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Autore: 09Chia    07/10/2018    0 recensioni
Ci sono volte in cui non succede niente, ma fa male lo stesso. E se continua a non succedere niente, fa ancora più male.
E allora bisogna avvicinare la fiamma al deposito di carburante, ed è bene che ci sia qualcuno che ti spinge a farlo.
Boom.
E quando poi esplode, se le ferite sono più profonde del previsto, è bene ci sia qualcuno che ti abbraccia e te lo dice: non è successo niente.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Brescia, 23 Febbraio. 15.28

Tom fece una smorfia di disappunto quando una chiamata interruppe la canzone che gli risuonava nelle cuffie. Lanciò un’occhiata allo schermo e la serie di cifre sconosciute che lampeggiavano da sopra il simbolo verde della risposta lo infastidì ancora di più.

Staccò le cuffie e fece scorrere il dito sullo schermo. Portò il cellulare all’orecchio e pronunciò uno strascicato “Pronto?” mentre osservava annoiato oltre il vetro appannato.

“Tom?”

“Sì?”

“Wow. Hai risposto, pensavo che il numero sconosciuto ti avrebbe dissuaso”

“Sara?”

“Come sai che sono io?”

“Sei l’unica che userebbe parole come dissuaso al cellulare. E anche l’unica che può avere abbastanza sfiga da aver perso, o rotto, o messo fuori uso il suo telefono, tanto da essere costretta a chiamarmi da un numero sconosciuto”.

Poté quasi percepire la ragazza che alzava gli occhi dall’altra parte “Potrei aver cambiato cellulare”

“Impossibile. Me l’avresti detto. Ti ricordo che mi hai mandato l’ultimo messaggio stanotte all’una. E poi sono secoli che permettono di tenere la stessa sim anche sui telefoni nuovi. Ma forse non lo sai perché… quand’è che hai cambiato l’ultimo?”

“Secoli fa” sbottò Sara “Che fai?”

“Sono le tre e mezza. Torno a casa da lezione e ascolto musica. Almeno finché amiche sfigate con i telefoni rotti non interrompono le mie occupazioni. Tu?”

“Valuto se lanciarmi dalla Torre Mirabella o se coltivare una pianta di cicuta per andarmene in modo più dolce e soprattutto più nobilitante”

“Voto la cicuta, è di certo più nel tuo personaggio” disse Tom lasciandosi scappare un breve sorriso “Che è successo?”

“Se te lo racconto adesso, la mia voce diventerà a breve così acuta che dovrai correre a casa e passare il telefono a Lilly, perché qualcuno possa comprendermi”

“Quindi?”

“Quindi, raccontami qualcosa tu. Quando mi sono allontanata a sufficienza dall’idea della Torre Mirabella, poi ti racconto”.

“Devo ipotizzare la presenza ti Tu-Sai-Chi?”

“Dici che il cianuro funziona uguale?”

“Niente domande, ok”. La città sfrecciava veloce fuori dal pullman: figure infreddolite avvolte nei cappotti si affrettavano verso le loro destinazioni, ma dentro l’abitacolo si stava piuttosto bene e il grosso degli studenti del liceo aveva ormai lasciato un discreto numero di posti liberi “Allora… cosa posso raccontati? Stamattina ho seguito due ore di fisiologia con un profe stra bravo, schematizzato gli appunti di chimica e…”

“Il prof di fisiologia è figo?”

“Sara!”

“Ok, ti ascolto”

“Dopo un delizioso pranzo nelle mensa dell’università al sapore di pasta al pesto in scatoletta, ho seguito i quarantacinque minuti di lezione più sfiancanti della mia vita, sono passato in copisteria a stampare le slides e poi ho preso il pullman”.

“Quarantacinque minuti di…?”

“Anatomia”

“E poi?”

Tom cercò di suonare innocente: “E poi basta...”

“Sto sbadigliando.”

“Senti, mi hai chiamato tu e mi hai chiesto di raccontarti qualcosa, non è che poi puoi pure rompere perché ti annoio!”

Percepì uno sbuffo stizzito “Sarai pure gay, ma sei ottuso quanto il resto del genere maschile. Ieri sera sei uscito con Andrea, ti dispiacerebbe aggiornarmi?”

Tom rise “Allora dillo, che sei curiosa e basta. Mica devi farmi credere di essere sull’orlo del suicidio per convincermi a raccontarti”.

“Non c’entra nulla la Torre con questo, poi ti racconto davvero” rispose Sara “Allora?”

“Allora niente: è andata bene, non mi sono ubriacato, abbiamo chiacchierato tutta sera e poi l’ho accompagnato a casa”.

“Bacio?”

Tom rimase in silenzio.

Uno squittio deliziato gli comunicò che la sua tattica non aveva funzionato “Bacio!” gioì Sara “Lo sapevo! Un po’ ti odio, ma sono un sacco contenta”

“Grazie per la gioia. Perché mi odi?” chiese Tom, interessato.

“Be’ sai com’è: non è nemmeno un anno che hai deciso che ti interessano gli uomini e ti sei già fatto più ragazzi di quanti non ne abbia visti da lontano io in ventun anni di così poco amata castità”.

“Sara, due ragazzi ho baciato”.

“Be’, io mezzo. E ritengo di avere un minimo diritto di precedenza. Sei pregato di aspettare a far tripletta”.

Tom scoppiò a ridere “Farò del mio meglio. Ma chi è il povero sfigato da meritarsi il titolo di mezzo uomo?”.

“Non era un mezzo-uomo. Deficiente.” La voce di Sara suonava sufficientemente divertita da far credere a Tom di aver quasi raggiunto lo scopo “Era un mezzo bacio. Ma non è importante. È più importante che tu abbia baciato Andrea”

“A me sembra più importante la questione sulla torre Mirabella”.

Silenzio.

“Sara?”

“Non hai proprio nient’altro da raccontarmi?”

“Temo di no. Cosa è successo?”

Dall’altra parte del telefono ci fu un istante di esitazione.

“Niente” disse poi Sara.

“Niente.”

“Già”

Tom sospirò “E se non è successo niente, perché questo desiderio improvviso di cicuta?”

“Perché non è successo niente!” sbottò Sara “Non succede mai niente! Ed è sempre un casino comunque".

Lo sguardo esasperato che Tom si lasciò sfuggire attirò un sorrisetto da parte di una signora seduta a un paio di posti di distanza. Tom ricambiò il gesto e si sforzò di abbassare la voce: “Facciamola più semplice: rispondi sì o no, ok?”

“Ok”

“Il tuo cervellino inutilmente complesso ha aperto la sezione ufficio complicazione affari semplici e ti stai facendo qualche improbabile para mentale. Ipotizzo: terrore per l’imminente laurea, sconforto per l’imminente futuro lavorativo, depressione post seduta in palestra o qualcosa di collegato con una visita medica”.

“No”

“Merda”

“Perché?” fece Sara, perplessa.

Tom alzò le spalle “Era l’opzione più semplice. L’altro ambito plausibile mi fa venir voglia di tirare testate al finestrino solo a pensarci, cara. Niente pare mentali quindi? Sei proprio sicura?”

“No”

“Okay. C’entra quella povera macchina sovraccarica generatrice di problemi che ti ritrovi nel luogo dove la gente normale -te lo assicuro dopo i miei quarantacinque minuti di anatomia- ha il muscolo cardiaco?”

“Sì” Soffiò fuori Sara.

La signora seduta di fronte a Tom osservò con preoccupazione l’espressione sempre più sofferente che si disegnava sul volto di quel bel ragazzo con i capelli spettinati.

“Una new entry? Magari quel figo pazzesco del tuo compagno di uni con i capelli lunghi che mi hai presentato in atrio il mese scorso?”

“No”

“Ma perché no?!?”

Sara suonò stizzita: “Perché il suddetto figo pazzesco si ricorda a malapena il mio nome, credo”.

“Magari si ricorda il mio, però” insinuò Tom.

“TOM!”

“Era solo una battuta. Però davvero, perché no?”

“Perché no. Lui non mi vede, io non ho intenzione di fare nulla per farmi notare”

“Ok, torniamo alle domande. Anche perché temo di aver capito dove andremo a finire”

“Temo anche io”

“C’entra per caso un demente di nostra conoscenza con i capelli castano chiaro e adorabili occhioni verdi?”

Silenzio.

“Ne ero sicuro. Posso sapere che cosa ha combinato questa volta? O cosa hai combinato tu?”

“Niente” rispose Sara con una incrinatura nella voce “E’ passato in università a ritirare un certificato e ci siamo incrociati in atrio”.

“Le congiunzioni astrali. E?”

“E niente. Sono qui al telefono con te”

Tom schioccò le labbra in un suono stizzito “Senti, vi sentite un giorno sì e l’altro pure. Ci si vede una volta al mese. Dovresti avere la nausea, tipo indigestione. Capisci che un incontro di… quanti minuti?”

“Due, se vogliamo essere generosi”

“Ecco. Capisci che un incontro di due minuti nell’atrio dell’università non può averti causato un cortocircuito generale? Cribbio, Sara! Dovresti ormai aver raggiunto l’assuefazione. Parlando di cianuro, dovrebbe funzionare come antidoto: una piccola dose ogni giorno dovrebbe contrastare gli effetti della dose massiccia che ti becchi ogni tanto. Se vogliamo definire due minuti una dose massiccia”

“Non ti arrabbiare con me” pigolò Sara.

La signora davanti a Tom aveva un’espressione confusa. Il riferimento al cianuro non doveva averla tranquillizzata.

“Non sono arrabbiato”

Ci fu qualche istante di pausa. Tom riusciva quasi a sentire gli ingranaggi del cervellino della sua amica che si sforzavano di tradurre in parole quello che era probabilmente un complicato ammasso di pensieri “E’ che mi fa sentire così inutile.”

“Inutile?”

“Già”.

“La mia ottusità maschile non ci arriva. Cosa ha fatto per farti sentire inutile? E non rispondermi niente, perché scendo, prendo la corriera che va nel senso opposto e ti trascino al sushi”

“Che schifo!”

“Appunto. Spiega”

“Era una giornata di merda stamattina…”

Tom non riuscì a trattenersi: “Be’, non mi pare che ora tu possa esaltarti della tua condizione emotiva…”

“Zitto”

“Ok”

“Dicevo” riprese Sara “Era una giornata di merda, ma quei due minuti in cui ci ho parlato sono stati sufficienti a ribaltarmela. Sono uscita dall’atrio che mi sembrava di essere tipo Heidi quando torna in montagna dopo Francoforte.”

“E questo sarebbe un male perché…?”

Sara ignorò la domanda: “E funziona così anche al telefono. Basta un sms perché io mi trasferisca momentaneamente a Hobbitville, tipo, con tutti felici e contenti e io che vivo in una meravigliosa casa con la porta rotonda e colorata e non devo pensare a nient’altro che a quale nuova stupenda avventura Gandalf arriverà a propormi questa sera”.

“Tralasciando la visione assolutamente distorta che hai dello stato psico-fisico di uno hobbit in attesa di Gandalf, non ho ancora capito qual è il problema.”

“Il problema è che io non funziono!” buttò fuori Sara “Lui ha una giornata di merda, mi vede, e la sua giornata di merda rimane. Se mi manda un messaggio per dirmi che è ko e che non ne può più di litigare con l’allenatore, o che non ha passato un colloquio, e io gli dico che mi dispiace e che ci sono per dargli una mano, io so, che per lui non cambia niente. Non servo a niente. Magari mi dice grazie, mi manda una faccina felice, ma quando mette via il telefono, la sua giornata è rimasta grigia come prima.”

“Sara…”

“Non voglio niente. Che pretese posso avere, visto che per me è sufficiente vederlo per due minuti per salvarmi la settimana? Direi che mi regala già fin troppo.  Non voglio niente da lui”.

Tom appoggiò la testa al sedile e chiuse gli occhi, rinunciando ad interromperla. La signora aveva perso interesse e guardava fuori dal finestrino.

“E’ solo che gli voglio più bene di quanto mi sia permesso dimostrare e questa dannata macchinetta stronza che ho al posto del muscolo cardiaco, dottore, produce bene in eccesso e se non riesco a ficcarlo da qualche parte, tra un po’ ci rimango soffocata. E lui non lo vuole. Quindi è inutile. Mi sembra di avere il debito pubblico della Grecia, nei suoi confronti, e di avere le risorse economiche del Burundi per poter cercare di estinguerlo.”

Alla voce di Sara si sostituì un respiro affannato. Tom aspettò un istante, per essere sicuro che avesse finito.

“Sara?”

“Che?”

“Devi dirglielo.”

Tom si preparò all’insulto.

“Col cazzo.”

“Senti, questo specie di tsunami emotivo ti mette sottosopra almeno una volta al mese. Direi che o ci anneghi dentro una volta per tutte e ti trasciniamo in manicomio, oppure cerchiamo un buon salvagente che ti tenga a galla. O un buon bagnino”.

“Quoto per il bagnino”

“Anche io. Ma finché il bagnino non lo troviamo, parlagliene”

“E una volta che gliene ho parlato e che mi ha detto che gli dispiace tanto tanto tanto, ma di me proprio non gliene frega?”

“Sara, sei sempre sua amica”

“Sì. Allora correggo: una volta che mi ha sbattuto in faccia la friendzone del secolo, che si fa?”

“A quel punto, almeno condividete il disagio e non ci stai di merda solo tu. Insomma, gli occhioni verdi sono i suoi, che si prenda almeno un briciolo della colpa!”

“Ma…”

“A parte che non è detto che vada come dici tu”

“Ah ah ah” fece Sara, sarcastica “Lo conosco bene. Sono sicura di quello che dico”

“E allora sarà comunque meglio che lasciarsi trascinare dagli tsunami periodici. Una bella apnea di qualche mezz’ora e poi via, a cercare di rianimarti”

“Non è proprio una prospettiva allettante”

“Ascolta l’esperto in relazioni disastrose, qui. Prendi carta bollata, un buon piccione viaggiatore, la tua migliore penna d’oca e scrivigli”.

“Scrivergli? Mi stai consigliando di dichiararmi per messaggio?”

“Vedila come una lettera modernizzata. Il tuo animo ottocentesco sarà più felice. Devi scriverlo, Sara.”

“Non posso dirglielo a voce?”

“Proposta bocciata, perché rimanderesti alla prossima volta che vi vedrete dal vivo e sarà tra un’eternità. Fallo adesso. Sei in un posto abbastanza tranquillo?”

“Be’… sono sulla Torre Mirabella” rise Sara. Di una risata forzata e leggermente stridula.

Tom sgranò gli occhi “Sei sul serio sulla Torre? Ma sei deficiente”

“Hei!” protestò Sara “Deficiente sarai tu. Sono sulla Torre perché non mi andava di tornare a casa e volevo farmi un giro, non ti preoccuopare.”

“Sicura? Niente cicuta?”

“Niente cicuta” disse Sara, sincera “Ci vuole altro che un demente con gli occhi verdi.”

“Ok” disse Tom “Tu scrivigli. Aspetto una tua chiamata tra un paio d’ore”.

Aspettò di sentire un assenso, poi chiuse la chiamata.

Lanciò uno sguardo all’orario, maledisse al volo i ragazzi con gli occhi verdi, salutò la signora che lo osservava con aria d’approvazione e schiacciò il pulsante per chiamare la fermata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Brescia, 23 Febbraio. 17,40

La canzone venne interrotta, di nuovo, da una chiamata. Tom allungò le gambe, scivolando più in basso sulla panchina. Respirò profondamente una volta e rispose.

Dall’altra parte, solo silenzio.

“Sara?” chiese.

“Fatta”

Tom soffocò un’imprecazione di fronte al suo tono. “E com’è andata?” chiese per formalità, mentre già si alzava in piedi e cominciava a camminare.

“Di merda”

“Mi dispiace” mormorò, accelerando un po’ il passo “Devo picchiarlo?”

Sara tirò su con il naso “No, è stato gentile. Fin troppo. Almeno si fosse comportato da stronzo, avrei potuto odiarlo un pochetto”.

“Quanto è stato forte lo tsunami ‘sto giro?”

“Più di quanto pensassi. Credevo di essere pronta a sentirmelo dire, invece…” la voce le si ruppe sul finire della frase.

“Senti, sei ancora sulla torre?”

“Già”

“Ti sarai ibernata, stupida” sbottò Tom, mentre iniziava a fare gli scalini “Arrivo”.

“Arrivi?” fece Sara, confusa.

Tom chiuse la chiamata.

 

Dallo spiazzo del castello, le figure in cima alla torre apparivano come piccole sagome ritagliate nel cartoncino. Il venditore di zucchero filato aveva passato il pomeriggio a lanciare occhiate apprensive alla figurina affacciata alla balaustra: la ragazza aveva passato parecchio tempo al telefono, aveva girato attorno per un po’, aveva passato interminabili minuti con gli occhi persi nel vuoto.

Faceva freddo e stava scendendo la sera: ancora un quarto d’ora, si disse, poi sarebbe salito di persona a controllare.

Aveva appena finito di formulare questo pensiero, quando dal retro della torre spuntò la figura di un ragazzo. Era alto e con i capelli corti, che apparivano esageratamente spettinati anche da quella distanza.

Camminò veloce fino alla figura della ragazza e le disse poche parole. L’uomo dello zucchero filato non poteva sentirli, ma percepì, come sussurrato dal vento, un rassicurante non è successo niente.

Quando i due sulla torre si abbracciarono, l’omino tirò un sospiro di sollievo. Servì alla bambina di fronte a lui una porzione assurdamente abbondante di zucchero filato.

   
 
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