Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |       
Autore: hikaru83    24/09/2018    6 recensioni
Di Sherlock, per quanto non ami parlare di sé, sappiamo più di quello che ci si aspetterebbe da una persona tanto riservata. Abbiamo conosciuto i suoi genitori, suo fratello, sua sorella. Sappiamo che da bambino amava giocare ai pirati, sorrideva tanto, avrebbe voluto avere un cucciolo, aveva almeno un amico e probabilmente era quello più “normale” della famiglia. A detta sua sappiamo che “le donne non sono proprio il suo campo” e a noi va benissimo. Abbiamo persino imparato a comprendere il suo carattere. Insomma ad osservarlo bene, e a non soffermarsi sulla prima impressione, di Sherlock sappiamo molto. Ma di John? Del caro e buon John? Dell’onesto, irreprensibile, coraggioso, corretto John? Sappiamo che è stato un soldato, un capitano per di più, sappiamo che è medico, ha studiato con Mike, che ha una sorella lesbica alcolista con cui non è in buoni rapporti. Non conosciamo nulla della sua famiglia, non niente del suo passato. Nessuno si è presentato al suo matrimonio, andato a trovarlo dopo la nascita di Rosie o per il suo battesimo, nessuno è andato al funerale di Mary. Sembra quasi che il “prima di Sherlock” non sia per nulla importante. Ma sarà davvero così? Non ci tocca che scoprirlo.
[Johnlock]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harriet Watson, John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Storia partecipante all’Evento Happy Birthday Martin indetto dal gruppo Facebook Johnlock is the way and Freebacth of course.
Nata per il compleanno di Martin, ho dovuto aspettare fin'ora perchè la mia beta era in vacanza e senza di lei mi sento perduta LOL.
Diciamo quindi tutti grazie a Slanif! Questa ff è tutta per la patata sexy di Martin Freeman e per le mie adoratate anime gemelle del gruppo Johnlock, Chiara, Susanna grazie per creare eventi tanto belli e per riuscire a fingere di tenerci a bada quando in realtà siete le prime a aizzare la nostra pazzia! Pri, Marci, Annina, Bea, gioie mie insomma è per tutte voi.
E si, sono pazza, provo con una storia a capitoli, spero vi piaccia.




Io&Sherlock
 
 

 
Capitolo 1
 

«Afghanistan o Iraq?» è iniziato tutto così, con quella semplice domanda, completamente inattesa, dopo avergli prestato il cellulare. Non un: “Che lavoro fai?”, o: “Come conosci Stamford?”. No. Solo quel: “Afghanistan o Iraq?”, domandato con quella voce profonda che ha fatto vibrare il mio cuore dal primo istante.

Inutile cercare di nascondere il fatto che quel tizio mi interessasse. Però all’epoca non capivo quanto profondo fosse quell’interesse. Del resto, fino a quel momento – a parte rarissimi episodi che preferivo si perdessero nell’oblio – ho sempre trovato molto affascinante il genere femminile. Amavo conquistare le donne, adoravo la parte iniziale del rapporto; peccato solo non riuscire a superare quella e separarmene dopo pochi mesi per cercare la successiva preda. Solo Mary è durata di più, e anche per lei una ragione di tutto il tempo passato insieme è sicuramente stata lui.

Eppure lui, lui è sempre stato diverso. Al nostro primo incontro non pensavo minimamente di doverlo conquistare. Era solo un tizio eccentrico e interessante. Senza rendermi conto che lui, in realtà, aveva già conquistato me senza che nemmeno me ne accorgessi.

Ho provato a chiedergli più di una volta come facesse a sapere che ero stato in Afghanistan, ma ovviamente lui ignorò la mia domanda, elencando prima i suoi difetti, come suona il violino quando riflette o sta spesso in silenzio per giorni (evitando di menzionare parti del corpo conservate nei posti più assurdi della casa... Forse per lui quello non era un difetto); poi dandomi appuntamento alle diciannove senza dirmi dove, menzionando un frustino dimenticato in obitorio (la cosa avrebbe quantomeno dovuto mettermi in allarme, ma niente). E quando cercai di fargli capire che era alquanto strano cercare casa con una persona di cui non sapevo nulla - neanche il nome - e che evidentemente non poteva sapere niente di me, la sua risposta è stata: «Io so che lei è un medico militare che è stato ferito in Afghanistan. So che ha un fratello che si preoccupa di lei, ma non gli chiederà aiuto perché non lo approva; probabilmente perché è un alcolista, o meglio: perché di recente ha lasciato la moglie. E so che la sua analista pensa che il suo zoppicare sia psicosomatico, diagnosi corretta, temo. È sufficiente per frequentarci, non crede?»

Rimasi in silenzio, troppo sorpreso per riuscire a dire anche solo una parola.

«Mi chiamo Sherlock Holmes. L’indirizzo è il 221b di Baker Street. Buonasera.» Un occhiolino nella mia direzione, un saluto verso Stamford alle mie spalle e via, sparito nel nulla.

Mi voltai verso Mike ancora ammutolito. Gli bastò uno sguardo per capire cosa mi frullasse per la testa. «Sì, fa sempre così,» rispose con un sorriso.

Non ho mai capito e non gliel’ho mai chiesto, il motivo per cui Mike ha pensato a me per dividere l’appartamento con Sherlock. Non so se è stato solo perché ero il primo con cui si era trovato a parlare dell’argomento, o se avesse capito che tra noi poteva davvero funzionare senza ucciderci a vicenda.

Mike sembra una persona tranquilla, pacifica, uno di quelli ritenuti non troppo svegli, un po’ fessi - se mi concedete il termine. Questo comporta che in realtà sia molto più di quello che dà a vedere. Quando, appena iniziata l’università, mi sentivo un po’ più intelligente, più furbo di lui e mi ero eretto a suo difensore rispetto ai bulletti che giravano ovunque, ero stato sorpreso dal fatto che mentre noi ragazzi svegli ci preoccupavamo della partita di calcio o rugby e di chi aveva fatto più conquiste, lui parlava già due lingue straniere e ne stava imparando un’altra, senza contare che aveva un sacco di crediti in più grazie a tutte le attività extrascolastiche che frequentava. Da allora ho imparato a non fermarmi a quello che i miei occhi mi facevano vedere, ma a cercare di vedere un po’ più in là. Soprattutto quando si tratta di persone tranquille e dall’apparenza del tutto innocue.

Quante domande mi ha costretto a farmi e a rispondermi, Sherlock!

Non so se lui si sia mai reso conto di come mi rigirava come un calzino l’anima. Di quanto io facessi fatica a non impazzire, dopo aver passato una vita a convincermi di essere ‘normale’, a convincermi e a cercare di convincere mio padre che fossi un comune uomo etero. Un gagliardissimo uomo etero. Tre continenti Watson, Capitano del Quinto Fucilieri di Nothumberland, e che cazzo! Mica una donnicciola qualsiasi.

E sì, è ovvio che questo sia decisamente un punto di vista da coglione, ma non ho mai detto di essere un genio. Soprattutto non lo ero da ragazzo, quando cercavo di mantenere l’equilibrio nella mia famiglia, con un padre militare, una madre medico devota al marito e al suo lavoro, una sorella lesbica che ha sempre trovato molto divertente usare questo dettaglio per far infuriare nostro padre.

Non dico che sia diventata lesbica solo per dargli fastidio - non l’ho mai pensato anche se ero un coglione. So quanto sia impossibile decidere chi amare e lo sapevo fin da ragazzo -, ma di certo ha trovato la cosa divertente, rivelandolo durante la cena di Natale a cui erano invitate anche le famiglie dei militari amici di papà. È questo che le ho sempre rinfacciato: non certo il suo orientamento, quanto il totale disinteresse della sensibilità altrui.

Ed è la stessa cosa che all’inizio rinfacciavo a Sherlock, fino a quando ho capito che lui non lo faceva per disinteresse, non con cattiveria; semplicemente aveva cancellato dal suo modo di vivere le emozioni. È una cosa che mi ha sempre incuriosito, nonché in un certo senso rattristato. Sherlock sembra totalmente incapace di comprendere le emozioni; sa che esistono, riconosce un cambiamento dal normale andamento di una persona, ma non ha idea se quel cambiamento è dettato dalla paura o dall’eccitazione, se è dovuto dall’angoscia o da una gioia incontenibile.

Ha sempre definito i sentimenti come un errore umano, una distrazione, il vero punto debole del genere umano. Eppure per me è così evidente che i sentimenti guidano molte sue azioni. Ho in mente ancora quel dialogo tra Mrs. Hudson e Mycroft, quella sera, quando stavo rischiando di perderlo sul serio...

 
«Lo sa cosa preoccupa Sherlock? È davvero semplicissimo ed evidente a chiunque.» La signora Hudson ha dimostrato più volte di essere più intelligente dei fratelli Holmes su determinati argomenti.

«Conosco i suoi pensieri meglio di ogni altro essere umano. Per favore, signora Hudson... » aveva risposto Mycroft seccato.

Mrs. Hudson aveva riso di cuore. «Non c’entrano i pensieri. Non per Sherlock!»

«Ma certo che sì.»
               
«No, no è più emotivo, vero?» disse, osservandomi e cercando di tirarmi in mezzo al discorso.

Io conoscevo meglio di chiunque altro Sherlock, sapevo perfettamente cosa volesse dire. Forse annuii, ma non ricordo; troppi sentimenti mi si agitavano nel cervello in quel momento, e molti altri mi avrebbero colpito dopo poco, ma ancora non potevo saperlo.

La donna continuò la sua arringa: «Un caso irrisolto? Spara alla parete. Bum! Bum! Colazione non pronta? Colpo di karate al frigo. Domande senza risposte? Beh, che cosa fa con le questioni in sospeso, John, ogni volta?»

«Le trafigge,» risposi meccanicamente con un sorriso. Mi pareva di vederlo di fronte a me mentre infilzava qualche biglietto o ritaglio di giornale proprio su quella mensola. Martha sembrò soddisfatta della mia risposta.

«Ogni volta che lui non trova una risposta... bang lì sopra! Glielo dico sempre che se fosse un bravo detective io non dovrei cambiare la mensola.»...
 

 ...Accarezzo la superficie della mensola in questione, quella del caminetto. Alla fine Mrs. Hudson non l’ha mai cambiata. I solchi di quando Sherlock ci ha infilzato sopra qualcosa sono tantissimi e li sento tutti sotto i polpastrelli. Sorrido ogni volta che ne incontro uno.

«In vena di ricordi?» Sobbalzo leggermente, preso alla sprovvista. Come al solito Sherlock è un dannato gatto che si muove silenzioso per la casa, non preannunciando mai la sua presenza con un qualsivoglia rumore.

«In questa casa è davvero possibile soffermarsi su qualcosa senza essere invaso da ricordi?»

«John, come sai ho sempre sostenuto che i ricordi, se non utilizzati per uno scopo razionale, sono solo una perdita di tempo, un’inutile sentimentalismo dovuto alla debolezza umana chiamata emozione di cui io mi sono sempre vantato di essere esente.»

Scuoto la testa, perché questo è davvero un tipico discorso alla Sherlock. Gliel’ho sentito fare, con parole simili, molto spesso nell’arco degli anni che ho passato con lui.

«Tutto era così semplice e lineare prima che ti permettessi di costringermi a provarle... Con te al mio fianco ho dovuto modificare le mie certezze più radicate.»

«Semplice e lineare, eh? Ti manca quel modo di essere?»

«John, suvvia, non abbassare il tuo quoziente intellettivo. Era semplice e lineare prima, ma anche terribilmente noioso. Lo sai, non permetto ai sentimentalismi di impedire alla razionalità di venir ascoltata. E diciamoci la verità: per me la maggior parte delle emozioni rimane un mistero. Ma tu mi hai fatto vedere la miriade di sfumature che esistono nelle relazioni umane, quando io al massimo riuscivo a intravedere un grigio accennato tra il bianco e il nero. Hai riempito la mia vita di una miriade di colori. Prenditi le tue responsabilità, ora! Devi guidarmi in questo labirinto, ma con te so che non potrò mai perdermi.»

«Signor Holmes, le hanno mai detto che è molto intelligente?» domando, intrecciando la sua grande mano con la mia.

«Giusto un paio di volte, ma nessuno lo dice bene come il mio blogger.» Solleva le nostre mani unite fino alle labbra per depositarvi un bacio.

Rimango a osservare le nostre mani unite con un sorriso ebete prima di rivolgergli la parola. «Hai deciso cosa portare?» chiedo. Questo è un viaggio importante per noi, forse il primo che facciamo non a causa di un caso. Per me solo l’idea è terrificante, ma non è il caso di dirglielo.

«Sei sicuro di voler andare?» mi chiede, scrutandomi intensamente alla ricerca di un qualsiasi indizio che possa fargli capire cosa mi passa per la testa.

«Cos’è, il grande Sherlock Holmes ha paura di affrontare la mia famiglia?» gli rispondo, cercando di scherzarci su per alleggerire la tensione creatasi tra noi.

«Io non ho paura di niente, è solo che non so se tu sei davvero sicuro di... questo» Solleva le nostre mani intrecciate, «da voler mettere in mezzo la tua famiglia.» Mi osserva aspettando una mi risposta. Sospiro sorridendogli dolcemente. La mia mano ancora saldamente nella sua, l’altra la sollevo per accarezzargli il viso.

«Questo è l’unica cosa nella mia vita di cui sono sicuro,» gli dico, stando ben attento a incatenare i miei occhi ai suoi. Probabilmente il silenzio si sarebbe tramutato in un bacio se non fosse per la nostra padrona di casa e il suo tempismo perfetto.

«Tutto molto romantico, signori miei, tutto molto romantico, ma un’altra cosa sicura se non vi sbrigate è che perderete il treno. Per quanto Sherlock abbia molte persone debitrici di un favore, molto probabilmente anche tra i servizi ferroviari, non credo proprio che vi aspetteranno per partire.»

Alle sue parole sobbalziamo entrambi. «Signora Hudson...» le dico portandomi una mano al cuore. Se non mi fa venire un infarto Sherlock lo farà questa donna.

«Beh? Cosa c’è? Se non vi chiamo io, va a finire che state occhi negli occhi per ore e addio!»

«Portiamo giù i borsoni. Può chiamare un taxi?» le domanda Sherlock.

«Già fatto, ovviamente. Sarà qui a minuti.»

Dopo aver portato da basso i borsoni. prendo Rosie in braccio e lei mi si accoccola contro.

«Piccina, i tuoi papà devono andare, ora, e staranno via per qualche giorno. Tu fai la brava con Mrs. Hudson e con zio Mycroft e zio Greg.»
Ovviamente non può capire molto di quello che le dico, ma non importa, non posso partire senza averle assicurato che torneremo presto.

Lei si raggomitola addosso come fa sempre e osservo Sherlock guardarci con tanto di quell’amore negli occhi che dovevo essere cieco per non vederlo prima.

«Signora Hudson, è sicura che non sia un problema...»

«Sciocchezze!» mi interrompe lei. «Io e la bimba ci divertiremo un mondo. E poi l’hai detto anche tu: appena finirà il suo turno, il caro ispettore Lestrade verrà di corsa,» dice, alzando gli occhi al cielo e poi indicando Sherlock. «E suo fratello sarà qui anche prima. Tua figlia li comanda a bacchetta, non essere preoccupato per lei, sono loro due a doverti fare pena.»

Ridacchiamo tutti e tre perché in effetti la mia Rosie ha un caratterino tutto suo, e siamo tutti ai suoi ordini, soprattutto i suoi due zii preferiti.
 

***
 

Un po’ d’agitazione comincia a venirmi dopo aver sistemato i borsoni al loro posto ed esserci sistemati sui sedili del treno. Come detto a Sherlock, non è agitazione per l’insicurezza del nostro rapporto – è davvero l’unica certezza che ho –, ma non rivedo la mia famiglia da talmente tanto tempo che ormai li sento estranei.

So già come la cosa verrà presa da mio padre – quello sguardo di rassegnazione, come se fossi una continua delusione –; oramai lo conosco bene. Immagino che anche per mia madre sarà l’ennesimo boccone amaro da mandar giù. Per mia sorella, invece... Oddio, non so più cosa pensa mia sorella, ormai. Spero solo che abbia smesso di bere, o almeno che si sia data una calmata.

Detta così, in effetti, non si capisce perché ho deciso di intraprendere questo viaggio. Forse volevo solo che le cose tra me e lui fossero chiare per tutti. Oramai la sua famiglia lo sa, la loro reazione alla notizia non è stata nulla di quello che potevo immaginarmi, un semplice: «Ma era evidente, davvero! Io ero sicura che foste una coppia dalla prima volta in cui vi ho incontrati! Mi chiedevo solo perché ci mettevate tanto a dircelo.
Comunque, Sherlock, era ora che trovassi qualcuno che ti stesse vicino. E tu, John caro, vuoi un’altra fetta di dolce?»
Ed è finita lì. Ma il fatto che i miei ignorino l’unica persona che mi abbia mai reso felice, no, questo non posso accettarlo.

Quando mi sono reso conto che era una cosa che non potevo accettare, mi sono anche accorto che invece il fatto che i miei non fossero venuti al mio matrimonio con Mary, e che non l’avessero mai conosciuta, non mi aveva mai turbato. Mi avevano mandato un biglietto alla nascita di Rosy, e forse un telegramma dopo la morte di Mary, ma non sono sicuro su questo punto. Non ero molto in me in quel periodo.

Eppure, la sola idea che Sherlock non esistesse per loro, se non come mio coinquilino, doveva finire.

Inoltre, vorrei davvero che Sherlock vedesse qualcosa del mondo in cui sono cresciuto prima di trasferirmi a Londra. Vorrei che vedesse il mare che amo tanto e le mie scogliere, bianche e quasi magiche.

E poi... Okay... In realtà spero che la mia famiglia mi sorprenda. Non dico che mi aspetto che facciano i salti di gioia, ma che almeno non mi costringano a non averci più a che fare definitivamente.

Mi rendo conto che il paesaggio intorno a noi è cambiato solo quando la voce bassa di Sherlock raggiunge il mio orecchio: «Io non disdegno minimamente un bel viaggio in silenzio, John, ma il fatto che tu te ne stia zitto e buono da più di un’ora inizia a innervosirmi.»

«Un’ora? Stai scherzando? Siamo appena saliti!» Devo avere un’espressione sconvolta perché mi si avvicina, i nostri nasi quasi si sfiorano e i suoi occhi ipnotici mi immobilizzano. Il mio cuore fa un bel tuffo carpiato con avvitamento come ogni volta che si avvicina tanto a me. Le sue lunghe dita mi sfiorano la fronte.

«Eppure non sembri caldo. Non è che stai covando l’influenza?»

«Sherlock, non giocare al dottore. È il mio campo, quello.»

«Sì, e te la cavi molto bene, soprattutto la notte, dottore.»

Lui ha sempre la capacità di farmi rimanere senza parole. Questa volta almeno boccheggio come un pesce rosso fuori dall’acqua per un motivo chiaro e cristallino. «Mio Dio, Sherlock! Prima o poi non mi tratterrò...»

«Non capisco perché ti ostini a trattenerti. Io non ho mai detto di essere contrario a certe rivendicazioni. Ti appartengo, mi appartieni, perché dunque dovremo preoccuparci di trattenerci? Siamo uguali alle altre coppie. Ti sembra che loro si trattengono?» mi dice, indicando una coppietta seduta qualche posto davanti al nostro che è un intreccio di braccia e gambe. «Non amo il contatto con la gente, è vero, ma tu non sei la gente.
Tu sei John, il mio John.» E per rimarcare la cosa intreccia le sue dita con le mie.

Ho scoperto che è una cosa che ama fare. Normalmente cerchiamo di mantenere un profilo basso quando siamo in giro. Soprattutto se lavoriamo a un caso. Questo non perché per Greg ci sarebbero problemi, anzi. Quando ci ha visto insieme per la prima volta dopo che avevamo trovato il coraggio di confessare i nostri sentimenti e avevamo notato quanto stupidi eravamo stati a perdere tutto quel tempo, ci ha riservato un sorriso felice. Ha capito - come non lo so, visto che non ci guardavamo neanche io e Sherlock - cosa fosse successo. Ricordo la sua mano sulla spalla, e quel: «Finalmente, Doc. Sono felice per voi.» Poi aveva ripreso il suo lavoro illustrandoci il crimine che era avvenuto.

Comunque, anche se evitiamo effusioni in pubblico capita che infili la mano nella tasca della mia giacca mentre camminiamo vicini e prenda la mia tra le sue.

Mi domando solo ora se non si trattenga perché ha paura che mi possa dare fastidio. Non voglio che lo pensi, non voglio proprio. Forse anche per questo stringo forte la sua mano e la porto alla mia bocca, sfiorandola con le labbra. Okay, non sto praticando una visita otorinolaringoiatra come i due davanti a noi, ma non lo farei neanche se fosse una donna; non così, almeno.

«John, mi sembri davvero nervoso. Non è il mio campo, lo so. Ma a voler essere razionali, se tu fossi un sospettato da tenere d’occhio, crederei che stessi nascondendo qualcosa, tanto sei agitato.»

«Non torno da troppo tempo. E non voglio che ti trattino male. Ma volevo che sapessero, voglio che sappiano chi sei per me. E poi, volevo farti vedere una parte di me che non hai mai visto.»

«Credi che possa rimanere male per il modo in cui mi tratteranno?»

«Diciamo che non credo che la cosa verrà presa benissimo.»

«Ma tua sorella non è lesbica, scusa? Hanno accettato lei, perché non dovrebbero accettare te?»

«Accettare è un parolone. A malapena tollerato, credo. Del resto, mia sorella è un alcolista. Accettare il suo orientamento sessuale è stato più facile per loro di sapere della sua dipendenza.»

«Non mi hai mai raccontato niente della tua vita prima del nostro incontro.»

«Vita... Non c’è molto da raccontare. Ho semplicemente fatto sempre quello che andava fatto.»

«Tu devi sempre essere un enigma per me, eh, John?»

«Io? Un enigma? Ma se mi hai sempre letto meglio di un libro aperto!»

«Nelle cose evidenti? Certo! Come ti ho detto un sacco di volte, quello che faccio io, con un po’ di pratica, potrebbe farlo chiunque. Se solo la gente osservasse davvero.» Il mio sguardo dev’essere parecchio eloquente, perché aggiunge: «È vero, forse non chiunque, e non come faccio io, ma almeno in parte...»

«No! Sherlock, no. Nessuno, nessuno può fare quello che fai tu, come lo fai tu.»

«Pensi sempre troppo bene di me, John. Mycroft, per quanto mi dia fastidio ammetterlo, non se la cava male.»

«Mycroft ha il suo metodo. E non nego sia molto bravo – è inquietante quanto siate intelligenti in famiglia –  ma non è te. Non lavora come te.» Mi volto verso il finestrino. Il paesaggio mi porta indietro di anni. Ma per la prima volta tornare non è “tornare a casa”, ma è “tornare dai miei genitori”, da mia sorella, alle mie radici. Casa è Sherlock, Famiglia sono Sherlock e Rosie. Sono più famiglia Mycroft, Greg e la signora Hudson che i miei genitori. Ma la cosa non mi provoca dolore o malinconia. È un semplice dato di fatto, come direbbe Sherlock. Del resto, la mia vita a Londra con tutti loro ha portato un senso dove, dopo la guerra, c’era solo confusione, paura, rancore e quella voglia di addormentarmi per smettere di provare quelle emozioni dopo che anche l’alcool non era più sufficiente.

Scesi dal treno, riesco a riconoscere l’aria della mia città. È strano, ma credo che tutte le città abbiano un profumo tutto loro. È qualcosa che riconosci appena vi ritorni. Dover sa di mare e sabbia, profuma di biscotti appena sfornati e pesce al forno, di erba lasciata libera di crescere sulla costa, campi arati e legna bruciata. Avverto la presenza sicura di Sherlock accanto a me.

«Mettiamo prima giù i borsoni al B&B o andiamo direttamente dai tuoi?»

«Preferirei andare prima da loro, se non sei troppo stanco.»

«Via il dente via il dolore?» mi domanda sghignazzando.

«Più o meno. Sono un codardo, eh?» domando mesto.

«John Hamish Watson, non dire assurdità!» mi dice con un tono di voce terribilmente serio.

Prendiamo un taxi che ci porta alla grande casa sulla costa che tanto ricordo. La strada diventa presto di terra battuta, l’erba alta si lascia dondolare delicatamente dalla brezza che arriva dal mare e poi loro. Le mie scogliere. Le mie bianche scogliere fatte di polvere di stelle.

Paghiamo la corsa e scendiamo dal taxi. Faccio un bel respiro assaporando il profumo che per anni ho associato a “casa”.

«Benvenuto nel mio mondo, Sherlock.» Sorrido allungando il braccio in direzione del paesaggio con il quale mi svegliavo tutti i giorni. «Nella parte bella del mio mondo,» aggiungo.

Sherlock mi osserva. Cerca di capire cosa mi passi per la testa, ma è difficile. Non lo so neanche io cosa mi stia frullando nel cervello. Troppi ricordi si mescolano nella mia scatola cranica. Amo questo posto e lo odio con tutto il cuore. Contemporaneamente.

I pochi metri fino alla porta di casa laccata di rosso sembrano eterni. Busso e pochi istanti dopo la porta viene aperta. Davanti a me trovo mia madre. I capelli una volta castani ora hanno al loro interno una marea di fili argentati e c’è qualche ruga in più sulla pelle lattea. Gli occhi blu, però, sono gli stessi di sempre. «John, tesoro, sei tornato davvero.» Le sue braccia esili mi avvolgono. È minuta, la mia mamma. Già a sedici anni la sollevavo come fosse una piuma. Quando si stacca, dice: «Ma che sciocca sentimentale... Entrate, sarete stanchi per il viaggio.»

«Lui è Sherlock, mamma.»

«Oh, devi, scusarmi, non vedo mio figlio da talmente tanto tempo che mi sono scordata le buone maniere.»

«Non si preoccupi, John dice sempre che io non le ho mai possedute.» Mi scappa una risata sia per quello che ha detto Sherlock – cosa del tutto vera, tra le altre cose – sia per l’espressione di mamma. La vedo indecisa sul da farsi, non capisce se è o meno una battuta, ma si riprende subito, voltandosi verso di me con un sorriso.

«Non siete neanche passati al B&B per lasciare le borse,» nota.

«Abbiamo preferito venire subito.»

Entriamo. Il profumo delle rose coltivate da mamma invade le mie narici. Sento la porta chiudersi dietro di me. Il calore di Sherlock al mio fianco.

«Certo, certo. Ma lo sai che se volete potevamo sistemarvi nella tua vecchia stanza.»

«Sì, lo so mamma, è che...»

«Oramai sei un uomo fatto e finito e non vuoi vivere con mamma e papà anche se solo per poche notti, lo so.»

«John non è mica come me.» Riconosco la voce di mia sorella. Sollevo lo sguardo e la vedo. I capelli castani legati in una coda disordinata, un maglione troppo grande per lei, gli occhi castani di papà.

«Harriett, la tua situazione è del tutto differente.»

«Già, sono un alcolista, lesbica e divorziata. In effetti sono molto diversa.»

«Sei sempre melodrammatica, Harry,» le dico con un sorriso.

«Già, ma a te piaccio così.» Un abbraccio veloce. Per il nostro rapporto conflittuale in realtà è un evento anche solo che ci sia stato, seppur breve. Non ce ne siamo scambiati tanti in vita nostra, almeno non da quando papà è tornato dall’ultima missione e tutto è cambiato.

«Papà?» chiedo poi.

«Nel suo studio. Appoggiate i borsoni e le giacche qui, per ora,» risponde mamma.

Facciamo come ci dice e mi dirigo verso lo studio di papà. Le porte di legno scorrevoli che da piccolo erano il mio confine. Non si poteva entrare nello studio, mai, per nessuna ragione. Se quelle porte erano chiuse, e anche le rare volte che erano aperte, erano comunque invalicabili se non era papà a chiamarti. E se ti chiamava nello studio non era quasi mai una bella cosa.

Busso. Non aprirei queste porte senza farlo neanche se stesse andando a fuoco la casa.

«Entra,» mi giunge alle orecchie, attutita dalla porta, la voce autoritaria di papà, facendomi irrigidire impercettibilmente. Ho sempre l’impressione di essere ancora sotto le armi con lui.

Faccio un sospiro, mi volto verso Sherlock cercando la forza in quegli occhi che mai mi abbandonano. Uno sguardo, un lieve sorriso. È tutto quello di cui avevo bisogno. Raddrizzo la schiena  e apro le porte scorrevoli. Questa stanza è identica a quando ero piccolo. Le librerie in legno strapiene di grossi volumi, la scrivania enorme alla quale è seduto mio padre. La vetrata che dà sulle scogliere.

«John, finalmente ti sei degnato a tornare a casa.» La voce sicura di mio padre. I capelli biondi oramai sono del tutto grigi, i suoi occhi marroni sono sempre freddi – così diversi da come erano quando ero un bambino, prima del suo ritorno –, e la sua postura è rigida come se fossimo ancora nell’esercito. Devo trattenermi, come ogni volta, di fargli il saluto militare.

«Londra non è così lontana, sarei stato felice di ospitarvi.» Non è del tutto vero, anche se vederli faccia a faccia con Mrs. Hudson mi sarebbe piaciuto.

«Sai che non amo viaggiare,» è la sua lapidaria risposta.

Faccio un sospiro. La mano di Sherlock sulla mia schiena mi tranquillizza all’istante. «Come stai, papà?»

«Bene.» Sempre di troppe parole, mio padre, ma ci sono abituato.

«Lui è Sherlock...» Cerco di dare spunti di conversazione ma con lui è sempre così difficile.

«Sì sì, immaginavo. Il consulente investigativo,» sputa con disprezzo scacciando con la mano mosche invisibili. «Quando ti deciderai ad avere un lavoro vero e a diventare un adulto responsabile, John?»

Ma bene Si comincia subito! Poi uno si domanda per quale motivo non ho più avuto a che fare con lui. «Io ho un lavoro vero, papà.» Cerco di mantenere la calma, anche se non è facile. Mi conosco abbastanza bene da sapere che sta per svanire come una bolla di sapone nell’aria.

«Non sei più un militare, non sei più neanche un dottore, giochi a fare il detective con il tuo amico. Non mi pare vi comportiate come delle persone adulte. Sei un padre, John. Dovresti essere più responsabile. Che vita credi di dare a tua figlia?»

Non ha aspettato neanche un minuto prima di iniziare a criticarmi per le mie scelte. Neanche un fottutissimo minuto. Tutte le accuse, tutto l’astio della sua voce, tutto mi fa scattare come una molla. «Ho smesso con il lavoro di medico per starle vicino. Sherlock è il miglior detective che possa esistere e lavorare con lui è un onore. E non sono più nell’esercito perché mi hanno sparato, papà, non so se te lo ricordi. Sono stato catturato e sono stato torturato per due settimane. Due settimane, tre giorni e quindici ore, se vogliamo essere precisi. Forse quella è stata l’unica volta in cui sei stato orgoglioso di me. O forse no. Come mi hai detto più volte: se fossi stato davvero bravo, non mi avrebbero catturato. Perché niente è mai abbastanza per te, vero?» Sento quasi l’affanno tanto è difficile per me anche solo rivangare certi ricordi. La mano di Sherlock, che è sempre rimasta attaccata alla mia schiena, si irrigidisce. Non volevo che lo venisse a sapere così. Volevo parlargli, con calma. Ma oramai dovrei sapere che quello che voglio non è sempre quello che ottengo.

«E io che pensavo che prima di vedere i fuochi d’artificio avremmo dovuto aspettare almeno la cena. Sherlock. non so a cosa sei abituato, ma questa è la normalità nella nostra famiglia perfetta.» Harry, rimasta appoggiata allo stipite della porta dietro di noi, entra nella stanza. Lei non ha mai avuto problemi a rispondere per le rime a nostro padre. L’ho sempre invidiata per questo. «Adesso, per favore, non dite altro se non qualcosa di gentile.» Poi, rivolgendosi direttamente a nostro padre, continua: «Se John non si ferma neanche per cena, la mamma non te lo perdonerà, lo sai.» Prende sottobraccio sia me che Sherlock e ci trascina verso le medaglie che papà ha incorniciato. «Guarda un po’, John, quel vecchio brontolone le lucida tutte le settimane.» Indica una cornice nuova.

Le osservo, sono le mie. I miei gradi, le medaglie prese sul campo. Quando sono tornato non le ho più volute vedere. Ho lasciato qui tutto, dalla mia uniforme alle medaglie.

«Lo so, John, non è il modo normale di dimostrare il proprio affetto, ma dovresti esserci abituato con papà. Lo sai com’è fatto.» Harry ci lascia e si avvicina a nostro padre. «Andiamo in cucina, devi scegliere il vino. Lo farei io ma, sai... Mamma non vuole.» Il fatto che riesca a scherzare sulla sua situazione mi fa ben sperare. Tutte le volte in cui aveva provato a rimanere sobria, manteneva comunque l’espressione di chi è convinta che tutti stiano esagerando, di chi non ha nessun problema se non persone vicine troppo insistenti.

«Non mi hai mai detto che ti hanno fatto prigioniero.» La voce di Sherlock è quasi un sussurro. Mi volto verso di lui e lo vedo osservare le medaglie scintillanti prima di guardarmi.

«Non volevo nascondertelo, Sherlock, è solo che...» È così difficile trovare le parole adatte.

«Non mi devi dare spiegazioni. So che me ne avresti parlato, prima o dopo. Il fatto che tu mi abbia portato qui è la prova che non vuoi nascondermi nulla.»

Spero davvero che creda a queste parole. Perché è vero, qui vedrà me nella parte positiva e in quella negativa. «Non vedrai la versione migliore di me in questi giorni, Sherlock.»

«Sei tu John, il mio John. Niente di quello che potrò vedere cambierà questo.» Le sue dita accarezzano il mio viso. Mi sporgo, le mie labbra sfiorano le sue per un istante. Non mi importa di essere a casa dei miei genitori, non mi importa che possano venderci. Sherlock non merita niente di meno che tutto il mio amore.

«Andiamo, o ci verranno a cercare,» gli dico. Mi sorride e mi segue silenzioso in sala.

Dopo il primo scambio di battute al vetriolo, la serata scorre tranquilla. Sembriamo quasi una famiglia come tutte le altre, o comunque qualcosa che le si avvicina. Mio padre non parla molto, ma ci pensano mia madre e mia sorella ad animare la discussione.

Loro e Sherlock.

Sherlock che anima una discussione, non pavoneggiandosi per dimostrare l’attendibilità delle sue tesi ma per un semplice dialogo in famiglia. Devo ammettere che questa cosa che mi fa ridere al solo pensiero.

«Quindi hai davvero lasciato una testa in frigo per giorni?» domanda ad un certo punto mia sorella.

«Solo uno, poi John si è lamentato,» dice, come se fossi io quello strano.

«E gli occhi nel tè?» chiede mia madre.

«Un esperimento sulla conservazione della cornea in liquidi differenti.» La voce sicura, tranquilla, come se parlasse della cosa più normale del mondo.

«Certo che sai come divertirti, Sherlock. I miei studenti non si fanno mai tutte le domande che ti fai tu,» osserva mia madre.

«I tuoi studenti non devono risolvere casi d’omicidio,» le faccio notare.

«Quando studiavi medicina, mi riempivi anche tu di domande simili, John. Era divertente vedere quanto ti impegnavi e come non ti fermavi alla prima risposta.»

«John mi ha detto che la passione per la medicina l’ha ereditata da lei,» si unisce Sherlock.

«Sono stata una delle prime chirurghe donna. Quando mi sono iscritta a medicina eravamo solo in tre. Le mie compagne sono entrambe diventate ginecologhe. Io volevo qualcosa di più. Oh, non fraintendere, non che far nascere bambini non sia una cosa importate, lo è, è vitale. Ma ero convinta che quello non era il mio campo.» Gli occhi di mamma si illuminano sempre quando parla del suo lavoro come chirurga.

«Sembra che amasse il suo lavoro,» osserva Sherlock.

«Oh, sì. Ora insegno a giovani menti. Non è la stessa cosa, ma è importante anche questo.» So che mamma preferirebbe aver continuato a stare in sala operatoria, ma credo che dopo il mio arruolamento si sia sentita in dovere di stare più a casa. «Ma dimmi, Sherlock, non è da tutti ospitare un amico con una figlia piccola a tempo indeterminato. Sei molto generoso.»

«No, per niente. Sono molto egoista. John e Rosie sono parte della mia famiglia.» Sotto il tavolo la mia mano corre a stringere la sua.

«Che bello sentire una cosa del genere. Del resto gli amici sono la famiglia che uno si crea,» dice tutta allegra mia madre.

«Che idiozia! La famiglia è una cosa seria. Gli amici sono amici, e a volte portano sulla brutta strada, invece di aiutare. La sua famiglia era con la sua defunta moglie e la figlia. È meglio mantenere le cose separate.» Immagino sia inutile dire da chi viene una frase simile, giusto?

È possibile che l’uomo che quando ero bambino vedevo come un eroe, sia diventato questo ammasso di rancore?

«Sherlock non è un mio amico, mamma.» Il silenzio gela la stanza mentre mi rivolgo direttamente a lei, ignorando volutamente mio padre. Mia sorella si immobilizza con la forchetta a un millimetro dalla bocca aperta.

«Non credo di aver capito. Non è tuo amico?» Mia madre è confusa. Come darle torto.

«No, cioè, non è solo un amico,» cerco di spiegarmi.

«Oh, Cristo Santo!» La finezza di mia sorella mi farebbe ridere se non fosse che ci troviamo in un momento cruciale come questo.

«John, cosa stai cercando di dirci?» La voce di mio padre è strozzata, come se in cuor suo già sapesse.

«Sherlock è il mio compagno, è la mia vita, è l’unico motivo se ho superato quell’inferno di cui dovrei essere orgoglioso.» Gli occhi fissi in quelli di mio padre, con disprezzo verso di lui e al contempo orgoglio verso quello che io e Sherlock abbiamo costruito insieme.

Il silenzio dura per non so quanto tempo. Il ticchettio della pendola è l’unico rumore che riesco a percepire. Persino il mare sembra silenzioso.

«Credo sia meglio se tu e il tuo amico usciate da questa casa.» La voce di mio padre è calma, ma gelida come poche volte l’ho sentita.

«Sì, lo credo anche io,» concordo. «Staremo in città per tre giorni. Se volete, sapete dove trovarci. Se fra tre giorni non avrò vostre notizie, ce ne torneremo a Londra.» Ci alziamo. «Se succederà, non credo avremo più motivo di incontrarci.» Sherlock non ha aperto bocca, prendiamo le giacche e i borsoni e usciamo dalla casa. Un vento fresco mi colpisce. Faccio un bel respiro e mi sento più leggero.

«Tutto bene?» mi chiede preoccupato.

«Sì, mai stato meglio. Non respiro davvero da troppo tempo. Scusa se ho detto tutto così, senza chiederti niente, ma...»

«Non chiedermi scusa. Sei stato perfetto.»

Chiamiamo un taxi mentre passeggiamo allontanandoci dalla villetta, che arriva poco dopo. Arriviamo al B&B e saliamo in camera. Sono davvero felice di aver detto tutto; ma nello stesso tempo quel silenzio, quell’aria pesante, quel modo di reagire, mi hanno ferito e mi sento senza forze.

Le mani leggere di Sherlock mi tolgono la giacca. Lo lascio fare. A ogni indumento che mi toglie, il mio cuore diventa più leggero. Mi bacia prima di spingermi sul letto. Lo osservo mentre nel buio si spoglia davanti a me. Gattona sopra di me, le sue labbra si fondono con le mie. Lo stringo a me. Ed è solo pelle contro pelle, sospiri su sospiri.

«Sherlock...»

«Meriti un premio, dottore, per la migliore dichiarazione d’amore di tutti i tempi.»

«Un premio? E cosa hai in mente?»

«Beh,» sussurra, mentre le dita leggere accarezzano il mio torace fino ad arrivare tra le mie gambe. «Un’idea l’avrei se mi lasci fare.»

«Se la tua idea ha a che fare con il percorso della tua mano, fai tutto quello che vuoi.»

Sorride e alla luce della luna è ancora più sexy del solito. Scende su di me, la sua bocca sulla mia, poi ancora più giù. La lingua lambisce il lobo, il collo, gioca con il mio capezzolo e continua a scendere mentre il mio battito cardiaco aumenta in maniera esponenziale.

«Sherl...» Non riesco a finire neanche di pronunciare il suo nome mentre le sue labbra si posano sul mio membro teso. Stringo le sbarre di ferro della testiera del letto per sorreggermi, tanto è intensa la sensazione che sto provando.

E mi godo il mio premio.



Continua

Note: ricordatevi sempre che io AMO John, in questa storia dovete tenerlo sempre ben a mente LOL.
Forse Sherlock è un po' più dolce del dovuto, ma davvero John ne ha bisogno, parecchio bisogno.
E nulla ragazze a settimana prossima per il secondo capitolo!
  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: hikaru83