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Autore: Enchalott    17/09/2018    6 recensioni
Pianeta Namekk. Bulma si sta amaramente pentendo di essere partita con gli amici per cercare le Sfere del Drago originali. Troppi nemici, troppi esseri mostruosi con poteri sovrumani, troppi interessi in gioco. Sola e indifesa, si aggira sul pianeta, cercando di salvare la pelle.
Vegeta desidera le Sfere, desidera vendicarsi di Frieza e desidera sconfiggere Kakarott. Ma deve giocare bene le sue carte e scegliere con cura i suoi eventuali alleati, per evitare di rimetterci la vita.
Che cosa accadrebbe se, diversamente dall'originale, i principe e la scienziata si incontrassero e si parlassero già in quest'occasione?
"Qualcosa le piombò addosso con la rapidità del pensiero, inchiodandola alla roccia con una forza disumana, tappandole la bocca e impedendole qualsiasi reazione. Non ebbe neppure il tempo di trasalire.
“Non un fiato…” ringhiò Vegeta, trattenendola saldamente e continuando a premerle sulle labbra con la mano, il viso a un centimetro dal suo.
Bulma si irrigidì, pensando di essere giunta alla fine dei suoi giorni. Serrò gli occhi, terrorizzata e rassegnata a subire quella sorte terribile.
Non successe nulla."
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! ^^ Queste poche righe per ringraziare con il cuore chi mi sta seguendo così assiduamente. Vi sono realmente grata. <3

Confronto

Appena aveva toccato il materasso, il Saiyan era crollato pesantemente. Se ne stava steso a pancia in giù, con il braccio che penzolava dal letto e la mano abbandonata, che sfiorava il suolo roccioso. In quella posizione sembrava indifeso e vulnerabile, la pelle abbronzata che risaltava sul lenzuolo bianco e le palpebre allungate chiuse nel riposo. E non c’erano più dubbi, ora che si era concessa di osservarlo attentamente: era davvero attraente.
Bulma, però, era conscia del fatto che non si trattava del suo aspetto. Di bei ragazzi ne aveva visti e l’effetto non era stato quello presente. Non era il punto. Erano stati i suoi occhi, quelli le avevano assestato una stoccata micidiale, tale da far passare in secondo piano il fatto che lui fosse essenzialmente uno spietato omicida.
Era curiosa di indagare oltre alle apparenze ed era consapevole del fatto che, a causa di ciò, si sarebbe scottata; ma non avrebbe rinunciato a sapere di più su di lui, a costo di farsi del male e di passare il resto della vita a leccarsi le bruciature.
 
Cerca di non farti ammazzare, principe guerriero…
 
Vegeta disse qualcosa nel sonno, ma lei non comprese il suo idioma. Lui si girò sulla schiena e il suo respiro si fece più affannoso. Si mosse ancora e riprese a parlare, in modo più concitato, come se fosse posseduto da un incubo. Gridò.
 
“Vegeta!”
 
Il sogno era terribilmente reale, nella sua confusione frammentaria.
Le navicelle da guerra tondeggianti dei Saiyan partivano dal suo pianeta, dirette in qualche remoto angolo dell’universo. Una sola andava in direzione opposta. Al suo interno c’era Kakarott, che sonnecchiava tranquillo. Manteneva quella quiete imperturbabile anche quando Vegeta-Sei andava in mille pezzi sotto il colpo letale di Frieza. L’onda d’urto faceva oscillare il veicolo e Kakarott si svegliava… ma i suoi occhi spalancati sulla dissoluzione del loro mondo erano stranamente verdi e la sua chioma scompigliata emanava bagliori dorati. Un super Saiyan, che balzava fuori nello spazio, pronto a ingaggiare battaglia al culmine del potere.
Lui, il principe, era prigioniero e cercava di spezzare le catene che gli stringevano i polsi… ma l’unico movimento che gli era concesso era quello di inginocchiarsi davanti all’imperatore del male, che lo umiliava e lo derideva.
Tutto diventava buio e lui cercava di inseguire la detestata immagine di Frieza, che sghignazzava beffarda al suo indirizzo, oltraggiando la sua razza e il suo onore, rivolgendosi a lui come a uno schiavo e inchiodandolo a terra con la lunga coda rosata.
Lui si sforzava di rialzarsi, ma quando aveva successo non riusciva a raggiungere né il tiranno né Kakarott, che era troppo veloce, troppo forte, troppo… tutto: questi non rideva di lui, ma gli porgeva la mano, facendolo esplodere di rabbia e di sconforto.
Correva. Correva e tutto si allontanava, anche le parole aspre di suo padre, il re, che si perdevano nel buio insieme con il suo sguardo severo.
Correva e il nulla si espandeva intorno a lui, per poi contrarsi ed impedirgli nuovamente di muoversi, di parlare di respirare… Gridava. La sua anima gridava vendetta, il suo dolore gridava con essa, il male che lo possedeva gridava crudele il suo nome…
 
“Vegeta!”
 
Soffocava. Si aggrappava alla vita in un rantolo, lacrime di rabbia e orgoglio che sfuggivano al suo controllo e si riversavano sui suoi zigomi e sul suo volto contratto.
Il nero era ovunque e lo avvolgeva, indicandogli la sua solitudine e la sua condanna, mentre l’unica luce proveniva dall’energia abbagliante e irraggiungibile di Kakarott, che lo fissava con compassione. Anche quella! Anche quella no!
 
“Vegeta!”
 
Stringeva le palpebre, per non morire con quell’immagine avvilente stampata sulla retina e si lasciava andare… qualcosa lo afferrava, ma non poteva vederlo, si rifiutava di guardarlo, detestava che accadesse e gridava ancora, perché gli faceva male, così male da…
 
“Vegeta, svegliati ti prego!”
 
Il principe saltò come una molla, spalancando gli occhi e portandosi una mano al petto nudo. Gocce di sudore gli si riversarono lungo la schiena, mentre inalava l’aria rapidamente e avidamente, realizzando di essere uscito dal mondo onirico. L’altra mano era andata automaticamente in difesa e si era artigliata a qualcosa. Sollevò il viso e mise a fuoco la situazione.
La terrestre era seduta sul letto, a pochi centimetri da lui, e gli stava scrollando un braccio, con un’espressione sconvolta e preoccupata nelle iridi turchesi. Così angosciata, che non si era accorta che lui l’aveva afferrata malamente per i vestiti, affondando le dita nel…
Per tutti i sistemi stellari!!
Vegeta scostò la mano e balzò all’indietro, liberandosi parimenti dal suo tocco premuroso.
“Stammi lontana!”
Bulma corrugò le sopracciglia e non si spostò.
“Stavi urlando nel sonno! Ho creduto che stessi male, mi hai fatto prendere un colpo!”
“Maledizione…” ringhiò lui in risposta, passandosi il polso sulla fronte.
Lei continuò a guardarlo a metà tra l’inquietudine e l’irritazione, mentre il principe posava i piedi a terra e fissava la roccia con ostinazione.
Il suo respiro si regolarizzò. Strinse i pugni, avvertendo la forza rifluire nel suo corpo. Nonostante l’incubo, non si sentiva più debole e spossato.
“Ti capita spesso?” domandò la ragazza, ancora impensierita.
“Non farlo mai più, se non vuoi crepare anzitempo” sibilò lui, lanciandole un’occhiata feroce e ignorando volutamente la questione.
“Insomma!” sbottò lei inviperita “Si può sapere che ti è successo e perché devi sempre essere così sgradevole?!”
“E’ successo che ti è andata bene. Avrei potuto spezzarti il collo senza volerlo. Un’occasione persa, peccato…” sogghignò.
Senza volerlo.
Le due parole riverberarono nella mente di Bulma e il suo cuore diede un tuffo. Non gli lasciò la soddisfazione.
“Seriamente, Vegeta… mi hai spaventata. Non sembrava un semplice sogno…”
“Spaventata?” fece eco lui “Finalmente! Temevo di aver perso il mio tocco magico!”
“Oh, piantala di comportarti da sbruffone!”
“E tu smettila di seccarmi!”
“Frieza e Kakarott!” saettò lei, affrontandolo.
“C-che…?”
“Sono le uniche parole che ho capito nel tuo delirio. I loro nomi”.
Lui digrignò i denti. Aveva borbottato nella sua lingua. Per fortuna. Ricordava con chiarezza tutto quanto ed era certo di aver detto anche kyudai… terrestre. Perché la luce che aveva visto gli aveva ricordato qualcosa di lei.
La ragazza si era cambiata gli abiti per via del caldo e indossava un’aderente canottiera grigio chiaro e dei pantaloncini cortissimi dello stesso colore. I capelli azzurri lambivano le spalle candide ed era a piedi scalzi, seduta scompostamente sul suo letto, come in una serata tra amiche. Puah! La solita donna grezza e priva di buone maniere! Che però si era alzata dal computer posato in fondo alla grotta ed era corsa lì apposta per lui, in preda all’apprensione. E si era interessata al suo stato di salute. Avrebbe dovuto calibrare bene la risposta, perché lei era perspicace e lui non aveva la benché minima intenzione di sottostare al suo interrogatorio o di parlarle dei suoi conti irrisolti con quei due.
“Può darsi” replicò freddo.
“Sei talmente ossessionato da loro, da lasciarli entrare nel tuo sonno!” rimbrottò severa “Così non sarai mai sereno! Forse è questo il motivo per cui non riesci a vincere!”
“Cosa vuoi saperne tu!! Non sei neppure in grado di controllare il tuo ki!”
“Chi se ne importa del ki! Quando sono agitata, io non riesco a concludere nulla! Anzi, faccio peggio del solito! Che ti piaccia o meno, anche tu sei un essere umano!”
“Umano?!” tuonò lui “Il mio corpo sarà anche mortale, cosa a cui porrò rimedio a breve… ma io sono il male! Non sono altro! Ricordatelo!”
“Ah, e ti glori di questo? Che cosa faresti, se fosse vero?”
Sempre quella domanda: che cosa faresti… ipotesi, possibilità e riflessioni, che riuscivano a metterlo costantemente in crisi.
“Mi sentirei realizzato” sghignazzò.
“Sei un pessimo attore” garantì lei categorica.
“Che cosa!?”
“Il male io l’ho visto… e credimi, non assomigliava affatto a te…”
Vegeta sbarrò gli occhi. Non poté ribattere. Come ci riusciva? Come faceva a toccarlo così nell’anima ogni volta che intavolavano un faccia a faccia? A farsi ascoltare, senza essere preponderante? Ad avvincerlo, senza usare la forza?
Sicuramente, non perché era intuitiva e raziocinante. Poiché anche lui era così. Non certo perché era una donna impertinente e aggressiva. Seppure quelle sue caratteristiche lo intrigassero parecchio. E nemmeno perché era di una bellezza sconvolgente. Non era certo quello il motivo.
 
Non mentire a te stesso, Vejita…
 
Perché era lei. Era quel tutto concentrato, esplosivo, carico d’amore per il prossimo, inspiegabile, che lo aveva riconosciuto come creatura pensante e considerato non nel suo svolgersi presente, ma come futuro in potenza.
Nei suoi occhi si era visto diverso… e per un solo, dannato istante aveva desiderato con tutto se stesso di corrispondere a quell’immagine.
“Possiamo scommettere!” le disse, incrociando le braccia.
Bulma alzò gli occhi al cielo, rassegnata.
“Ok, se non ti va di parlarne, non insisto…” sospirò “Sono contenta che tu stia meglio, più tardi controllerò la medicazione. Ti fa male?”
“No”.
“Bene, così non sarai costretto a ficcarti drasticamente un altro ago nel braccio”
Chi!”
Si alzò dal letto, dirigendosi nuovamente verso il computer acceso. Poi si fermò.
“I cacciatori sono ancora qui fuori, suppongo”.
“Giusta deduzione…” ironizzò lui.
“Così hai l’opportunità di gustarti ancora un po’ la mia compagnia” rise lei “Anzi, avresti dovuto sognare me, anziché quei due energumeni muscolosi…”
“Falla finita!”
Bulma continuò a ridacchiare e si girò.
“Ehi, Vegeta…”
“Che altro c’è?”
“Bella presa…” commentò, portandosi la mano al seno.
Il Saiyan diventò paonazzo.
 
La terrestre si era sistemata nuovamente a terra, continuando a trafficare con il computer portatile, borbottando contro l’aggeggio che non obbediva ai suoi comandi e, per contro, sorseggiando tranquillamente il suo cha.
La luce dello schermo si rifletteva sul suo viso, donando alle iridi del colore del mare una sfumatura ancora più accesa. Il suo sguardo era fermo e deciso, era quello di una che non si arrende e che non è disposta a rinunciare al proprio obiettivo.
Vegeta lo riconobbe subito: l’orgoglio nei suoi occhi, il riflesso di un carattere che non ammette sconfitte, il desiderio di superare se stessa. Per lui era la stessa cosa. Ma in un’altra direzione. In un modo differente. Che, fino a quando non l’aveva incontrata, gli era sembrato l’unico o, quantomeno, il più consono.
Il dubbio che si era conficcato nella sua mente guerriera lo infastidiva. Il pensiero di non realizzare i propri scopi a lungo programmati lo destabilizzava. L’idea di rinunciare a quanto aveva espresso era assurda, categoricamente da escludere.
Ma il suo “che cosa faresti?” lo tormentava con pari ostinazione, così come il concetto di possedere realmente la prerogativa di cambiare percorso, di non essere ciò che era. Tuttavia, sarebbe stato come ammettere di essere in torto ed era su quel punto che la sua fierezza indomita gli faceva bruciare il sangue, provocandogli la sensazione di trovarsi in bilico tra due possibilità. Nella vita, non era mai stato un indeciso e quelle domande che, suo malgrado, sgorgavano dalla sua anima lo mettevano in difficoltà.
 
“Eureka!” esclamò Bulma soddisfatta.
Sul computer apparve l’immagine sfocata e lontana anni luce del dottor Brief.
“Tesoro, come sta andando?”
Il principe balzò giù dal letto, aggrottando la fronte, e si avvicinò, facendo chiaramente intendere di non gradire il collegamento improvvisato con la Terra.
“Ciao papà, abbiamo avuto degli inconvenienti… al momento sono nascosta, perché qui c’è una manica di pazzi che sta rincorrendo le Sfere del Drago e non è il caso di farmi vedere!”
La voce dall’altra parte era disturbata e non sempre percettibile, ma indagava sulla situazione in corso.
“Non ho notizie di Goku, è già giunto a destinazione?”
“Non lo so, non ho la possibilità di verificare, al momento…”
“Ehi, donna! Chiudi quell’affare, ti sentiranno in tutto l’Universo!” sbottò il Saiyan seccato.
Lei gli lanciò un’occhiataccia e ignorò l’ordine.
“Chi c’è lì con te?” domandò lo scienziato, che non poteva scorgere l’interlocutore.
“Un amico, papà, non preoccuparti. Ti darò altre notizie al più presto, ora devo chiudere…”
Vegeta spalancò gli occhi e mancò l’occasione di ribattere.
“Stai attenta, mi raccomando…”.
Bulma spense il portatile e si girò verso il Saiyan, che continuava a fissarla interdetto.
“Che cosa c’è, ora? Ho fatto come hai “gentilmente” chiesto…”
“Ti ho già detto che non sono tuo amico!”
“Allora posso ricontattare mio padre e dirgli che sono bloccata in un buco senza uscita con quello che ha provato a disintegrarci qualche mese fa e che non posso fuggire, perché si è tirato dietro tutto l’esercito di Frieza, che è ancora più dispotico di lui!”
Chi!”
“Ogni tanto dovresti provarci, inoltre…” aggiunse rabbuiata “A concedere la tua amicizia a qualcuno, intendo! Penso che non saresti male!”
“Come?” rispose lui incrociando le braccia, palesemente a disagio.
“Se io volessi essere tua amica, con quali motivazioni mi respingeresti?”
“Quella che non riesci a tenere la bocca chiusa potrebbe essere la prima!”.
“Almeno io dico solo cose intelligenti!”
“E quella che mi piacerebbe farti fuori all’istante la seconda!”
“Ci risiamo con le minacce! Così non avresti la possibilità di conoscermi meglio…”
“Che cosa ti fa pensare che mi interessi, eh!?”
La ragazza si alzò e avanzò nella sua direzione, fermandosi difronte a lui, piegandosi leggermente in avanti e scrutandolo in volto, senza timore. Vegeta indurì l’espressione e strinse i pugni. Il suo cuore iniziò a battere più velocemente, come se fosse in attesa di qualcosa di importante.
“Il tuo sguardo” rispose lei.
 
Maledizione, Vejita…
 
Il principe faticò a mantenersi esteriormente distaccato. Contenne la reazione emotiva e si limitò a scrollare la testa, come se ciò che aveva appena sentito fosse un’altra sciocchezza di poco conto.
“A me sembra” sogghignò freddo “Che sia tu quella azzardatamente curiosa di conoscermi davvero. Non so quanto ti convenga…”
“Lo sono” ammise Bulma candidamente.
“Perché?” saettò lui tagliente.
“Voglio capire il motivo per cui uno del tuo valore è così accanito nel perseguire fini tanto odiosi. Perché a tutti i costi ti condanni coscientemente alla solitudine”.
Vegeta fu tentato di sbatterla contro la parete e chiarirle una volta per tutte che le sue parole non avevano il potere di scalfirlo, ma mentire non era mai stato il suo forte. E poi qualcosa era già sfuggito al suo controllo, se lei era riuscita a leggergli negli occhi. Sarebbe dovuto uscire da lì e massacrare tutti gli imbecilli accampati all’esterno, per farsi passare la strana sensazione che lo aveva invaso da quando quella terrestre petulante gli stava accanto. Quella sì che sarebbe stata una reale soddisfazione e un atto che l’avrebbe messa di certo a tacere nell’immediato.
“Io sono un Saiyan” rispose alzando le spalle “Sono il principe della razza guerriera. Un motivo c’è, se ci chiamano così. Siamo nati per combattere e per superare i nostri limiti. Siamo individualisti e ciascuno di noi desidera ardentemente essere il primo. Ma solo io lo sarò davvero. Tutto il resto non mi interessa”.
“E siete orgogliosi e testardi, lo so… non vi arrendete e la sconfitta non è contemplata nel vostro DNA. Ne sono ben conscia, ne conosco un altro che corrisponde perfettamente all’identikit. Ma le vostre caratteristiche peculiari non sono sufficienti a giustificarti, Vegeta. Si può essere i primi in tanti modi differenti…”
“Può essere. Ma questo è quello che io ho scelto”.
“E per questo motivo io desidero sapere il perché. Di fatto non mi hai risposto”.
“Non occorre” sentenziò il principe, le iridi d’ossidiana fiammeggianti.
Colmò la distanza tra loro e le si parò davanti, silenzioso e terribile. Bulma trattenne il fiato, ma non indietreggiò e, se anche avesse avuto la possibilità di spostarsi, non lo avrebbe fatto, non si sarebbe sottratta a quella che aveva tutta l’aria di essere la loro resa dei conti.
La mano di Vegeta scattò verso di lei e le sollevò leggermente il viso, in modo che lo potesse vedere bene, e la ragazza gli afferrò il polso di riflesso, aggrottando le sopracciglia, indomita.
“Guardami attentamente” le disse “E risponditi da sola”.
Nero e buio assoluto. Due lame affilate e minacciose come spade. Intensità profonda, vorticante di rabbia, di rivalsa, di alterigia. Caparbietà incrollabile nella tenebra vibrante di passione. Passione e dolore. Tristezza. Erano i suoi occhi. Erano lui.
 
Oh, Bulma…
 
“Se mi fissi così, potrei innamorarmi di te!”
Il Saiyan sussultò e abbassò il braccio, ma non lo sguardo. Il suo silenzio fu la risposta, il segno tangibile che il suo baricentro si era spostato. Se ne rese conto e cercò le parole.
“Neppure tu saresti così stolta” sogghignò.
La terrestre gli puntò il dito al petto e alzò il mento, in segno di sfida.
“Allora guardami tu con attenzione e dimmi che cosa vedi!”
Luce e trasparenza. Quiete profonda e avvolgente come il calore di un abbraccio. Possibilità bruciante di resa non vana, di vita, di altro. Percorso diritto e cuore pulsante, passione. Passione infinita, tesa come una mano decisa verso chi ha paura.
Amore. Era lei. Era in lui.
Vegeta vacillò interiormente ed espanse disperatamente il ki, sperando che i suoi inseguitori se ne fossero andati, per poter uscire da lì, per allontanarsi da lei, per rientrare nel sé che stava perdendo la presa, per respirare la certezza di essere sempre il principe distruttore che terrorizzava l’universo.
“Non mi interessa niente di te” replicò tra i denti, dandole le spalle.
“Stai solo rinunciando, invece!”
“Che cosa!?”
“Ti metti in gioco solo quando si parla di morte, di guerra, di vendetta. Tutto il resto ti imbarazza. Significa che sai di essere in torto”.
Lui si girò, ribollendo di collera.
“Non mettermi alla prova”.
“Altrimenti, che cosa faresti?”
 
Un atto che non hai mai compiuto, Vejita…
 
“Sei mia prigioniera, no?” sogghignò sottile “Farei tutto ciò che desidero”.
“E cosa desideri, principe dei Saiyan?”
 
Che tu mi dica che cosa credi di scorgere in me…
“Che tu taccia nell’immediato!”
 
Di portarti con me lassù, quando tutto questo finirà, perché voglio sapere chi sei…
“Di usarti come merce di scambio per le Sfere!”
 
Di vivere, per vedere se è vero quello che sostieni con tanta forza…
“O di crepare, se dovessi essere sconfitto, per non dover più udire tante stupidaggini!”
 
Di non lasciarti andare, ovunque io sarò…
“Di non doverti sopportare più!”
 
Un rumore pesante di massi che franavano interruppe il suo sfogo.
   
 
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