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Autore: Ness by Moon    09/10/2018    1 recensioni
Si era innamorata di lei da quel giorno al Rabbit Hole, quando si era soffermata ad ascoltarla andando oltre ciò che la città le chiedeva di essere. Si era innamorata di lei per il modo in cui la faceva sentire, viva più che mai e immersa in un bagno di lava che le faceva bruciare il cuore. Si era innamorata dei suoi occhi, così maledetti scuri e sporchi, che la stendevano al tappeto al primo sguardo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Nuovo personaggio, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Questa storia era nata per essere racchiusa in un massimo di sette o otto capitoli, eppure ecco che mi appresto a pubblicare il decimo. Se tutto va come previsto dovrebbero essercene ancora altri cinque o sei, non so ancora di preciso. So però che voglio ringraziare chi in silenzio continua a seguire le vicende di Lex e Laya, grazie! Avrei piacere di sentire anche le vostre opinioni al riguardo, tanto per sapere se la storia vi ha preso o è solo una delle tante per quanto riguarda questo fandom.
Detto questo, via dalle scatole Ness e lascia leggere chi vuole farlo!
XOXO
NbM*
 
 
Emma non parlava con Regina da quando l’aveva cacciata di casa. Erano giorni, ormai, che erano estranee in casa propria. La bionda rientrava unicamente per dormire e ormai era solita riposare nella camera degli ospiti. Quella sera non aveva nulla di diverso. Aveva setacciato Storybrooke in lungo e in largo alla ricerca dei loro nemici, ma ormai sembravano essere spariti nel nulla a meditare su come attaccarli. Era quasi notte fonda quando rientrò al 108 di Mifflin Street, ma non si sorprese di trovare la luce del salotto accesa. Infilò le chiavi nella toppa, sfilò le scarpe, e si diresse verso il bagno per fare una doccia. Con la coda dell’occhio vide la moglie rannicchiata sul divano, ma non si sarebbe aspettata che le parlasse.
-Alexis non scrive da giorni-
Emma si bloccò sulle scale, un piede sul gradino successivo e la mano poggiata al corrimano.
-Lo so-
-Come fai, allora, a restare tanto calma! Ti rendi conto di cosa sta scoprendo, di cosa sta affrontando! -
Con uno scattò si alzò dal divano, raggiungendo la moglie con poche falcate. Sul suo viso, i segni di chi si stava consumando, di una bellezza che stava sfiorendo. Emma si voltò verso di lei mantenendo la calma, non aveva voglia di litigare ancora. Non ne aveva la forza. Quello stesso pomeriggio, aveva avuto una brutta discussione anche con Phoebus. L’uomo accusava l’intera famiglia di non esser riuscita a riportare a casa sua figlia. Aveva sbraitato contro Emma, urlandole di essere la Salvatrice di un bel niente ed aveva ragione. Lei e sua moglie stavano impazzendo e Alexis era via solo da qualche mese, non poteva nemmeno vagamente immaginare cosa stesse passando l’uomo.
-E cosa dovrei fare, Regina? – nel suo tono una quieta surreale- Dare di matto come stai facendo tu? Inveire contro di te? O, non so, ammazzare le uniche cose belle che sono rimaste? Sono stanca, sono tremendamente stanca di tutta questa situazione. Non ce la faccio più, lo capisci? –
I suoi occhi si erano riempiti di lacrime come non succedeva da troppo tempo, aveva quasi dimenticato cosa significasse provare un’emozione diversa dall’angoscia. Aveva quasi sperato di trovare una sorta di conforto in Regina, ma l’unica reazione della donna fu di tirarle uno schiaffo in piena guancia. Emma non disse una parola. Si limitò a riprendere a salire le scale e chiudersi in bagno. Una volta sotto la doccia, si concesse di scoppiare in lacrime. Si concesse di lasciar sopraffare il dolore per soli cinque minuti, poi si asciugò, si rivestì e fu pronta per lasciare nuovamente l’abitazione. Quella sera, casa sua l’opprimeva come non mai. Tornò in salotto, infilò gli stivali e poggiò una mano sulla maniglia della porta. Si voltò una sola volta verso sua moglie, trovandola rannicchiata con le ginocchia al petto e la fronte sulle braccia.
Uscì senza dire una parola.
Si infilò nel maggiolino e prese a guidare per le strade vuote della città. Non aveva voglia di parlare con nessuno, non aveva voglia di discutere con nessuno. Sua madre, suo padre, suo fratello, la sua migliore amica, loro non potevano comprendere. Loro non potevano sapere quante volte aveva desiderato smettere di lottare e lasciare che la vita le facesse ciò che più desiderava. Era sempre stata una guerriera, fin da bambina, ma in quel momento le sembrava di aver esaurito le scorte. Non si era mai sentita così affranta, non quando aveva perso Lily, non quando l’ennesima famiglia affidataria l’aveva sbattuta fuori dalle proprie vita e nemmeno quando Neal l’aveva lasciata in carcere senza più farsi vedere. Eppure si ritrovava a guidare diretta verso il Rabbit Hole, da sola e con una gran voglia di bere. Sorrise al pensiero del locale. Sua figlia aveva passato così tanto in quel posto, eppure non aveva mai temuto di vederla tornare a casa ubriaca o anche solo alticcia. Alexis non amava l’alcol e in più Laya non le permetteva di prendere nemmeno una birra. Diverse volte aveva accompagnato lei stessa sua figlia lì, nei pomeriggi in cui decideva di studiare in compagnia della sua ragazza piuttosto che a casa. L’aveva vista spesso accomodarsi all’angolo del bancone e concentrarsi sui libri, lanciando di tanto in tanto un’occhiata a Laya. Arrivata al locale, le sembrò quasi di vederla. Seduta su quello sgabello, con una gamba piegata sotto il sedere e gli occhi che saettavano dalla barman ai suoi quaderni. Invece Alexis non c’era e al basto della bella bruna, un uomo abbastanza rozzo serviva da bere. Prese posto ad un tavolo in disparte rispetto alla bolgia che vigeva nel resto del locale, sperando che per almeno qualche ora i suoi problemi le dessero tempo di rifiatare. Ordinò una birra distrattamente, senza neanche badare a chi lo chiedesse.
-Offro io per la signora-
Sollevò lo sguardo e se ne pentì all’istante. Killian Jones le sorrideva con quel suo fare da uomo vissuto, nonostante avesse ormai una certa età, l’uomo si ostinava ad indossare quell’orribile uncino al posto di una mano finta.
-Bevi da sola, Swan? –
-Così pare- borbottò tra sé.
Killian si accomodò sulla sedia di fronte a lei allungandole la bottiglia che la cameriera aveva appena portato.
-Come mai in questo posto? –
Emma era abbastanza restia ad avere una conversazione con lui, ancora rimpiangeva di aver accettato il suo aiuto per quella scalata ventiquattro anni prima. Non era più riuscita a staccarselo di dosso, neanche con il matrimonio e la nascita di sua figlia. Il pirata le continuava a girare intorno come se fossero due ragazzini che si fanno la corte.
-Avevo bisogno di aria-
-Beh, sicuramente non la troverai qui. Vieni, andiamo a fare una passeggiata-
Il suo sorriso era accattivante, non c’era dubbio su questo, ma Emma desiderava che fosse quello di sua moglie a proporle qualcosa del genere. Sorrise amara, poi inghiottì un grosso sorso di birra.
-Andiamo Swan, facciamo due passi. Da amici- disse alzano mano e uncino verso l’alto.
Emma ci rifletté ancora qualche attimo, si guardò attorno e si rese conto in quel momento di quanti ricordi stessero riaffiorando nella sua mente. Fu quello a spingerla ad assecondare la richiesta di Hook, dunque prese la sua giacca e seguì l’uomo fuori il locale. Passeggiarono affiancati per diverso tempo senza dire una parola. Emma non riusciva a smettere di pensare alla sua famiglia. Anche lei era sconvolta dal mutismo della figlia, da tutto ciò che stava scoprendo in quel mondo. Non le aveva mai detto di essere stata in carcere, come Regina non aveva mai approfondito come fosse morto Graham. E quelli, erano solo alcune delle cose che avevano tenuto nascoste alla figlia. Innumerevoli pericoli erano presenti in quella realtà e forse, il più pericoloso non era la Evil Queen o il Signore Oscuro.
-Troppi pensieri, Swan? –intervenne l’uomo per intavolar una conversazione.
-Puoi biasimarmi? –
Non si preoccupò di chiedersi se il capitano fosse a conoscenza o meno della lontananza di sua figlia, era certa lo sapesse. Chiunque in città ne era a conoscenza.
-Certo che no, ma stasera punto a distrarti. E sai qual è il modo migliore per farlo, Swan? –
La donna alzò un sopracciglio, guardandola a metà tra l’annoiato e il dubbioso. Si imbatté nel suo sorriso sicuro e accattivante e pensò che forse, se Regina non avesse occupato ogni angolo del suo cuore, avrebbe anche potuto cedere al suo fascino.
-Un uomo carismatico, una nave suggestiva e dell’ottimo rum-
Emma non si era nemmeno resa conto di essere arrivata al porto e di trovarsi di fronte la Jolly Roger. Riuscì quasi a sorridere avanti alla sfacciataggine di Killian Jones.
-Per stasera hai vinto. Fai strada, capitano-
Gli occhi dell’uomo brillarono e, da vero gentiluomo, fece strada verso l’interno del suo vascello. Emma era già stata lì in altre occasioni, principalmente quando il giovane Liam Jones Jr combinava qualche bravata delle sue. La Jolly Roger era accogliente e decisamente pulita per essere gestita da un pirata, ma Hook la trattava come una figlia, curandola nei minimi dettagli. Si accomodò al tavolo, dove Killian le stava servendo in un bicchierino del rum dall’odore estremamente forte. Buttò giù il contenuto tutto d’un fiato stringendo gli occhi quando il liquido raggiunse la gola. Non ebbe nemmeno il tempo di assaporarlo, che il suo bicchiere era nuovamente pieno.
-Allora, cosa vuoi fare? Dadi, carte, approfittare di un bel capitano? –
Emma lo guardò torva solo per un attimo, poi scoppiò a ridere. La faccia sicura che aveva l’uomo era terribilmente divertente, e lei non rideva da troppo tempo ormai. Trovò ironico il suo modo di ammiccare e di gonfiare il petto quando parlava di sé stesso. Hook si sentì offeso solo per un secondo, poi seguì la donna nella sua risata.
-Sono ancora capace di far ridere una bella donna, il tempo non ha potere su di me-
-Il tempo è un gran bastardo, Killian –
Brindarono e mandarono giù un altro bicchiere. Emma si sentì bene per qualche minuto. Mentre mandava giù il rum, riusciva a non sentirsi sgretolare dall’interno.
-Allora, problemi nel meraviglioso mondo dove gli uccellini fanno le trecce agli unicorni? –
Emma quasi si strozzò con il liquore a quell’immagine tanto fatata.
-Credo tu mi stia confondendo con mia madre-
L’uomo la guardò divertito, poi fece battere i due bicchieri, brindando alle differenze generazionali, ma la donna gli fece notare che lui e la sua progenie non erano poi tanto diversi. Hook invece, si dimostrò molto fiero di suo figlio, ritenendosi orgoglioso del gran donnaiolo che aveva tirato su.
-Beh, fortuna che mia figlia non gradisca gli uomini, allora-
-Ti assicuro che la tua principessina si sta perdendo un gran bell’esemplare di maschio-
Lei rise, ricordando fin troppo bene quale faccia disgustata avesse fatto la figlia quando Liam Jones Jr aveva tentato di rimorchiare Laya. La sua non era stata solo gelosia per la proprio ragazza, Emma lo sapeva troppo bene. Aveva letto nei suoi occhi, quello stesso ribrezzo che aveva visto più volte nei suoi quando ripensava a Neal o a Graham in quelle vesti.
-Mia figlia ha gli stessi gusti raffinati di Regina-
-A tal proposito, come fa a non metterti i brividi quella donna? Insomma, ha tutte le curve al posto giusto, ma … -
-Ehi, ehi- lo stoppò alzando la mano che non conteneva il cicchetto –è sempre di mia moglie che parliamo! –
Killian sollevò l’uncino a mo’ di scuse, poi versò dell’altro rum e brindarono ancora.
Emma non aveva dimenticato i suoi problemi e le sue angosce, ma era riuscita a metterli sul ciglio della strada della sua vita, con il grande aiuto del rum, per circa cinquanta minuti. Tanto era passato da quando era entrata nel locale, a quando Regina si era materializzata nel ventre della Jolly Roger. Il suo volto si contorse in una smorfia di disgusto quando comprese dove l’incantesimo di localizzazione l’avesse portata.
-Vostra Maestà- salutò il pirata alzando verso di lei un bicchierino e poi ingurgitandolo.
Emma guardava la moglie senza riuscire a proferire una sola parola, incapace di alzarsi, o anche solo di imporre al suo viso di assumere un’espressione differente da quella sorpresa e colpevole di quel momento.
-Che diavolo stai facendo? – chiese la bruna.
I suoi occhi sembravano infuocati, raramente li aveva visti tanto furenti e addolorati.
-Solo un goccetto- rispose Killian
Regina mosse appena la mano per gettare l’uomo dal lato opposto della stanza assieme al tavolo e a tutto ciò che c’era sopra.
-Regina, calmati-
-Ti ho chiesto cosa stai facendo, Emma! –
Sulle sue guance presero a scendere lacrime di rabbia, correvano fino alle bocca accarezzando quel meraviglioso taglio sul labbro. Intanto Killian si stava rialzando a fatica alimentando la rabbia di Regina. Emma se ne rese conto in un secondo, conosceva troppo bene ogni pagina di sua moglie. Le afferrò il polso, trasportando entrambe fuori la nave. Il freddo la colpì come una pugnalata, facendola rabbrividire inaspettatamente.
-Che ci facevi qui con quel pirata, Emma?-
-Solo due chiacchiere -
-Nella sua nave scolando rum? –
Le narici della bruna si allargavano e stringevano convulsamente, dando fiato a tutta la sua rabbia. Emma sentì un uragano montarle dentro e abbattere quella parte di sé che era sempre riuscita a non farla sgretolare.
-Cosa cazzo vuoi da me, Regina! Mi hai ridotta ad uno straccio, mi hai allontanata, mi hai sbattuta fuori da casa mia! CHE ALTRO VUOI? –
Aveva urlato così forte da sentire il sangue correrle sulle guance e la vena del collo pulsare nevrotica. Il viso della donna di fronte a lei era sconvolto, non aveva mai visto Emma perdere le staffe a quel modo. Neanche quando aveva tentato di ucciderla, tanti anni prima, erano state tanto distanti.
-Io sto impazzendo, Emma! La nostra bambina…-
-Non si tratta di Lex, ma di noi! Io ho provato in ogni modo a starti vicina, a darti tutto il mio amore e il mio supporto, ma a te non importa-
Fece dei passi verso di lei, arrivò ad un centimetro dal suo viso e ne respirò l’odore misto al suo di rum. Il cuore le batteva ancora forte quando si trovava a pochi passi da lei.
Alzò il capo e un fiocco di neve si posò sulle sue labbra. Ne seguirono altri, una vera e propria nevicata incantò Storybrooke. Gli occhi di Emma si inumidirono, e in quel momento non riuscì a trattenere le sue lacrime. Per quella volta, il suo scudo fu superato da quei fiocchi di neve appena nati.
-Sta nevicando Emma. È la prima nevicata dell’anno, ma lei non c’è e tu non sei corsa a casa-
Nelle sue parole non vi era nostalgia o dolore. Erano piatte e vuote, come quelle giornate che si erano susseguite da quando Alexis era andata via.
Ed Emma avrebbe solo voluto baciare Regina.
Ma Regina non mosse un solo muscolo nella sua direzione.
Regina restò immobile sotto la neve alla quale Emma non aveva fatto caso fino a quel momento.
Emma la superò, affondando le mani nelle tasche della giacca.
Regina rimase di spalle, ascoltando i silenziosi passi di Emma portarla via e lontana da lei.
Emma e Regina alzarono il viso verso il cielo. Dopo vent’anni, non sarebbero state tutte e tre assieme alla prima nevicata dell’anno.
 
Alexis si guardò un’ultima volta allo specchio prima di decidersi ad uscire dalla sua stanza. Lo lesse da sola che nei suoi occhi non c’era quella luce che contraddistingueva i suoi appuntamenti con Laya, ma solo una terribile paura di frantumarsi. Diede un’ultima occhiata al quaderno, una risposta da parte delle sue madri le avrebbe dato una tranquillità che sapeva di famiglia. Sarebbe stato come se l’avessero abbracciata. Ma il quaderno era muto, nessuna nuova scritta. Avrebbe affrontato la cosa da sola.
Si chiuse la porta alle spalle e scese verso il locale, magari avrebbe bevuto qualcosa prima di andare all’appuntamento. Fosse anche solo per dimenticare quel bacio tra Graham ed Emma. La sala era piena, come era immaginabile vista l’ora. Lo sguardo le cadde su Ruby che veloce e sicura come sempre, serviva i tavoli. I loro occhi si scontrarono per un solo istante, poi la ragazza le si avvicinò.
-Puzzo ancora? Perché ho fatto due lunghe docce-
Ruby annusò i suoi vestiti prima di risponderle.
-Sembra di no. Appuntamento galante? –
“Perché continuate tutti a chiederlo?”
-Cena tra … amici-
Quella parola, “amici”, le aveva fatto più male di quanto avesse creduto. Ma era proprio quella la verità, lei ed Hannah erano solo amiche. Le sembrava di essere finita in uno di quei triangoli da liceali nei quali qualcuno ne usciva inevitabilmente distrutto. 
-Divertiti- la salutò con un occhiolino.
Alexis aveva bisogno d’aria in quel momento. Si allontanò di qualche passo dal Granny’s, arrivando ad una panchina lì vicino. Passò una mano sul volto, già sconvolta da quella situazione nella quale aveva spontaneamente deciso di infilarsi.
-Alexis! –
Sbuffò, Jonas era arrivato troppo presto. Non era pronta, le serviva ancora un attimo per rimettere insieme i pensieri. Ma lui era lì ormai e non poteva farci niente. Alzò una mano in segno di saluto, e attese che si avvicinasse alla panchina dove si era rifugiata. Sul suo viso un grosso sorriso buono.
-Hannah è in ritardo, come sempre-
-Fa niente-
Laya non era mai in ritardo, semmai in anticipo. Laya era di una puntualità disarmante, tanto da sbuffare tutte le volte che doveva aspettarla.
Jonas si accomodò accanto a lei, tirò fuori il cellulare dalla tasca asserendo che l’avrebbe chiamata. Alexis non riuscì a non soffermarsi sulla foto che c’era come sfondo del telefonino; lui ed Hannah guardavano l’obiettivo sorridendo. I loro occhi brillavano e i sorrisi erano identici. Lo stomaco si strinse in una morsa incontrollabile, minacciando di tornare a rigirarsi dentro di lei e costringerla a vomitare ancora.
-È bella vero? – le chiese Jonas.
Avrebbe voluto rispondere che lo sapeva perfettamente quanto Laya fosse bella, che conosceva quello sguardo, quel sorriso e che erano sempre stati suoi. Erano sempre stati rivolti solo a lei. Ma si limitò ad annuire.
-Ha insistito tanto per fare questa foto- le spiegò il ragazzo.
 
-Andiamo Lay! Lasciamela attaccare, è già un miracolo avere una foto con te-
-Perché lo sai cosa penso di quegli aggeggi infernali-
Alexis roteò gli occhi, lei e le sue fisse gitane. Non riusciva proprio a capirla quell’assurda convinzione secondo la quale uno scatto potesse rubarle l’anima.
-È solo una foto, Laya-
-Che hai scattato cogliendomi di sorpresa, io non la volevo-
 La minore sbuffò, le saltò addosso costringendola stesa sul letto della sua minuscola camera. Guardò ancora una volta la foto prima di sorriderle furba.
-Cos’è quel sorrisino, principessina? –
Alexis si allungò sopra la sua testa e batté la foto sulla testata del letto. Quando staccò la mano dal muro, l’immagine restò incollata lì.
-Che hai fatto? –
Laya si alzò di scatto dal letto, ignorando il fatto di avere la sua ragazza addosso. Esaminò con attenzione il punto in cui poco prima c’erano le dita dell’altra sconvolta.
-Hai seriamente attaccato una foto, che non volevo fare, magicamente al mio muro, Alexis Swan-Mills? –
La vide ridere, felice come una bambina. Per quanto provasse ad infuriarsi con lei, i suoi occhi verdi erano troppo luminosi per permetterglielo. L’afferrò per i fianchi facendola sdraiare sotto di sé.
-Ti spetta una punizione- soffiò sulle sue labbra.
Per tutta risposta l’altra alzò un sopracciglio, senza smettere di sorridere.
-Vuoi sul serio prendertela con la figlia dello sceriffo e del sindaco? –
-Assolutamente sì. E pensa un po’, non sono nemmeno più a rischio di galera da ben quattro giorni! Per lo stato del Maine ormai sei maggiorenne, ragazzina-
La baciò con passione. Entrambe sapevano che avrebbero lasciato quel letto solo dopo aver fatto l’amore.
 
-Oh eccola-
Alexis si scosse alla voce di Jonas, aveva fatto ciò che si era ripromessa di evitare. Vedere Laya in Hannah avrebbe finito per torturarla quella sera, ma scinderle l’avrebbe uccisa. Alzò lo sguardo sulla ragazza che correva verso di loro e fu costretta ad ingoiare tutto il suo dolore. Hannah era bellissima nel suo vestito blu, una copia meravigliosa di un qualcosa di già perfetto. Non aveva mai avuto il privilegio di ammirare Laya in un qualcosa di diverso dai suoi pantaloni. Per quanto strana e diversa, era incantevole. Era abbastanza certa di essere rimasta immobile a fissarla a bocca aperta, ma era l’unico modo per non impazzire.
-Scusate il ritardo-
Il suo sorriso fu dolce e gentile, lo sguardo dispiaciuto per aver fatto attendere i suoi ospiti.  Alexis cercò la via più dolorosa, cercò i suoi occhi. Erano scuri come sempre, carichi come sempre, belli come sempre, ma così lontani da Laya. Sentiva di star impazzendo, se non riusciva a ritrovarla nemmeno lì, dove era così abituata a perdersi senza farlo davvero, non c’era più niente che avesse realmente un senso. Hannah baciò Jonas sulle labbra sorridendogli, un’ennesima stilettata al cuore. Disse qualcosa anche a lei, ma non riuscì a sentirla. Aveva le orecchie piene del suo battito e del suo dolore. Il fiatone le impediva di avere un respiro regolare, ma nessuno dei due suoi compagni se ne accorse. Avevano l’uno occhi solo per l’altra, incapaci di staccarsi e capaci di ucciderla più di quanto non avesse fatto tutto il resto. Laya non era mai stata una persona così espansiva, piuttosto che permetterle di camminare per Storybrooke attaccata al suo braccio, se lo sarebbe fatto tagliare. Si passò le mani sul viso dopo quell’ultima costatazione, più passavano i minuti più si rendeva conto di quanti lividi avrebbe portato a casa.
-Lex, stai bene? – le chiese la voce dolce di Hannah.
Alzò gli occhi sul suo viso e si scontrò contro uno sguardo preoccupato e crucciato. Cercò di respirare a fondo, di rispedire giù tutto ciò che aveva in gola. Ma quegli occhi restavano su di lei come una scure.
-S-si, Hannah. Sto bene-
-Sicura? Sei pallida-
Alexis deglutì ad occhi chiusi prima di risponderle ancora, le dita attorno all’arpa.
-Non è niente-
Hannah si avvicinò, le scostò delle ciocche dalla fronte e rimase a guardarla ancora qualche secondo dritto nelle iridi. Sul suo viso si allargò poi un sorriso, uno di quelli che era solita rivolgerle sua nonna; buono e amorevole.
-Allora andiamo-
La coppia si avviò verso l’auto di Jonas e Alexis obbligò i suoi piedi a seguirli. Si sentiva incapace di intendere e volere, come se l’unica motivazione che muovesse i suoi arti fosse una calamita incastonata nel petto di Hannah.
Una volta in macchina, i due presero a chiacchierare delle loro giornate e di cosa avessero fatto, di cosa avrebbero cenato e come avrebbero passato quel fine settimana. Lei, si limitò a guardare fuori dal finestrino, ignorando le loro parole. Trovò più interessante, e salutare, osservare un certo angolo nel quale aveva baciato Laya o quel negozio che aveva chiuso in favore di una pizzeria. Il suo sguardo si soffermò sulla biblioteca chiusa e su ciò che sapeva celare, sulla bottega di Marco che ormai era un negozio di giocattoli e sulla scuola ancora troppo piccola. La città antica sfrecciava al suo fianco, gli occhi percepivano ciò che vedeva, ma la mente rimandava a casa sua e alla sua realtà. Casa le mancava, le mancava ogni giorno. Le mancavano le sue mamme e il loro continuare ad amarsi insistentemente nonostante gli anni; sua nonna e il suo continuo ottimismo che le avrebbe fatto un gran bene in quel momento; Gideon con la sua solita comprensione e quel suo modo di capirla sempre e in ogni situazione; persino Leo e il suo stuzzicarla, le mancava. 
Quando l’auto si fermò e la voce di Hannah annunciò il loro arrivo, i suoi pensieri svanirono in un attimo. Per un solo istante, si era proiettata a casa sua e la voce che parlava non era altro che la sua Laya. Ma quegli occhi, per quanto scuri, non avevano nulla di magnetico.
-Lex, scendi. Dove hai la testa stasera? -
Iniziava a pentirsi di averle permesso di chiamarla a quel modo, ogni volta era una pugnalata al cuore. Faceva quasi più male di vedere ogni volta la cicatrice alla base sinistra del collo a ricordarle le sue colpe.
-Eccomi-
Casa Dolls l’aveva immaginata completamente diversa, nella sua mente si sarebbe dovuta presentare come casa di Laya. Ma quella che aveva avanti, era una villa a due pieni, con un grande giardino e un fienile accanto. Nel cortile, l’enorme cane bianco scodinzolava felice attendendo la sua padrona. 
-Ciao, Jasper! -
Gli grattò dietro le orecchie, regalando al cane un enorme sorriso. Poi lo superò dirigendosi verso l’ingresso seguita dagli altri due. Aprì la porta annunciandosi, sfilò il cappotto posizionandolo sull’appendiabiti dell’ingresso e fece segno alla ragazza di seguirla. Jonas andò avanti senza alcun tipo di problema, mettendo in bella mostra quanto fosse ormai di casa in quella famiglia. Sentì un uomo, che ipotizzò fosse suo padre, salutare affettuosamente il ragazzo. Si guardò intorno, l’arredo sembrava molto vicino a quello di casa sua con tutto il bianco che vi regnava. Si era chiesta per anni per quale assurda ragione sua madre avesse optato per quel colore nonostante Emma vivesse con lei. Sorrise ricordando le infinite volte in cui dalla sua camera sentiva Regina inveire contro la moglie circa una nuova macchia sul divano o sul tappeto. 
-Ehi, sicura di star bene? -
Hannah le si era avvicinata sfiorandole una mano, sul viso la sua espressione preoccupata. Rimase immobile a guardarla per diversi secondi prima di ricordarsi come si parlasse. 
-Scusami, mi ero persa ad ammirare la casa- mentì.
-Sono felice ti piaccia- rispose felice- Ma ora vieni, ti presento i miei genitori-
La scortò in sala da pranzo dove l’attendeva il resto della famiglia.
-Mamma, papà, vi presento Alexis Agnès-
Laurel Dolls era una donna sulla cinquantina di bell’aspetto e molto elegante. Aveva qualche chilo di troppo, ma niente che il vestito nero non riuscisse a nascondere. Capelli castano scuri e occhi azzurro spento, le ornavano il viso sottile. 
-Sei in ritardo, Hannah. È un piacere signorina Agnès-
-Scusami, mi sono fermata in farmacia-
La donna le strinse la mano con freddezza, limitandosi a concederle un rapido sguardo di cortesia. 
-La nuova eroina di Storybrooke, in città non si parla d’altro-
Malcom Dolls era un uomo di bell’aspetto, capelli neri e stessi occhi azzurri della moglie, solo più luminosi e vivi. Il fisico temprato, nonostante non fosse altissimo, e uno sguardo duro la misero a disagio. Le tese la mano e si soffermò diversi secondi a stringerla, scrutandola. 
-Ho solo fatto ciò che dovevo-
-La modestia è per i perdenti, signorina Agnès, e di sicuro lei non lo è-
Si guardarono per qualche secondo negli occhi, l’uomo aveva un carisma che avrebbe fatto invidia a chiunque. Ci pensò Jonas a spezzare quell’incontro, dando una pacca sulla spalla al signor Dolls e prendendo a parlare di sport allontanandosi. 
-Gli uomini e lo sport, è proprio vero amore- 
Le parole di Hannah furono un pugno nello stomaco, non aveva mai sentito Laya pronunciare le parole “vero amore”. Si era sempre limitata a pensare che quel genere di destino non esistesse, nonostante uscisse con la figlia della Evil Queen e nipote di Snow White. L’unica, anche per quello, capace di trainarla fuori da quel mondo sempre troppo fiabesco. 
Non le rispose, non aveva idea di cosa dirle. A toglierla dal suo imbarazzo fu la Signora Dolls, annunciando che la cena era a tavola e di prendere posizione. Hannah e Jonas si accomodarono vicini, i padroni di casa si posizionarono a capotavola lasciando a lei tutto il lato destro della tavola. Al centro di essa, del pollo arrosto con patate faceva bella mostra di sé. 
-Allora, Signorina Agnès, ci racconti di lei. Cosa fa a Storybrooke la nuova stella della città? - le chiese la donna. 
Alexis attese di riposizionare il piatto pieno sul tavolo prima di rispondere. Approfittò di quei pochi secondi per cercare una risposta che non sembrasse una bugia così palese. Una volta aveva detto ad Hannah di cercare cose, poteva essere una buona base. 
-Io porto avanti la tradizione di famiglia-
-E quale sarebbe l’attività della sua famiglia? – chiese la donna.
-Troviamo le persone-
Sorrise alla sua stessa risposta, a quella sua mezza verità. In effetti, stava cercando di ritrovare il suo amore e quello era vero, la sua famiglia lo faceva. Persino Emma aveva lavorato come cacciatrice di taglie a Boston, prima che il suo destino si compisse. Il suo sorriso si allargò al pensiero della madre, del loro meraviglioso rapporto. Persino Hannah lo notò specchiandocisi.
-State con la polizia? – chiese Jonas con un boccone tra i denti.
Alexis chiuse per un secondo gli occhi di fronte a quel comportamento tanto poco elegante, l’influenza di Regina ringhiava contro i suoi muscoli. Eppure Hannah ne rise, prendendo poi un tovagliolo e pulendogli l’angolo destro delle labbra.
-Qualcosa del genere- rispose disgustata non seppe bene per quale delle due cose.
-Oh bene, molto bene. Il suo senso civico glielo hanno insegnato i tuoi genitori? – le chiese il Signor Dolls, l’unico a non parlarle con aria di superiorità.
-Si signore, mia madre è il si… - si morse la lingua giusto in tempo, riavvolse i pensieri e diede una risposta più idonea- mia madre ci tiene molto affinché io sia una buona cittadina-
Jonas borbottò qualcosa che non riuscì a cogliere, Hannah sorrise prendendogli una mano tra le sue. Poi prese un pezzetto di arrosto dal suo piatto e lo allungò a Jasper, carezzandogli poi il capo.
-Hannah, sai che non voglio che tu dia da mangiare al cane dal piatto. Santo cielo, abbiamo ospiti-
La ragazza si scusò, abbassando il capo mentre si puliva le dita sul tovagliolo.
-Allora- riprese poi la donna- quando avete intenzione di andare a convivere, voi due? Il tempo stringe–
Il boccone che Alexis stava masticando si infilò in modo subdolo nella gola, costringendola a tossire forte per evitare di strozzarsi. Laya non ne aveva mai nemmeno accennato per scherzo, non era mai rimasta a dormire a casa sua, o quanto meno non ufficialmente, o si erano concesse un weekend fuori oltre al suo diciottesimo compleanno. Laya era un essere talmente abitudinario e fedele ai suoi schemi, da non tollerare le sue improvvisate. Come il pomeriggio in cui Alexis si era presentata al Rabbit Hole con un proiettore, poiché la maggiore non voleva saperne di andare al cinema. Il massimo che le avesse mai concesso, era stato di addormentarsi con lei dopo il sesso per poi sgusciare via dal suo letto nel cuore della notte.
-Mamma, non mi sembra il momento di parlarne ora- rispose la ragazza imbarazzata.
Si avvicinò maggiormente al ragazzo, stringendosi al suo petto e lasciandosi abbracciare. Alexis sentì i polmoni svuotarsi e non riempirsi ancora, una familiare sensazione di soffocamento le invase la gola. Chiuse gli occhi, si tenne lo stomaco con una mano e si aggrappò all’arpa con l’altra. Costrinse ogni sua fibra a resistere, quella poteva essere l’unica occasione di esserle tanto vicina come in quel momento.
-Non metterla in imbarazzo, Laurel. Abbiamo ospiti illustri- l’aiutò suo padre.
Per quanto non avrebbe voluto, Alexis si ritrovò ad arrossire. La gentilezza che aveva avuto l’uomo nei suoi confronti, per un attimo, la face sentire più vicina a casa.
-Ancora non ho capito che ci facesse quel bambino in quel posto- asserì Jonas rivolto verso l’ospite.
-Lui stava … giocando- mentì.
-In un posto del genere? E dove era sua madre? –
Alexis lo incenerì con lo sguardo, sentendosi punta nel vivo.
-Non credo tu possa capire la solitudine che comporti essere il figlio del sindaco della città-
I suoi toni risultarono fin troppo duri, ma non poté evitarlo.
-Perché tu sì? -
Attimi di silenzio regnarono nella sala da pranzo di casa Dolls, Alexis si morse la lingua per la seconda volta. Si, sapeva perfettamente cosa significasse. Lo sapeva fin troppo bene. Aveva un’esperienza di quasi vent’anni per quanto riguardava le mezze parole alle spalle, il silenzio ai suoi passaggi e la solitudine che poteva comportare. Nel suo caso era stata fin troppo fortunata, aveva Gideon, Leo, Laya e tutta la sua enorme famiglia.
-Credo che Henry si senta solo e che abbia l’impressione di non essere compreso da nessuno-
Non sapeva nemmeno lei perché si prodigasse tanto per tentare di spiegare ciò che comportava essere figlio unico di genitori in vista. Dubitava fortemente che Jonas potesse comprenderlo. 
-Secondo me è strano- ribatté il ragazzo.
-Jonas! Non è una cosa carina da dire- lo ammonì Hannah. 
Alexis si sentiva ribollire di rabbia, non gli andava per niente a genio quel ragazzo. Non poteva comprendere come facesse ad avere la fortuna di avere accanto una persona come Hannah. Nonostante la maledizione l’avesse allontanata da Laya, restava una bella persona. 
-E lui ti ritiene suo amico-
Era stata convinta di aver detto quella frase tra i denti, ma gli occhi puntati su di lei le mostravano il perfetto opposto. Ciò che maggiormente la colpì, furono gli occhi di Hannah, così scuri eppure così piatti. La guardava confusa, cercando di comprendere perché avesse detto qualcosa del genere. Quello sguardo, colpevole nei suoi confronti e adoranti verso il ragazzo, la lacerava in ogni punto obbligando il suo cuore a continuare a scricchiolare. 
-Jonas gli è amico, vero? -
-Certo, è solo un bambino-
Hannah gli sorrise, lasciandogli poi un bacio a fior di labbra. Tutto ciò che era riuscita ad ingoiare, tornò alla gola senza lasciarle via di scampo questa volta. Si portò una mano avanti la bocca per tentare di contenersi, ma non vi riusciva. Dedicò un ultimo sguardo ad Hannah, poi si alzò rumorosamente da tavola correndo fuori. Non era quello che le aveva insegnato sua madre, non era quello che avrebbe voluto da lei. Ma non ne poteva più. Aveva sperato che l’aria le avrebbe fatto bene, invece si accorse di non riuscire ad assimilarla. I suoi polmoni non volevano saperne di riempirsi e permetterle di tenere a bada l’affanno. Si aggrappò all’arpa, pregando che funzionasse.
-Lex? Ma che ti ha preso? -
Hannah era alle sua spalle, nel cortile di casa. Il suo sguardo era terribilmente preoccupato, le mani giunte in grembo.
-Non ne posso più- sussurrò cercando di dosare l’aria e tenere a bada le lacrime.
-Ehi, che ti succede? -
Hannah le strinse un braccio per tentare di darle supporto, non poteva sapere che quel semplice contatto peggiorava solo la situazione. Alexis alzò il capo a guardala, cercando disperata gli occhi che tanto amava.
-Come ti sei fatta quella cicatrice? - le chiese.
La ragazza portò istintivamente la mano sul collo, sfiorando la parte che era stata lesa.
-Da bambina, un cavallo si è imbizzarrito e ... -
Non continuò la frase, la bloccò la reazione dell’altra. Si passava nervosamente le mani tra i capelli e le gote piene di lacrime nuove. 
-No! Non è così! -
Le si avvicinò strattonandola per le spalle, leggendo la paura negli occhi dell’altra. Cercò in ogni modo un contatto con le sue iridi, ma più ci provava più queste erano estranee. 
-Ti prego guardami negli occhi, guardami e dimmi che non senti niente! -
-Lex, ma che stai dicendo? Mi stai spaventando. Torniamo dentro, sta anche nevicando. Ti prego-
Alexis alzò lo sguardo verso il cielo, era la prima nevicata dell’anno. Un vuoto enorme prese possesso di tutto il suo corpo, lasciando al suo interno nient’altro che il dolore che aveva tentato in ogni modo di contenere. Guardò ancora Hannah, vedendola offuscata per colpa delle milione di lacrime che le rotolavano giù per le guance. La guardò a lungo, lasciandosi uccidere da quei suoi occhi pietosi. Sentiva di star per scoppiare, di essere sul precipizio pronta per cadere nel baratro. E lo vide, profondo e doloroso.
Le prese il volto tra le mani e la baciò.
Non appena le loro labbra si toccarono, un’onda magica le travolse scagliandole ai poli opposti del cortile ed investendo l’intera città. Ad entrambe mancò il fiato per diversi secondi per via dell’impatto. Alexis si massaggiò un fianco, era caduta ponendo tutto il peso sulla sinistra. Annaspò per mettersi quanto meno seduta.
-Lex-
Non ebbe bisogno di alzare il capo per capire che chi la chiamava non era Hannah. Per comprendere che di fronte a lei, c’erano gli occhi che aveva cercato per tanti mesi. Era lì, in ginocchio e con una mano attorno alla vita.
-La… Laya! –
Corse contro di lei ignorando il dolore, ignorando la vista appannata e il cuore che batteva tanto forte da farle male e soffocarla. Si gettò su di lei abbracciandola e Laya rispose, Laya la tenne stretta. Respirò a fondo l’odore della minore, nella testa i suoi ricordi si mescolavano con quelli di Hannah. Sentì Alexis piangere disperata sulla sua spalla, mentre lei non riusciva a smettere di sorridere. Sorridere per il solo fatto di averla ancora tra le sue braccia.
-Ti ho trovata, finalmente ti ho trovata- singhiozzò guardandola negli occhi.
Naufragò nel suo petrolio, vagando tra onde oscure e maree nere. Si perse tornando a casa dopo tutto il tempo trascorso lontana. Si ritrovò nel calore che apparteneva solo ai suoi occhi, alla bellezza che aveva quella rara forma di magia.
-Lex, torna qui-
Laya le carezzò una guancia, senza riuscire a smettere di sorriderle. Ma quel sorriso durò poco. I suoi occhi mutarono sotto lo sguardo della minore, come se qualcuno li stesse ridisegnando.
La stessa onda magica che solo pochi attimi prima si era estesa per tutto il perimetro di Storybrooke tornò a colpirle ancora sollevando solo vento. Laya, in ginocchio con Alexis tra le braccia, tornò imprigionata nella mente di Hannah. E Hannah, la fissava come se fosse un mostro. Si portò le mani alle labbra, nei suoi occhi un disgusto che non aveva mai visto in nessun altro.
-Tu… tu mi hai baciata! –
Alexis non riuscì a parlare, avrebbe voluto. Si sarebbe messa a urlare se ne avesse avuto la forza, ma perdere ancora Laya le aveva portato via ogni cosa. Perché per la seconda volta, era sparita per colpa sua.
-Mio Dio, sei quel genere di persona? -
I suoi occhi verdi si riempirono di nuove lacrime, tentò di rimettersi in piedi, ma le gambe non la sorreggevano. Hannah si era alzata, abbandonando le sue braccia, e si era allontanata da lei stringendosi le braccio attorno al busto.
-Vattene da casa mia e non tornarci. Non voglio vederti mai più-
Corse in casa, con l’unico desiderio di lasciarsi abbracciare da Jonas e dimenticare ciò che l’era appena accaduto. Alexis, invece, rimase pe terra sotto la neve che cadeva copiosa. Rimase immobile, tentando di non vomitare e di non impazzire.
Non solo aveva fallito, ma le era stata sbattuta in faccia le certezza di non poter risvegliare Laya. Perché lei non era sua madre, non era la Salvatrice. Non rappresentava altro che una pallida imitazione della grande donna che Emma era stata. Una giacca di pelle rossa simile alla sua non bastava a renderla tale, non bastava a spezzare una maledizione. Scoppiò a piangere, le lacrime si fondevano con la neve che si incollava al suo viso. Pianse nascondendo la vergogna del fallimento nei palmi delle mani, ignorando il freddo e i vestiti che iniziavano a bagnarsi.
-Ehi, tu! –
Sollevò appena lo sguardo, giusto il tempo di incontrare la maschera di rabbia di Jonas. Il ragazzo si avvicinò con fare minaccioso, la sollevò di peso per un braccio strattonandola fino al cancello del giardino di casa Dolls. Alexis glielo lasciò fare, non aveva le forze per ribellarsi. Si sentì trasportare finché Jonas lo reputasse opportuno, finché non le lasciò il braccio poco fuori la tenuta.
-Sta lontana da Hannah, hai capito! –
Non protestò.
Non rispose.
Non si mosse.
Rimase immobile ad ascoltare il suo cuore polverizzarsi nel petto, a prepararsi per far suo quel dolore che non era mai riuscita a vincere.
 
-Emma, ferma! Ti prego non te ne andare! –
Henry rincorreva la donna cercando di non inciampare nei propri piedi. Emma aveva caricato i suoi bagagli nel maggiolino e si stava accingendo a partire per lasciare Storybrooke.
-Emma, lascia che ti spieghi! –
-Non c’è niente da spiegare, ragazzino. Questa città è una banda di matti ed io non ci resterò un minuto di troppo e non dovresti nemmeno tu –
Henry non riusciva a capire, d’un tratto c’era stata un’onda magica che aveva investita tutta la città riportando gli abitando di Storybrooke a fare i conti con la maledizione. Lui ed Emma erano da Mary Margaret quando il sortilegio oscuro si era spezzato, e lì, Snow White aveva incontrato per la prima volta sua figlia. Aveva provato a spiegarle che era nata nella Foresta Incantata, che lei e suo marito avevano fatto di tutto per proteggerla sperando che un giorno sarebbe tornata per salvarli e che era stata trasportata in quella dimensione da un albero. Poi era tornato tutto come pochi attimi prima, lasciando Emma con una confusione enorme nella testa e la certezza di essere circondata da folli. Quindi aveva radunato le sue cose ed era scappata via.
-Ti porterò via da qui, ragazzino. Salverò almeno te–
-Non devi salvare me, ma tutti. Ti prego mamma, stammi a sentire-
Emma chiuse con forza il bagagliaio della sua auto e aprì lo sportello dal lato del guidatore. Alzò appena il capo, riflettendo sul fatto che avrebbe dovuto attendere che smettesse di nevicare prima di lasciare i confini della città.
-Mi dispiace, questa cosa è più grande di me-
Salì in macchina e partì, senza voltarsi indietro nemmeno una volta. Henry la chiamò a gran voce, ma fu tutto inutile. Si chiuse il cappotto e si avvolse meglio la sciarpa intorno al collo, ormai nevicava forte. Girò sui tacchi con l’intento di cercare Alexis, lei avrebbe potuto aiutarlo a comprendere cosa stesse accadendo. Quasi si spaventò quando la vide camminare sotto la neve, con lo sguardo perso nel vuoto. Le corse incontro, parlando ad una velocità tale da non comprendere nemmeno egli stesso cosa stesse dicendo. Ma si accorse che la ragazza, bagnata dalla testa ai piedi, non lo stava ascoltando.
-Alexis? Che è successo? –
Lei lo guardò senza vederlo davvero, cadde sulle ginocchia e scoppiò a piangere di nuovo. I suoi singhiozzi riempivano ogni cosa, le sue lacrime si fondevano con la mani bagnate di neve.
-Ho fatto un casino, Henry. Ho rovinato tutto! Ed è anche la prima nevicata dell’anno. Ho rovinato tutto! –
Il bambino non sapeva cosa pensare, ma si limitò ad abbracciarla perché nonostante i suoi undici anni, aveva perfettamente capito quanto l’altra fosse distrutta. E soprattutto, quanto ormai fossero lontani mente e corpo. Per cui l’aiutò, per quanto riuscì, quanto meno a rientrare nella sua stanza e a mettersi qualcosa di asciutto addosso.
 
Alexis passeggiava con Laya quando un fiocco di neve le era caduto sul naso. Gli occhi della ragazza si illuminarono, un enorme sorriso nacque sul suo viso.
-La prima nevicata dell’anno! – esclamò felice.
Prese Laya per la giacca e la trascinò per le strade urlandole di seguirla. Le proteste della maggiore furono unitili e più provava a dirle di star attenta a dove mettesse i piedi, più l’altra correva veloce con lo sguardo verso l’alto. Laya non capiva quel comportamento improvviso, non poteva capirlo, ma per Alexis c’era una tradizione che durava ormai da quasi diciotto anni. Perciò non poteva far altro che correre verso casa, certa che le sue madri stessero facendo lo stesso. Quantomeno Emma.
-Lex, rallenta! –
-Muoviti, lumaca! È la prima nevicata dell’anno! –
Laya aveva visto poche altre volte quel sorriso tanto bello quanto sincero sul volto della ragazza, era quel sorriso che gridava “famiglia”, qualcosa di tanto magico che non poteva essere sprecato per tutti i giorni. Mentre le arrancava dietro, non poteva fare a meno di pensare a quanto amasse Alexis Swan-Mills e quanto fosse grata per essere stata testimone di quel sorriso. La ragazza correva a perdifiato, fregandosene della neve che stava iniziando a scendere copiosa e del rischio di rompersi l’osso del collo scivolando sul ghiaccio. Semplicemente era euforica e non riusciva a smettere di ridere.
-Perché siamo corse a casa tua? –
-Silenzio- le intimò con un dito sul naso e gli occhi brillanti.
Entrò nel cortile di casa a passo moderato, come se non volesse farsi sentire. Laya trovò fosse comunque impossibile dato il manto bianco che attutiva i suoi passi. Sfilò i guanti passandoglieli e raccolse dalla staccionata un po’ di neve appena caduta per farne una palla.
-Ti verranno i geloni- la rimproverò Laya, ma l’altra non stava ascoltando.
Si guardava furtiva attorno, alla ricerca di qualcosa. Si rese conto troppo tardi di cosa stesse per succedere.
Una palla di neve giunta da dietro l’albero di mele colpì Alexis in pieno, questa rispose al fuoco lanciando la palla che aveva precedentemente preparato e sbrigandosi a farne una seconda.
-Sta giù! – le gridò.
E Laya non poté far altro obbedire. Una serie di palle di neve arrivavano e partivano da entrambi i lati, tra le risate delle due Swan. Laya si sporse solo un attimo dalle spalle della sua ragazza, qual tanto che le bastò a vedere dall’altro lato della trincea Emma, pronta a far fuoco sulla figlia.
-Ti sei portata i rinforzi, Lex? Sai di non poter battere la regina della guerra di neve! –
-Laya è praticamente inutile, e la regina sono io! –
Non si sentì offesa da quelle parole, era ben consapevole che il massimo che avrebbe potuto fare in quella situazione era evitare di essere colpita. E poi, aveva imparato bene a non mettersi in mezzo nelle guerre personali tra Emma e Alexis.
Le palle di neve continuarono a volare, madre e figlia ridevano come matte lanciandosi finti insulti circa le proprie abilità strategiche. La ragazza corse dietro ripari di fortuna pur di avvicinarsi all’albero di mele, base operativa di Emma. Laya rimase a guardarle divertita, sembravano due bambine di massimo otto anni.
-Perché non ti arrendi quest’anno, mamma? –
-Perché dovrei farlo, figlia? –
Emma aveva capito che l’intento della ragazza era coglierla alle spalle, dopotutto si definiva la regina di quel gioco! Per cui continuò a lanciare palle di neve bombardando la ragazza e al tempo stesso diede vita ad una vera e propria muraglia di ghiaccio per coprire il fianco scoperto. La protezione prese vita velocemente con l’ausilio della magia.
-Ehi! Stai imbrogliando, non si usa la magia! –
Strillò la ragazza indignata.
-Ha ragione Signorina Swan, non si usa la magia- intervenne Regina.
La donna era appena arrivata ed aveva fatto appena in tempo a scendere dalla sua auto che si era già ritrovata a dover fare da arbitro tra madre e figlia. Emma fu costretta ad abbattere il suo muro, ma non aveva considerato che Alexis avrebbe sfruttato l’arrivo dell’altra madre come distrazione per poter attaccare. Corse in direzione dell’albero e saltò su Emma cogliendola alle spalle e facendola cadere sul manto bianco sotto di loro.
-Ho vinto! – esclamò senza alzarsi dal corpo della madre.
-Non vale! Regina mi ha distratto-
-Non trovare scuse, mamma. Hai perso! –
Regina si avvicinò al resto della sua famiglia seguita da Laya. Tra le due si era creata una tacita accettazione dettata dall’amore per Alexis, riuscendo dunque a trascorrere momenti simbolici come quello senza fingere.
-Tesoro, lascia alzare tua madre. Ormai ha un’età-
Alexis si tirò su scoppiando a ridere, Emma invece tirò fuori l’espressione più offesa che potesse trovare. Asserì di non essere assolutamente vecchia, rialzandosi con un colpo di reni da far invidia a qualsiasi ragazzino.
-Visto? Sono in perfetta forma-
-Ne riparliamo stasera, quando soffrirai con la schiena e mi chiederai di massaggiartela-
Alexis rise ancora più forte, piegandosi in due e tenendosi sulle ginocchia. Anche Laya rise, in modo molto più educato e dignitoso. Erano tutti così concentrati a tenersi lo stomaco che nessuno notò la palla di neve che arrivò dritto sui capelli del Sindaco Mills. L’espressione della donna fu di sorpresa per pochissimi secondi, poi arrivò lo sguardo omicida. Con un solo movimento del polso, una ventina di palle di neve si posizionarono alle sue spalle, pronte a colpire al suo segnale.
-Scappa mamma! –
Alexis ed Emma presero a correre per tutto il cortile, cercando di evitare i colpi di Regina. Laya non riusciva a smettere di ridere. Era una visione colma di armonia vedere la ragazza e la donna correre per evitare palle di neve magiche, la perfetta rappresentazione della famiglia ideale.
-La magia non vale, Regina! Sono sempre state queste le regole! – protestò Emma presa d’assalto.
-Le regole mi esoneravano anche da qualunque tipo di attacco, Signorina Swan- rispose la donna ridendo.
-Ti difendo io mamma! –
Alexis si piazzò di fronte il corpo della donna con in braccio una serie di palle da usare. Le lanciò manualmente una ad una, cercando di colpire sia sua madre che la sua ragazza. Quest’ultima si sentì chiamata in causa e rispose al fuoco a sua volta. Nel frattempo anche Emma si era alzata dando man forte alla figlia.
-Dividiamoci, una per una! –
La donna inseguì sua moglie, che aveva difficoltà oggettive a scappare sulla neve con i tacchi, mentre Alexis prese d’assalto Laya. Tra le due coppie iniziò un duello senza risparmiarsi, a colpi di palle di neve e risate. Emma si limitava a cercare di proteggersi dagli attacchi dell’altra donna e tentare, per quanto vi riuscisse, a lanciare qualche colpo a sua volta. Alexis, invece, prese a rincorrere Laya per tutto il giardino continuando a lanciale palle di neve. La mora non era allenata e nemmeno preparata ad una simile battaglia e ci mise poco a farsi prendere. Alexis l’afferrò per i fianchi facendola rotolare nella neve. Si ritrovarono l’una sull’altra, col fiatone e le gote rosse per il freddo. La più piccola non poté far a meno di pensare, per l’ennesima volta, a quanto meravigliosi fossero quegli occhi scuri. Il sorriso che dominava il volto di Laya, era un insulto definirlo bellissimo. Lo baciò, facendo scontrare le labbra fredde di entrambe.
-Ti ho presa- sussurrò Alexis.
-Mi hai presa- ripeté Laya.
Si scambiarono ancora un altro freddo bacio, lì tra la neve del giardino del 108 di Mifflin Street. Le riportò alla realtà gli schiamazzi delle altre due donne.
Solo quando Regina si dichiarò sconfitta, sostenuta da Laya ancora stesa nella neve ma libera dal corpo di Alexis, le due sfidanti si fermarono. Madre e figlia si guardarono festeggiando la vittoria con un urlo di battaglia e saltando facendo scontrare i propri petti.
-Che eleganza- borbottò Regina.
-Completiamo la tradizione? – propose Emma.
Laya raggiunse la ragazza, cercando di pulirsi gli abiti alla meglio. Il suo sguardo interrogativo non sfuggì a nessun membro della famiglia Swan-Mills.
-Ti spiego in casa- le rispose sorridendole.
Regina scortò tutta la famiglia all’interno, invitando Emma ad accendere il fuoco nel camino e la figlia a recuperare asciugamani puliti per tutti. Lei, nel frattempo avrebbe preparato della cioccolata calda con cannella e panna per Emma, cioccolata semplice per Alexis e del caffè per Laya. Si riunirono poi accanto il camino, sedute sullo spesso tappeto del salotto, avvolte in coperte e con le loro tazze tra le mani.
-Siamo state grandi, mamma- disse Alexis battendo il cinque con Emma.
-Per quest’anno dichiariamo la parità per invasione di campo- sentenziò la donna.
Scoppiarono a ridere. Emma avvolse le spalle di sua figlia stringendola in un abbraccio.
-Lo fate spesso? – chiese Laya prendendo poi un sorso del suo caffè bollente.
 -Ogni prima nevicata dell’anno. Per la prima mia madre fece un pupazzo di neve e lo animò- raccontò la ragazza guardando Emma con amore- Il secondo uscimmo a giocare assieme, il terzo facemmo la prima battaglia a palle di neve. È diventata una tradizione di casa Swan-Mills giocare fuori alla prima nevicata-
Laya ascoltò con estrema attenzione, rapita dalle parole della ragazza e dagli sguardi adoranti di ogni membro della famiglia. A casa sua non esistevano usanze simili, erano sempre stati molto indipendenti nonostante si volessero un gran bene.
-Lo fate tutti gli anni? –
Alexis annuì, un gran sorriso sul volto.
-Non ne abbiamo mai saltato uno. Ovunque siamo lasciamo tutto e corriamo qui-
-I privilegi di essere sposata con il Sindaco- aggiunse Emma strizzando l’occhio a Laya.
Regina l’ammonì con un bonario rimprovero che ebbe il solo risultato di far nascere una nuova risata.
Laya guardò Alexis e non poté che unirsi a quella gioia, infinitamente grata di essere stata ammessa a quel rituale sacro di famiglia.
Alexis guardò Laya, commossa al pensiero che quella straordinaria ragazza non solo fosse innamorata di lei e sedeva nel salotto di casa sua assieme alla sua famiglia, ma sorrideva come glielo aveva visto fare poche volte nella sua vita.
Amava infinitamente la sua famiglia, tutta la sua famiglia.  
 
  
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