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Autore: Naco    16/09/2018    3 recensioni
Sono passate due settimane dal matrimonio di Miki e Umibozu e la situazione tra Ryo e Kaori pare addirittura peggiorata. Perché? Cosa è successo? A complicare il tutto, ai nostri amici viene proposto un incarico che non possono assolutamente rifiutare… anche se questo li porterà a fingere di essere marito e moglie!
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Nuovo personaggio, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'After the finale'
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VII
La persona che può renderti felice

Nella propria vita, Ryo aveva visto morire molte, moltissime persone a lui care, più di quante un essere umano normale potrebbe sopportare. Innanzi tutto, aveva perso i suoi genitori durante quel maledetto incidente aereo, anche se, di quel giorno, lui non aveva alcun ricordo, solo una paura irrazionale di volare su quel mezzo di trasporto; durante la guerra, poi, non passava giorno in cui un suo compagno d’armi mancasse all’appello, e anche a quello ci aveva fatto l’abitudine. Non che non gli importasse, ma sapeva che la guerra era la guerra, che queste cose succedevano e che, se non voleva impazzire, doveva sigillare il proprio cuore e lasciare che quegli eventi non lo scalfissero.
La fine delle ostilità non aveva però messo fine ai lutti che aveva dovuto subire: prima era toccato al padre di Mary; poi, al proprio socio, Kenny, che aveva addirittura ucciso in duello; quando era tornato in Giappone, poi, Makimura era morto tra le sue braccia e, alcuni mesi prima, aveva addirittura sparato all’uomo che lo aveva cresciuto e gli aveva insegnato tutto quello che sapeva; per non parlare di Mick, che aveva rischiato grosso per colpa della Povere degli Angeli.
Un’altra persona, al suo posto, sarebbe impazzita, ma il muro che con tanta fatica Ryo aveva eretto intorno al proprio cuore aveva resistito. Certo, non si era mai abituato alla perdita di qualcuno a cui aveva voluto bene e continuava a soffrire ogni volta come se fosse la prima: dentro di sé, non passava giorno in cui non pensasse a tutte quelle persone che aveva lasciato indietro, ma era riuscito comunque a trovare la forza di andare avanti e non soccombere al dolore e alla disperazione.
E tuttavia, mentre Kaori si accasciava davanti a lui, quella solida protezione che aveva costruito per così tanti anni, e che ormai credeva indistruttibile, crollò miseramente come un castello di sabbia.
«Kaori!» urlò, mentre l’afferrava prima che toccasse il suolo. «Kaori, rispondimi! Kaori, Kaori!»
Che cosa poteva essere successo? Non era ferita: era riuscito a distruggere la pallottola prima che si avvicinasse troppo a lei, ma poteva comunque essere rimasta colpita da qualche scheggia vagante; tuttavia, a una rapida occhiata, non gli sembrava che fosse quello il caso. E allora cosa era successo? Perché non riapriva gli occhi?
Anche Moriyama e Keiko si avvicinarono preoccupati, ma lui quasi non avvertì la loro presenza, troppo sconvolto.
Si sentiva impotente: lui che poteva sentire da chilometri di distanza quando un proiettile veniva messo in canna, lui che riusciva a colpire un’auto in corsa senza batter ciglio, lui che distruggeva elicotteri mentre erano in volo, adesso era lì, con il corpo immobile di Kaori tra le braccia, senza sapere cosa fare. Si chiese che cosa avrebbe fatto se Kaori non si fosse mai più svegliata e la sola idea lo atterrì a tal punto da impedirgli di respirare.
Dopo una manciata di secondi, che a lui parvero ore, Kaori aprì gli occhi. La ragazza si guardò intorno, spaesata, come se non capisse perché fosse lì.
«Che… che è successo?» riuscì a chiedere con un filo di voce.
Il sollievo che lo colse fu così forte che dovette trattenersi dall’abbracciarla con forza.
«Sei svenuta mentre cercavi di colpirmi con il tuo martello. Come ti senti?»
Kaori arrossì. «Sto… sto bene. Sarà stato solo un capogiro…»
«Saeba-san,» Moriyama gli pose una mano sulla spalla «permette che la visiti?»
Con una certa riluttanza, Ryo lasciò andare la propria socia, non prima di averla portata fuori da quello scantinato e averla fatta stendere in una camera libera.
«Starà bene,» cercò di confortarlo Keiko, appoggiandosi accanto a lui contro la parete di fronte alla porta della stanza. Moriyama li aveva pregati di uscire un attimo, cosicché lui potesse esaminare con calma la paziente. «Mio fratello sembra un po’ superficiale, ma è molto bravo sul lavoro».
Ryo annuì, senza perdere d’occhio le azioni del medico: sapeva che Keiko aveva ragione, ma odiava sentirsi inutile e lasciare che quell’uomo si occupasse di Kaori; del resto, poteva anche non essere un assassino, ma comunque lo aveva apertamente sfidato.
«Adesso cosa ha intenzione di fare, Keiko-san? Vuole davvero occuparsi di Kumiko-san?» chiese più per cercare di distrarsi che perché volesse davvero sentire la risposta in quel momento.
«Certo. Ho sempre apprezzato quella ragazza e mi spiace sapere che ha dovuto passare dei momenti così brutti anche per colpa di mio marito; adesso che Otome-san è in carcere, poi, si sentirà ancora più sola. L’agente Nogami mi ha detto che domattina andrà da Sagara-san per farle qualche domanda a spiegarle cos’è accaduto e mi ha domandato se volessi accompagnarla. A quanto pare, dopo l’incidente si è ritirata in nel piccolo villaggio di campagna da cui proviene la famiglia della madre di Otome-san e lì ha vissuto usando il cognome della propria madre, per questo che nessuno riusciva a rintracciarla. Io credo che le farà bene vedere un volto conosciuto. Le chiederò di essere la mia assistente: adesso che mio marito non c’è più, devo occuparmi di un sacco di questioni di cui non capisco nulla e sono sicura che lei saprebbe come aiutarmi».
«Lei ha davvero un gran cuore,» commentò Ryo rivolgendole un sorriso veloce.
La donna scosse la testa. «Faccio solo quel che è giusto».
Moriyama, intanto, si era avvicinato all’uscio della porta e aveva fatto loro cenno di avvicinarsi.
«Allora, cosa è successo?» domandò Keiko. Ryo si limitò a posizionarsi dietro alla donna, il cuore che continuava a martellargli nel petto per l’ansia e la preoccupazione.
Moriyana sorrise: «Nulla di grave, non temete. Una buona cena e si rimetterà del tutto».
«Come?» Anche Kaori parve stupita.
Il medico si voltò verso di lei. «Kaori-san, da quand’è che non mette qualcosa sotto i denti?»
Kaori ci pensò su e arrossì di colpo. «Io, ehm... da ieri sera, credo. Stamattina, abbiamo sentito quell’urlo prima che riuscissi a mangiare qualcosa e poi, beh, con quello che è successo, non ci ho più pensato…»
Kaori lanciò a Ryo una rapidissima occhiata che la intercettò comunque.
Era colpa sua.
Kaori doveva essere rimasta così turbata dalla loro discussione che si era buttata anima e corpo in quella indagine, tanto da dimenticarsi persino di mangiare. E quello era stato il risultato.
Si sarebbe preso a pugni da solo.
«Sei impazzita?!» si ritrovò suo malgrado a urlarle. «Hai idea di cosa sarebbe successo se ti fossi sentita male mentre Miyuki ti puntava la pistola contro? Sei o no una professionista?»
«Io… io… mi dispiace» Kaori abbassò lo sguardo sulle proprie mani.
«Saeba-san!» intervenne Moriyama «Le sembra il caso?»
Ma Ryo era troppo arrabbiato - con lei, che pur di scagionare Moriyama aveva messo in pericolo la propria incolumità, ma soprattutto con se stesso, per aver permesso che arrivasse a un punto simile e perché dannazione! non riusciva a mostrarle la propria preoccupazione in altro modo - e, ignorando il commento dell’uomo, uscì dalla stanza sbattendo la porta con violenza.

**

Kaori guardò con riluttanza l’omelette che Keiko aveva preparato per lei e si voltò dall’altra parte. Nonostante si sentisse molto meglio, Moriyama le aveva ordinato di rimanere a letto; lei aveva obbedito, ma non aveva sonno e si era ritrovata a fissare la luna che ormai faceva capolino tra le chiome degli alberi fuori dalla finestra.
«Kaori-san, deve mangiare!» cercò di convincerla la donna, sedendosi sul materasso accanto a lei e toccandole la spalla con una mano.
Si rendeva conto che Keiko aveva ragione, ma la sola idea di mettere qualcosa sotto i denti le faceva rivoltare lo stomaco.
Dopo che Miyuki era stata arrestata e Ryo aveva ammesso il proprio errore, aveva pensato che le cose tra loro si fossero finalmente sistemate, almeno per quanto riguardava le incomprensioni che c’erano state su quel caso. E quando era svenuta e si era ritrovata tra le sue braccia, che la cingevano quasi con possessività, si era convinta che, finalmente, tra loro tutto si fosse in qualche modo sistemato e che sarebbero tornati alla loro vita di sempre. Magari non l’amava, ma l’ansia che aveva letto nei suoi occhi, il modo in cui la stringeva mentre la portava in casa e l’aiutava a stendersi, le avevano dimostrato senza ombra di dubbio che ci tenesse davvero a lei.
E poi, tutto ad un tratto, eccoli di nuovo, quell’atteggiamento così distaccato e quello sguardo così freddo. “Non sei adatta ad essere la mia partner” sembravano comunicarle. E forse aveva ragione. Non si era presa cura di se stessa come avrebbe dovuto e nel momento del pericolo aveva rischiato di farsi ammazzare. Per quanto provasse a essere una brava assistente, finiva per combinare sempre un sacco di guai. Era logico che Ryo fosse arrabbiato con lei e che non la volesse più tra i piedi.
«Kaori-san?» Keiko la chiamò ancora una volta. Si era completamente dimenticata di lei, ma la donna le era rimasta accanto senza dire nulla, una mano ancora sulla sua spalla e l’altra che teneva il piatto che aveva cucinato per lei.
Con un sospiro, si sedette a letto, prese la cena che le veniva offerta e cominciò a mangiare: dopotutto Keiko aveva preparato quella omelette apposta per lei e le dispiaceva che i suoi sforzi andassero sprecati.
Fu solo quando mise in bocca il primo boccone che si rese conto di quanta fame avesse e in pochi minuti spazzolò tutto il piatto.
A quella vista, Keiko rise di gusto. «Se vuole, gliene preparo un’altra».
«Oh, no, grazie, non si preoccupi. Mi spiace averle arrecato tutto questo disturbo».
«Non deve dirlo neanche per scherzo: lei ha fatto così tanto per me, questo è il minimo che possa fare per ricambiare».
Kaori abbassò lo sguardo triste. «In realtà, io non ho fatto niente. Non avevo neanche capito che la colpevole fosse Miyuki-san, ero convinta che fosse stato Hisashi a uccidere suo marito. Se non fosse stato per Ryo e suo fratello, probabilmente saremmo ancora in quello scantinato. Ryo ha ragione, non sono adatta ad essere la sua assistente».
Keiko le mise nuovamente una mano sulla spalla: «Secondo me si sta sottovalutando. A quanto mi è parso di capire, Saeba-san ha sospettato di Ken in un primo momento e lei ha provato in tutti i modi a dimostrare che lui era estraneo ai fatti. E questo dimostra che è un’ottima detective».
«Eppure ha sentito anche lei cos’ha detto, no?»
«A dire il vero, io ho sentito solo lo sfogo di un uomo atterrito all’idea che le fosse successo qualcosa» le sorrise complice.
«Cosa?» Kaori arrossì e scosse con forza le mani di fronte a lei. «Ma no, si sbaglia. Ryo non…»
«Mi creda: io c’ero e ho visto com’era terrorizzato quando gli è svenuta tra le braccia. E anche mentre mio fratello la visitava… avrei dato qualsiasi cosa perché Satoshi mi avesse guardata in quel modo anche soltanto una volta» lo sguardo le si velò al pensiero del marito.
«Keiko-san…»
La donna si voltò di nuovo verso la sweeper con un sorriso: «Perciò, non si preoccupi: vedrà che qualsiasi cosa sia successa tra voi, tutto si sistemerà per il meglio».
Kaori assentì, nonostante non ne fosse affatto convinta. Non faceva che ripensare alla durezza di Ryo nei suoi confronti e ai propri errori, e più si concentrava su questi pensieri, più la tristezza la trascinava giù, in un baratro senza via di uscita.
Per ore, continuò a rigirarsi nel letto irrequieta. Anche Keiko e Moriyama ormai erano andati a dormire, dopo essersi assicurati che stesse bene. Lei aveva cercato di tranquillizzarli come meglio aveva potuto, ma l’angoscia e una strana forma di ansia che sentiva alla bocca dello stomaco non accennavano a lasciarla in pace.
Dov’era Ryo? Dopo la sua sfuriata non era più tornato. Andandosene, voleva forse dirle che aveva davvero deciso che lei non era adatta ad essere la sua socia? Lui le aveva più volte assicurato che loro due insieme erano City Hunter, ma questo era accaduto prima. Prima del matrimonio di Umibozu e di Miki e, di sicuro, prima di quella storia.
Forse quella era davvero la soluzione migliore, si disse. Ryo avrebbe avuto meno problemi senza di lei e soprattutto non sarebbe stato costretto a rischiare la vita per salvarla. Però non voleva che tutto finisse così. Se davvero non la voleva più al suo fianco, doveva dirglielo in faccia, guardandola negli occhi.
Cercando di fare meno rumore possibile, uscì dalla stanza e si diresse verso il piano terra: la casa era ancora più buia e silenziosa, ma la luna splendeva alta nel cielo e non ebbe difficoltà a trovare le scale grazie alla luce che filtrava dalle enormi finestre.
Aprì la grande porta che dava all’esterno e rabbrividì: non faceva molto freddo, ma le coperte l’avevano tenuta al caldo e adesso avvertiva sulla pelle l’aria frizzante della notte. Se fosse rimasta ancora fuori, forse si sarebbe beccata un raffreddore, ma non aveva importanza: c’era qualcosa che doveva assolutamente controllare.
Fece soltanto pochi passi quando vide un’ombra sotto una magnolia a pochi metri da lei. Non ne ebbe paura: sapeva bene a chi apparteneva, l’avrebbe riconosciuta tra mille.
«Non dovresti star fuori con questo freddo. Potresti prenderti un raffreddore» le disse lui, senza muoversi.
Kaori avanzò ancora un po’ e i contorni di Ryo si fecero più distinti. «Dovevo cercare una cosa».
«E non potevi aspettare fino a domani mattina?»
«No».
«Allora ti aiuto io, così fai prima. Cos’è?»
«Non importa, l’ho già trovata».


Stava cercando lui.
Quella sicurezza lo colse così all’improvvisò che quasi gli mozzò il respiro.
Come sempre, era stata lei ad andargli incontro e a tendergli una mano. Come quando Mary le aveva raccontato il suo passato: qualsiasi altra donna, al suo posto, sarebbe scappata a gambe levate, terrorizzata dalla persona che aveva accanto; Kaori, invece, non solo era rimasta, ma gli aveva anche donato un compleanno. Non sei solo, ci sono io qui con te, aveva voluto dirgli con quel gesto.
Quando l’aveva vista uscire dalla porta di casa, così pallida sotto la luce argentea della luna, gli era sembrata un angelo. E non lo era forse davvero, il suo angelo?
Lei aveva fatto qualche passo nell’oscurità e si era stretta nelle braccia, infreddolita, e lui si era subito chiesto che cosa ci facesse là fuori a quell’ora di notte: aveva sentito un rumore ed era andata a controllare? Oppure stava cercando qualcosa? O, forse, qualcuno?
Poi si era diretta verso di lui e l’aveva visto. La luna aveva illuminato il sorriso che le aveva increspato le labbra e lui aveva finalmente capito che non poteva più fuggire, se non voleva perderla per sempre.
E per quanto una parte del suo cervello continuasse a ripetergli che sarebbe stato più giusto così, che quella era la scusa adatta per farla uscire da quel mondo così pericoloso, che doveva farlo per lei, il suo cuore si rese conto che non ne sarebbe mai stato capace. Perché, se avesse perso anche lei, stavolta, non sarebbe stato in grado di sopravvivere. Lo aveva già capito in quello scantinato, quando aveva temuto di non potersi più specchiare nei suoi occhi nocciola, durante i secondi più lunghi della sua vita, ma in quel momento quella consapevolezza si fece ancora più forte: l’idea di perderla - qualsiasi fosse stato il motivo, chiunque fosse stata la causa - gli risultava insopportabile. Forse era solo un egoista, ma non poteva farci nulla.
Kaori avanzò ancora: erano ormai a pochi passi di distanza l’uno dall’altra. Se avesse allungato la mano, avrebbe potuto toccarla, ma non lo fece. Rimasero lì, fermi, a guardarsi per un tempo che sembrò infinito.
«Mi dispiace» le disse infine, con semplicità.
Kaori sgranò gli occhi. Poteva comprendere la sua sorpresa: non era da lui scusarsi e, di sicuro, non era quello che si era aspettata.
Lei distolse lo guardo, imbarazzata. «No, non devi. Io… avevi ragione tu, avrei dovuto fare più attenzione e-» cercò di giustificarsi, come se fosse stata lei ad aver fatto qualcosa di sbagliato e non il contrario.
«Non parlavo di stasera. Mi riferivo a… tutto quanto. A come mi sono comportato con te in questo periodo e a quello che ti ho detto stamattina. È che» Ryo ispirò l’aria fresca della notte, cercando le parole adatte: non amava sbottonarsi sui propri sentimenti, ma stavolta doveva riuscirci, per il bene di entrambi «avevi ragione tu: ero solo geloso» ammise.
«Geloso? Di Moriyama?» Se possibile, i suoi occhi nocciola si spalancarono ancora di più. Fu la sorpresa, ma anche la speranza che vi lesse dentro che lo spinsero a far cadere tutte le difese che gli erano rimaste e a permettergli di proseguire.
«Io… non sono un tipo da relazioni, lo sai: non so cosa significhi legarsi a qualcuno e prendersene cura, ho imparato ben presto a cavarmela da solo e a contare su me stesso. Perciò, quello che è successo in quella radura mi ha… spaventato. Non so se sarò mai in grado di essere la persona che meriti e non voglio farti soffrire ancora. Non sapevo come comportarmi con te e per questo motivo ho iniziato ad evitarti. E così, quando lui ha iniziato a ronzarti intorno, ho avuto paura che…»
Kaori non lo lasciò finire e lo abbracciò. «Sei uno stupido, Ryo. Uno stupido. Pensavo che… pensavo che ti fossi pentito di quello che mi avei detto quel giorno e ho temuto… ho temuto che non mi volessi più come tua assistente e che fosse per questo che…»
«Mi dispiace» fu tutto quello che riuscì a dire ricambiando il suo abbraccio.
Kaori gli si strinse ancora di più addosso e chiuse gli occhi. Attraverso il tessuto leggero del suo vestito, Ryo avvertiva la sua pelle infreddolita, ma anche il suo calore, così piacevole e dolce. Lo stesso che aveva percepito la sera precedente, e al quale non aveva voluto lasciarsi andare. Ma stavolta…
«Questa sensazione…» Kaori si staccò da lui e all’improvviso tirò fuori un martello dal nulla. «Ehi, aspetta un attimo! Allora non è stato un sogno! Che mi hai fatto ieri notte? Di’ la verità!»
Ryo fece qualche passo indietro, terrorizzato: come faceva a saperlo? Non stava dormendo? «Calmati, c’è un equivoco! Non ti ho fatto niente, te lo giuro!»
Kaori lo guardò per un attimo poco convinta, ma poi, così come era apparsa, l’arma scomparve dalle sue mani. «D’accordo, ti credo».
Ryo, però, non si fidava. «Eh? Davvero?»
«Certo. So bene che io non sono il tipo di donna che attira il tuo mokkori, perciò…»
Che sciocca. Lui le confessava i propri sentimenti e lei se ne usciva ancora con quelle stupidaggini?
Non la lasciò finire e, con un rapido movimento, l’attirò di nuovo a sé.
«Ah sì? Vogliamo scommettere?» la sfidò sornione.
Il viso di lei, adesso, era a pochi centimetri dal proprio. Ryo ebbe un improvviso déjà vu e in un attimo si ritrovò ancora una volta su quel molo, con una Kaori che indossava una parrucca e abiti che non le appartenevano stretta tra le braccia. Anche lei stava ripensando a quella sera, glielo diceva il suo sguardo, sorpreso e imbarazzato. Quella volta aveva lasciato andare la sua Cenerentola quando era scoccata la mezzanotte e la magia era finita; ma quella sera, la mezzanotte era passata da un pezzo e non c’erano stiliste impiccione a lanciare strani incantesimi.
«Che cosa c’è? Non hai ancora imparato che quando ci si bacia bisogna chiudere gli occhi?»
E prima che Kaori potesse replicare, la baciò.

**

La prima cosa che Kaori vide quando aprì gli occhi fu il volto addormentato di Ryo.
Per un istante, si chiese dove fossero e che cosa fosse successo: quella non era la stanza che condividevano al Majesty. E poi, perché lui le stava così vicino? Che diavolo le aveva fatto?
Per fortuna, prima che l’istinto la spingesse a scaraventarlo fuori dal letto urlandogli i peggiori insulti, la nebbia del dormiveglia si diradò e, finalmente, ricordò.
La morte di Fukuoka. La loro sfida. Lei e Keiko che andavano a casa della donna. Miyuki Otome che le seguiva e le minacciava con una pistola. L’arrivo di Ryo e Moriyama. Il momento in cui era svenuta. Ryo che si arrabbiava con lei. Il loro incontro sotto la luna. Lui che la baciava. E poi…
Per l’imbarazzo Kaori nascose la testa sotto le lenzuola, solo per rendersi conto che era nuda.
Non era stato un sogno, dunque, era accaduto davvero.
Quando si erano staccati da quel bacio, Ryo le aveva teso la mano e insieme erano tornati nella stanza dove aveva riposato fino a poco tempo prima. Con una dolcezza di cui non l’avrebbe mai ritenuto capace, Ryo aveva ripreso a baciarla e l’aveva lentamente spogliata. Non l’aveva presa in giro per la sua inesperienza e lei si era lasciata condurre dalle sue mani forti e sicure. All’inizio, si era sentita così inadeguata - Ryo doveva essere abituato a tutt’altro tipo di donne, molto più disinibite ed esperte di lei - ma lui, come se avesse capito cosa le stesse passando per la testa, le aveva sorriso con una tenerezza disarmante a indicarle che non aveva nulla di cui preoccuparsi.
Con circospezione, Kaori riemerse dalle coperte e si soffermò a studiare il viso del compagno. Non era abituata ad osservarlo così da vicino e si sorprese nel vederlo così sereno. Quando gli capitava di doverlo svegliare, lo trovava avvolto nelle coperte, con la bocca spalancata, che russava come una locomotiva o blaterava cose senza senso a proposito di mokkori e belle donne. Invece, in quel momento, sembrava rilassato e tranquillo come un bambino, e questo le scaldò il cuore.
Quasi per un riflesso incondizionato, Kaori allungò la mano per scostagli il solito ciuffo ribelle dalla fronte ma, proprio in quel momento, Ryo aprì gli occhi. Per una frazione di secondo, la fissò con sospetto, come se non l’avesse riconosciuta.
Kaori ritrasse la mano. «Scusa, non volevo spaventarti».
Come aveva fatto a non pensarci? Ryo era cresciuto su un campo di battaglia, era ovvio che reagisse in quel modo se qualcuno provava a toccarlo all’improvviso.
Lui le sorrise. «No, scusa tu. È che non sono abituato a simili risvegli».
Si stava sbagliando o le sue guance si erano imporporate un po’?
«Voglio dire, di solito mi tiri giù dal letto e mi urli appresso, è normale che sia traumatizzato!» si spiegò meglio, riprendendo la sua solita aria spavalda.
Tutta la tenerezza che aveva provato per lui solo pochi istanti prima evaporò di colpo e lo raggelò un’occhiataccia, mentre un martello le appariva magicamente tra le mani. «Se vuoi possiamo sempre rimediare!»
Ryo si ritrasse terrorizzato dalla prospettiva e iniziò a scuotere le mani con forza: «Ma no, ma no, non ti preoccupare, posso farne a meno! Piuttosto, non dovresti brandire quei pesi di prima mattina: ieri sera sei svenuta! Dovresti riguardarti di più!»
«Sto benissimo adesso, grazie mille!» ribatté lei per nulla impressionata dalla sua improvvisa preoccupazione per lei.
«Oh, davvero?»
«Certo! Mai stata meglio!» esclamò e solo dopo si rese conto del tono beffardo che aveva usato Ryo e delle implicazioni nascoste nella risposta che gli aveva dato. Arrossì di se stessa e gli diede le spalle, non prima di avergli mollato il martello in testa.
«Deficiente! Io vado a preparami!» gli urlò scostando le coperte per defilarsi da quella situazione così imbarazzante.
Tuttavia, Ryo fu lesto a liberarsi dall’arma. «Dài, Kaori, aspetta! In fondo, è ancora presto! Torna qui!»
«No» ribatté mentre cercava le proprie cose, tentando di ignorare la presenza dell’altro per quanto le fosse possibile: nonostante tutto quello che era successo tra loro quella notte, si vergognava come una ladra nel mostrarsi senza vestiti. «Dobbiamo tornare al Majesty: che cosa succederebbe se Hisashi scappasse? E poi dobbiamo parlare con Kataoka: ricordati che siamo stati assunti da lui!»
«Ti stai preoccupando troppo», sbadigliò lui in risposta «la polizia non lascerà che Hisashi si allontani e qualcosa mi dice che troveremo anche Kataoka ad aspettarci. Non credo che prenderà molto bene il risultato della nostra indagine».
«Appunto, per questo è meglio che ritorniamo indietro il prima possibile».
Ma Ryo non sembrava molto intenzionato a cedere. «Non sono neanche le sette! Dove vuoi che se ne vadano a quest’ora?»
«Solo perché tu ti alzi a mezzogiorno non vuol dire che gli altri siano come te!» lo rimbeccò lanciandogli i pantaloni. «Muoviti!»
Ryo sbuffò, ma «Ok, ok, signora, agli ordini!» si arrese, iniziando a vestirsi.

**

Come Ryo aveva supposto, appena arrivarono al Majesty trovarono Kataoka ad attenderli, furioso.
«Saeba! Mi aspetto delle spiegazioni da lei! Le avevo chiesto di scoprire il sabotatore, e lei che cosa fa? Porta la polizia in casa mia!» urlò appena vide i due sweeper andargli incontro e indicò con una mano le auto della polizia che stanziavano davanti all’entrata dell’hotel.
Ryo non fu per nulla impressionato da quelle parole. «Si calmi, Kataoka-san: come avrà già saputo, noi abbiamo svolto il nostro lavoro e il sabotatore è al sicuro dietro le sbarre».
«Svolto il vostro lavoro un corno! La polizia sta interrogando Hisashi da ore, e stamattina sono stato buttato giù dal letto da un’agente che voleva perquisire il mio ufficio! Si rende conto? È tutta colpa vostra! Voi mi avete rovinato! Lei è licenziato! Ha capito? Non avrà un centesimo!» continuò ad urlare, mentre un capannello di persone si era radunato incuriosito dalle urla.
Ryo si avvicinò all’uomo: Kataoka non era molto alto e gli bastarono pochi passi per sovrastarlo; il suo sguardo era così duro che l’uomo smise immediatamente di parlare e iniziò a tremare.
«Non è lei che ci licenzia; siamo noi che non vogliamo avere niente a che fare con lei. Lei ha pagato Fukuoka perché mettesse a tacere sotto minaccia una giovane che era stata molestata da Hisashi. Se ci avesse detto cosa lei e Hisashi nascondevate, non avremmo mai accettato questo incarico».
La gente intorno a loro aveva sentito tutto e aveva iniziato a bisbigliare: di sicuro quella storia sarebbe finita ben presto su tutti i giornali e il buon nome di Kataoka sarebbe affossato per sempre. Non che gli dispiacesse, anzi.
«Quella donna è una bugiarda! Si è inventata tutto per rovinarmi!»
«Le prove che abbiamo trovato a casa di Fukuoka dicono tutto il contrario», s’intromise allora Kaori.
«Sono tutte false! Le avete messe voi per rovinarmi! Maledetti! Ma ve la farò pagare! Oh, se non ve la farò pagare!» riprese a strillare e in un impeto di rabbia si scagliò verso Kaori. Tuttavia, Ryo allungò una gamba e Kataoka si ritrovò con la faccia nella ghiaia.
«Lei è solo un violento che se la prende con i più deboli. Dovrebbe vergognarsi!»
Kataoka si tirò su, pronto a dare ancora battaglia, ma si ritrovò davanti due gambe molto seducenti che gli ostacolarono il movimento; alzò la testa e il suo sguardo incontrò quello della donna che aveva bussato alla porta della sua abitazione ore prima.
«Mi spiace per lei, Kataoka-san, ma non sono solo i documenti a casa di Fukuoka che la inchiodano. Lei, per ora, è in arresto per frode fiscale, ma non si preoccupi: sono sicura che troveremo anche altri capi d’accusa per prolungare il suo soggiorno nelle nostre prigioni!» spiegò Saeko mentre gli metteva le manette ai polsi e, questa volta, Kataoka non poté obiettare.
«Proprio un bel terzetto, eh?» considerò Kaori mentre osservava gli agenti che portavano via il loro ex cliente.
«Già. Purtroppo però Hisashi se la caverà con molto meno, essendosi trattato di un tentativo di aggressione e non di violenza vera e propria, e non possiamo neanche accusarlo di ricatto, perché l’assegno era stato versato da Kataoka».
«Non importa: tanto, con lo scandalo che ne verrà fuori, dubito che troverà ancora qualcuno che vorrà assumerlo» le consolò invece Ryo.
I tre si spostarono nell’hotel. Mentre Saeko continuava a dirigere le ultime operazioni, Ryo e Kaori intravidero Hisashi che parlava con gli agenti: era pallido come un morto e sembrava invecchiato di almeno vent’anni della sera precedente.
«Alla fine Miyuki-san è riuscita nel suo intento» commentò Ryo.
«Sì. Però, se si fosse rivolta alla polizia o avesse contattato noi, forse non sarebbe diventata un’assassina» replicò triste Kaori.
«Saeba-san, Kaori-san?» si sentirono chiamare da una voce ben nota. Da uno degli ascensori nella hall era appena uscito Moriyama che si diresse verso di loro con un sorriso. «Mi era parso di avervi intravisto, prima. Sono venuto a prendere le cose di mia sorella: come potete immaginare, non ha voglia di mettere di nuovo piede in questo posto».
«Anche noi siamo qui per occuparci degli ultimi dettagli prima di tornarcene a casa» convenne lo sweeper.
Moriyama annuì, capendo subito a cosa si riferisse; poi si rivolse a Kaori: «Posso parlarle un attimo in privato?»
Kaori rimase interdetta, non sapendo cosa fare, ma Ryo le mise una mano sulla spalla e «Vado a controllare se Saeko ha bisogno di me» le bisbigliò allontanandosi.


«Vedo che tutto si è risolto per il meglio» disse Moriyama guardando Ryo che raggiungeva la poliziotta.
Kaori non era sicura di cosa intendesse il medico con quelle parole, perciò si limitò ad assentire.
«Kaori-san, sono qui per scusarmi con lei e, implicitamente, anche con il signor Saeba».
La donna si voltò verso di lui sorpresa: «Per quale motivo? Lei non ha fatto nulla di male».
«Ed è qui che si sbaglia. Vede… lei mi è piaciuta subito, appena l’ho vista: aveva l’aria così triste, come se portasse un peso sul cuore, e non mi ci è voluto molto per capire che era a causa di Saeba-san. Avevo visto quello sguardo molte volte anche negli occhi di Keiko, e non volevo che anche un’altra donna soffrisse quello che la mia povera sorella stava passando».
Kaori arrossì: non avrebbe mai pensato che qualcuno potesse leggere così bene il suo volto.
«Perciò, quando ho capito che lei e Saeba non eravate davvero sposati, ho pensato che… che avrei potuto essere io la persona che avrebbe potuto cancellare quel dolore dai suoi occhi e che le avrebbe restituito il sorriso» ammise spostando lo sguardo verso il pavimento. «Ero così arrabbiato con quello che credevo essere il signor Kamiya che, appena ne ho avuto l’occasione, l’ho sfidato: gli ho detto che, dopo che avreste risolto questo caso e fosse stata dimostrata la mia innocenza, mi sarei fatto avanti e le avrei rivelato i miei sentimenti». Moriyama istintivamente si toccò la testa, visibilmente imbarazzato.
«Oh». Ecco che si spiegavano molte cose.
«E lui mi ha risposto che lei è una donna adulta e che non l’avrebbe fermata se lei avesse scelto me».
Tipico di Ryo, pensò la ragazza, ma non disse nulla e lasciò che Moriyama continuasse il racconto.
«Mi ero convinto che quelle parole volessero dire che non gliene importava un accidenti di lei, perciò ero davvero pronto a farmi avanti, ma poi… non potrò mai dimenticare l’espressione di Saeba-san quando lei è svenuta. Era… non so come spiegarglielo, ma in quel momento mi ha fatto pensare a un fragile bicchiere di cristallo che sta per rompersi. E non si ha un crollo del genere solo per una collega di lavoro. In quell’istante, ho capito che non avrei mai potuto essere io la persona che avrebbe potuto donarle la felicità: l’amore che vi lega è troppo profondo».
«Moriyama-san…»
Lui tornò di nuovo a guardarla, sorridendo. «Nonostante la brutta esperienza la trovo molto bene, stamattina. E dubito che sia bastata un’omelette a rimetterla così in sesto».
Kaori arrossì e Moriyama scoppiò a ridere. «Le auguro tutto il bene del mondo, davvero. Spero che anche mia sorella un giorno trovi qualcuno che tenga a lei anche solo la metà di quanto Saeba la ama».
Kaori non sapeva cosa dire. Avrebbe voluto augurargli anche lei di trovare una donna che lo amasse con tutta se stessa, perché era una persona splendida e meritava di essere felice, ma non lo fece: sapeva che non spettava a lei dirgli quelle parole. Non allora, almeno.
Quando uscì dall’albergo alla ricerca di Ryo, era sicura che l’avrebbe trovato a gironzolare intorno a qualche cameriera o alla bella poliziotta; invece Saeko era già andata via e Ryo la stava aspettando appoggiato al tronco di un albero.
«Tutto ok?» le chiese andandole incontro.
Kaori assentì meditabonda. Per qualche minuto non parlarono, ma rimasero a guardare le ultime volanti che si allontanavano e il personale dell’albergo che si muoveva da una parte all’altra, non sapendo bene cosa fare.
«Posso farti una domanda?» se ne uscì all’improvviso lei.
«Uh?»
«Se Moriyama avesse deciso di provarci seriamente con me, davvero non avresti detto nulla?»
Ryo non rispose subito, ma si limitò a fissare un punto di fronte a lui; poi, scosse semplicemente la testa. «Non lo so. In fondo, con lui avresti avuto una vita normale, lontano dai pericoli del mio mondo. Però…» Rimasero per un po’ in silenzio a soppesare quell’eventualità. «E tu? Cosa avresti fatto? Avresti accettato la sua corte, se io non avessi mostrato alcuna reazione?»
«Scherzi? E chi avrebbe protetto tutte quelle povere clienti da un maniaco pervertito come te?» ribatté pronta lei.
Ryo scoppiò a ridere e le tese la mano. «Non ci pensare più: in fondo, con i se e con i ma non si va da nessuna parte. Che ne dici, ce ne torniamo a casa? Ne ho abbastanza di questo posto».
Kaori annuì e prese la sua mano, così calda e sicura.
Poi, senza guardarsi più indietro, si diressero verso la loro nuova vita insieme.


Note random dell’autrice
Nel triste elenco delle persone che Ryo ha perso, non ho inserito Robert (presente negli episodi 78-79 dell’anime), perché si tratta di un personaggio non presente nel manga, di cui, invece, questa storia sarebbe un ideale seguito.

*___* Voi non potete neanche immaginare che cosa sia stato per me scrivere la scena al chiaro di luna. XD L’ho immaginata in cinquantamila modi diversi, ma mai così. Pensavo che anche in questo caso Ryo mi avrebbe fatto passare le pene dell’inferno, e invece stavolta ha fatto tutto da solo. Mentre scrivevo, mi è sembrato quasi di vederli e di sentirli parlare, come se stessi vedendo una puntata dell’anime. Alla fine mi sono sentita più una fangirl impazzita che un’autrice. XD La battuta in riferimento a Cenerentola non era preventivata, ma Ryo l’ha voluta dire ad ogni costo e io l’ho amato tantissimo per questo. Spero davvero che questa scena sia piaciuta anche a voi.
Dunque, siamo ormai agli sgoccioli di questa storia: finalmente giustizia è stata fatta e le incomprensioni tra Ryo e Kaori pare si siano risolte. Vi do perciò appuntamento all’epilogo per sapere che ne sarà di tutti nostri personaggi!
   
 
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