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Autore: Urban BlackWolf    06/10/2018    3 recensioni
Può un falco forzare se stesso e rallentare per mettere in discussione le scelte fatte nonostante la sua natura lo costringa alla velocità, alla determinazione nel raggiungimento dell’obbiettivo di una vendetta?
E può una gru riuscire a proteggere con l’amore e la cieca fedeltà tutto ciò nel quale crede fermamente?
Possono due esseri tanto diversi fondersi in uno per tentare di abbattere le barriere che li separano pur solcando lo stesso cielo?
Ungheria 1950: Michiru, figlia della ricca e storica Buda, dove tutto è cultura e tradizione, lacerata tra il dovere ed il volere, dalla parte opposta di un Danubio che scorre lento e svogliato, Haruka figlia di Pest, che guarda al futuro correndo tra i vicoli dei distretti operai delle fabbriche che l’hanno vista crescere forte ed orgogliosa.
Una serie di eventi le porteranno ad incontrarsi, a piacersi, ad amarsi per poi perdersi e ritrovarsi nuovamente, a fronteggiarsi e forse anche a cambiare se stesse.
Genere: Romantico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Le Gru della Manciuria

 

 

I personaggi di Haruka Tenoh, Michiru Kaioh, Setsuna Meioh, Usagi Tzukino. Mamoru Kiba, Makoto Kino, Rei Hino e Minako Aino apparsi in questo capitolo appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Capitolo XXIII

 

 

Notturno

 

 

Non appena si ritrovarono fuori del carcere, un senso di confusione catturò i sensi di entrambe, così che anche il solo scegliere se andare a destra o a sinistra sembrò una cosa difficile. Non era solo colpa della reclusione, della vita quasi monastica che erano state costrette ad affrontare per settimane allontanandole dalle strade della loro adorata Budapest, ma anche da quell’emisfero lattiginoso che aveva trasformato tutta la città in una colossale coltre bianca.

Minako aveva preso per mano sua sorella e non l’aveva lasciata un solo istante, terrorizzata dal poterla perdere, dal vedersela strappar via da quelle forti raffiche di vento e neve che si serravano ai loro corpi come mani enormi e che a seconda della corrente che prendevano, le spingevano prima in avanti, poi all’indietro, come in una danza grottesca.

Danza. In tutto questo Usagi aveva continuato a farfugliare che per colpa della Polizia Segreta non aveva potuto godere a pieno di tutti i balli che avrebbe potuto avere con il bel moro di Buda e che avrebbero portato le altre donne a morire d’invidia; Setsuna Meioh in testa. Povero cucciolo da marsupio, non poteva certo sapere cosa in quel momento stava passando per la testa della Direttrice, di Kiba e di tutta la casa della luce. Il giovane medico, pur se grato alla biondina dei giri di ballo fatti e degli occhi di lei che l’avevano accarezzato civettuoli ed infantili rallegrandogli lo spirito, ora era troppo impegnato a dichiarare l’ennesima morte delle ultime ore, a cercare di tenere in vita una guardia mezza dissanguata e nel contempo, a far capire a quegli stessi sbirri che volevano trasferire le sorelle Aino, che il Fiat 626 emerso magicamente dalla rimessa, non serviva per far evadere delle detenute, ma per salvare un’accoltellata. Come non poteva sapere che pur se ritrovatasi spesso tra le braccia di quel compagno di solitudini, Setsuna doveva ora provare ad uscire illesa dalle cariche di mitraglia che le sarebbero arrivate a pioggia dal Ministero.

“Usa, cerca di velocizzare il passo.” Urlò Minako abbassando per un attimo la sciarpa premuta fin sopra al naso.

“Sai dove stiamo andando?”

“Credo, ma con neve e buio le strade sembrano tutte uguali!” Affossando il collo nel bavero del cappotto, la più grande si guardò intorno cercando punti di riferimento che non avrebbe mai potuto avere essendo di Buda.

Maledizione! Se almeno le luci stradali non fossero saltate, pensò riprendendo a camminare faticosamente.

Per assurdo a meno di un chilometro da loro, anche ritrovandosi nella loro stessa situazione, Haruka non sentiva di avere lo stesso problema, anzi. Per una bionda nata nel distretto confinante e spesso bazzicante in quello, muoversi anche alla cieca non sembrava essere un pensiero. Semmai era il freddo micidiale di quella notte a preoccuparla. Sia lei che Michiru vestivano solo pantaloni, maglietta e un maglione a testa. Un po’ poco per non risentire delle prime avvisaglie di un congelamento

“Michi tutto bene?” Tenendosi strette si fermarono in un angolo riparato dal vento.

“Si Ruka.”

“Sei stanca? Sei molto pallida. - Accarezzandole la guancia con un dito si accorse di una piccola chiazza rossa proprio vicino al mento. - Dobbiamo raggiungere il sesto distretto prima che quell’agente pazzo si metta sulle nostre tracce. Sempre che non l’abbia già fatto.”

“Vuoi andare a casa tua?”

“Si, li ci scalderemo, ci vestiremo più pesantemente, faremo fagotto e poi spariremo per un po’. Conosco un posto sicuro.”

Sicuro anche se scomodissimo e sporco come il villaggio mezzo diroccato delle case basse dai tetti di paglia dove viveva suo nonno. Aveva già pianificato tutto la bionda, forte del coraggio che quell’amore le stava dando.

“Forse sarebbe meglio andare da mio padre. Lui saprà come aiutarci.”

L’altra ci pensò su, ma poi ne convenne che la soluzione più semplice in quel frangente fosse anche la meno attuabile. Quella macchia sul mento dell’altra non le piaceva. Michiru aveva bisogno di calore e il secondo distretto era davvero troppo lontano.

“Quando questa tormenta sarà finita sicuramente avremo la polizia addosso. Controlleranno le nostre case, percio' non abbiamo tempo da perdere. La mia e' la più vicina.”

“Si, ma…”

“Niente ma. Non voglio neanche pensare in che condizione siano i tuoi piedi. Stai tremando come una foglia e hai bisogno di prendere fiato e di scaldarti. Il sesto distretto è molto più vicino, giusto?” Chiese ironica sfregandole le spalle e Michiru, che non era certo una stupida, non poté che ammettere l'ovvietà.

Sentendola sospirare Haruka le baciò la fronte incoraggiandola. La strada non era poi molta. Così tornando ad affondare nella neve alta ormai quasi trenta centimetri, avanzarono lentamente e con cadenzata determinazione verso la loro libertà.

Intorno all’una del mattino il vento sembrò quietarsi un poco, la neve iniziare a cadere con meno furore e la visibilità farsi più nitida. Casa Tenoh apparve ad una Michiru esausta sotto forma di un miraggio fatto da un muretto di pietra, un cancelletto verde scuro ed una piccola rampa di scale che portavano ad un portoncino dai vetri colorati.

“Aspettami qui, faccio subito.” Rassicurò la bionda abbandonandola per scavalcare il ferro del cancello.

La suola completamente avvolta dai cristalli di neve incastrata in una traversa e con un balzo volò dalla parte opposta bucando il manto intatto con un leggero suono ovattato. Liberando a forza di pedate il vialetto, Haruka riuscì ad aprire il cancello tirandolo forte a se.

“Vieni Michi.” Porgendole la mano intirizzita le sorrise convincente.

“Come faremo ad entrare?” Le domandò l'altra sentendo quelle braccia benedette avvolgerle le spalle.

“Ora vedrai.” Sussurrò strizzandole un occhio.

Arrivate alla porta Haruka s’inginocchiò accanto ad uno dei due leoncini a guardia dell’entrata. Tra le fauci, una chiave che la ragazza prese portandosela alle labbra con uno schiocco.

Rialzandosi gliela mostrò per poi inserirla nella toppa ed aprire. “Alla bisogna…”

Con il fatto che Johanna era stata a casa qualche ora prima e che Mirka e Scada si erano presi l’onere di curarne gli ambienti in assenza delle proprietarie, tutto apparve loro in ordine e meno abbandonato di quel che si sarebbe aspettate. Provando più volte ad accendere e spegnere l’interruttore, Haruka masticò giù amaro e muovendosi come un gatto riuscì ad arrivare alla consolle vicino all’appendi abiti a muro, aprendone un cassetto ed estraendone una candela ed un pacchetto di fiammiferi.

“Aspetta ancora un attimo…” Rassicurò cercando d’infiammare lo stoppino nonostante il tremore alle dita.

Alla luce di quella piccola fiamma che già di per se dava senso di calore, alla bionda apparve finalmente l’ingresso della sua casa. A destra lo studio e le scale dal corrimano di legno scuro, trampolino di lancio per i suoi poderosi salti spiccati sin dalla più tenera età, sullo sfondo del corridoio la porta a vetri che dava al giardino sul retro e a sinistra, la grande porta a doppia anta che immetteva alla sala da pranzo e poi più giù, il tinello della cucina. Haruka si fermò un attimo dimenticandosi la candela nel palmo della mano. Quanto l'erano mancati quegli ambienti fatti di storia e di ricordi.

Voltandosi verso Michiru la vide stretta nelle braccia e tornò a concentrarsi su di lei. “Vieni sul divano mentre io penso al fuoco.”

Afferrandole il polso la condusse incoraggiandola a sedersi, poi iniziò ad armeggiare con i pochi pezzi di legna che ancora giacevano dimenticati sul fondo della piccolo contenitore che Jànos aveva costruito accanto al camino.

“Speriamo che basti.” Disse mentre ricordi passati prendevano a solleticarle le labbra in una smorfia guascona al limite dell’impertinenza.

Era da quel giorno di settembre, dopo che si era schiantata sul basalto viscido del tracciato della gara di corsa, che avrebbe tanto voluto portare quella splendida creatura in casa sua, il nido caldo ed accogliente dove il giovane Turuldi Pest era cresciuta forte ed orgogliosa.

Riesci a muovere la caviglia?”

Si… Un po’.”

Ottimo, allora vieni… Ti accompagno.”

Dove?”

A casa tua.”

Ti ringrazio Michiru, ma credo di riuscire a cavarmela da sola.”Ricordò.

Soffiando sulle giovani fiamme, la bionda ghignò al loro primo incontro-scontro, quando riuscendo a tenerle testa con poche, ma esaustive frasi, il carattere pragmatico ed indomabile dell’altra l’aveva affascinata al pari della sua bellezza.

“Perché sghignazzi?” Chiese Kaioh cercando di togliersi in maglioncino fradicio senza però riuscirci.

“Aspetta faccio io. - Sedendole accanto l’aiutò a sbarazzarsi di quell’indumento gelido e della maglietta che aveva sotto. - Stavo solo pensando a quando ci siamo conosciute; ti ricordi? Alla festa della Vendemmia, quando cadendo come una pera su uno di quei volantini disgraziati quasi non mi rompevo una caviglia. Allora ti offristi di riaccompagnarmi a casa, ma io non accettai. Sapessi quante volte mi sono morsa le mani per non averti ascoltata.”

“Mi sei piaciuta subito Haruka e quella di aiutarti era una scusa per poterti conoscere. Ma tu sei talmente orgogliosa..."

Una smorfia indolente di rimando ed inginocchiandosi iniziò a slacciarle i lacci degli stivaletti. “Sarò anche orgogliosa, ma ammetti che è anche per questo che mi hai scelta.”

“E’ vero… e poi mi sentivo terribilmente in colpa, perché in realtà avevo contribuito anch’io al lancio di quei volantini.”

Fissandola tra il curioso e l’offeso, l’altra si sporse per catturarle lievemente le labbra sfilandole poi con estrema accortezza il primo calzare. “Johanna aveva proprio ragione nel dirmi che ero nei guai. Ho ceduto il mio cuore ad una combattente liberale.”

Al pronunciare il nome della sorella si fermò sospirando. “Cosa sarà successo alla casa della luce?”

“Non preoccuparti Ruka. - Posandole la destra sulla guancia la guardò con dolcezza. - Sono più che certa che ce la farà. Riusciranno a portarla in ospedale.”

“Speriamo…. Ma ora pensiamo a te. Acqua calda non ce n’è, ma con un paio di panni caldi e la fiamma del camino…”

Facendole cenno con un dito d'aspettare, prese la candela uscendo per sparire su per le scale. Mentre si sfilava le calze bagnate diventate ormai come una seconda pelle, Michiru avvertì i suoni tipici di una porta che si apre, un po’ di trambusto e lo scricchiolio di passi sui gradini.

“Ecco qui! Sono sicura che ti andranno bene. Tu e Jo avete più o meno la stessa taglia.”

Vedendosi porgere alcuni indumenti puliti, Kaioh ringraziò cercando di afferrarli. Le braccia le cedettero facendo rovinare la piccola pila sui piedi della bionda.

“Scusami.” Mortificata Michiru tornò a strofinarsi la pelle ghiacciata delle spalle.

“Non è un problema, ma forse sarebbe meglio avvicinarsi al fuoco.”

“No Ruka, sono stanca, Ho necessità di stendermi e chiudere gli occhi per un po’.” Forse anche troppo risoluta, le prese i pantaloni tra le mani provando a rivestirsi.

Non aveva mai avuto tanto freddo in vita sua se non durante il primo inverno di guerra, quando nonno Kōtei aveva deciso che per amor di patria anche la sua famiglia dovesse razionare le scorte di cherosene e legna. Ma allora bastava infilarsi tra il materassino e la trapunta del suo futon per star caldi. Ora invece le sembrava di avere dell’acqua ghiacciata a scorrerle nelle vene.

“Sei sicura?” Ora che alla luce della candela riusciva a vederla meglio, Haruka si rendeva conto di quanto il viso di Michiru fosse arrossato ed i muscoli necessitassero di rilassare il continuo tremore dato dai brividi.

“Si. Aiutami, ti prego.”

Alla bionda venne però un’altra idea; facendole cenno di alzare le gambe e distendersi sui cuscini in posizione fetale, aprì la coperta di lana che aveva portato assieme ai vestiti, stendendogliela addosso. Una lieve carezza su quei capelli fradici ed iniziò a spogliarsi anche lei.

Una volta abbandonato sul pavimento anche l’ultimo indumento, Haruka s'intrufolò sotto la coperta abbracciandola forte.

“State forse cercando di sedurmi, signorina Tenoh?” Bofonchiò adagiandole la testa sul petto già mezza addormentata.

“Si fa quel che si può, signorina Kōtei.” Le soffiò lievissima in un orecchio mettendosi comoda.

Michiru non dormì molto, perché nonostante il corpo nudo di Haruka premutole contro, la coperta ed un ambiente non certo polare, continuò ad avere un freddo micidiale. In compenso sognò e non fu bello. Sentiva le gambe serrate in una morsa avvolgente, che le infuocava la pelle e le arrestava il movimento. Immersa nella foschia di una campagna che non conosceva, sapeva di non essere sola, che Haruka era ad un passo da lei, vicinissima, ma non vedendola la chiamava, chiamava quel suo nome musicale sforzandosi di raggiungerla.

Si svegliò quasi di soprassalto avvertendo le dita dell’altra massaggiarle energicamente un piede.

“Fai piano. Mi fa male.”

“Lo immagino. E’ rossissimo.”

“Brucia.”

“Questo è un buon segno, significa che la circolazione si sta riattivando. - Fermandosi e rimboccando la coperta alle gambe, gattonò fino al tavolino vicino al bracciolo dove aveva preparato un bicchiere con del cognac. - Non pensate male mia bella signorina, non voglio circuirvi, ma è il caso che voi beviate questo.”

“Cos’è?” Chiese flebilmente non afferrando la frase giocosa.

“Fa differenza?” Sedendosi l’aiutò a mettersi dritta.

Con l’alito liquoroso la bionda le portò alle labbra il bicchiere esageratamente pieno.

“Ma quanto hai bevuto!?”

“Cosa fai, rimproveri?! Non credo sia questo il momento!”

Guardandola severa, Kaioh non rispose ingoiando il primo sorso per tossire l’inferno subito dopo. “O Dio del cielo!”

“Vedo con piacere che non sei affatto abituata a questo tipo d’ambrosia.”

“Perché… tu si?!”

Spostandole la mano dalla bocca, Haruka la costrinse ad un altro sorso. “Si. Io si!”

Stizzita per quello che l'era sempre apparso come un pessimo vizio, Michiru decise d’inscenare una rivolta stile Bounty.

“Basta! E’ disgustoso!” Come una bambina scansò il viso tornando a sprofondare tra cuscini e coperta. All’altra non rimase che accettare lo stato delle cose.

“E’ il caso che ti riposi. Io intanto vado in dispensa a vedere se c’è dello scatolame. D’accordo?” Consigliò e dopo aver sentito un mezzo lamento la bionda terminò di vestirsi e a lume di candela si diresse a piedi nudi verso il tinello.

Mezz’ora più tardi Kaioh riemerse dal torpore della stanchezza avvolta da uno strano quanto accattivante profumo di cibo.

“… Ruka?”

“Ben svegliata! La mia caccia è stata un mezzo fiasco, ma almeno una scatola di fagioli sono riuscita a trovarla. Dai, mangia, hai bisogno d'energia. Hai una faccia…”

“Sarà bella la tua!” Duellò mettendosi seduta cercando di afferrare la maglietta abbandonata sul bracciolo opposto senza lasciar scorgere il seno.

Sbottando a ridere la cuoca provetta intinse il cucchiaio nel piatto per poi porgerglielo. “Sei adorabile quando cerchi di tenermi testa, Michiru.”

“Cerco? Vorrai dire quando riesco a tenerti testa.” Sottolineò accettando quella cucchiaiata di benessere caldo masticandolo lentamente.

“A parte tutto, com’e’ la situazione fuori?” Chiese cercando di sbirciare tra le tende tirate della finestra che si apriva proprio sopra lo schienale.

“Un bello schifo! Di questo passo Budapest resterà isolata per giorni. Ed io che volevo portarti a Fót.”

“Fót?”

“Si, li c’è un piccolo villaggio mezzo abbandonato. Pensavo che sarebbe stato un buon posto per nascondersi.”

“Siamo delle fuggitive. - Costatò Kaioh quasi se ne rendesse conto solo in quel momento. - Ed è colpa mia.”

“Sciocchezze! Cos’altro avresti potuto fare?! Se non avessi preso in mano la situazione decidendo di oltrepassare il cancello, quel misogino avrebbe finito con l’ammazzarmi. Sai, lo conosco; è lo stesso agente che con una scusa idiota mi fermò portandomi a ferirlo. Credo che senta di avere un conto aperto con me e penso anche di saperne il motivo!”

Ingoiando un altro boccone Michiru provò a seguire il filo del discorso. “Be… se lo hai ferito…”

“Non è per quello o almeno non solo. La sindrome più corretta per identificare gentaglia come quella è una e una sola; omofobia, o per meglio dire, un disgusto incontrollato e direi anche alquanto violento per donne come me.”

“Come noi…” Puntualizzò l’altra con orgoglio.

”Tu non sei come me, piaci agli uomini e francamente questa cosa mi disturba.”

”Sciocca.” Rispose languida.

Haruka le sorrise e sfiorandole la punta del naso con un dito si sedette in terra schiena al divano perdendosi nelle fiamme del camino dalla parte opposta della stanza.

Per qualche minuto scese il silenzio rotto solamente da una grande verità. Abbandonando il piatto ormai vuoto sul tavolino accanto al divano, Michiru le cinse le spalle come le piaceva fare.

“Alle volte ci si ritrova ad odiare ciò che non si vuole ammettere di essere.”

“Non ci avevo pensato. Sei saggia. Ti confesso che la prima volta che lo vidi, mi mise addosso i brividi. Ebbe l’arroganza di suonare al nostro campanello, sbattermi da un lato dopo essersi presentato a stento e puntare verso le scale sventolarmi in faccia un mandato di perquisizione. Fu odioso e quando Johanna gli intimò di farla finita di minacciarmi per come vesto, ebbe anche l'indecenza di mettermi le mani al collo."

“Per come ti vesti? Cosa c'entra?!”

“Ma, non so, ma se ci ripenso …, mi viene una rabbia.” Avvertendo la mano della ragazza accarezzarle la nuca, si voltò tornando a guardarla.

"A te non interessa se porto i pantaloni e ho i capelli corti?"

“Assolutamento no. Ma non pensarci più mio tesoro… è passata ora.”

“Non credo sai. Ci sto rimuginando da quando abbiamo varcato quel cancello; è oltremodo curioso che quell’agente della Tributaria si trovasse alla casa della luce, non trovi?”

“Pensi potesse essere li per te?”

“Non saprei, ma è comunque anomalo, soprattutto visto il tempo, l’ora ed il venerdì di festa. In più Shiry tramortita ed il cancello di servizio aperto, mi fanno pensare che prima del nostro arrivo sia accaduto qualcosa di grosso." Infilandole una mano tra i capelli l’attrasse a se baciandola con avidità.

“Sta di fatto che dobbiamo inventarci qualcosa. Sono sicura che all’alba li avremo addosso.”

“Haruka… devo confessarti una cosa. Per raggiungerti alla rimessa ho tramortito una guardia.”

“Cos’è che avresti fatto?!”

“E’ andata giù come un sacco di patate.” E Michiru mise su il solito viso da verginella.

“Come diavolo… A si, le origini orientali… Alle volte sei inquietante sai? - Era per questo che era tanto attratta da lei; era in grado di manifestare forza anche possedendo una grazia innata. - Poco male. Tanto ormai siamo nei casini fino alle ginocchia.”

“Non si dice collo?” E rise piano.

“Si, ma potrebbe andar peggio e non siamo ancora arrivate a quel punto.”

“Il peggio potrebbe stare nel fatto che non credo di riuscire a rimettermi a combattere con il freddo.”

“Lo so e dopo tutto il sangue che hai donato a Johanna ha del miracoloso che tu sia riuscita a seguirmi fin qui.”

“Mi dispiace.” Chinando la testa si strinse nella coperta.

“Non preoccuparti Michi, qualcosa m'inventerò vedrai. Ora vestiti e stenditi un altro po’.”

 

 

Ci volle un po’ prima che Mirka riuscisse a capire che i colpi ripetuti provenienti giù da basso, non fossero opera del vento, ma di qualcuno che con accanimento stava con molta probabilità cercando di buttar giù l’anta. “Scada…”

Scrollando la spalla del marito si drizzò a sedere tendendo l’orecchio.

“Scada svegliati. C’è qualcuno alla porta!”

“Mmmm… Dormi amore…”

“Dormi un accidente! Muoviti poltrone. Potrebbero essere i ragazzi." Mentre l’uomo rotolava giù dal letto chiamando a raccolta tutti i Santi del Paradiso, lei sempre più che vigile, si porto' sul bordo del materasso infilandosi pantofole e vestaglia schizzando poi verso l’uscita della loro camera muovendosi facilmente nonostante il buio.

Quando Mirka aprì il portoncino, si ritrovò a pensare seriamente di stare ancora sognando, perché il trovarsi davanti quella ragazzina bionda, la sua ragazzina bionda, aveva dell’incredibile.

“Haruka?!” Balbettò mentre il marito la raggiungeva alzando sulle due la luce ondulata di una candela.

“Mirka…”

“Cosa diavolo ci fai qui?!” Chiese la donna mentre Scada si faceva guardingo.

“Che cazzo hai combinato!?" Stranamente meno incredulo della moglie, lui scrutò la bionda da capo a piedi prima di afferrarle un polso e scaraventarla quasi al centro della soggiorno.

"Entra casinista!"

“Scada!”

“Zitta moglie! - Ringhiò richiudendo e guardando poi dalla piccola finestra al lato della porta. - Ti ha vista nessuno?”

“No, tranquillo.” Rispose Haruka togliendosi con gesti secchi la neve dalle spalle.

“Mi volete spiegare?!”

“Ah, io non so nulla cara. Chiedilo alla qui presente! Chiedile il perché di un’improvvisata tanto assurda alle due di un mattino da Siberia, con le linee telefoniche ed elettriche saltate e svariati centimetri di neve a finire di paralizzare la città! Chiedilo a colei che, in teoria, in questo momento dovrebbe trovarsi al calduccio in una cella ben chiusa di un carcere, ma che in pratica ha rischiato l’assideramento andarsene in giro dovendo ancora scontare più di un anno di pena!”

Serrandosi i fianchi Haruka gonfiò le guancie pronta all’inevitabile interrogatorio.

Analizzando rapidamente la situazione Mirka si rivolse allora direttamente alla ragazza. "Allora Ruka? Non sarai mica…”

“Evasa! - Interruppe l’uomo alzando pericolosamente il tono della voce. - Porca puttana Tenoh, ma che cazzo ti dice il cervello!”

“Sssss..... Adagio marito! O vuoi che si svegli tutta la casa?”

“I ragazzi non ci sono amore. Allora… è vero? Sei evasa?”

“Si, è vero, ma non è come sembra. In prigione è scoppiato un casino dopo l’altro e…, lo so che vi sembrerà assurdo, ma… sono stata costretta a scappare. Davvero.”

Passando la candela alla moglie, Scada iniziò a camminare come un cane impazzito tra tavolo, divano e poltrone.

“E’ stata costretta dice lei. Costretta!”

“Ma stai bene?”

“Si MIrka.”

“E tua sorella? Lo sa che sei evasa?” Chiese lui riuscendo finalmente a fissarla negli occhi.

Occhi di colpo strani, inquieti, preoccupati, tanto che senza quasi aver bisogno di conferme lui si arpionò i capelli tornando ad imprecare.

“C’è stata un’aggressione e Johanna è stata coinvolta.” Rivelò la ragazza con un filo di voce.

“O Signore Iddio e ora come sta?!”

Fu allora che strofinandosi il collo, Haruka abbandonò finalmente quella specie di spocchia difensiva. “Non lo so Mirka. Quando l’ho lasciata stava riprendendo fiato. Non potendo chiamare un’ambulanza per via delle linee saltate, mi sono offerta di rimettere in moto il vecchio fiat 626 della prigione, ma per una serie di disgraziate coincidenze, un agente esterno ha creduto che volessi evadere e ha cercato di ammazzarmi. Vi assicuro che non ho potuto fare altro che scappare, anche perchè quell'invasato era lo stesso che ferii alla guancia prima dell'arresto e sono convinta che me la volesse far pagare con una pallottola in fronte. Ma ora sono nei casini, non soltanto perché sono un’evasa, ma anche perché la ragazza che era con me al momento della fuga non sta bene, necessita di cibo e credo abbia un brutto inizio di congelamento che non sono riuscita a fermare del tutto.”

“Siete in due?”

“Si Scada e lascia che ti dica che oltre ad aver salvato me è stata anche colei che ha donato il sangue che ha permesso al dottore della prigione di prestare i primi soccorsi a Johanna.”

A quelle parole Mirka si fece il segno della croce abbracciandola.

“Non posso più far niente per mia sorella, ma per Michiru si. - E la voce di Haruka s'incrinò quel che basta per farla vergognare. - Siamo passate da casa solo per riscaldarci e riposare. Avrei voluto lasciare la città, ma vista la situazione non posso che riportarla da suo padre, al secondo distretto. Lei viene da una famiglia più che benestante e sono sicura che potranno nasconderla. Non era mia intenzione disturbarvi o mettervi in potenziali guai, ma siete la mia unica speranza. Per favore, aiutatemi.”

“Certo che ti aiuteremo amore …”

“… Ma dobbiamo far presto, perché non appena la tormenta sarà finita inizieranno a cercarvi. - Concluse lui tornando verso le scale - Vado a vestirmi. Moglie, c’è ancora dello stufato.”

“Lo scaldo subito. Vieni in cucina cara, devi mangiare qualcosa di caldo anche tu.”

Così mentre Mirka scaldava quei deliziosi pezzi di carne che sarebbero riusciti a ridare a Kaioh un po’ di energia, Haruka condì il suo racconto con novizia di particolari tanto che alla donna vennero a più ondate i brividi nell’immaginarsi le due figlie di Jànos immerse in un mondo tanto crudo rispetto a quello dov’erano nate.

“Io lo sapevo che Johanna non avrebbe mai dovuto chiedere alla signorina Setsuna di poter lavorare in quel carcere. Ho sempre pensato che fosse una follia, ma lo sai com’è fatta tua sorella, no?! - Scaraventandole nel piatto che aveva davanti un’altra mestolata fumante, si sporse per riuscire a guardarla in viso. - Ma di un po’, chi sarebbe questa tua amica?”

Tossicchiando la ragazza riprese ad ingozzarsi come se non mangiasse da giorni. “Un amica.”

“Un amica… e basta?”

Haruka allora si fermò dilatandole contro gli occhi facendola ridere.

“Non fare quella faccia ragazzina, sono una madre, anche se di tre maschi e certe cose le annuso a pelle. Non ci hai mai chiesto di aiutarti, neanche alla morte dei tuoi. Le tue iridi brillano come due gemme, sintomo di un cuore gonfio d’affetto. - La fisso' seria. - D’amore Haruka. Ti conosco da sempre e so, come lo sapeva tua madre.”

Deglutendo a forza Haruka la guardò incredula. “La mamma lo sapeva?”

“Certo, anche se eri solo una bambina. Quando eravamo a Fót e tu iniziasti a manifestare comportamenti molto più maschili che femminili, ne parlammo qualche volta. L’unica preoccupazione di tua madre era quella che con il crescere ti saresti inevitabilmente scontrata con il mondo arcaico ed ancora prettamente chiuso del nostro tempo. Ed infatti… Scada mi ha detto come ti ha guardato quell’agente della Tributaria il giorno che sono venuti a perquisirvi casa. Mio marito non ne capisce molto di queste cose, per lui sei e rimarrai sempre la piccola di casa Tenoh, il falchetto mai stanco che non fa altro che correre a destra e a sinistra. Ma per me sei una donna fatta ormai, con tutto quello che ne concerne e se vuoi vivere questa cosa a modo tuo, io non posso che appoggiarti.”

Esalando rumorosamente la bionda tornò a mangiare china sul piatto. “Mmm…”

“Tua madre ti adorava e sarebbe sempre stata dalla tua parte.”

“Sono pronto. Allora Ruka, hai finito?”

Un altro paio di bocconi trangugiati quasi senza masticare e lei si alzò dalla sedia pulendosi la bocca in malo modo.

“E lasciala un po’ in pace! Che differenza vuoi che faccia qualche minuto in più o in meno!”

“Ne fa moglie. Con la polizia non si scherza o ci siamo dimenticati cos’hanno fatto a Jànos?”

Mirka li raggiunse già sulla porta. “Rischiano la casa della giustizia?”

“Sono delle evase, amore… Rischiano questo e altro! Su, andiamo, useremo il furgone della ditta per la quale sto attualmente lavorando. E’ parcheggiato qui vicino.”

“Va bene. - Voltandosi verso la donna, la ragazza le sorrise prendendo il contenitore di metallo che aveva tra le mani. - Grazie per tutto Mirka e scusa se sono piombata a quest’ora portandomi dietro una valanga di problemi.”

“Questa è sempre casa tua amor mio. Mi raccomando a voi, intesi?!”

“Si, lo so e qualunque cosa dovesse accadere, ti prego, bada tu a Johanna.” E si abbracciarono mentre Scada iniziava a scendere i gradini diretto al cancelletto.

“Muoviti Haruka. - Disse piano indicandole un punto indecifrato della strada. - Facciamo così; tu torna e fa preparare la tua amica. Io vado a prendere il furgone. Ci troviamo davanti a casa tua.”

 

 

Il sacrificio di Haruka

 

“Michiru svegliati.” Accarezzandole una guancia la vide aprire leggermente gli occhi e si sentì felice.

Amava quella ragazza e l’avrebbe voluto gridare a tutto il mondo se soltanto glielo avessero permesso, ed il venire a conoscenza dei sentimenti che sua madre nutriva per lei nonostante avesse capito le sue acerbe inclinazioni, non faceva che rafforzarle l’animo per quella che sarebbe stata una lunga traversata.

“Ruka…, mi sono addormentata di nuovo.”

“Hai fatto bene. - Invitandola ad alzarsi le mostrò il dono di Mirka. - Ho trovato il modo per portarti a casa. Dai mangia al volo, Scada sarà qui a breve.”

“Scada? L’amico di tuo padre?”

“Abita dalla parte opposta della strada. Mentre stavi riposando sono andata a chiedergli aiuto. - Aprendo il contenitore le mostrò lo stufato. - E sua moglie ti manda questo. Ti ridarà le energie che hai speso.”

Solcando la fronte Kaioh si trovò in disaccordo con tanta euforia. “Non avresti dovuto coinvolgerli.”

“Lo so benedetta testona, ma cos’altro potevo fare?!”

Haruka sembrava stranamente angelica, tanto che Michiru guardando il cucchiaio di carne che le stava porgendo, fu colta da diffidenza. “Dimmi la verità Tenoh; è successo qualcosa.”

“Che vuoi dire?”

“Voglio dire che sembri appena uscita da un bagno bollente e da un massaggio alle ossa.”

Scoppiando a ridere le porse il contenitore.

“Addirittura?! - Disse gettando un occhio alla finestra. - Purtroppo devi far svelta. Scada non ci impiegherà molto. Ha un furgone.”

Vuoi il poco tempo a sua disposizione, la bontà della carne e la fame che l'era rimasta nello stomaco nonostante i fagioli, anche Michiru mangiò avidamente ed in pratica non riuscì a gustarsi nulla. Carne, patate, legumi, verdura, tutti ingoiati in malo modo in una calda accozzaglia di sapori.

Abbandonando il contenitore sul tavolo, spensero il fuoco del camino aspettando nell’ingresso. Michiru notò quanto in quei pochi minuti di pace prima di rituffarsi in strada, gli occhi dell’altra si muovessero caldi su ogni superficie. Ne sarebbe passata di acqua sotto i ponti prima che Haruka avesse avuto l’opportunità di fare ritorno e non soltanto in quella casa, ma forse anche a Pest.

“Ti sei intristita?”

Scuotendo la testa l’altra afferrò la foto della sua famiglia appesa al muro accanto all’appendiabiti. “E’ successo tutto così in fretta.”

“Spiegami.” Chiese studiando la fisionomia fanciullesca della bambina bionda che circondata dalla sua famiglia, le sorrideva di rimando dal vetro di una foto in bianco e nero.

“Fino a poco prima dello scoppio della guerra avevo tutto. C’era la pace, c’erano le braccia dei miei a proteggermi, la bellezza della vita quotidiana. Le uniche cose alle quali ero chiamata si concentravano nello studio e nei giochi. Poi sono cresciuta, i miei sono morti, ho perso il lavoro e le mie prospettive universitarie. Non so neanche cosa sia successo a mia sorella. Devo lasciare la mia casa nel cuore della notte come se fossi la peggiore delle criminali e … non riesco più a volare. In una manciata d’anni ho perso tutto.”

La dolcezza disarmante di Michiru riuscì a colpirla per l’ennesima volta. Stringendosi al suo collo, lentamente e con tatto, le arrivò all’orecchio sussurrandole un ti amo che le mozzò lo sterno.

“Non hai perso tutto, Ruka; io sono ancora qui e per te ci sarò sempre.”

Ricambiando quella stretta, la gola le si sciolse arrivando finalmente a dire quello che per mesi aveva tenuto stretto nel petto come il più geloso ed inconfessabile dei segreti. “Michiru… Ti amo.”

 

 

 

Quando Scada arrivò, dovette comunque attendere che Haruka chiudesse casa. Torturandosi un’unghia, prese a tamburellare con l’altra mano sulla pelle del volante mentre i tergicristalli danzavano ipnotici davanti ai suoi occhi. Cosa sarebbe accaduto alle figlie di Jànos ora che la situazione si era trasformata da difficile in drammaticamente complicata. Johanna ferita ed Haruka spinta nell’incertezza di una fuga che con molta probabilità non avrebbe portato a nulla di buono. Era angosciato come se fossero state sue quelle due ragazze cresciutegli davanti e come un padre, sentiva tutta l’impotenza della crudeltà della vita che scorre.

“Eccoci.” Lo sportello del lato passeggeri si aprì e ne emerse una bionda guardinga.

“Alla buon’ora Tenoh.” Rimproverò lui scoprendo finalmente il viso della seconda fuggitiva.

Issandosi nella cabina, Michiru gli sorrise ringraziandolo prontamente.

“Non è un problema signorina.”

“Avevo capito che fosse tutto l’opposto Scada.” Sistemandosi contro la spalla della compagna, Haruka fece capolino sarcastica.

Contrariato l’uomo si accorse del berretto che la ragazza portava ben calzato sulla testa, riconoscendolo. Era quello che aveva sempre visto sulla chioma di Jànos e che ne aveva in qualche modo cadenzato la cromia; dal biondo cenere della gioventù, al brizzolato di un età più matura.

“Sempre il solito brutto carattere. - Sentenziò girando la chiave sul cruscotto facendo finta che il rivedere quell’oggetto non l’avesse in qualche modo colpito. - Di questo passo non ti accaserai mai.”

E mettendo finalmente in moto partì illuminando la coltre bianca con la luce giallognola dei fari. Inghiottito dalla notte e dalla ripresa massiva di una nevicata che sembrava proprio non voler finire, il furgone sparì, lasciando negli occhi di una Mirka rimasta di vedetta dietro il vetro della finestrella accanto alla porta, solamente una gran pena.

Il tragitto fu arduo, molto più di quel che Scada immaginasse. Aveva già guidato in situazioni proibitive come quella, soprattutto in Russia, durante la guerra, ma fece fatica lo stesso, in particolar modo lungo le campate del ponte della Libertà, dove per via delle fortissime correnti incanalatesi lungo il letto del Danubio, la neve sulla massicciata aveva assunto una consistenza simile al ghiaccio.

Appena riusciti a giungere a ridosso del secondo distretto, Michiru iniziò ad indicargli la strada, intimamente più serena nel ritrovare in quel grigiore oscuro, punti di riferimento a lei ben noti, come la cancellata orientale del parco cittadino dov’era solita arrivare quando si stava preparando per la gara di corsa e dove l’ÁHV l’aveva inseguita, la sede di Economia della BME, la piazzetta del suo bistrò preferito, dove lei e i membri della voce di Buda si riunivano per due chiacchiere dopo le lezioni.

“Ci siamo quasi signor Scada.” Sporgendosi in avanti socchiuse gli occhi.

“Devo proseguire dritto?”

“Si, fino alla seconda traversa. Poi deve voltare a sinistra.”

Un pò disorientata, Haruka la guardò stirando leggermente le labbra. Sentiva la frenesia nella voce di Michiru e sapeva da cosa dipendesse. Sicuramente era per la certezza che da li a breve avrebbe riabbracciato il padre ed un poco ne provò invidia.

Sei tutta un fremito, mia dea, pensò poco prima che il piede destro dell’uomo non schiacciasse violentemente sul freno.

“Porca puttana!” Si lasciò scappare premendo la schiena contro il sedile.

Bloccando il contraccolpo sul cruscotto con il palmo della destra, la ragazza lo guardò contrariata. “Che c’è?!”

“Guarda la! - Indicò lui con un colpo di mento spegnendo motore e fari. - C'è un veicolo parcheggiato con le luci accese.”

Dilatando i polmoni al gelo dell’abitacolo, Haruka intuì dall’espressione messa su da Scada a quale tipo di automezzo potessero appartenere.

“Credi sia una berlina della Polizia?”

“Potrebbe. Vado a dare un’occhiata.” Ed aprendo lo sportello scese.

“Dannazione. Aspettami! - Disse facendo altrettanto. - Michi resta qui. Facciamo subito.”

“Ma…” Inutile obbiettare. Vedendosi lo sportello sbattuto in faccia, sospirò pesantemente storcendo la bocca.

Velocissima la bionda raggiunse l’uomo dietro ad un’edicola di giornali. “Riesci a vedere chi siano?”

“No. Ma nell’abitacolo c’è qualcuno e la macchina sembra…”

“Sembra il modello in uso alla Polizia Segreta…”

Guardandosi, rincularono tornando sui loro passi. Michiru li vide riemergere e risalire a bordo.

“Allora?”

“Potrebbero essere gli sbirri. Non possiamo rischiare. Ci sono altre strade per arrivare a casa tua?”

“No Ruka. Abito in una senza uscita.”

Maledizione! Imprecò Scada riaccendendo il motore ed ingranando la retromarcia.

“Dove vai?!”

“Tenoh dobbiamo allontanarci da qui il più velocemente possibile!”

“No, aspetta! - Ne fermò la manovra serrandogli il braccio. - La casa di Michiru è a due passi e se non fossero quelli che crediamo?”

“Chi vuoi che siano a quest’ora e con questo tempo? Molto probabilmente è un posto di blocco.”

“Possiamo andare a piedi.” Se ne uscì presa dalla frenesia di voler portare in salvo la sua compagna.

“Per me non sarebbe un problema.” Replicò Kaioh guardandoli alternativamente. Non era certo un peso, o almeno non voleva esserlo.

“Non si tratta di questo signorina. Con o senza mezzo dovremmo per forza di cose passargli davanti. Tocca tornare indietro ed inventarsi qualcos’altro.”

“Non necessariamente!” Haruka balzò nuovamente fuori.

“Che intenzioni hai?” Scada conosceva troppo bene quel diavolo biondo per non provare una certa agitazione nell’afferrarne la sicurezza nel timbro.

Voltandosi la bionda guardò entrambi non dilungandosi troppo nello spiegargli che avrebbe provato a distrarre gli occupanti del mezzo mentre loro ne avrebbero approfittato per sgattaiolare via a piedi.

“Non esiste Ruka. E se si trattasse della Polizia?!”

“Poco male Kōtei! Vuol dire che li seminerò come ho già fatto in passato.” Convinta del fatto suo si tolse il berretto del padre posandoglielo tra i capelli.

“Ci tengo in particolar modo. Abbine cura fino al mio ritorno.”

A quelle parole l’altra si sporse fuori dalla cabina afferrandole il giaccone per le spalle. “No, aspetta!”

“Non è necessario Tenoh!” Fece eco l’uomo scendendo per provare a fermarla.

“Amore…”

“Non preoccuparti. - Sospirò la bionda mentre non vista, lasciava scivolare il suo Kès nella tasca del cappotto di lei. - Non ci metterò molto.” E staccandosi a forza, si allontanò prima che Scada riuscisse a raggiungerla.

Forse Haruka lo sapeva, forse aveva già intuito la portata che quel gesto apparentemente sconsiderato avrebbe avuto sulla vita sua e di Michiru. Sacrificio d’amore o semplice prova di coraggio, lo avrebbe scoperto solo al trovarsi faccia a faccia con gli occupanti di quella macchina nera, che più si avvicinava alla nitidezza della sua vista, più sembrava nota.

Così si divisero ancora, come tanto tempo prima, in una giornata di settembre, su quella strada di basalto scuro, quando i loro occhi chiari si erano fusi per la prima volta; la piccola gru di Buda ed il giovane falco di Pest.

 

 

 

NOTE: Ciau. Mai fatto tanto ritardo! Perdonatemi, ma ho dovuto fare una consegna e ho visto la tastiera solo per disegnare. E questo darà quello che mi aspetta nelle prossime settimane. Non so quindi quando riuscirò a finire il prossimo capitolo e soprattutto che grado di scrittura avrà, ma cercherò di buttarlo giù, magari anche con una sola paginetta al giorno. Ci stiamo avvicinando alla fine e manca solo la resa dei conti tra Alexander Kaioh e Haruka. Non posso certo lasciarvi in sospeso, giusto?! Un abbraccione e grazie per la pazienza ;) PS Non è che abbia riletto molto attentamente... perdonatemi anche per questo....

 

   
 
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