L’aveva capito, e anche benissimo, che gli si era presentata un’occasione al dir poco irreale, e che avrebbe dovuto coglierla dal primo istante, eppure, sentiva che c’era qualcosa che non andava.

Si sentiva…inadeguato.

Pensandoci, probabilmente avrebbe preferito rimanere le cose al proprio posto: lui, ex pattinatore giapponese che lavorava nel resort di famiglia e, lui pattinatore di fama mondiale e un sogno irrealizzabile.

Eppure era lì, nella stanza accanto alla sua.

Viktor Nikiforov e lui erano separati da una sottile parete.

Avrebbe preferito non farne nulla per tanti, piccoli e ingombranti motivi: il primo era, per quanto avrebbe cercato di impegnarsi, per lui, per la sua famiglia, e per il suo neo-coach, sapeva che non avrebbe mai raggiunto la finale, anche se allo stesso tempo avrebbe continuato a provarci e a riprovarci, più che per se stesso, l’avrebbe fatto per Viktor, per dimostrargli che non stava perdendo tempo, e che non aveva gettato un anno nel vuoto.

Il secondo motivo, era l’averlo sottratto dalle piste di pattinaggio.

 

“Non darti la colpa per cose che non hai fatto” 

 

Gli aveva detto Mari, aggiustando una stampella in uno degli armadi delle stanze, mentre lui sedeva per terra esponendole il suo problema. La scelta di abbandonare momentaneamente le piste era stata di Viktor, lui non aveva nulla a che farci, questo lo sapeva.

Eppure, c’era qualcosa che vagava per la sua mente, che faceva sentirlo colpevole.

Forse, se non si fosse abbandonato ai suoi pensieri, se avesse reagito in tempo invece di esitare, se avesse reagito, il grande pattinatore russo, a quell’ora, magari, sarebbe in una pista di pattinaggio a ideare, comporre e interpretare il proprio libero, invece che passare il tempo a insegnargli le tecniche base della disciplina.

Il terzo, più che un senso di colpa, era una domanda: perché proprio lui?

Sì, Viktor aveva più volte risposto alla sua domanda, dicendo lui che tanto talento non avrebbe dovuto essere sprecato, che tutti abbiamo alti e bassi e che la capacità di riprendersi, è solo ed esclusivamente nostra.

Eppure, aveva la sensazione che più ci provava, più diventava ridicolo, fallendo.

Viktor Nikiforov nei panni di suo coach e Yuri Katsuki prossimo vincitore del Grand Prix.

Che coppia falsa, e che assurdità.

Si alzò dal letto, sistemando il suo lettore MP3 nella tasca del pigiama mentre apriva la finestra per rinfrescare l’aria nella stanza.

La pioggia cominciò a bagnare il davanzale della finestra, e alcune gocce finirono sul pavimento. Se sua madre l’avesse visto, gli avrebbe lanciato il panno per i pavimenti addosso, con tanto di supporto.

 

“Cadrai, cadrai come questa goccia d’acqua che casca sul pavimento”

 

Pensò, guardandole bagnare il pavimento.

Improvvisamente, le pile di fogli sulla scrivania, caddero per terra seguiti da penne e matite.

 

“Merda!”

 

 

Nell’arco di un secondo, si ritrovò col volto a pochi millimetri dal parquet e con un calzino bagnato.

Si diede dello stupido, quando sotto i palmi delle mani sentì dei piccoli pezzi di porcellana: aveva rotto la piantina che suo padre gli regalò.

Non sapeva neanche raccogliere dei fogli di carta, come poteva pensare di arrivare alla finale? L’immaginazione e l’autoconvinzione di Viktor lo colpivano sempre di più.

Si mise a sedere con la schiena contro il pilastro della scrivania, raccogliendoli pezzo per pezzo e buttandoli nel cestino.

Forse, il rompere gli oggetti a cui teneva di più o anche quelli degli altri senza farlo appositamente, era una sua dote nascosta.

Ricordò all’improvviso, mentre raccoglieva la ceramica caduta sul pavimento, mentre percepiva l’improvviso bruciore sotto le palpebre, il litigio avvenuto quattro pomeriggi fa, quel maledettissimo freddo pomeriggio di novembre mentre si allenava all’Ice Castle.

 

“Ti ripeto che se continui così non farai altro che perdere tempo! Com’è possibile che stai evitando, perché sì, stai evitando, di fare un quadruplo salchow?! Vedi di concentrarti! Stiamo da tre ore a ripetere lo stesso programma, vedi di concludere qualcosa! Yurio il programma lo seppe imparare subito! ”

 

 

“Per favore, stai zitto”

 

Pensò, ignorando cosa avesse appena detto.

Da coach, avrebbe dovuto notare che la stava mettendo tutta per eseguire un salchow quadruplo, ma non sapeva il motivo per il quale non riuscisse. Ed era l’ennesima volta che Viktor lo rimproverava per gli stessi errori.

Si preparò per un Toe Loop, seguito da un triplo Axel e un quadruplo salchow, ovviamente alternati dall’esecuzione di passi che stesso Viktor aveva preparato per lui.

Sbagliò.

Fece un triplo, il ventiquattresimo di fila per l’esattezza.

D’istinto si girò verso il suo coach, il quale tra il nervosismo e la delusione, decise di concludere gli allenamenti lì e di mettere fine a quella giornata.

 

“Se solo ti concentrassi di più Yur-“

“Senti Viktor, io sono concentrato, ma se solo la smettessi di sottolineare e sottolineare il fatto che non riesco e di urlarmi contro, probabilmente un risultato in più l’avresti!”

“Sono il tuo coach, sono in pieno diritto di sottolinearti che sbagli!”

“Mi stai trattando così da giorni, non è che se ti chiami Viktor Nikiforov  e noti uno sbaglio, devi salire sul piedistallo e trattare di merda gli altri!”

“Sincer-“

“Ieri ho preso una storta e l’unica cosa che hai fatto è stato dirmi che tempo un minuto avremmo ricominciato, eppure mi vedevi che non riuscivo manco a mettere il piede a terra!”

 

Viktor decise di non risponderlo, di chiudere la porta degli spogliatoi e di avviarsi al parcheggio, seguito da Yuri.

Il ritorno fu particolarmente silenzioso e teso: i due non si guardarono in faccia neanche per sbaglio, e non proferirono parola fino al resort, quando Yuri faticò ad aprire la porta privata del retro, dato che il padre la chiuse prima del loro ritorno.

Bussò più volte, prima dal campanello, poi col palmo della mano mentre chiamava sua sorella, prima di rassegnarsi che sarebbe dovuto entrare dall’entrata principale.

Era da quand’era piccolo che preferiva l’entrata dal retro, non solo perché era privata e quindi solo i membri della famiglia ne avevano accesso, ma anche perché era direttamente collegata alle loro camere, e non avrebbe dovuto percorrere l’intero residence prima di gettare il borsone degli allenamenti sul suo letto.

All’entrata li accolse un’anziana signora, probabile loro ospite.

Aveva una mano sulla sua schiena un po’ ricurva, come se avesse compiuto un grande sforzo camminando. La ringraziarono.

 

“Yuri! Com’è andata? Vi siete divertiti?” chiese sua madre, la quale corse da dietro al bancone per lasciargli un bacio sulla guancia.

“Ciao Viktor, come stai?”

I due pattinatori evitarono di guardarsi, Viktor fu attento a rispondere con un sorriso forzato e un flebile “Bene”.

 

“Cosa sarebbe andato bene, scusami?” commentò il più giovane dirigendosi alla reception per prendere una caramella.

“Yuri, ne abbiamo già parlato”

“E cosa avremmo concluso? Nulla, assolutamente nulla”

“Se sono qui è per farti da coach!”

“Non te l’ho certo chiesto io di muovere il culo dalla Russia al Giappone! Ti stai comportando da due settimane buone come se io te l’avessi chiesto! Che diavolo Viktor!”

 

La signora Katsuki avrebbe voluto rimangiarsi le parole appena proferite.

S’era sentita terribilmente a disagio e dispiaciuta per aver dato inizio a quella che era sembrata l’ennesima discussione, avrebbe voluto nascondersi sotto un letto e sparire per il resto della giornata.

 

“Ah scusami allora, se ho avuto l’idea di aiutarti!”

“Che cosa ci ottieni se mi paragoni con gli altri?! Scusami se non sono come te!”

“Che cavolo significa?! Come te e come gli altri, per arrivare al mio posto ho messo fatica e pas-“

“Questa è la realtà non una fiaba dove magicamente si sistema tutto! Come potrei amare questo sport e chi mi sta addosso in questo modo se non riesco ad amare nemmeno me stesso?! Cazzo Viktor, non ci hai mai pensato!? Che coach sei?!”

 

Lasciò cadere la borsa all’entrata e corse verso la sua camera.

Si chiuse a chiave facendo due mandate, come se così facendo fosse stato più al sicuro dagli altri.

Si lasciò cadere con la schiena contro la porta, stringendo i capelli che ricadevano sulla sua fronte nel pugno della mano e sospirando a lungo.

Era una testa di cazzo.

Non avrebbe mai voluto trattarlo così, dopo tutto ciò che stava facendo per lui –gratuitamente tra l’altro- stare zitto e continuare avanti sarebbe stato il minimo.

Ma non ce la faceva più.

Troppa pressione.

Troppe aspettative.

Troppi ‘Se continuerai così non ce la farei mai’.

Troppi fallimenti.

Troppo nervosismo contro se stesso per aver fatto parlare nuovamente la sua ansia al posto suo.

Avrebbe voluto aprire la finestra e urlare, ma era seduto per terra con lo sguardo rivolto al cielo nella speranza che il nodo alla gola che s’era venuto a creare, prima o poi sarebbe scomparso, e che la sua rabbia andasse diminuendo.

 

“VAFFANCULO”

 

Urlò con tutta la sua voce, tirando il primo oggetto che gli capitò sotto mano in una direzione non specifica.

Sentì un vetro rompersi. Involontariamente, aveva rotto una foto di Viktor che lo ritraeva con la sua famiglia. L’aveva portata con se come unico ricordo dalla Russia.

Lui l’aveva rotta.

L’aveva ridotta in frantumi come il vaso che aveva appena finito di raccogliere e buttare nel cestino.

Non aveva neanche avuto il coraggio di bussarlo e chiedergli scusa, anzi.

S’era fintamente autoconvinto che dato che Viktor non aveva passato il sabato al residence, non avrebbe potuto comunque comunicarglielo.

L’aveva sentito rientrare verso le undici di sera, mentre sistemava la sua scrivania.

Aveva raccolto la sua foto in un contenitore di vetro, e gli aveva anche procurato tre cornici di colori e forma diversa, nel caso una delle due non fosse piaciuta.

Qualcosa di buono nella giornata l’aveva conclusa.

Guardò l’orologio, segnava le tre mezzo di notte e lui, di andare a dormire, non ne aveva la minima voglia.

Neanche il pensiero degli allenamenti alle sette e mezzo del mattino, l’avevano convinto a riposare. Se fosse andato, chiariamo.

Era una di quelle notti che avrebbe passato a fissare la luna e a meditare sulle sue scelte, nella speranza che il giorno arrivasse nel modo più lento possibile.

Sospirò, accovacciandosi sul parquet e riuscendo, pian piano, a prendere sonno.

 

 

* * *

 

Poche ore dopo, durante quel mattino illuminato da luce abbagliante, i suoi pensieri negativi e le sue paure sembravano scomparse.

Più pensava alla notte passata insonne, più poteva ricordarne di meno.

Si accorse di essersi addormentato sul parquet, e che probabilmente aveva dormito più del dovuto.

Lanciò un’occhiata all’orologio, segnava le undici e venti.

Una morsa allo stomaco.

Era il quarto giorno consecutivo che saltava gli allenamenti e non aveva nemmeno dato l’avviso a nessuno dei quattro, stava solo peggiorando le cose.

Si precipitò a bussare in camera sua, ma non ricevette alcuna risposta.

Passò alle terme, alla piscina, al campo da tennis, nella sala da thè, in quella ristorante, nel parcheggio e infine nella reception.

Se non l’avesse trovato lì, sarebbe corso all’Ice Castle.

 

“Mamma! Mamma dov’è Vik…mamma?”

Il suo sguardo la colpì.

Era…delusa. Triste e delusa.

Non disse nulla, gli passò un foglio e andò via, bisbigliandogli un “Vedi, l’orgoglio cosa crea?”  e lasciò la sala.

Leggere il solo primo rigo, fu come essere stato travolto da un camion in pieno:

 

“Non mi aspettavo di ricevere questa pugnalata di sfiducia, dritto nelle vene.

Non me l’aspettavo.

Molto probabilmente ho solo giocato, ho sbagliato a mettermi col pensiero di vederti sul podio con una medaglia d’oro.

Stavo solo sognando.

Amo pattinare e creare sequenze, ma ad insegnare faccio pena.

Eppure, se mi preoccupassi di quale sia la cosa giusta, finirebbero entrambe per essere sbagliate.

Non sono riuscito a leggere la tua immaginazione e ad aiutarti, mi dispiace.

È stato davvero un piacere conoscerti, spero prima o poi di vederti gareggiare, ma chissà.

 

L’anno che ho preso potrebbe prolungarsi anche più.

Sei una persona determinata quando vuoi, spero per te tutto il bene del mondo.

Viktor”

 

Se n’era andato.

Per colpa sua.

Se n’era andato, e con lui, l’unica occasione di riacquistare un po’ di dignità.

 

“Cadrai, cadrai come questa goccia d’acqua che casca sul pavimento”

 

Ricordò.

E improvvisamente, i suoi occhi rotearono all’indietro, e tutto si fece buio.

 

  
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