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Autore: Nat_Matryoshka    02/10/2018    1 recensioni
"Durante una notte di tempesta, un anno dopo la fine della guerra, su Naboo nacque un bambino. Aveva i capelli neri come le nuvole che avevano coperto il cielo per tutto il giorno e occhi brillanti come stelle. Era figlio di una principessa e di una canaglia.
Ben Solo aveva dieci anni quando, nella zona più periferica della capitale, nacque una bambina. I suoi genitori la chiamarono Rey e, una volta che fu abbastanza grande da camminare, la affidarono al Maestro Luke Skywalker, per poi sparire senza lasciar traccia. "

*
[What if || Scritta per la Reylo Fanfiction Anthology 2018, "Two Solitudes That Meet"]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Han Solo, Padmè Amidala, Rey
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 2
 
 



Rey si svegliò al canto degli uccelli. Sbatté le palpebre e, per un attimo, non riconobbe il luogo in cui si trovava: nei suoi sogni, di solito, correva tra i rifiuti e i rottami polverosi del quartiere più povero della capitale, seguendo quelli che potevano essere solo i suoi genitori. Le bastò aprire la finestra e inspirare l’aria pura dei boschi per capire che i sobborghi erano ormai un lontano ricordo.

Theed, la capitale di Naboo, era splendida e ospitale, ricca di testimonianze del suo passato prestigioso. La famiglia Naberrie l’aveva governata per secoli con saggezza, riempiendola di monumenti e giardini, e perfino durante la guerra che aveva devastato la galassia quel piccolo paradiso era rimasto intatto: forse Darth Vader aveva scelto di trasferire altrove la sua capitale per rispetto alla moglie che tanto aveva amato, più che per questioni di strategia militare. Anche Bail Organa, primo consigliere della Regina Padmé, aveva fatto di tutto perché il pianeta prosperasse e resistesse alle incursioni nemiche, e ora il suo sorriso scolpito nella pietra salutava chiunque passasse per la piazza principale della città.

Quelle leggende le aveva ascoltate da vecchi pirati spaziali chiacchieroni e studiosi di storia. Al suo Maestro non piaceva raccontare del passato, meno che mai parlare della sua famiglia e di quel che era accaduto al padre. Ogni volta che l’argomento era casualmente entrato nel discorso, Rey aveva visto un’ombra scura calare sui suoi occhi, mentre l’uomo tagliava corto in fretta. Niente domande, niente curiosità: era chiaro quanto quelle storie gli facessero male. Aveva imparato a convivere con lui da troppo tempo per restarci male, come le capitava da bambina.

Si vestì in fretta e scese verso la zona in cui sorgeva la piccola capanna abitata dal suo Maestro. Il palazzo reale non era lontano ma, per quanto Luke Skywalker avesse tutto il diritto di viverci, preferiva ritirarsi in quella radura non lontana da uno dei laghi principali della regione. Lui affermava di detestare l’etichetta di corte e lo sguardo di diffidenza che molti dignitari rivolgevano a chiunque avesse a che fare con la Forza, ma Rey sospettava che le voci che si susseguivano riguardo il nipote avessero ricoperto il ruolo principale in quella decisione. Ben Solo ancora viveva a palazzo, a nessuno sarebbero sfuggite le occhiate che si lanciavano durante i loro sporadici incontri. Sguardi che parlavano di sofferenze passate e conflitti presenti, di qualcosa di irrisolto.

Già, Ben, pensò tra sé e sé mentre si sedeva sul suo masso preferito, una grossa roccia coperta di muschio, al centro della radura. Lo conosceva da anni, e quando era una bambina a stento riusciva a sopportarlo. Sempre silenzioso e scuro in viso, se ne stava rintanato in biblioteca e usciva solo per seguire gli allenamenti con suo zio, ma anche in quella situazione non voleva dare confidenza a nessuno: i suoi occhi scuri sembravano sempre pieni di tormento, e la se stessa di dieci anni non possedeva la capacità di mettersi nei suoi panni per capire cosa lo causasse. 

Fino a che, anni dopo - lei era un’adolescente, lui un giovane uomo -  si erano allenati insieme, e quel che l’aveva stupita di più era stata la sensazione di familiarità che si era creata mentre combattevano. Era come se i suoi movimenti rispondessero automaticamente a quelli del ragazzo, come se esistesse un filo invisibile che li legava e li coordinava in una sorta di danza. Respiravano insieme, provavano eccitazione, rabbia, sollievo esattamente nello stesso istante: sentiva il suo corpo percorso da una corrente elettrica che le trasmetteva sia le sue sensazioni che quelle che attraversavano l’anima di Ben. Sulle prime non ci aveva fatto caso ma, man mano che gli allenamenti si intensificavano, quell’impressione era diventata sempre più reale, concreta. Luke stringeva le labbra ogni volta che li vedeva combattere e rialzarsi insieme, ma non parlava. Era impossibile capire cosa pensasse, se fosse preoccupato o se stesse semplicemente riflettendo sui loro miglioramenti.

Aveva letto che, nei secoli passati, era già successo che due individui venissero uniti dalla Forza. Non importavano le differenze di età, di ceto sociale o di specie: si trovavano a condividere un legame che nessuno riusciva a spiegare, nemmeno loro stessi.  Nei libri si parlava di sogni condivisi, visioni del passato e del futuro, pensieri dell’uno che si trasformavano nelle parole dell’altro… tutti esempi molto simili a quanto avevano sperimentato lei e Ben. Non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma le sensazioni che aveva percepito in sua presenza non potevano certamente essere frutto di un caso.

Ben era imperscrutabile come il cielo nell’istante appena precedente ad una tempesta: c’erano giorni in cui si concedeva brevi sorrisi che cancellavano le nuvole nere attorno a lui, altri in cui la sua furia la travolgeva, spaventandola. Era come se non riuscisse a fermare ciò che gli rodeva il cuore, come se una forza oscura e capricciosa lo strappasse alla tranquillità della sua vita di ogni giorno e lo strattonasse, costringendolo a fare quello che voleva lei. Una volta, mentre combattevano, si era sbilanciata ed era finita a terra a causa di un fendente troppo violento di lui. Per quanto avesse appena iniziato a maneggiare spade e bastoni stava imparando in fretta, ma si era trovata impreparata a rispondere a tanta furia, ai suoi colpi netti e precisi. Ben l’aveva sovrastata e, quando Rey aveva guardato in alto per pararsi con le braccia dai suoi colpi, in quegli occhi scuri aveva scorto una luce che l’aveva spaventata. Erano pieni di rabbia, desiderosi di fare male, e per un istante – infinitesimale, eppure l’aveva udita, ne era certa – il suono di una voce aveva fatto vibrare l’aria attorno a lei. Sinistra, fredda, suadente.

Colpisci.

Nello stesso momento, aveva provato il desiderio bruciante di assestargli un colpo di bastone nello stomaco. Non ci sarebbe voluto molto: era abbastanza vicina da poterlo centrare, le sarebbe bastato allungare il braccio verso l’arma e alzarla… era come se la voce avesse parlato per aizzare entrambi, ma non avrebbe saputo dire se l’avesse fatto volontariamente o meno. Era solo certa di provare anche lei rabbia, un sentimento che aveva iniziato a divorare le sue viscere come fuoco liquido.

Luke li aveva divisi prima che potesse contrattaccare, spingendo Ben di lato con una furia molto simile a quella del nipote, ma più fredda. Rey, alzatasi di scatto, aveva fatto in tempo a veder cambiare lo sguardo del ragazzo: era confuso. Spaventato, come se non sapesse bene come reagire a quella situazione. Eppure, c’erano stati momenti in cui si era comportato con gentilezza nei suoi confronti, quando le tendeva la mano per aiutarla a rialzarsi dopo un allenamento particolarmente intenso, o quando la vedeva impegnata a studiare nella biblioteca del palazzo e le dava un colpetto sulla testa per salutarla, regalandole anche un sorriso inaspettato. Come potevano due aspetti così diversi convivere nella stessa persona?

Luke la salutò con un cenno del capo, poi si sedette sotto il suo albero preferito e prese a meditare: quasi non l’aveva visto arrivare, immersa com’era in quelle riflessioni. Ogni mattinata di studio e allenamento iniziava così, poi proseguiva in biblioteca, con lo studio della storia della galassia e degli antichi Sensibili. Le piacevano le leggende, amava aprire quei libri antichi e leggere riga dopo riga con il mento tra le mani, persa in storie (forse) avvenute millenni prima. Luke storceva sempre il naso e le bollava come fantasie, ma lui stesso era stato parte di quelle storie, e quando pensava che nessuno potesse vederlo un fremito di nostalgia correva sulla sua fronte solcata dal tempo.
 

*
 

 
“Hai la mente altrove, oggi. Ti sento distante.”

Luke, stranamente, l’aveva accompagnata in biblioteca quel pomeriggio: per quanto non amasse il palazzo, ogni tanto avvertiva il bisogno di chiudersi nel silenzio di quelle stanze in penombra per prendere qualche vecchio volume. Ormai in tutta la galassia holocron e registrazioni soppiantavano il cartaceo, ma le belle sale coperte in legno della biblioteca di Theed ancora ospitavano, per volere della Regina Padmé, rotoli di pergamena e volumi. Rey non avrebbe potuto essergliene più grata, le piaceva passeggiare tra gli scaffali annusando il profumo della carta ingiallita e secca. Non era molto abituata, però, ad avere compagnia, per cui non rispose subito a quell’affermazione.

“Distante? No, stavo solo… pensando.”

Luke ridacchiò indulgente. “Questo l’avevo capito da solo. Intendevo che sei talmente assorbita dai tuoi pensieri da non notare nemmeno che sto ripetendo la stessa domanda da almeno cinque minuti… su qualunque cosa  tu stia rimuginando, deve essere piuttosto importante, eh?”
Rey si strofinò le tempie, voltando lo sguardo prima a destra, poi a sinistra. La luce del sole filtrava attraverso le finestre, la più lontana dal loro tavolo era aperta per lasciar entrare la brezza di primavera. Quando era più piccola le piaceva prendere un libro e starsene distesa sul letto, davanti all’imposta aperta, e lasciare che il venticello le solleticasse i piedi nudi mentre le righe sotto i suoi occhi si confondevano sempre di più e il sonno veniva a portarsela via. Sentì le palpebre pesanti, e scrollò la testa per allontanare quella sonnolenza improvvisa. A cosa stava pensando davvero? A Ben, alla curva morbida delle sue labbra che sorridevano? O ai suoi occhi pieni di rabbia, alla diffidenza che le avevano mostrato tante, troppe volte? Oppure a se stessa, e al desiderio improvviso di comprenderlo che stava iniziando a provare?

“Più o meno.” Era una campionessa nel fornire risposte vaghe, soprattutto quando non voleva che qualcuno scoprisse davvero cosa aveva in mente. Sfogliò le pagine del libro per dare l’impressione di aver appena dimenticato di leggere un passaggio importante, ma Luke doveva aver intuito la verità dietro quel gesto, perché la guardò ancora e non fece altre domande. Rimasero l’uno accanto all’altra, in silenzio, accompagnati solo dal suono delle pagine che giravano e dal brusio leggero delle foglie degli alberi, fuori nei giardini…

… finché la porta principale non si spalancò sbattendo contro il muro, e una figura scura fece il suo ingresso, varcandone la soglia con ampie falcate, trascinandosi dietro il mantello nero. Ben Solo, il futuro re, arrivò fino a centro della sala e lì si fermò di colpo, come se un incantesimo l’avesse bloccato sul posto. Gettò uno sguardo allo zio e uno a Rey, che aveva chiuso il libro e alzato gli occhi su di lui, e in un attimo realizzò che non era stato l’unico a scegliere la biblioteca come luogo dove starsene da solo.

Prima che potesse voltarsi e andarsene, però, Luke si alzò in piedi.

Per un attimo Rey pensò che l’avrebbe afferrato per un braccio per dirgli qualcosa che si era sempre trattenuto dall’esprimere, ma il Maestro non fece altro che guardarlo: lo osservava con un misto di tristezza e decisione, quasi avesse percepito qualcosa che non gli piaceva affatto e volesse comunicare al nipote che sapeva già tutto. Ben non abbassò gli occhi nemmeno per un attimo.

L’aria intorno a loro sembrò fermarsi, cancellando in un attimo l’indolenza piacevole del pomeriggio estivo. Rey la sentì quasi vibrare, mentre un’ansia a cui non sapeva dare nome le afferrava la bocca dello stomaco, contorcendola.

La Forza fremeva, sussurrava qualcosa, ma lei era troppo tesa per cogliere qualunque messaggio volesse farle arrivare. Rimase in silenzio, in attesa.

Si aspettava uno scontro tra i due, ma nessuno parlò: dopo quello che le era sembrato un silenzio dolorosamente infinito, Ben girò la testa e si allontanò, non prima di averle rivolto uno sguardo difficile da decifrare. Anche dopo che ebbe imboccato la porta, sparendo alla loro vista, Rey ebbe difficoltà a dare un nome a quel sentimento. Sapeva solo che i suoi occhi erano tremendamente vuoti, privi di quel guizzo di vita prepotente ed energico che li aveva riempiti solo fino a qualche giorno prima, durante gli allenamenti.

Luke non aggiunse altro per tutto il giorno. Lasciarono la biblioteca nella luce dorata del sole al tramonto che disegnava figure sul pavimento di pietra, sempre in silenzio, ognuno impegnato a seguire un flusso di pensieri che l’altro non poteva comprendere.  Rey si diresse verso il suo alloggio da sola, mentre Luke restava nella radura dove iniziavano i loro allenamenti, ad osservare gli alberi che continuavano a muoversi tranquillamente nella brezza.  In un’altra situazione avrebbe provato a fargli domande, ma il suo sguardo le diceva che sarebbe stato meglio tenere per sé qualunque perplessità.

Qualche ora dopo, distesa sul letto nel buio della sua stanza, lasciò correre lo sguardo sulla piccola lampada blu che accendeva perché la aiutasse ad addormentarsi e tentò di svuotare la mente, senza riuscirci. Luke la rimproverava sempre, le diceva che avrebbe dovuto imparare innanzitutto a calmare la sua irruenza, prima di pensare davvero di proseguire il suo cammino da Sensibile… ma lei era testarda, e ogni volta sbuffava mentre chiudeva gli occhi e provava di nuovo a cancellare qualunque distrazione. Quale altra scelta aveva? Quel cammino era tutta la sua vita.

Aveva paura di chiudere gli occhi e ritrovare lo sguardo di Ben dietro alle sue palpebre, vuoto e freddo come non avrebbe mai voluto ricordarlo.

Provò a concentrarsi allora sul colore del mare, ad evocare il suono calmante delle onde come faceva sempre quando qualcosa la spaventava, e dopo qualche minuto le sembrò di sentire in lontananza l’odore della salsedine. Qualcuno rideva in lontananza, sfidava il vento a scompigliare i suoi capelli con più forza. I suoi genitori? pensò, oziosamente, poi si addormentò.
 





Un giorno di quando era una bambina di non più di sette anni, aveva picchiato dei ragazzini.

Li aveva trovati in un vicolo nella parte inferiore di Theed, mentre prendevano a calci una creatura che nemmeno ricordava, forse un uccello, forse un roditore. L’animale emetteva piccoli rantoli deboli e disperati, nemmeno si muoveva più: aspettava un gesto di pietà che non arrivava. I tre ridevano sguaiatamente, uno di loro aveva con sé anche un bastone con cui continuava a tormentarlo.

Si era buttata nella mischia, e aveva iniziato a colpirli con rabbia, alla cieca.  Senza pensarci. Non le importava che fossero più grossi di lei, che uno dei tre avesse spinto di lato l’animale per riuscire meglio a prenderla a bastonate: una furia violenta l’aveva scossa, quasi fosse preda di uno spirito che comandava i suoi movimenti. Non si era fermata quando aveva visto il sangue scorrere dalle loro bocche, nemmeno quando ne aveva fatti finire due a terra, mentre il terzo scappava a gambe levate. Non si era fermata mentre i denti saltavano, e uno degli aguzzini sputava una boccata di sangue. Le fughe tra i vicoli e le lotte per procurarsi anche solo un pezzo di pane l’avevano forgiata. Non aveva più paura di nulla.

Aveva continuato a picchiarli, come se solo i pugni e i calci avessero potuto aiutarla a riportare in vita la bestiola che giaceva in un angolo, morta tra la polvere. Ringhiava con la furia di un animale che difende il suo branco, si sbucciava le nocche, e le mani sudate del ragazzino le stringevano la gola per fermare la sua rabbia, ma invano.

Solo quando tutto era finito, e anche l’ultimo era riuscito a scappare, si era fermata. Aveva ripreso fiato e, tra le orecchie che le fischiavano e lacrime di rabbia che le riempivano gli occhi, aveva strofinato le mani doloranti. Completamente sola, aveva urlato al cielo tutto quello che provava: un pianto rauco, il dolore di chi ha lottato a lungo per ritrovarsi comunque inerme. Poi era tornata a casa, di corsa, senza fermarsi, e si era rintanata sul letto come un animale ferito. Luke non l’aveva vista.

Aveva pianto tutta la notte, finché non si era addormentata. Piangeva perché era sola, e nessuno si sarebbe chinato su di lei per rassicurarla, accarezzandole i capelli e sussurrandole parole gentili all’orecchio. Perché non avrebbe voluto davvero fare del male a quei ragazzini, ma vedere quell’animale morto ai loro piedi e percepire la sua sofferenza era stato troppo, troppo anche per una bambina abituata a cavarsela sempre, tra orrori e miracoli. Perché una voce sinistra l’aveva incoraggiata a continuare, a colpirli con più forza, e per un solo attimo aveva provato gioia all’idea di ripagare la morte di quella creatura indifesa con la loro…

Piangeva perché, dentro di lei, albergava una forza oscura che non conosceva. E aveva paura che, con il tempo, sarebbe diventata più forte di lei.

 
 
 
   
 
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