ANOTHER MISSING PUZZLE PIECE
«Il freno Paul! Premi il fre... »
Sbam
«Ops! Scusa zio.» Paul Hummel-Anderson si girò verso lo zio sfoderando i suoi migliori occhioni da cucciolo.
«Il centrale Paul! Il freno è il pedale centrale!» Con fare stizzito Sebastian uscì dall’auto per andare a controllare i danni riportati. Almeno Paul aveva avuto la decenza di andare a sbattere contro un segnale stradale e non contro un’altra vettura. Il danno non era grave, ma nemmeno tanto piccolo. Il parabrezza era solo ammaccato, ma il fanalino di destra era completamente distrutto. Danni peggiori li aveva riportati il povero segnale di senso unico che adesso sembrava essere più storto della Torre di Pisa! Sebastian si pizzicò il ponte del naso con l’indice e il pollice della mano destra. Dentro di lui c’era una vera e propria lotta: la sua indole civica di avvocato lo spingeva ad assumersi le responsabilità del suo amato nipote (e le sue per aver accettato di avergli fatto da insegnante!) e pagare i danni per quanto accaduto; ma l’indole Smythe… beh quella gli suggeriva di salire in macchina e scappare da lì il più in fretta possibile!
«Beh dai, poteva andare peggio!» Paul aveva seguito poco dopo lo zio fuori dall'auto. Era cresciuto molto in quei quattro anni e non solo in altezza. Sì, perché alla fine i geni di Kurt si erano fatti sentire e, all’alba dei loro quindici anni, sia Paul che Everett avevano letteralmente spiccato il volo. Paul non era più un bimbetto con le guanciotte ancora paffutelle, era un giovane ragazzo di sedici anni da poco compiuti. Crescendo la sua somiglianza con il padre biologico si era notevolmente accentuata, il viso si era sfinato e scavato e gli occhi erano diventati ancora più espressivi. Le sopracciglia invece erano ancora pericolosamente simili a quelle di Blaine, così come il colore dei capelli, l’unica differenza da quelli del padre era l’assenza dei ricci (per fortuna a detta di Everett!) che con il tempo si erano appiattiti diventando solo delle leggere ondine qua e là.
Chi invece non era cambiato di una virgola era proprio Sebastian.
«Poteva andare peggio?»
«Beh zio, la macchina potevo distruggertela completamente. Invece non è successo. Sii grato per questo!» Paul rivolse allo zio il suo solito ghigno strafottente. Se fino a qualche anno prima Sebastian era stato orgoglioso di quel ghigno, marchio di fabbrica degli Smythe, da quando Paul era entrato a pieno titolo nell’adolescenza, odiava, con ogni fibra del suo essere, quel maledetto ghigno.
«Guarda è meglio se ti rimetti in macchina. Al posto del passeggero stavolta.»
«Ma zio se voglio passare l’esame devo…»
«Non con la mia macchina. Nossignore! Userai la macchina di tuo padre come Everett.»
«Zio, papà mi faceva andare a cinque all’ora sugli autoscontri, cosa pensi che farà con una macchina vera?»
«Non m’interessa e non lo voglio sapere. Tu e la mia macchina avete chiuso!» Con un gesto secco Sebastian rientrò in auto posizionandosi al posto del guidatore aspettando che Paul facesse altrettanto con il posto accanto al suo.
Sbuffando il ragazzino salì e si allacciò la cintura. Papà Blaine lo avrebbe fatto andare a due all’ora, papà Kurt… oddio lui gli avrebbe fatto una mega lezione sul motore e su come cambiare una ruota, del resto stilista o non stilista era pur sempre il figlio di un meccanico!
Paul restò imbronciato per tutto il tragitto fino a casa.
Ovviamente, siccome si riteneva un ragazzo estremamente fortunato, mentre Sebastian parcheggiava l’auto nel vialetto di Villa Hummel-Anderson, Everett, al volante dell’auto del padre, parcheggiò di fianco a quella dello zio.
«Bravissimo Evy, hai fatto un parcheggio da manuale.» Disse Blaine mentre scendeva dalla propria auto e andava a battere una pacca sulla spalla del figlio.
Paul, dal canto suo, scese dall’auto molto lentamente, facendo smorfie e moine mentre faceva il verso al padre. Everett era miss perfettino e precisino, lui… beh lui era quello dai piani diabolici e dai paraurti scassati!
«Ehi peste, com’è andata a voi?» Paul non si prese la briga nemmeno di rispondere al padre. Lo fulminò con lo sguardo e, senza degnare di attenzione il fratello, rientrò in casa.
«E’ andata così male?» Chiese Blaine al suo migliore amico. Sebastian afferrò il volto del moro con le mani e lo girò verso la propria macchina, più precisamente verso il danno che il figlio gli aveva procurato.
«Giudica tu stesso!» Everett rise tra i baffi, lui non aveva nemmeno graffiato la macchina del padre.
«Non ridere Evy! Vai da Paul e vedi come sta!» Everett salutò lo zio e si preparò a raggiungere il fratello.
«Quanto ti devo per i danni Seb?» A quelle parole l’avvocato scoppiò a ridere.
«Blaine, non ho mai accettato soldi da te e mai li accetterò.»
«Ma… Paul…» Cercò di obiettare Blaine guardando il danno che il figlio aveva procurato.
«Tranquillo, con Paul riscuoterò in un altro modo.» Il finto ghigno malefico di Sebastian non fece presagire niente di buono al cantante, ma sapeva che tra Paul e Sebastian era guerra senza esclusione di colpi.
«Ricordati però che se batti il figlio, poi devi vedertela con il padre. E non quello carino e coccoloso che ti vuole tanto bene, l’altro padre: quello che diventa una vipera se gli tocchi i suoi bambini.» La guerra tra Paul e Sebastian era divertente e comica perché era buffo vedere un adulto abbassarsi ai livelli di un ragazzino e perdere quasi tutte le battaglie. Ma la guerra tra Kurt e Sebastian… beh quella era epica! E a Blaine piaceva di tanto in tanto spargere un po’ di benzina sul fuoco.
«Blaine per piacere, non ho mai avuto paura di Kurt e mai ne avrò.» Il moro inarcò le buffe sopracciglia che suo marito tante volte gli aveva supplicato di sistemare.
«Se non hai paura di mio marito che ne dici di entrare dentro?» Il volto di Sebastian sbiancò in un attimo e Blaine dovette farsi vera violenza fisica per non scoppiare a ridere in faccia al suo migliore amico. Il fatto era che solo pochi giorni prima Sebastian aveva avuto la brillante idea, sempre perché stuzzicare Kurt era il suo più grande divertimento, di mandargli uno di quei video pornografici via messaggio. La sfortuna (se per Sebastian o per Kurt quello Blaine doveva ancora stabilirlo) fu che il messaggio non lo aprì Kurt ma Everett che stava sistemando il cellulare del padre. Beh la parte di sfortuna di Kurt era che, sebbene Everett ormai fosse grande abbastanza da sapere cosa fosse il sesso, anzi Blaine sospettava che lui e il suo caro gemellino si dessero da fare sui siti porno, per Kurt lui era ancora il suo piccolo bambino; per Sebastian… beh, Kurt furibondo metteva abbastanza paura!
«Nahhh, meglio che torni a casa. Thad è solo con il piccolo Nathaniel.» Con un piccolo sorrisetto nervoso, Sebastian cominciò ad indietreggiare verso la propria auto.
«Thad è infermiere, credo che sappia cavarsela altri dieci minuti da solo con suo figlio.»
«No è che… oh toh guarda mi sta proprio chiamando. Devo andare, ci vediamo Blaine!»
Con tutta la velocità di cui erano capaci le sue lunghe gambe, Sebastian entrò in auto e mise in moto, facendo una retromarcia che nemmeno un pilota di rally avrebbe fatto così bene e, sgommando, sparì alla vista di Blaine che era già bellamente scoppiato a ridere.
Quando il moro rientrò in casa ad accoglierlo fu il solito calore, i soliti risolini di gioia dei figli e la voce in sottofondo di Kurt. Inspirò a pieni polmoni quell’odore di casa, di affetto e di amore che ormai da cinque anni non lo aveva più abbandonato.
Non appena mise piede in sala, la sua piccola principessa lo raggiunse sfoggiando l’ennesimo vestitino nuovo che il suo papà le aveva confezionato.
«Papà, guada. Papi mi ha fatto il vetitino!» La piccola fece una piccola giravolta per mostrare come la gonnellina, piena di fiocchi e veli, si aprisse quasi come se fosse la corolla di un coloratissimo fiore.
«Amore mio, ma è bellissimo questo vestito.» La piccola sorrise e Blaine ammirò quel piccolo capolavoro che era la loro principessina. Tracy era una bellissima bambina, è vero che ogni padre dice che il proprio figlio è bellissimo, ma Tracy era davvero una piccola principessa. Aveva dei meravigliosi boccoli dorati che Kurt pettinava sempre alla perfezione perché le ricadessero morbidamente sulle spalle, rimbalzando perfettamente ad ogni piccolo movimento del capo della bimba, aveva un visino paffuto con due belle guanciotte rosee che sembravano implorare per essere baciate in continuazione. E gli occhi… sì, Kurt ci aveva visto giusto quando, ancora in ospedale, aveva cambiato la copertina per la prima volta alla sua bimba: Tracy aveva gli occhi di Blaine. La stessa ambra dorata, lo stesso sole infuocato splendeva in quei due grossi occhioni.
Proprio mentre ammirava la sua principessina, Blaine vide scendere anche l’autore della meraviglia che Tracy stava indossando: Kurt era bello come sempre. La maturità che il suo volto aveva acquisito non aveva fatto altro che rendere il marito ancora più bello agli occhi di Blaine. Poco importava che qualche piccolo accenno di rughe cominciasse ad apparire su quella pelle altrimenti immacolata, o che qualche piccolo filo argentato impreziosisse i suoi capelli: per Blaine, Kurt era bello come il primo giorno che lo aveva incontrato. Era bello persino in quel momento che indossava una tuta (avere due bimbi piccoli aveva fatto riscoprire a Kurt le gioie e la praticità di una tuta), con i capelli tutti in disordine e, sistemata sulla maglia ad altezza del petto, una paperetta di pezza su cui erano appuntati almeno una cinquantina tra spilli e aghi.
«Amore, non ti sembra di esagerare un pochino?» Domandò il moro rivolto al marito. Tracy era la modella preferita di Kurt, ormai la collezione bimbi della sua casa di moda era la più gettonata e la più assortita in assoluto. E non c’era abito che Kurt avesse disegnato che non era poi stato riprodotto sulla sua piccola principessa. E Blaine temeva il momento in cui la piccola sarebbe cresciuta, perché se già all’età di quattro anni aveva una cabina armadio che era grande quanto una stanza intera, cosa avrebbe avuto una volta cresciuta? Una casa-armadio?
Kurt aveva provato a rendere anche Alfie il suo piccolo modello personale, ma il bimbo si era lasciato contagiare troppo da Paul e così, quando vedeva il padre dirigersi verso di lui con ago, filo e un metro attorno al collo, scappava per tutta la casa andandosi a nascondere sotto il letto del fratello maggiore.
«Blaine, Tracy non può andare a scuola due volte con lo stesso vestitino. Noi uomini siamo fortunati, possiamo mescolare tra loro pantaloni e camicie diverse e avere più combinazioni, ma i vestitini sono un pezzo unico!» Blaine inarcò il sopracciglio con fare scettico. Non poteva che incolpare che se stesso, aveva voluto sposare uno stilista come marito? Quelli erano i risultati.
«Velo papi. E poi queto vetito è il più bellissimo dei bellissimi. E’ bellissimissimo!» La piccola Tracy saltellò tra le braccia del padre già prontamente spalancate per accoglierla.
«Si, l’ho già sentita questa frase.» Disse Blaine alludendo al fatto che Tracy dicesse che ogni vestito di Kurt era il più bellissimissimo tra i bellissimi.
Il moro si avvicinò al marito per posare un casto bacio sulle sue labbra e regalarne uno anche sulla guanciotta della figlia.
«Alfie?» Domandò non vedendo il figlio sgambettare da nessuna parte.
«E’ andato al parco con papà. Oggi l’ho visto un po’ giù quando è tornato da scuola.» Kurt diede un ultimo bacio alla figlia e poi la poggiò a terra così che la piccola potesse andarsi a fare ammirare anche dai suoi fratelli più grandi.
Fece poi a Blaine segno di seguirlo verso la cucina.
«Blaine, sono preoccupato per Alfie. E’ chiaro che i compagni di scuola non lo lasciano in pace.» Kurt guardò il marito preoccupato. Il loro bambino era un bambino a dir poco adorabile. Il piccolo Alfie era quanto di più diverso avevano avuto fino a quel momento. Sia i due gemellini che Tracy erano bambini vivaci e praticamente dei piccoli terremoti. Alfie invece era un bimbo tranquillo e introverso, amava tantissimo leggere, aveva quattro anni e già sapeva farlo, certo non benissimo e con grande scioltezza, ma migliorava ogni giorno sempre di più. I suoi papà gli regalavano un sacco di libri di fiabe, di quelli con le scritte molto grandi, semplici e con tantissime figure così che il piccolo potesse capire anche senza riuscire a leggere e capire proprio ogni cosa. Quando camminava lo si vedeva sempre in compagnia di un libro che portava sotto il braccio. Quando poi trovava una parola nuova e che non sapeva leggere correva dall’adulto più vicino per farsela leggere e continuava a fare domande sul significato e tante altre cose ancora, inutile dire che il suo preferito era nonno Burt. A Kurt e Blaine gli si scioglieva il cuore ogni sera quando, dopo aver messo a letto i due gemellini più piccoli, controllato che i due più grandi non stessero facendo disastri ed essersi messi finalmente sotto le coperte per potersi coccolare un po’, il piccolo Alfie zampettava in camera loro, il pigiamino che lo faceva scivolare perché era più grande di lui e gli finiva sotto i piedi. La stessa scena si ripeteva praticamente ogni sera (uniche eccezioni quando si riproponeva uguale ma nella cameretta di Paul): il piccolo arrivava con un libro nuovo sotto il braccio, raggiungeva il lettone dei suoi papà, vi posava il libro sopra e poi cercava di salire da solo sul materasso credendo ogni volta di non essere visto ma ritrovandosi poco dopo in braccio ad uno dei suoi papà che lo posizionavano al centro del letto per leggergli a turno una favola. Ogni sera lo vedevano addormentarsi piano piano tra le loro braccia, i suoi occhietti castani che si chiudevano per la stanchezza ma che lui, cocciuto, si sforzava di tenere aperti. E poi, come ogni sera, dopo averlo coccolato un po’, Kurt lo riportava nel suo lettino, badando bene che il piccolo lumino che proiettava il cielo stellato sopra la testa del suo bimbo fosse acceso.
Era un bimbo speciale, ma i bambini piccoli potevano essere molto cattivi con chi era così speciale. Sin dall’inizio dell’asilo Alfie era stato preso di mira per la sua voglia smisurata di leggere o disegnare e per la sua timidezza. All’inizio Kurt e Blaine non gli avevano dato molto peso, era normale che tra bambini ci fossero quelle cose ed era giusto che Alfie imparasse un po’ a cavarsela da solo in modo da fortificare il carattere. Avevano pensato che, dopo un po’, il piccolo si sarebbe fatto comunque la sua cerchia di amici e quindi sarebbe stato meno solo. Eppure lo vedevano sempre uscire da solo dall’asilo, con il faccino triste e sconsolato.
«Kurt, non possiamo intrometterci più di tanto. Le maestre ci hanno assicurato che nessuno lo bullizza ma sono solo innocue marachelle tra bambini. Alfie deve imparare ad uscire un po’ dal suo guscio.» Quando si trattava dei figli, Blaine era sempre quello più razionale. Non che ovviamente anche Kurt non lo fosse, ma era da subito risultato chiaro che era quello più protettivo, una vera mamma chioccia che avrebbe volentieri preso a martellate in testa chiunque si fosse permesso di far piangere le loro quattro piccole cosine preziose.
«Ma Blaine...»
«Kurt, ascolta. Alfie è un bambino tranquillo, vedrai che quando troverà l’amichetto del cuore le cose miglioreranno. Non ha nessun problema, deve solo sforzarsi ad aprirsi di più con le persone che non conosce.» Kurt sospirò e poggiò la fronte sulla spalla di Blaine. Sapeva che il marito aveva ragione, ma lui non voleva aspettare i tempi da bradipo del suo bimbo, lui voleva che stesse bene e subito.
Blaine strinse il corpo di Kurt con le proprie braccia, spingendolo ad aderire al suo corpo. Gli anni passavano eppure la cosa più bella e importante per lui era poter stringere quel meraviglioso uomo tra le braccia, poter sentire il suo respiro caldo solleticargli la pelle del corpo e sentire il suo battito cardiaco rimbombare contro il proprio petto mentre l’odore di gelsomino lo avvolgeva e sembrava cullarlo.
E per Kurt non c’era posto più sicuro delle braccia di Blaine dove rifugiarsi. Ancora sentiva quella sensazione di protezione e mai di oppressione. Ancora, quando si sentiva avvolto dalle braccia del marito, sentiva quella sensazione di casa che mai aveva provato da nessun’altra parte, forse solo tra le braccia della madre quando era piccolo.
I due rimasero diversi minuti immobili, perfettamente a loro agio in quel groviglio di braccia che dava loro conforto e li faceva sentire protetti come nient’altro al mondo ci riusciva.
Fu dopo una decina di minuti che Kurt si staccò dal marito chiedendogli come fosse andata la guida con Everett.
«Beh Everett è andato bene, più che bene. Certo è ancora un po’ rigido al volante, ma è normale all’inizio, sono sicuro che andrà sempre meglio man mano che acquisirà sicurezza.» Blaine si diresse verso il frigo e si versò un bel bicchiere di acqua fresca. La bevve molto lentamente, in modo che Kurt cominciasse a pensare ad altro e non gli ponesse un’altra domanda che avrebbe portato ad una spinosa risposta.
Ma Kurt conosceva molto bene il marito e ancora di più conosceva bene suo figlio e quella mangusta da quattro soldi a cui lo aveva affidato. Per tutto il tempo che Blaine impiegò a bere, Kurt rimase fermo, le braccia incrociate al petto e un cipiglio, che niente di buono faceva presagire, stampato in fronte.
«E Paul?»
«Non ero in macchina con Paul.» Si giustificò Blaine, forse con una vocina troppo stridula per risultare credibile.
«Blaine.» Kurt mosse un passo in avanti e Blaine sapeva che era meglio vuotare il sacco.
«Paul ha scassato il paraurti della macchina di Sebastian!» Gli occhi di Kurt divennero talmente sottili che quasi poteva apparire un rettile in quel momento.
In realtà lo stilista non era per niente preoccupato per la macchina della mangusta, anzi! Quella era la giusta punizione che meritava. Il fatto era che Kurt non aveva per niente gradito che il figlio avesse scelto lo zio a lui. Non se l’era presa quando Everett aveva chiesto a Blaine di insegnargli a guidare, sapeva bene che il figlio volesse recuperare tutti quegli anni persi, del resto Kurt gli aveva insegnato a camminare e leggere, trovava anche giusto che Blaine gli insegnasse a guidare. Si aspettava che Paul facesse la stessa cosa ma a parti invertite. Non aveva gradito quando invece il figlio, alla classica cena del giovedì sera tutti insieme, aveva chiesto alla mangusta di insegnargli a guidare. Ovviamente non poteva prendersela con il figlio, adorava troppo quel teppistello per tenergli il muso. Invece odiare Sebastian per aver accettato? Era molto più semplice e di sicuro più soddisfacente!
«Kurt… non…» Ma Blaine non riuscì a finire di dire qualsiasi cosa volesse dire perché Kurt lo scavalcò dirigendosi, con sguardo altezzoso, al piano superiore, probabilmente nella cameretta di Paul.
Una volta al piano superiore, Kurt sentì la vocina allegra di Tracy che si lasciava ammirare da Everett. Era incredibile come i loro quattro figli fossero accoppiati tra loro nel carattere: Everett e Tracy erano molto simili, entrambi riuscivano ad esternare molto bene le loro emozioni e… beh entrambi erano molto vanitosi quando si trattava di moda! D’altro canto Paul ed Alfie erano invece più introversi e vivevano l’uno nella musica, l’altro nei libri di favole.
Con il sorriso sulle labbra Kurt raggiunse la camera di Paul non stupendosi di trovarla chiusa ermeticamente. Bussò un paio di volte e, proprio come si aspettava, la voce arrabbiata del figlio gli initmò di andarsene. Ma Kurt la ignorò ed entrò lo stesso in camera. In quegli ultimi cinque anni molto era cambiato in quella stanza, tranne due cose: le lenzuola dei supereroi e la piccola lampadina che proiettava il cielo sul soffitto (stessa lampadina che poi aveva voluto anche il piccolo Alfie). Paul era steso di fianco sul letto, il volto rivolto verso il muro e la schiena verso la porta. Kurt sospirò e decise per quella volta di non sgridarlo per essere salito sul letto con i vestiti e soprattutto con le scarpe.
«Avevo detto di andartene.» Kurt ignorò le parole del figlio e andò a sedersi sul bordo del letto poggiando una mano sul fianco di Paul. Il figlio si divincolò stizzito, ma Kurt non allentò la presa e continuò ad accarezzare il suo bambino. Dopo un po’ Paul smise di muoversi e si lasciò coccolare dal padre, ma ancora non accennava a voltarsi.
«Paul, lo sai vero che lo zio non è arrabbiato con te? Ti adora troppo per avercela con te.» Cercò di sdrammatizzare l’adulto provando ad ottenere una qualche reazione dal piccolo, ma il ragazzo era ancora chiuso in un religioso mutismo.
«E’ perché Everett è andato bene? Paul lo sai che non vogliamo che tu e tuo fratello siate in competizione.» Finalmente Kurt doveva aver toccato il nervo scoperto perché Paul si girò restando sdraiato di schiena.
«Non è questo, papi!»
«E allora cos’è? Lo sai che mi puoi dire tutto, tesoro.» Kurt accarezzò con dolcezza la guancia del figlio. Non era liscia e perfetta come una volta, qua e là c’era qualche piccola imperfezione dovuta ad un po’ di acne che il ragazzo non voleva ovviamente curare.
Paul chiuse gli occhi godendosi le carezze del padre. Era ancora come se dovesse recuperare quelle che non aveva avuto da piccolo, gli pareva di non aver mai pareggiato il conto e poco gli importava se Dylan, il suo migliore amico, lo prendeva in giro definendolo mammone: lui non avrebbe mai e poi mai rinunciato alle carezze del padre.
«Tu sei arrabbiato con me.» Disse Paul e Kurt bloccò immediatamente i movimenti della mano. Come era mai possibile che il suo bimbo pensasse una cosa del genere?
«Amore, ma come ti viene in mente una cosa del genere?»
«Perché ho chiesto allo zio di insegnarmi invece che a te. Tu avrai pensato che voglio più bene a lui che a te. Ma non è così. Lo zio mi permette di fare tutto quello che voglio, tu invece no. Io volevo sfrecciare sulle strade e sapevo che tu non me lo avresti permesso.» Il piccolo mise su un adorabile broncio e Kurt dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere.
«Amore, non sono arrabbiato con te. Certo, ci sono rimasto un filino male che tu lo abbia chiesto allo zio, ma sapevo che lo avevi fatto per un motivo del genere.»
Paul guardò gli occhi del padre. Erano sinceri e lo guardavano con la solita dolcezza e amore.
«Quindi se io ora ti chiedessi di darmi lezioni, tu me le daresti?» Il giovane si mise a sedere, continuando a fissare le iridi azzurre del padre. Kurt sorrise, quel particolare sorriso che ispirava quasi tutte le canzoni di Blaine, quel sorriso senza denti, ma con quelle due adorabili fossette agli angoli della bocca.
«Ma certo, amore.» Kurt si piegò in avanti e baciò la guanciotta ruvida del figlio. «Però vatti a rasare prima e stavolta mettiti quella pomata che ti ho comprato.» Paul alzò gli occhi al cielo ma non poté fare a meno di sorridere quando suo padre si alzò ed uscì dalla sua stanza dicendogli che il giorno dopo sarebbero andati a guidare insieme.
* * *
La cena del giovedì sera era una tradizione irrinunciabile della famiglia Hummel-Anderson allargata Smythe-Harwood.
Anche se diventava un vero e proprio disastro, una cacofonia di pianti, capricci e urla degli adulti, nessuno poteva rinunciarvi perché era il momento della loro famiglia.
Come ogni giovedì Antoine, aiutato da Kurt, aveva cucinato prelibate leccornie. Erano ancora intenti a sistemare le ultime cose quando il campanello suonò indicando l’arrivo di Sebastian, Thad e il piccolo Nathaniel di un anno più piccolo dei due gemellini più piccoli.
«Ragazzi, venite! Kurt e Antoine hanno quasi finito di cucinare.» Blaine accolse i suoi due amici con un gran sorriso. Sebastian aveva in braccio il piccolo che prese ad allungare le braccine per essere preso in braccio dallo zio, mentre Thad aveva in mano un’enorme scatola contenente la torta proveniente dalla migliore pasticceria di tutta New York.
«Tesoro di zio, vieni qui.» Con un gran sorriso Blaine prese tra le braccia il nipotino che, come prima cosa, infilò le mani nei ricci corposi dello zio.
«Ahi! Ahi! Nathaniel non tirarmi i ricci.»
«Belli tio!» Con delicatezza, Blaine afferrò le piccole manine del nipote cercando di liberare i propri ricci da quelle ditine piccole piccole.
«Vado a portare questa in cucina.» Disse Thad mentre si avviava, padrone della casa, in cucina per mettere in salvo il dolce.
Blaine e Sebastian si diressero invece in sala da pranzo dove Everett, seduto a terra su di un tappeto gommoso, giocava con il piccolo Alfie e la piccola Tracy; Burt era invece al televisore che guardava la partita di baseball, anche se di tanto in tanto la sua attenzione veniva catturata dal piccolo Alfie che, lasciando incompiuta la costruzione del loro zoo, mostrava al nonno tutti gli animali che stava posizionando sul terreno.
«Uhh, Burt come andiamo?» Afferrando al volo un rustico preso dal vassoio già adagiato sul tavolo, Sebastian andò a sedersi accanto a Burt.
«Stiamo perdendo.» Esclamò laconico Burt lanciando un’occhiataccia al televisore, come se qualche giocatore avversario potesse mai sbagliare un tiro solo perché lui lo stava incenerendo con lo sguardo a chilometri e chilometri di distanza.
«Oddio! Ma che schifo sono queste tartine! Sembra di mangiare cartone.» Sebastian prese a sputacchiare la tartina, voracemente ingerita, in un tovagliolo sotto lo sguardo divertito di Blaine, seduto su una sedia accanto al divano, con ancora in braccio il piccolo Nathaniel che si divertiva tantissimo a giocare con i suoi ricci.
«E secondo te Kurt mi avrebbe mai lasciato qui, davanti al televisore, con un vassoio di tartine a portata di mano, se non avesse saputo che quelle sono le tartine a zero chilocalorie che si ostina a rifilarmi dall’infarto?» Sebastian continuò a sputacchiare quella robaccia andando a bere poi, anche in maniera molto teatrale, un bel bicchiere d’acqua per sciacquarsi la bocca.
«Oddio che schifo. Ma come fai a mangiarle, Burt?»
«Semplice: non le mangio. Quelle se le mangiano solo Kurt e Antoine.»
«Nonno, non fare così. Sono buone in realtà.» Everett si era alzato e si era avvicinato al vassoio delle tartine incriminate e ne aveva mangiata una in un sol boccone. Con l’adolescenza aveva smesso di mangiare come una formichina ma, contrariamente al fratello che avrebbe ingerito persino un procione morto, Everett badava comunque alla linea e al cibo che mangiava.
«Piuttosto, dov’è il mio minime?» Domandò Sebastian non vedendo la peste del nipote da nessuna parte. Nel mentre Everett prese il piccolo Nathaniel in braccio per portarlo a giocare insieme agli altri due bimbi.
«Di sopra, deve finire prima tutti i compiti.» Rispose Blaine indicando il piano superiore.
«E siete sicuri al cento per cento che quello su sia Paul e questo qui sia Everett?» Il ragazzino lanciò un’occhiataccia allo zio posizionando le mani sui fianchi in pieno stile Kurt Hummel.
«Oh si, Bas. Se quello su fosse Everett a quest’ora avrebbe già finito tutti i compiti e sarebbe sceso giù da un pezzo!» Quella risposta sembrò convincere Sebastian che, dopo una leggera risata, riportò la sua concentrazione sullo schermo del televisore.
Intanto il piccolo Alfie però si era scocciato di giocare con le costruzioni. Guardò i tre adulti seduti intenti a fissare il televisore. Si alzò un po’ traballante dal piccolo tappetino.
«Alfie, dove vai?» Domandò Everett mentre aiutava Nathaniel ad infilare nella piccola gabbietta una giraffa e il suo figlioletto.
«Da papi.» Disse il bambino avviandosi traballante verso la cucina ma, una volta davanti alle scale che conducevano al piano superiore, il piccolo cambiò idea e, lentamente e non senza qualche piccolo tentennamento, le salì.
Una volta arrivato in cima, il piccolo aveva un po’ il fiatone, ma si diresse a passo spedito verso la cameretta del fratello maggiore. La porta era chiusa e lui cominciò a saltellare per raggiungere la maniglia, dopo un paio di tentativi riuscì ad aprirla ma sarebbe di sicuro caduto con la faccia a terra se non fosse stato per Paul che, sentito dei rumori sospetti fuori dalla porta, si era già alzato per controllare e lo aveva afferrato al volo.
«Alfie, che combini?» Il piccolo Alfie alzò le braccine per essere preso in braccio dal fratello. Paul alzò gli occhi al cielo ma lo accontentò. Il piccolo si strinse subito a mo’ di koala, sfregando il suo visino contro il collo di Paul. Gli piaceva un mondo suo fratello, era il suo eroe. Voleva bene anche ad Everett ma Paul gli raccontava sempre un sacco di storie, gli cantava delle canzoncine e gli faceva sempre fare la merenda con il pane e la cioccolata mentre Everett gli dava solo della frutta tristissima.
«Bieni giù?» Sospirando Paul si andò a sedere sulla sedia, continuando a stringere il corpicino del fratello tra le braccia.
«Devo finire i compiti Alfie.»
«E non li puoi finire dopo?» Paul guardò gli occhioni castani del fratellino. Non avevano la stessa tonalità di quelli del padre, Alfie era l’unico a non avere il colore degli occhi di uno dei loro papà, in compenso aveva il nasino a patata e i ricci scuri di papà Blaine e crescendo avrebbe avuto anche le labbra come ripeteva in continuazione Kurt.
«Lo hai sentito papi? Devo farli adesso sennò niente cena per me.» Paul sospirò. Non era che lui non studiasse, lui ci provava a finire tutto velocemente come Everett, non era mica colpa sua se in quei momenti capire perché una mosca volava diventava interessantissimo! Fece per mettere giù il fratello, ma questi gli strinse di più le braccia al collo.
«Potto tare qua con te?» Paul guardò la testolina nera del fratellino. Il suo tono era lamentoso, di quelli a cui difficilmente si riusciva a dire di no. Così se lo posizionò meglio, in modo da non avere molte difficoltà a scrivere nonostante avesse lui in braccio.
«Va bene scimmia, però fai il bravo che prima finisco, prima mangio.»
Il piccolo rimase buono e silenzioso, del resto con Alfie era così. Si perse a guardare le pagine dei libri che il fratello sfogliava. Non capiva una sola parola ed era scritto piccolo, molto più piccolo dei libri che i suoi papà gli regalavano, e non riusciva a leggere. Ma si perse ad ammirare le figure che c’erano e tutti i colori con cui il fratello sottolineava, o le piccole cose che annotava con la matita.
«Pechè usi tutti queti cololi?» Alfie prese in mano l’evidenziatore giallo che suo fratello aveva appena usato, squadrandolo come se fosse l’oggetto più interessante che avesse mai visto in vita sua.
«Allora, uso il verde per sottolineare tutte le cose che ho capito, in giallo quelle per cui ci devo ancora pensare su e il rosso… beh quello lo uso per sottolineare quello che non ho capito.» Lo sguardo di Alfie si mosse curioso lungo le due pagine di appunti dinanzi a lui.
«Allora ho un flatello bavo, è tutto vede qui.» Il piccolo batté le manine e diede un piccolo bacino sulla guancia del maggiore. Paul sorrise e arruffò i capelli del bimbo facendolo ridacchiare ancora di più.
«In realtà il fratello intelligente è Evy. Se non fosse per lui che mi spiega tutto, il mio libro sarebbe interamente colorato di rosso. Però non dirglielo sennò si monta la testa.» Sussurrò il ragazzino con fare cospiratorio. Alfie sorrise e si portò le manine alla bocca.
«’To titto! E’ il notro piccolo segreto.» Per ricompensarlo del suo silenzio, Paul riempì il suo visino con teneri bacetti, che fecero ridacchiare maggiormente il piccolo.
«Dai scimmia, ora fammi finire così si può finalmente andare a mangiare.»
Il tempo passò che Paul nemmeno se ne accorse, aveva praticamente finito quando sentì qualcuno bussare alla sua porta.
«Paul? Alfie… oh per fortuna è qui con te.» Kurt entrò nella cameretta del figlio e sorrise nel vedere che Alfie era lì. Si era preoccupato quando Everett gli aveva detto di averlo visto una mezz’ora prima andare da lui, ma era sicuro che il piccolo si fosse intrufolato nella cameretta di Paul.
«Papi, ho aiutato Pal a fare i copiti!» Kurt sorrise e prese in braccio il suo piccolo scricciolo, baciandogli con dolcezza la guanciotta.
«Oh bene e li ha finiti?»
«Si papà ho finito tutto, ora posso mangiare?» Kurt guardò quello che ai suoi occhi sarebbe sempre stato il suo piccolo scricciolo, il suo piccolo Paul. Quel Paul che, per quanto adesso volesse fare l’adolescente ribelle, rinunciava ad uscire con i suoi amici per stare in famiglia; badava sempre ai suoi fratellini più piccoli anche se significava portarli al parco giochi e farsi vedere da qualche ragazza mentre era sporco di omogeneizzati o altro. Gli accarezzò la guancia con dolcezza, sorridendo nel vedere come il suo piccolo socchiudeva ancora gli occhi e spostava il volto in modo da aderire maggiormente alla sua mano. Gli anni passavano, ma certe cose restavano lo stesso invariate.
«Allora direi che possiamo andare a mangiare.»
«Finalmente, sto letteralmente morendo di fame!»
Qualche ora più tardi…
Blaine era steso nel suo caldo e comodo letto matrimoniale in attesa del marito. Marito che era in bagno da almeno mezz’ora: se da giovane Kurt aveva un lunghissimo rituale di creme e cremine da applicare sulla sua pelle perfetta, il giorno che aveva scoperto la sua prima ruga… beh Blaine aveva ancora le orecchie che rimbombavano per le urla che ne erano scaturite.
«Kurt, amore sei bellissimo e perfettissimo. Che ne dici di venire a letto dal tuo altrettanto bellissimo e perfettissimo marito?» Ovviamente Blaine non ricevette risposta, non che se l’aspettasse.
«Kurt, amore non abbiamo molto tempo per farci le coccole prima che Alfie arrivi.» Di nuovo nessuna risposta. Sospirando Blaine si alzò dal letto. Quanto invidiava Sebastian e Thad che sfruttavano ogni fottutissimo secondo che Nathaniel lasciava loro libero per dedicarsi a tutte quelle attività che da scapoli le si dava per scontate e, anzi, si temeva potessero diventare monotone! Lui invece doveva sempre aspettare le ere geologiche che tutte le cremine che Kurt applicava sul viso facessero il loro lavoro. Era snervante! Non che il moro non avesse, sotto chiaro consiglio del suo carissimo migliore amico, provato a rendere quei rituali parte di approfonditi preliminari. Ma ovviamente quando si trattava di Kurt e dei suoi trattamenti di bellezza, persino il sesso passava in secondo piano!
Senza nemmeno degnarsi di bussare, del resto al di là della porta non avrebbe mai visto niente che non aveva già più volte visto, Blaine entrò nel bagno e capì finalmente che se Kurt chiudeva ogni volta la porta e stesse dentro quel bagno le ore eterne, un motivo c’era!
«Blaaaaaaine! Che cavolo ci fai qui? Esci immediatamente!»
Blaine rimase pietrificato dalla figura di Kurt. La pelle del suo volto era verde, verde che persino Elphaba di Wicked era pallida a confronto; il torace era interamente ricoperto di una strana sostanza marrone e sopra era stata applicata quella che pareva essere una pellicola trasparente. Oh, ovviamente il tutto abbinato con una fascia per capelli rosa pallido e due pezzi di cetriolo che erano caduti nel lavandino nel momento in cui Kurt era sobbalzato dallo spavento.
Blaine non sapeva se scappare o ridere e ovviamente scelse… la cosa peggiore che potesse scegliere: cioè la seconda! Scoppiò a ridere di gusto, fin quasi a farsi male gli addominali. E rideva così di gusto da non prestare minimamente attenzione agli occhi di Kurt che si facevano sempre più sottili, segno che il castano si stesse arrabbiando, e parecchio!
«Kurt, oddio va bene la maschera in viso, a quello ero preparato, ma anche l’argilla sul torace? Non ti sembra un tantino di esagerare?»
«Blaine. Esci. Fuori.» In quel momento Blaine sollevò lo sguardo e vide finalmente il pericolo in cui stava incorrendo. Addolcì lo sguardo e tentò di avvicinarsi al marito, ma questo lo tenne a distanza da sé.
«Amore, lo sai che per me sei bellissimo. Sei perfetto e non sarà qualche piccolo capello argentato a sminuire la tua bellezza dinanzi ai miei occhi.» Kurt teneva ancora il viso girato, non degnando di una sola attenzione il marito.
Sospirando il moro riaprì la porta del bagno.
«Ok, esco. Ti aspetto a letto.»
Dopo una mezz’oretta Kurt era fuori dal bagno, ma Blaine capì subito che il litigio era molto più serio di quanto pensasse quando vide il marito prendere il cuscino e uscire dalla camera.
«Kurt, dove vai?»
«Vado a letto con mio figlio, lui almeno non ride del suo papà!» Detto questo, e con la solita uscita da drama queen, Kurt entrò nella cameretta di Alfie e Tracy, dirigendosi verso il letto della sua scimmietta che subito mostrò al papi la favoletta che voleva gli venisse letta quella sera.
Blaine restò a guardare il marito per molto tempo prima di tornare in camera sua: sapeva già come farsi perdonare e sapeva bene che l’amore della sua vita lo avrebbe perdonato.
La mattina dopo quando Kurt scese in cucina per la colazione, un po’ ammaccato per aver dormito tutto rannicchiato su un lettino per bimbi, trovò Antoine e Burt a ridere a crepapelle e un Blaine un po’ corrucciato, ma tutto sommato felice, da solo in un angolo.
Kurt si avvicinò: al centro del tavolo c’era un enorme vaso con una pianta meravigliosa con tanti batuffoli di un bel rosso acceso. Ma non fu tanto la bellezza della pianta ad attirare l’attenzione di Kurt, quanto quella foto incorniciata che era poggiata accanto al vaso. Il castano la riconobbe all’istante: era una foto che avevano nascosto da occhi indiscreti per quanto fosse imbarazzante. L’aveva scattata proprio Kurt a tradimento, una delle tante volte in cui Blaine aveva cambiato il pannolino ai loro bimbi, in quel caso particolare Alfie. Peccato che, proprio mentre il moro si apprestava a pulirlo, il piccolo avesse deciso di dar fiato alle trombe… e Kurt era riuscito a cogliere il momento esatto in cui un fiume di pipì colpiva la faccia leggermente schifata di Blaine. Aveva riso tanto dinanzi a quella foto ma poi, per rispetto del marito, non l’aveva mai mostrata a nessuno, però non aveva mai avuto cuore di cancellarla perché, anche se imbarazzante, era comunque un piccolo attimo magico vissuto con una delle loro quattro cosine preziose.
Kurt guardò un’altra volta quella foto e, proprio in quel momento, due zombie che portavano il nome di Paul ed Everett fecero il loro ingresso in cucina. Inutile dire che ora che quella foto l’aveva vista Paul, l’avrebbe vista anche Sebastian… ergo tutto il mondo presto sarebbe stato a conoscenza di quella foto!
Kurt guardò Blaine che, nonostante venisse preso pesantemente in giro dai propri figli, continuava a sorridere.
«Bene ragazzi, vi accompagna Antoine a scuola.» Detto questo, Kurt prese per mano Blaine e lo spinse ad alzarsi dalla sedia. Inutile dire che il moro aveva un sorriso raggiante stampato in volto.
«Perché voi cos’avete da fare?» Domandò Everett tra uno sbadiglio ed un altro. Ovviamente non ottenne risposta dai suoi papà che erano già sulle scale per salire al piano superiore.
«Ovviamente dovranno cercare di sfidare la natura e provare a darci un fratellino in maniera naturale!»
Il povero Everett a momenti si strozzò con il suo caffé!
Intanto Kurt quella mattina perdonò Blaine molte e molte volte. E il moro pensò che, tutto sommato, non era male far arrabbiare di tanto in tanto il marito se il risultato era dello strepitoso sesso finché entrambi non avevano più forze ed energie, proprio come ai vecchi tempi della loro adolescenza.
* * *
«Dai bimbi, dobbiamo andare a scuola! Alfie, coraggio.» Blaine quella mattina era più che disperato. Kurt era dovuto partire per la Francia il giorno prima: nonostante la sua casa di moda a New York andasse più che bene era l’Europa il cuore della moda, così ogni tanto lo stilista doveva tornare in Francia per organizzare grandi sfilate. Cercava sempre di far coincidere il tutto con le feste, in modo da poterci andare con tutta la famiglia. Sfortunatamente quella volta i suoi piani erano andati storti.
Così quella mattina Blaine si ritrovava con quattro figli ritardatari più che mai, fortunatamente il suo capo aveva tre figli e quindi capiva molto bene le dinamiche che Blaine doveva affrontare ogni mattina ed era dunque piuttosto magnanimo, ma comunque il moro non voleva mai approfittare troppo della sua gentilezza, tanto più che quel giorno aveva un servizio fotografico e quindi capo magnanimo o meno non poteva assolutamente fare tardi.
Antoine aveva addirittura rinunciato al suo giorno libero per poter aiutare Blaine con le pesti, eppure quella mattina tutto sembrava andare storto.
«Papà! Il vetito è pocco!» La piccola Tracy entrò in cucina con le treccine un po’ sfatte, lui e Burt non erano bravi quanto Kurt a fargliele! Mostrò al padre una minuscola macchiolina bianca sul vestitino.
«Amore è piccolissima, vedrai che nessuno ci farà caso.» Disse il moro sorridendo alla figlia e lisciando per ben benino la gonnellina, come se quel semplice gesto potesse far sparire quella dannata macchia che stava decisamente rovinando la sua già traballante tabella di marcia.
«Papà non potto andare a cuola con il vetitino poco. Non potto!» La piccola sbattè il piedino per terra. Blaine era abituato ai capricci e di norma era anche piuttosto bravo a fare la voce grossa, ma c’era una cosa che non era mai riuscito a fare: non cedere dinanzi agli occhioni luccicosi di lacrime dei figli. Erano un’arma letale. Sul serio era impossibile resistere a due occhioni tremolanti, due piccole perle umide che ti guardavano come se tu li stessi deludendo. Che fossero occhi azzurri come il mare, un caldo miele caramellato o una distesa di cioccolato fondente fuso… Blaine non riusciva proprio a resistere. E ormai il moro era convinto che i due fratelli maggiori avessero fatto la spia ai più piccoli, perché non era possibile che ormai sia Tracy che Alfie usassero quei maledettissimi occhioni ogni volta che lui diceva no!
Il moro guardò la figlia che lo guardava con quegli occhi caramello, le labbrucce piegate in una tristissima smorfia. Sospirò. Si odiava quando cedeva.
«Va bene, corriamo a cambiarci.» Blaine prese in braccio Tracy e corse in cameretta della bimba. «Burt finisci tu di preparare Alfie, per favore?» Non ci fu neanche bisogno di finire la frase, nonostante una brutta influenza, Burt stava già preparando Alfie, ma anche il bambino più piccolo quella mattina ne voleva sapere davvero poco di collaborare.
Blaine rivestì in fretta la figlia, mettendole il vestitino che voleva lei. Kurt lo avrebbe di sicuro ucciso dato che le stava infilando un vestitino completamente bianco.
Sul serio Blaine, ti sei fatto corrompere da una bambina di quattro anni? Un vestitino bianco? Ma dico sei diventato matto? Un vestitino bianco a scuola! Adesso sarà come minimo da bruciare!
Si, a Blaine già pareva di sentire la voce di Kurt rimbombargli in testa. Ma preferiva l’ira del marito agli occhioni lacrimanti della sua principessina. Con suo marito sapeva perfettamente come cavarsela!
«Vi prego ragazzi, ditemi che almeno voi siete pronti.» Lo sguardo implorante di Blaine si posò sui due ragazzini. Everett era già vestito di tutto punto e aveva il libro di storia aperto davanti agli occhi, Paul… Paul aveva ancora la testa nel suo caffelatte mentre continuava ad alzare e riabbassare un biscotto che ormai era completamente maciullato.
«Paul! Ti prego dimmi che sei pronto!»
«Non si è mai pronti per la scuola papà, questo dovresti saperlo ormai!» Blaine alzò gli occhi al cielo.
Sistemata Tracy si occupò di Alfie, ma anche il bimbo non ne voleva sapere di collaborare: si era nascosto sotto il tavolo della sala da pranzo e nemmeno le doti seduttrici del nonno riuscivano a farlo venire fuori di lì.
«Dai Alfie, se vai a scuola e fai il bravo, quando torni a casa il nonno ti prende un bel gelato.»
«No.» Il piccolo si strinse maggiormente su se stesso, portandosi le gambe ad aderire talmente tanto al petto che le ginocchia gli sfioravano il mento.
«Che succede Burt?» Più che una domanda, quello di Blaine sembrava un lamento uscito dall’oltretomba: era in ritardo per il lavoro.
«Stamattina non sembra aria. Non vuole andare a scuola.» Blaine sospirò. Ultimamente capitava spesso che Alfie non volesse andare a scuola e c’era purtroppo solo una persona capace di convincerlo… una persona che, da quanto ne sapeva Blaine, aveva un’interrogazione di scienze proprio alla prima ora.
Blaine si girò verso Paul che stava ancora mangiando la sua colazione. Prima di fare il padre magnanimo e comprensivo, doveva accertarsi che tutto quello non fosse un piano diabolico del figlio. Non bisogna giudicare male il povero Blaine, lui era un bravo padre che aveva una profonda stima per i suoi figli, non era mica colpa sua se uno di questi era il figlio di Loki in persona!
«Paul! Pena la macchina che Everett avrà e che tu non avrai mai se non mi dici la verità: ci sei tu dietro il capriccio mattutino di Alfie di non andare a scuola?» Come se fosse stato improvvisamente risvegliato dal mondo dei sogni, Paul sobbalzò facendo cadere definitivamente il biscotto nel caffelatte.
«Che? Andiamo papà i miei piani sono meno sgamabili di così.» Blaine guardò attentamente il figlio. Paul era stato addestrato da Sebastian, non c’era da fidarsi per niente. Ma proprio durante quella lotta di sguardi, Alfie scoppiò a piangere. L’attenzione di tutti tornò al bambino che si dimenava sotto il tavolo mentre Antoine cercava di afferrarlo.
In quel pianto isterico Blaine non ci vide premeditazione. Paul era un bravissimo attore (e anche un grandissimo bugiardo) ma il piccolo Alfie era ancora troppo innocente, si era lasciato trascinare nei loschi piani del fratello qualche volta, ma era stato sempre sgamato subito, quella mattina sembrava invece tutto troppo reale per essere finzione.
«Va bene, facciamo così: Paul tu porti Tracy e Alfie all’asilo, ti firmo io una giustificazione per entrare alla seconda ora. Tu Evy vieni con me che ti porto a scuola. Devo scappare a lavoro.» Blaine schioccò un rumoroso bacio sulla guanciotta di Tracy, poi si accucciò sotto il tavolo per poter salutare anche l’altro figlioletto.
«Scimmietta, a scuola ti accompagna Paul, sei contento?» Il piccolo tirò su con il naso, pulendosi poi il muco che colava con la manica della magliettina. Blaine sorrise, se ci fosse stato Kurt avrebbe sicuramente dato di matto.
«Non boglio andare a cuola!» Blaine sospirò, allungò una mano per carezzare la gamba del figlio, ma poi dovette rialzarsi e lasciare il figlio in quello stato. Ma non era preoccupato, si fidava di Paul. In qualche modo per Alfie il fratello era una sorta di eroe. Forse era perché Paul era stato il primo dopo i suoi papà ad averlo preso in braccio, forse perché l’adolescente non smetteva di raccontare come aveva fatto rimettere insieme i loro genitori (cosa che faceva andare un po’ su tutte le furie Everett dato che Paul tendeva a dimenticare l’importante ruolo che il gemello aveva avuto in tutta la faccenda!), o semplicemente perché Paul sembrava avere davvero un dono con i bambini. Blaine sapeva che lasciava Alfie in ottime mani. Scrisse rapidamente una giustificazione per il figlio, giustificando il suo ritardo con gravi problemi familiari.
Burt si avvicinò al genero, battendogli una pacca sulla spalla per rassicurarlo.
«Non preoccuparti, Blaine. Vedrai che passerà, è una fase, tutti i bambini l’hanno passata. Anche Kurt da piccolo non voleva mai andare a scuola e si nascondeva sotto il letto.» Blaine sospirò di nuovo mentre si infilava il cappotto, rigorosamente marcato Kurt Hummel.
«Lo spero Burt, perché comincio davvero ad essere preoccupato.»
«Non preoccuparti, vedrai che andrà tutto apposto!» Con un ultimo sguardo di gratitudine rivolto al suocero e un altro di preoccupazione al figlio, Blaine uscì di casa seguito da Everett.
«A questo punto potevo entrare anche io alla seconda ora.» Blaine si bloccò sul posto. Everett non avrebbe mai detto una frase del genere! Si girò verso il figlio… che i due si fossero scambiati prima che succedesse quel piccolo disastro?
Everett guardò il padre e dovette intuire i suoi pensieri.
«Pa’ sono Everett! Però non capisco perché a Paul alla fine gliele date sempre tutte vinte. Non studia e lo premiate sempre, io invece sgobbo sui libri dalla mattina alla sera e ricevo solo qualche pacca sulla spalla.» Imbronciato Everett entrò in macchina, allacciandosi la cintura e incrociando le braccia al petto mettendo il muso. Blaine ebbe la conferma che quello fosse Everett, quel muso era pieno stile Hummel, Paul non sapeva mettere il muso, più che altro ghignava in pieno stile Smythe!
«Ev, lo sai che non è vero. Noi siamo orgogliosi di te, dei tuoi successi scolastici e non è vero che non puniamo Paul quando non studia. Quello di oggi non è certo un premio, ma sai benissimo che Alfie si lascia convincere solo da Paul.»
«Ve lo porterà sulla cattiva strada ne siete consapevoli?»
«Ev, tuo fratello è un bravo ragazzo nonostante la sua poca propensione allo studio. Non devi essere geloso di lui.» Everett borbottò qualcosa che Blaine non riuscì a capire. Il moro sospirò. Sapeva che l’adolescenza era un periodo difficile e che la rivalità tra i due gemellini sarebbe venuta a galla. Erano diversi, Everett era il classico ragazzo responsabile e studioso; mentre Paul era il classico adolescente che si sacrificava per la famiglia, nonostante non avessero più problemi di soldi ancora dava lezioni di pianoforte o chitarra in giro. Per Kurt e Blaine erano entrambi perfetti nel loro modo di essere così totalmente imperfetti e non li avrebbero cambiati per nulla al mondo.
«Ev, tuo padre ed io vi amiamo più di ogni altra cosa al mondo. E sai che non facciamo alcuna differenza tra voi quattro, vi amiamo tutti allo stesso modo.» Blaine parcheggiò l’auto proprio davanti al cancello d’ingresso della scuola del figlio. Si girò guardando Everett negli occhi e, prendendo il suo volto, costrinse anche lui a fare altrettanto.
«Evy, non pensare mai che amiamo Tracy, Alfie o Paul più di te. Vi amiamo ogni giorno sempre un pochino in più, tutti e quattro. Siete le nostre quattro cosine preziose, non dimenticarlo.» Blaine si sporse verso il figlio baciandogli la guancia. Everett scese dalla macchina un pochino più tranquillo. Blaine lo osservò camminare fino a che non sparì alla sua vista. Con l’ennesimo sospiro della mattinata, mise in moto e si diresse verso il lavoro, non prima di aver mandato un messaggio al marito che sapeva essere nel bel mezzo di una riunione.
(Ore 8.26) Abbiamo quattro figli impegnativi ma meravigliosi BHA
(Ore 14.27) Lo so KHA
Intanto a Villa Hummel-Anderson
Paul si era rannicchiato sotto il tavolo con il fratellino. In realtà lui capiva perché Alfie si sentiva così legato a lui più che ad Everett. Il gemello era sempre andato in scuole di eccellenza, tutte scuole private e per fighetti, non capiva cosa significasse andare in una scuola pubblica dove certi bambini venivano da zone veramente povere ed erano cresciuti per la strada. Everett non aveva mai avuto a che fare con la cattiveria dei bimbi, Paul si. Anche lui da piccolo veniva escluso e preso in giro perché povero, perché abbandonato e perché figlio di padri gay. Capiva Alfie e, per quanto anche Everett cercasse di dare forza al fratello, non aveva mai vissuto certe cose sulla propria pelle, non poteva capirle fino in fondo. Era vero, anche Everett aveva avuto la sua dose di insulti perché magari indossava un vestito che costava dai tremila dollari in giù, ma era diverso.
«Alfie, perché non vuoi andare a scuola?» Il piccolo Alfie tirò di nuovo su con il naso e di nuovo se lo pulì con la manica della maglietta.
«Gli atri bimbi sono cattivi. Non mi fanno giocare con loro!» Paul sorrise, non era ancora nulla di così grave, ma il suo fratellino doveva cominciare a farsi le ossa. Era un bimbo molto sensibile a differenza della sua gemellina: Tracy aveva una forza incredibile e degli atteggiamenti da prima donna, ereditati tutti da Kurt sicuramente, che la spingevano ad essere un po’ la leader del suo gruppetto di amiche.
«Sai, anche a me quando ero piccolo come te mi escludevano sempre dai giochi.» Alfie smise immediatamente di piangere e si girò verso il fratello maggiore.
«Si, addirittura facevano un sacco di feste e non mi invitavano mai.» Gli occhioni castani di Alfie si spalancarono e le sue labbrucce si aprirono in una perfetta “o”.
«E come hai fatto?»
«Semplice Alfie. Mi sono inventato dei giochi e ci facevo giocare solo i bimbi che volevo io, escludendo loro.»
«E dove li hai trovati queti bimbi?»
«Li ho cercati, anche quelli più piccoli o più grandi, anche quelli che a prima vista non mi piacevano.
«E che gioco potto inventami?» Paul sembrò pensarci un po’.
«Che ne dici se ne pensiamo uno mentre accompagno te e Tracy a scuola?» Gli occhioni del piccolo erano gioiosi di felicità: a quell’età tutto passava velocemente, un sorriso come una lacrima non erano mai per sempre.
«Tiiiii!»
Mezz’ora dopo Paul non poteva che ritenersi soddisfatto di se stesso: Alfie era entrato a scuola con il sorriso e lo aveva visto subito puntare un bimbo di un anno più grande di lui, anche lui apparentemente solo.
Gruppo WhatsApp: “Gli Hummel-Anderson: quelli belli”
(Ore 8.45) La scimmia è allo zoo… ripeto, la scimmia è allo zoo PHA
(Ore 14.48) Potresti essere meno criptico di grazia? Che è successo ad Alfie? KHA
(Ore 8.48) Papà non ti ha raccontato niente? PHA
(Ore 14.49) Evidentemente no! KHA
(Ore 8.50) Alfie stamattina ha fatto i capricci. Ho avuto il permesso speciale da parte di papà di entrare alla seconda ora per portarlo a scuola ^^ PHA
(Ore 14.52) @Amoremio<3 ti sei assicurato vero che non fosse tutto un piano diabolico di nostro figlio per evitare l’interrogazione di scienze? KHA
(Ore 8.53) Papi la tua fiducia nei miei confronti è davvero commovente -.- PHA
(Ore 14.55) Non fare il santarellino, Paul. KHA
(Ore 8.55) -.- PHA
(Ore 8.59) Eccomi, scusate ero con il fotografo per decidere alcune cose. Bravo Paul però adesso fila a scuola e chiedi al prof di farti recuperare l’interrogazione già domani! BHA
(Ore 9.00) Ma i padri non dovrebbero volere solo il bene dei propri figli? PHA
(Ore 9.01) E a scuola ci sono già PHA
(Ore 15.03) Blaine dì al fotografo di non guardare troppo e di tenere le mani al loro posto KHA
(Ore 9.04) Papi quando usi il grassetto fai paura EHA
(Ore 9.06) Comunque signorino potevi anche scrivere a papà in privato senza dover prendere le lodi del tuo gesto dal mondo intero EHA
(Ore 9.07) E tu potevi anche dirmelo in faccia invece di fare la checca isterica per fare la vittima davanti a papi e papà PHA
(Ore 9.08) No, perché per colpa tua sotto interrogazione ci sono finito io EHA
(Ore 9.09) Come se ti sia mai dispiaciuto mettere in mostra la tua secchiaggine davanti a tutti PHA
(Ore 9.11) Ok ragazzi, posate i cellulari e prestate attenzione alla lezione o ve li sequestro quando tornate a casa BHA
(Ore 15.16) @Amoremio<3, il fotografo: mani e occhi a posto. Tutto quello che inquadrerà l’obiettivo è mio KHA
(Ore 9.19) Papi ti prego certe cose puoi scrivergliele in privato? Vorrei crescere ancora PHA
(Ore 9.20) Paul posa quel telefono o giuro che ti metto in punizione per un mese BHA
Conversazione privata tra Blaine e Kurt
(Ore 9.21) Amore non preoccuparti per il fotografo, io non ho occhi che per te BHA
(Ore 15.22) Ma io non sono preoccupato per te. Solo che non voglio che qualcuno allunghi le mani su ciò che è mio e di nessun altro KHA
(Ore 9.24) Amore, tranquillo. Lui e nessun altro può mai vedere ciò che è veramente tuo ;) BHA
(Ore 15.26) Blaine te lo ripeto per l’ennesima volta: checché ne dica la mangusta il sexting non mi piace e mai lo faremo! Men che meno poco prima che tu faccia un servizio fotografico KHA
(Ore 9.27) Guastafeste! Comunque devo andare il lavoro chiama! Ti amo BHA
(Ore 15.28) Ti amo anche io <3 KHA
* * *
«Non ti inviterà mai se non ti decidi a fare qualcosa.» Paul si avvicinò di soppiatto al fratello che, appoggiato contro il proprio armadietto, fissava la bella Isabelle chiacchierare con le amiche. Erano almeno due anni che Everett aveva una cotta spropositata per quella ragazza, ma tutto quello che era riuscito a fare fino a quel momento, a parte le classiche figure di merda, era stato entrare in quell’etichetta senza scampo del migliore amico. E adesso che si avvicinava il ballo invernale, quello in cui per tradizione erano le ragazze ad invitare il loro cavaliere e non il viceversa, Everett scalpitava più del solito.
«Scusami? Quanto è durata la tua relazione più lunga? Un mese? Perdonami quindi se non accetto proprio consigli da te in fatto di amore.» Rispose inacidito Everett, riportando poi la sua attenzione sognante su Isabelle.
«Ho comunque conquistato molte più persone di te.»
«Solo perché tu puoi pescare da entrambe le rive del fiume e ai ragazzi basta promettere un buon pompino per farli cadere ai piedi di chiunque!» I due gemelli si avviarono alla loro prima ora di lezione di quel giorno.
«Ascolta, facciamo un patto.»
«Non stringo patti con il diavolo!» Everett andò a sedersi al suo posto, alzando gli occhi al cielo quando vide il fratello prendere posto accanto a lui.
«Suvvia Ev, io aiuto te e tu aiuti me. E’ un accordo vantaggioso per entrambi!» Everetti si girò a guardare il fratello. Era vero, Paul poteva essere una spina nel fianco su molte cose, ma non poteva negare che fosse dannatamente popolare: tutte le ragazze e i ragazzi gli morivano dietro e, siccome erano praticamente due gocce d’acqua (e tendevano a portare stessa pettinatura e anche abbigliamento simile per facilitare gli scambi), doveva essere qualcosa nella sua personalità ad attirare tutti come orsi al miele. Quindi, che male ci sarebbe stato a farsi dare un aiutino in più?
«E sentiamo, quale sarebbe la mia parte in questo patto? Bada bene, non ho ancora detto che accetto.»
«Oh Ev, è molto semplice. Lo sai che i nostri cari papini mi hanno messo in punizione...» Ecco, ad Everett già cominciava a non piacere quella cosa. «… ti chiedo solo di prendere momentaneamente il mio posto in punizione.»
«Ma perché devo fare io il recluso, scusa?»
«Lo faresti lo stesso Ev, punizione o no passeresti comunque la giornata chiuso in casa a leggere o a guardarti uno di quei noiosissimi documentari. Insomma io non lo chiamerei nemmeno uno sforzo e poi...» Proprio in quel momento in aula entrò la bella Isabelle che degnò di un saluto veloce il povero Everett che era diventato rosso come un pomodoro. Quanto odiava aver ereditato la pelle chiara del padre. «… andiamo il premio sarebbe lei.»
Paul sogghignò, aveva praticamente già la vittoria in pugno.
«E sentiamo, come pensi di riuscire nell’impresa impossibile di spingere una come Isabelle a chiedere a me di portarla al ballo?»
«Oh andiamo fratellino, un mago non svela mai i suoi trucchi!»
«Paul se mi fai fare l’ennesima figura di merda giuro che dico a papà che hai disattivato il parental control!»
«Pff! Come se non lo avessi fatto anche tu! Se proprio vuoi minacciarmi fratellino, almeno cerca qualcosa di originale e che non ti si ritorca contro.» I due gemelli si guardarono fissi negli occhi: uno sguardo duro e risoluto Everett, il solito ghigno da prendere a sberle Paul.
«Signori Hummel-Anderson, volete prestare attenzione alla lezione oppure volete venire alla cattedra ed esporci la lezione del giorno?» La voce dura e severa del professore di letteratura riscosse i due gemellini. Arrossendo per essere stato beccato disattento alla lezione, Everett aprì frettolosamente il libro, facendo cadere qua e là qualche penna a terra, sotto lo sguardo divertito del fratello.
(Ore 9.15) Va bene, ci sto! Promettimi solo che farai sesso sicuro! EHA
(Ore 9.16) Che tenero ti preoccupi per me? PHA
(Ore 9.17) No, vorrei semplicemente evitare, nel caso fosse una ragazza, che un tuo doppione scorazzi liberamente per il pianeta! EHA
(Ore 9.19) Davvero toccante fratellino! PHA
(Ore 9.22) Rispetta anche tu la tua parte di accordo EHA
(Ore 9.23) Consideralo già fatto, fratellino! PHA
(Ore 9.26) Btw… non è nessun appuntamento romantico PHA
(Ore 9.46) San Mary? EHA
(Ore 9.46) San Mary PHA
Intanto a Villa Hummel-Anderson
«Mhm… era da tanto che non ci concedevamo un po’ di tempo così.» Kurt si lasciò coccolare dalle mani sapienti del marito. Era bello potersi concedere del tempo sotto le coperte, nudi e ancora ansanti dopo aver fatto l’amore per la terza volta di fila. Non dovevano pensare a rivestirsi in fretta e a cambiare le lenzuola e potevano finalmente godere di quel dolce calore che li avvolgeva dopo l’amplesso.
Blaine era steso, con la schiena appoggiata al cuscino leggermente rialzato, con la testa di Kurt appoggiata tra il petto e il braccio e gli stava accarezzando distrattamente i capelli.
«Amo i nostri figli e la nostra famiglia allargata, però amo anche molto farti tutto quello che ti ho appena fatto.» Sussurrò il moro nell’orecchio del più grande, facendolo scoppiare a ridere.
Blaine chiuse e gli occhi e ascoltò quel magico suono che avrebbe tanto voluto riprodurre con uno dei suoi strumenti, perché davvero non esisteva suono più bello per lui.
«Blaine hai una certa età, sarebbe imbarazzante portarti in ospedale perché hai avuto un infarto per troppo sesso.» Gli occhioni luminosi di Kurt si posarono su quelli di Blaine. Al moro parve di nuovo di rivivere quella sera, sulla barca, mentre viaggiavano tra i fiordi norvegesi, e rivide quello stesso colore dipinto in cielo, quelle linee guida che gli indicavano il cammino verso la felicità.
«Kurt… quando queste due belle labbra pronunciano la parola sesso… Dio, sei così eccitante.» Blaine rubò l’ennesimo bacio al marito, ma fu in verità uno scontro tra denti perché Kurt era letteralmente scoppiato a ridere.
«Tu frequenti decisamente troppo Sebastian.» Blaine cercò di baciare nuovamente le labbra di Kurt, ma questi rideva troppo e così i due ingaggiarono una piccola lotta che si concluse poco dopo con il moro completamente steso sul corpo del marito, le sue mani che stringevano quelle dell’altro e le mantenevano ad altezza del suo volto.
«Sebastian non c’entra, sei tu che risvegli la mia libido!»
«Buon per me allora, vorrà dire che non dovremo mai ricorrere alla pillolina blu.»
«Kurt, smettila di sfottere! Sei più grande tu di me.»
«Si, ma tra te e me chi ha le analisi perfette sono io.» Con un piccolo occhiolino malizioso, il castano ribaltò le loro posizioni.
Gli anni passavano, eppure Kurt si ritrovava ad amare Blaine ogni giorno sempre di più. Molti sue colleghi dicevano che dopo un po’ di anni tutto finiva, si arrivava ad un punto che si stava quasi insieme per abitudine più che per vero amore. Dicevano che persino il sesso diventava una cosa noiosa, che quasi quasi era molto più interessante guardare un bel film. Kurt guardò il petto nudo del marito, ancora sudato e con qualche traccia secca di sperma. Lo avevano appena finito di fare eppure lui aveva già voglia. Si sporse in avanti e, con la propria lingua, andò a leccare via quelle tracce appiccicaticce. Sentì i muscoli di Blaine tendersi e fu piuttosto lusinghiero e molto eccitante sentire la sua erezione gonfiarsi sotto quelle sue attenzioni. Forse c’era il tempo di fare un altro round prima che suo padre tornasse dalla sua passeggiata al parco e passasse poi a prendere Tracy e Alfie all’asilo. Con una mossa rapida, Kurt si ristese sul materasso trascinandosi Blaine sopra, spalancando poi le gambe in un chiaro invito.
Le labbra del moro furono subito sulle sue, un bacio umido e sporco che lasciava capire quanto alto fosse il desiderio che l’uno aveva dell’altro.
«Al diavolo quelle vecchie oche… io non potrò mai annoiarmi di questo.» Mormorò Kurt prima che un grido gli soffocasse la gola nel momento in cui Blaine rientrò prepotentemente nel suo corpo.
Qualche ora dopo…
«Io esco!» Kurt allungò l’occhio guardando quello che avrebbe dovuto essere Everett uscire. Ora, di norma non ci sarebbe niente di strano, se non fosse che Everett era un ragazzo particolarmente pigro, amava poco uscire a meno che non fosse costretto.
«E dove vai di grazia?» Chiese sospettoso avvicinandosi al figlio e afferrando la catenina al collo del ragazzino.
Everett
Per essere giusta, era giusta. Ma scambiarsi le catenine era molto facile, sì Kurt stava seriamente prendendo in considerazione l’idea dei tatuaggi!
«Papà vado in biblioteca, perché così sospettoso?» Kurt continuò a guardare il figlio mentre la piccola Tracy si avvicinava saltellante. Anche quel giorno indossava una delle ultime creazione del suo papi per la casa (sì perché quella bimba doveva essere fashion anche in casa!)
«Sono sempre sospettoso quando tuo fratello è in punizione. Tracy, piccola mia, secondo te questo è Everett o Paul?» Tracy guardò il fratello con i suoi grandi occhioni ambrati. La piccola, sin da piccolissima, aveva da subito mostrato a tutti di avere una sorta di super potere nel riuscire sempre a riconoscere i due fratelli maggiori. Ovviamente questa cosa era stata sfruttata molto dai suoi papà… peccato che poi crescendo la piccola avesse scoperto la nobile arte della corruzione da parte dei due gemellini (anche se sarebbe più corretto dire solo di Paul!). E se c’era una cosa che Tracy era molto brava a fare, contrariamente al fratellino più piccolo, era mentire. Ma del resto come ripeteva sempre Sebastian: falsità il tuo nome è donna!
Paul, perché ormai avete capito tutti benissimo che quello alla porta era Paul, guardò la sorellina: ormai sapeva sempre come farsi capire con lei e riuscivano a parlarsi tranquillamente solo guardandosi negli occhi. E in quel momento gli occhi azzurri di Paul stavano dicendo: “vai da Everett e vai a riscuotere il tuo premio!”
«E’ Evett papi.» Kurt riportò la sua attenzione sul ragazzino alla porta.
«Perché vai in biblioteca? Non avevi detto di aver finito tutti i compiti?» Kurt era molto bravo nel mettere alle strette i suoi figli ma Paul… Paul era semplicemente più bravo.
«Infatti non vado in biblioteca a fare i compiti, ma devo aiutare Isabelle per la ricerca di storia.» E qui Paul sapeva di essersela giocata benissimo. Infatti, contrariamente a quello che si potrebbe pensare dato il titolo di mamma chioccia che Kurt aveva, non era lui quello geloso dei propri figli e che avrebbe voluto che mai lasciassero il nido. Quello era decisamente Blaine che minacciava qualsiasi ragazza entrasse in casa (nel caso di Paul anche qualche ragazzo) che nonno Burt aveva un fucile e che gli aveva insegnato bene come usarlo!
Come Paul aveva ipotizzato, lo sguardo di Kurt si addolcì e, lasciando una piccola carezza sul suo volto, gli fece segno di andare.
Kurt rimase a fissare a lungo la porta chiusa da cui “Everett” era appena uscito.
«Ah, il mio bimbo è proprio cresciuto.» Chissà se anche Everett avrebbe trovato il Blaine del suo cuore, si perché uno come lui aveva decisamente bisogno di una ragazza che avesse la pazienza e la dolcezza del suo Blaine. Per Paul… beh lui avrebbe dovuto trovare il Thad del suo cuore perché in fatto di romanticismo non aveva preso per niente da lui!
Tornò in cucina dove ad attenderlo, esattamente dove lo aveva lasciato prima, c’era il piccolo Alfie intento a colorare un album da disegno.
«Allora tesoro, vuoi fare merenda?» Kurt si avvicinò al piccolo, sollevandogli qualche riccio scuro che gli finiva sugli occhi, doveva decisamente tagliargli i capelli.
«Potto avere la coccolata papi? La futta è butta.» Kurt guardò gli occhioni luccicanti del figlio. Ogni giorno per la merenda era la stessa storia, di solito riusciva a convincerlo e a fargli mangiare la frutta, non senza qualche capriccio di troppo. Ma ogni tanto doveva pur dargliela vinta, non si poteva restare perennemente impassibili dinanzi a quegli occhioni tristi.
«Va bene, avviso papà di comprare degli ingredienti, faremo una torta al cioccolato per cena. Però ora mangi la frutta.»
«Tiiiiiii!» No… alla fine, in un modo o nell’altro, riusciva sempre ad averla vinta lui!
(Ore 16.25) Amore, prenderesti latte, uova, lievito per dolci e cioccolato? KHA
(Ore 16.27) Vedo che gli occhioni dolci di Alfie alla fine hanno vinto BHA
(Ore 16.30) Non sono insensibile Blaine, voglio solo che mio figlio cresca sano e forte KHA
(Ore 16.31) Mi sembra che Paul sia venuto su sano e forte nonostante abbia mangiato, e continui a farlo, schifezze come se non ci fosse un domani BHA
(Ore 16.32) Paul ha i geni Smythe che sono talmente nocivi da corrodere persino i grassi KHA
(Ore 16.33) A proposito di Smythe. Devo accompagnarlo a casa e poi passo al supermercato. La sua auto è ancora dal meccanico BHA
(Ore 16.34) Quella mangusta ha abbastanza soldi per prendere un taxi KHA
(Ore 16.36) Kurt, la sua auto è dal meccanico per colpa di nostro figlio. Scarrozzarlo in giro mi sembra il minimo per ripagarlo del danno BHA
(Ore 16.39) Beh lo riporti a casa dopo! Ho bisogno degli ingredienti se voglio fare la torta per mio figlio! KHA
(Ore 16.40) Agli ordini! BHA
Intanto in qualche punto imprecisato di New York
«Blaine ti devo ricordare che sei al volante e che non dovresti scrivere al cellulare? Guarda che non ti faccio da avvocato quando ti metteranno dietro le sbarre.» Blaine finì di rispondere velocemente al marito e posò poi il cellulare nel cruscotto davanti all’amico.
«Bas, siamo incolonnati da almeno venti minuti. Ho spento il motore più di dieci minuti fa e non l’ho ancora acceso. Avevo tutto il tempo per scrivere a mio marito!» Mentre parlava, Blaine riaccese il motore dell’auto guardando nello specchietto retrovisore se ci fosse un varco per poter passare.
«Blaine che fai? Perché torni indietro?» Sebastian vide il suo migliore amico mettere la freccia e cercare di districarsi in quel caos di macchine per riuscire a fare un’inversione ad “U”.
«Cambio di programma. Devo andare a fare la spesa e portarla a casa!»
«Stai scherzando, vero? Thad ha il turno di notte, devo tornare a casa!»
«Ti riporto a casa per l’ora di cena, Bas. Ma Kurt mi ha dato un ordine e se non voglio farmi un’altra settimana in bianco, è meglio che ubbidisco!» Ripeté frustato il moro. Amava, amava profondamente i suoi quattro figli e la vita con suo suocero e Antoine, ma non ne poteva più di essere interrotto proprio quando i baci e le carezze sue e di Kurt stavano cominciando a diventare interessanti. Quella mattina erano riusciti a concedersi un po’ di tempo per loro, ma era anche da un mese che non facevano l’amore, dal famoso litigio insomma. E sebbene fosse stato del sesso molto appagante, il fatto che Blaine sapeva che per chissà quanto sarebbe andato in bianco, lo faceva sentire come un adolescente che non riusciva mai ad appagarsi totalmente.
«Cos’è? Ha ricominciato a fare la checca frigida come al liceo?» Blaine sospirò e, dal modo in cui si passò la mano tra i ricci, Sebastian capì che era arrivato al limite della sopportazione.
«No… ok forse si. Ma non perché non voglia anche lui. Solo che è troppo una mamma chioccia. Non dico la sera che abbiamo capito che Alfie ormai viene per farsi leggere una storia, ma la mattina ci possono pensare benissimo Burt e Antoine a portare a scuola i ragazzi, mentre noi rispettiamo i nostri doveri coniugali a letto. Invece no, lui deve alzarsi prima di tutti, svegliare i bimbi, preparargli la colazione e portarli a scuola. Poi ovviamente quando torna si è fatto l’orario che io magari devo andare a lavoro o comunque sarebbe più sospetto se abbandonassimo Burt e Antoine nel bel mezzo della mattinata per chiuderci in camera a scopare!» Blaine non si era nemmeno reso conto da quanto tempo si tenesse dentro tutto. Aveva parlato tutto d’un fiato, veloce e rapido, quasi non respirando tra una frase e l’altra. E quando ebbe detto tutto al suo migliore amico si sentì un po’ meglio, ma anche un po’ in colpa nei confronti dei propri figli.
«Io non dico che dovremmo abbandonarli sempre a Burt e Antoine. Amo i miei figli, più di qualsiasi altra cosa su questa cazzo di terra. Ma almeno un paio di mattine alla settimana vorrei… insomma vorrei godermi mio marito!» Blaine si aspettava che Sebastian si mettesse a ridere di lui o che cominciasse a prendere in giro il marito. Ma, come accadeva sempre nei momenti di maggior bisogno, il suo migliore amico lo stupì, facendogli capire, per l’ennesima volta, che Sebastian Smythe aveva un cuore grande quanto lo era la sua boccaccia.
«Blaine, hai mai pensato che Kurt si comporti in maniera così morbosa con i piccoli perché sa di aver perso tanto nella vita di Paul e non vuole commettere lo stesso errore?» Blaine sospirò. Ci aveva pensato, certo che ci aveva pensato.
«Ascolta, facciamo così. Io domani ho la giornata interamente libera. Ti tengo io i ragazzi, tutti e quattro. Cercheremo anche qualcosa da far fare a Burt e Antoine in modo che voi abbiate casa libera...»
«Kurt non si separerà dai bambini!» Lo interruppe Blaine con una voce che pareva quasi un rantolo disperato.
«Lascia che della checca me ne occupi io, Blaine. Tu domani ti scopi Kurt in tutte le posizioni possibili e poi parlate di questa cosa. Blaine, non voglio infilare il coltello nella piaga, ma è mio compito anche metterti in guardia. Non dovete commettere gli stessi errori del passato. E’ vero che il sesso non è la parte più importante di una relazione e che a parte quello tu e Kurt andate alla grande. Ma è comunque una parte essenziale per mantenere un buon equilibrio all’interno della coppia. Tu e Kurt vi porterete dietro sempre delle ferite e soprattutto dei rimorsi ed è chiaro che sono proprio questi rimorsi che legano in questa maniera morbosa Kurt ai piccoli.» Blaine accennò un sorriso e si girò per qualche secondo per osservare la sagoma del suo amico.
«Da quand’è che sei così saggio?» Il castano accanto a lui scoppiò a ridere.
«Non sono saggio, voglio solo evitare di sentire le urla di un Kurt sessualmente frustrato e le tue lamentele!» Blaine tornò a guardare l’amico con un sorriso sincero, per nulla impressionato dalle sue parole.
«No, lo sei sempre stato. Sei il migliore amico che un uomo possa mai avere.» I due si sorrisero, come solo due amici che sono sempre stati insieme, nella gioia e nel dolore, sanno fare: con complicità.
Un’oretta dopo…
«Amore, sono qui.» Blaine entrò in casa portando le pesanti buste della spesa che ovviamente si erano riempite molto più del necessario perché Alfie potrebbe volere questo, Tracy vorrà sicuramente questa bambola, ad Everett queste tartine di soia piacciono da impazzire, Paul senza patatine non può stare… risultato? Da quattro cose che doveva comprare, aveva fatto la spesa per un esercito!
«Blaine, finalmente sei arrivato. Oh mangusta, ci sei anche tu!» Kurt aiutò Blaine a portare in cucina le buste, mentre Sebastian li seguiva ghignante: del resto aveva un piano e non doveva fallire.
«Non esserne sorpreso, Kurt. Sapevi che Blaine doveva accompagnarmi a casa.»
Senza nemmeno degnarlo di attenzione, Kurt cominciò a recuperare gli ingredienti che trovava sparsi nelle varie buste.
«Blaine, ma cosa cavolo hai comprato? Lo sai che in questa casa non possono esserci troppe patatine, a meno che non siano quelle ipocaloriche!» Il castano prese a sventolare minacciosamente il sacchetto di patatine dinanzi al moro.
«Kurt, andiamo. Paul è un adolescente, dagli delle schifezze, tanto ha un metabolismo che gli permetterà di smaltire persino un rinoceronte intero.»
«E quando il suo metabolismo rallenterà? Eh, Blaine?»
«Kurt, quando arriverà quel momento ci penseremo.» Scavalcando il marito, ma sapendo che quella discussione sarebbe tutt’altro che finita, Blaine si accinse a posare tutto il resto della spesa nei vari cassetti della cucina.
«Blaine, perché non porti la bambolina nuova a Tracy?» Sebastian guardò il moro sperando che capisse che voleva essere lasciato da solo con Kurt. Blaine ovviamente capì, bastava uno sguardo ormai per capire cosa il suo migliore amico gli volesse dire.
Il moro si diresse verso il piano superiore, lasciando Kurt con Sebastian. Aveva sempre paura a lasciarli da soli: insieme potevano essere più distruttivi di una bomba atomica!
Kurt intanto, ancora ignaro di tutto, si indaffarò a preparare la torta per la cena: avrebbe fatto il ciambellone panna-cioccolato, il preferito del piccolo Alfie.
«Che vuoi, Mangusta? Sei leggermente inquietante appollaiato lì come un avvoltoio.»
«Kurt, deciditi! O sono una mangusta o sono un avvoltoio!» Con un piccolo saltello, Sebastian si sedette sul marmo accanto ai fornelli. Sapeva che era una cosa che Kurt odiava profondamente, infatti la reazione del più grande non tardò ad arrivare.
«Scendi immediatamente di lì!»
«Perché? Ci puoi salire solo tu quando Blaine ti scopa come se non ci fosse un domani?» Oh si, Sebastian sapeva perfettamente come arrivare al punto della questione senza girarci troppo intorno.
«Perdonami Mangusta, ma Blaine ed io non siamo dei selvaggi come qualcun’altro!»
«No, hai ragione. Tu hai quasi dimenticato cosa significa fare sesso con il proprio marito!» Kurt si bloccò con ancora l’uovo in mano. Si girò verso Sebastian e dal suo sguardo, l’avvocato capì di aver scoperto il nervo giusto.
«Io e Blaine stiamo benissimo e la nostra vita sessuale è soddisfacente per entrambi.» Stizzito, Kurt ruppe l’uovo e cominciò a mescolare l’impasto, ma il nervosismo era palese nei suoi movimenti vista quanta forza ci stava mettendo, versando di qua e di là un po’ del composto.
«Kurt, ascolta...»
«Non so cosa Blaine ti abbia detto e soprattutto perché te lo abbia detto, ma posso assicurarti che proprio stamattina abbiamo fatto...»
«… del bellissimo sesso. Ok. Ma dopo quanto tempo?» Kurt fissò l’altro uomo in volto mentre il suo era rosso come un pomodoro fin troppo maturo e Sebastian non sapeva se per la rabbia o per l’imbarazzo.
«Kurt, ascolta. Io credo che il problema qui non sia la tua mancanza di attrazione nei confronti di Blaine, bensì il tuo morboso attaccamento ai tuoi figli.»
«Pfp! Detto da te che abbandoneresti Nathaniel pur di scopare Thad.» La voce di Kurt era tagliente quanto una spada a cui era appena stato rifatto il filo, ma Sebastian non se ne curò, sapeva bene che quello era tutto un meccanismo di difesa.
«Sai che non è così. Kurt, non è che lasciando qualche ora in più quei bimbi con il loro nonno ti perderai la loro crescita, ok? Tuo padre li porterà a scuola, ma poi torneranno sempre in questa casa, qui con te e Blaine.» Sebastian poggiò la mano sulla spalla dell’altro uomo e sentì un piccolo fremito in quel corpo ancora così esile e slanciato. Eccola lì, la crepa che sperava di ottenere.
«Io non...»
«Kurt, non è lasciandoli qualche ora che perderai la loro vita.»
«Non posso perdere di nuovo tutto, non posso. Non posso commettere lo stesso errore.» La voce di Kurt era gracchiante, come se l’uomo stesse a stento trattenendo le lacrime.
«Kurt, non lo commetterai. Le circostanze erano diverse, tu e Blaine eravate diversi. E’ bello che tu pensi ai tuoi figli e non commettere con loro gli stessi errori. Ma devi pensare la stessa cosa nei confronti di Blaine… »
«Amo Blaine più della mia stessa vita!»
«Si, ne siamo tutti consapevoli. Ma Kurt… non è solo la crescita di Paul che hai perso. Anche tuo marito è cambiato tanto in quel periodo, come tu sei cambiato tanto. Devi permettere ad entrambi di non ritrovarvi davanti un uomo che a stento riconoscete. I tuoi figli non scappano, e non sto dicendo che Blaine potrebbe farlo sia chiaro, ma avete perso tanto tempo anche tra di voi, cercate di recuperarlo.»
Inaspettatamente Kurt si trovò a sorridere alle parole di Sebastian. Era vero, lui e Blaine avevano perso così tanto, un po’ anche perché avevano deciso forse di avere Everett e Paul troppo presto. Non solo si erano da subito dovuti destreggiare tra pannolini e pappette, ma avevano anche perso undici anni l’uno dell’altro, undici anni in cui erano completamente cambiati e non avevano potuto scoprirsi e amarsi sempre più per ogni piccolo cambiamento del cuore e della mente. E adesso era vero che Kurt metteva sempre Blaine in secondo piano, dandolo certe volte anche troppo per scontato. Tanta era la paura di perdere anche un solo attimo della vita dei suoi figli che stava quasi dimenticando che dietro a quelle piccole quattro cosine preziose c’era anche un marito favoloso.
«Mi sa che hai ragione.» Sussurrò lo stilista mentre una piccola lacrima lasciava le sue ciglia e si posava sulla sua guancia. Con un sorriso, che stranamente non mascherava alcun ghigno, Sebastian raccolse quella piccola gemma lucente.
«Checca, io ho sempre ragione. Tu sei solo troppo isterico per accorgertene.» Kurt sbuffò, facendo nuovamente sorridere l’avvocato.
«Ascolta, ho pensato domani di tenere tutti e quattro i ragazzi io, anche Burt se vuole. Ad Antoine basterà anticipare il giorno libero. Così tu e Blaine passate tutto il giorno a letto e a fare tante belle cosine che fate troppo poco. E d’ora in poi lascia che Burt accompagni ogni tanto a scuola i tuoi pargoli e tu goditi il tuo bel marito prima che la vecchiaia lo renda impotente!» Di slancio, Kurt abbracciò l’amico quasi stritolandolo, come se volesse rendergli tutti gli abbracci che, per orgoglio, gli aveva sempre negato.
«Sei sempre il solito scemo, Bas. Ma sei davvero un buon amico.» Sebbene un primo attimo di confusione, l’avvocato ricambiò l’abbraccio, ma poi, siccome stiamo pur sempre parlando di Sebastian Smythe, non si lasciò di certo scappare l’occasione di tastare quel sedere che, anche se attaccato al corpo di una checca discutibile, era pur sempre un gran sedere! Così, lasciò scivolare le sue mani sulle rotondità perfette di Kurt, strizzandone poi la carne. Si era aspettato di essere nuovamente investito dagli ultrasuoni del più grande, lo stupì invece sentire la sua risata sottile.
«Sei uno scemo e visto che hai detto una cosa intelligente per stavolta te la faccio passare.»
Kurt e Sebastian erano ancora abbracciati quando Blaine, con in braccio la piccola principessina, arrivò in cucina.
«Ok, la cosa è piuttosto inquietante.» Esclamò non riuscendo a credere a ciò che vedeva. Quando era stata l’ultima volta che aveva visto Sebastian e Kurt abbracciati? Probabilmente mai, quella doveva essere la primissima volta!
«Preferisci che faccia questo, Blaine?» Con una mossa fulminea, Sebastian andò a riposizionare le proprie mani sul gran sedere di Hummel e perché no, dare anche una strizzatina di nuovo a quelle belle natiche sode.
«Sebastian!» Ovviamente del coro di voci che si levò, quella che più fece male alle povere orecchie dell’avvocato, furono sicuramente gli ultrasuoni di Kurt.
«E che cavolo! Davvero Blaine non so ancora come tu faccia a sentire ancora! Ma cosa fa mentre sc...»
«Dì quella parola, Sebastian e sarà sicuramente l’ultima cosa che tu abbia mai detto in vita tua.» Lo sguardo minaccioso dello stilista fu forse abbastanza spaventoso da far tacere l’avvocato… o forse era che tutto sommato poteva ritenersi soddisfatto per aver dato ben due palpatine a quel fondoschiena proprio niente male!
Quando si fu ripreso dallo shock, Blaine si ricordò del motivo che lo aveva condotto sin lì.
«Kurt, temo abbiamo un problema.» Proprio in quel momento sbucò in cucina anche Paul… o meglio, quello che avrebbe dovuto essere Paul!
«Papà, ti giuro che non è grave come sembra. Lui è...»
«Everett, basta. Mi aspettavo più senno da parte tua. Non puoi continuare a coprire tuo fratello in questo modo.» Kurt guardò allora il figlio. Era vero che distinguerli era difficile, ma non impossibile. Come aveva fatto a non accorgersi delle imperfezioni sul viso di Paul che invece mancavano totalmente su quello maniacalmente curato di Everett?
«Everett! Tuo fratello ha proprio avuto una pessima influenza su di te.» Sospirò Kurt portandosi una mano alla fronte.
«Anche su Tracy, non è vero? Piccola Giuda?» Blaine pizzicò il naso della piccola che, in risposta, gli fece una tenera linguaccia. Solo allora Kurt notò i baffi di cioccolata agli angoli della bocca della figlia. Ma certo, la moneta di corruzione più antica e più efficace di tutte: la cioccolata!
Proprio in quel momento Burt e il piccolo Alfie, che Kurt aveva dovuto mandare fuori con il nonno per non essere più tartassato da domande del tipo papi ma quando fai la tota, papi potto avere una fetta di tota, rientrarono in casa.
«Ho dimenticato una riunione di famiglia?» Domandò Burt vedendo tutti in piedi in cucina senza fare apparentemente nulla se non guardarsi. Ma per Hummel senior bastò guardare il cipiglio del figlio, il sorrisetto che Sebastian cercava di nascondere e i baffi di cioccolata della nipote per capire tutto.
«Fatemi indovinare: si sono scambiati di nuovo?» Sebastian annuì a Burt, palesando finalmente il suo sorrisetto a tutti.
«Evy, ma non lo capisci che è sbagliato che tu faccia i compiti al posto di tuo fratello?» Kurt odiava alzare la voce con i propri figli, ma sapeva anche bene che in certi casi era necessaria e se non l’alzava lui la voce, di certo non lo avrebbero fatto né Blaine né suo padre.
«Papi, davvero io... Io non so nemmeno perché si ostina a non dirvelo.»
«In che guai si è messo tuo fratello?» Domandò immediatamente Blaine. Ci mancava solo che Paul si mettesse a spacciare o fare altre cose che in genere facevano gli adolescenti che finivano su una brutta strada. Quella era la più grande paura di Blaine: finché suo figlio andava male a scuola, poteva accettarlo, certo non ne era felice, ma poteva conviverci se lo sapeva comunque al sicuro e protetto. Ma se Paul avesse scelto una di quelle brutte vie che inseguivano i ragazzi problematici come si vedeva nei film… no, quello Blaine non avrebbe mai potuto accettarlo.
«Nessun guaio, credetemi.»
«Beh, si parla di Paul, Evy. Viene difficile non credere che non si sia cacciato in qualche guaio.» Disse prontamente Sebastian, ma lo sguardo omicida che Kurt gli rivolse gli fece passare tutta la voglia che aveva di parlare.
«Non credere che non farò i conti anche con te. E’ colpa tua se il mio bambino è venuto su così!»
«Io? Ma che c’entro io? Paul ha preso tutto da te, sei tu che sei un insoppota...»
«Ok basta! Smettetela, non ricominciate, vi eravate appena abbracciati!» Blaine bloccò i due adulti, lì se si mettevano a litigare pure loro non ne sarebbero più usciti fuori.
«Ev, cosa ci nascondi? Cosa sta combinando tuo fratello?» Il ragazzino si mordicchiò le labbra. Lui e suo fratello avevano un patto, ma lui era già stato bello che sgamato per quello.
«Ev, di qualunque cosa si tratti, diccelo.»
Il ragazzo si mordicchiò ancora una volta le labbra, ancora indeciso se confessare o meno. La preoccupazione negli occhi dei suoi papà era evidente, del resto Paul non era certo estraneo a combinare guai di ogni genere.
«Paul è al San Mary Orphanage.» Alla fine Everett si decise a vuotare il sacco: non era mai stato bravo con le bugie, del resto era anche stato il primo a farsi beccare nell’operazione The Klaine Trap (come l’avevano chiamata i due gemellini anni dopo). Sperava che suo fratello lo perdonasse, o quantomeno che si vendicasse in un modo rapido e indolore.
Ma se Everett si ritrovava con un peso in meno a gravargli sul petto, per Kurt e Blaine era come se un macigno gli si fosse impiantato nel cuore.
«I-in un orfanotrofio?»
«Perché il mio bimbo è in orfanotrofio?» Ovviamente Kurt non aveva nemmeno finito di pronunciare quella frase che subito era corso a prendere il suo cappotto e le chiavi della sua macchina. Blaine non perse tempo e imitò immediatamente il marito.
«Papà, per favore badi tu ai bimbi?»
«Non hai nemmeno bisogno di chiedere Kurt, solo… cerca di non essere troppo duro con Paul, non ha fatto nulla di grave.»
«Papà dovresti smetterla di farti impietosire in questo modo da quei due occhioni azzurri.»
«L’ho fatto anche con te, figliolo. E non mi pare che il risultato finale sia poi così brutto!» Kurt alzò gli occhi al cielo, inutile, il padre si lasciava intenerire decisamente troppo da quelle quattro piccole pesti!
«Ev, tu vieni con noi!» Esclamò Blaine prendendo anche il cappottino del figlio. Everett emise un suono smorzato: sperava solo che suo fratello non lo uccidesse e soprattutto che non sciogliesse il patto che c’era tra loro.
Vedendo i due uomini uscire, Sebastian si apprestò a seguire la coppia, ma si trovò bloccato da un braccio di Kurt e dai suoi glaciali occhioni azzurri.
«Tu non ti muovi di qui Mangusta. E’ colpa tua questa situazione.»
«Come potrebbe essere di grazia colpa mia se io ero con Blaine?»
«Sei tu che mi hai portato Paul sulla strada della perdizione! E’ colpa tua se mio figlio è così!»
«Mia? E no, checca mia, buon sangue non mente...»
«No, basta! Non ricominciate a litigare!» Blaine, che nonostante fosse ormai prossimo ai quaranta era tutto fuorché debole e fuori allenamento, afferrando le gambe di Kurt, se lo issò in spalla e cominciò ad uscire dalla porta di casa, sotto lo sguardo divertito di Everett e Burt, quello ammirato di Tracy e Alfie e le urla e i pugni incessanti di Kurt stesso.
«Uhh Blaine, ecco spiegato perché vai in palestra, per poter continuare a fare le cosacce con Kurt schiacciato al muro.» Un gongolante Sebastian seguiva la coppietta verso l’auto, immortalando anche qualche scatto di un Kurt che si dimenava come un sacco di patate sulla spalla di Blaine.
«Sebastian, sei il mio migliore amico e ti voglio un bene dell’anima. Ma tu resti qui. Non posso reggere te e Kurt insieme in un ambiente piccolo come una macchina.» Dette quelle parole, aiutato da Everett che gli tenne la portiera dell’auto aperta, Blaine spinse Kurt a sedersi al posto del passeggero. Mentre gli allacciava la cintura, giusto per evitare che il marito scappasse e accoltellasse veramente il migliore amico, suddetto marito, molto maturo, fece la linguaccia a Sebastian, facendogli anche qualche gesto con le mani che non sarebbe bene né descrivere, né riprodurre!
«Ehi, non potete lasciarmi qui… Ehi! Ho una famiglia anch’io!» L’avvocato cercò di rincorrere l’auto finché faceva manovra nel vialetto. Kurt si affacciò dal finestrino agitando la mano in segno di saluto verso il castano.
«Hai due gambe Sebastian, usale e tornaci a piedi a casa!»
Sebastian osservò l’auto svoltare l’angolo e sparire completamente dalla sua vista.
«Maledetta checca!»
Intanto al San Mary Orphanage
Paul suonava la canzone dei suoi papà al piccolo pianoforte che c’era nella piccola stanzina dove i bimbi giocavano. Era un pianoforte un po’ vecchiotto e malandato e c’erano voluti tutti i suoi risparmi per riuscire a sistemarlo almeno un pochino. Ma ai bimbi sembrava piacere lo stesso, anche se il suono che ne usciva fuori non era proprio dei migliori.
Quello che poi amava più di tutti sentirlo suonare era il piccolo Colin che si sedeva sempre accanto a lui e ascoltava rapito tutte le cose belle che lui suonava. Paul non sapeva dire perché aveva deciso di iniziare a suonare in quell’orfanotrofio. Era successo per caso, un giorno, dopo aver litigato pesantemente con i suoi papà. Non capitava spesso, ma quando succedeva era sempre doloroso per entrambe le parti.
«Siamo stufi Paul di tutto questo. La devi smettere di scambiarti con tuo fratello prendendoci per stupidi! Non lo siamo e non lo sono nemmeno i professori. Tu adesso resterai in punizione per un mese intero e voglio vedere quei voti lievitare o giuro che ti tolgo non solo il cellulare, ma resterai segregato in questa casa fino alla maggiore età!» Kurt era davvero furioso, rare volte Paul lo aveva visto così arrabbiato. Ma lui non era da meno, era arrabbiato, frustato. Era da poco entrato nel pieno della sua adolescenza, nel bel mezzo di una crisi sessuale, aveva baciato un ragazzo e la cosa non gli era dispiaciuta, anzi. L’unica cosa che voleva era che suo padre lo lasciasse in santa pace e lo facesse uscire di casa per incontrare di nuovo quel ragazzo e capire se veramente gli piacevano anche i ragazzi, oppure era stato solo un momento.
«Che diritto hai per mettermi in punizione?» Si sa, la rabbia è sempre cattiva consigliera e quando ci si abbandona ad essa si dicono sempre cose che né mente né cuore pensano realmente.
«Che diritto ho? Sono tuo padre, eccolo il mio diritto!»
«Già e te ne ricordi solo ora? Comodo, eh? Posso dire che zio Bas è stato mio padre centomila volte in più di quanto non lo sia stato tu!» Paul si pentì immediatamente di quelle parole. Non voleva dirle, non le pensava nemmeno. Sapeva che quella era ancora una ferita aperta, per suo padre quanto per lui.
La reazione di Kurt non tardò ad arrivare. Paul era convinto di sentire il dolore sordo di uno schiaffo sulla guancia, ma anche in quel momento suo padre non osò toccarlo con un gesto più forte di una carezza. Fu infatti una carezza quella che gli scaldò la guancia, ma a Paul fece male lo stesso, perché le lacrime che in quel momento suo padre stava versando erano interamente colpa sua. Con uno strattone il ragazzo corse via, lontano da quegli occhi azzurri così simili ai suoi e al tempo stesso così diversi.
Fu correndo sotto la pioggia, che non poteva certamente mai mancare in certi momenti, che si ritrovò fuori da quel piccolo orfanotrofio.
«Hai sbagliato, Paul.» Il piccolo Colin riscosse il giovane dai suoi ricordi. Paul abbassò lo sguardo verso il bimbo. Colin era un tenero bimbo di otto anni, era il più grande in quel posto ma difficilmente riusciva a trovare una famiglia che lo accogliesse perché, a causa di una rara malattia che lo costringeva a cure dispendiose, il piccolo era completamente cieco. Era il bimbo a cui Paul si era affezionato di più ed era stato proprio lui, con i suoi occhietti vuoti e slavati, a fargli capire quel giorno quanto fosse fortunato: era vero, Kurt e Blaine lo sgridavano di tanto in tanto e piuttosto spesso lo mettevano pure in punizione, ma gli davano talmente tanto amore che lui certe volte finiva con il darlo per scontato. Lui aveva una famiglia, due persone da stringere e da abbracciare quando sentiva il mondo crollargli addosso, due labbra che gli auguravano la buonanotte e due vite che dipendevano unicamente dalla sua e da quella dei suoi altri tre fratelli.
«Stai migliorando se te ne sei accorto.» Esclamò Paul arruffando i morbidi capelli rossicci del piccolo. Questi prese a ridere e a dimenarsi sulla sedia.
«No, sei tu che hai sbagliato tanto tanto.» In quel momento li raggiunse una piccola bimbetta di quattro anni, di poco più grande di Tracy.
«Paul, pechè hai messo di tuonare?»
«Ho smesso, ma adesso ricomincio Lucy.» Paul sorrise mentre si ritrovava accerchiato da tutti quei bimbi.
«Io tono tufo di sentire la mutica. Pechè non ci lacconti di nuovo la toria dei due pincipi che ti tono ‘posati gazie ai loro figli?» Il piccolo Justin, anni tre, zampettò verso di lui finché Paul non lo prese in braccio e se lo sistemò su una gamba.
«Ti ‘toria!» Quello che batteva le mani in maniera tanto gioiosa era il piccolo Alan, prossimo all’adozione da parte di una famiglia piuttosto benestante, aveva solo due anni e, essendo il più piccolo, era quello che aveva trovato una casa con più facilità.
«Si dai Paul, raccontaci di nuovo la storia!» Colin, che era da sempre un po’ geloso di Paul, imitò Justin e prese posto sull’altra gamba del ragazzo. Il ragazzino guardò la signora Martin che supervisionava sempre quando lui andava a trovare i bimbi. Questa annuì e sistemò i bimbi più piccoli su un grosso tappeto morbido in modo che non si facessero male mentre si posizionavano ai piedi di Paul.
«Va bene. E storia sia. C’erano una volta due bambini, uno era ricco, ricchissimo, viveva in un castello bellissimo insieme a suo padre; l’altro era l’umile figlio di un povero contadino che doveva lavorare sodo per permettere che suo figlio avesse qualcosa da mettere sotto i denti a fine giornata. Un giorno...»
Fuori dalla porta, Kurt e Blaine osservavano orgogliosi il loro bambino raccontare quella che era la loro storia. Suor Maria, la direttrice dell’orfanotrofio che li aveva fatti entrare, guardava con un sorriso tutti quei bimbetti che ascoltavano rapiti il ragazzino più grande.
«Dovreste essere proprio orgogliosi di vostro figlio: ha un cuore buono.» Disse la donna e sia Kurt che Blaine sentirono il loro cuore scoppiare letteralmente di orgoglio. Blaine fece aderire il proprio corpo alla schiena del marito, stringendogli una mano sul ventre, mentre i suoi occhi, umidi di commozione, non lasciavano mai la figura di Paul.
«Lo siamo.» Sussurrò mentre Paul raccontava, in modo piuttosto romanzato, il primo incontro tra i due bimbi. Everett non se la prese nemmeno a male mentre suo fratello lo descriveva come una femminuccia mentre scappava durante una battuta di caccia e lui, indomito e aspirante cavaliere, lo aveva salvato mentre un cinghiale stava per fare di lui un sol boccone.
«Vostro figlio ci dà una grossa mano con i bimbi. Siamo in poche e il lavoro da fare è tanto, lui li tiene impegnati un pomeriggio alla settimana. Ma la gioia che regala a queste piccole creature è grande.» Più la suora parlava e più Kurt sentiva il proprio cuore scoppiare di orgoglio per quel bambino che non aveva potuto vedere crescere, ma poteva vedere l’uomo sbocciare ogni giorno sempre un pochino in più.
«Suor Maria, chi è il bimbo che si è praticamente aggrappato a Paul? Sembra che gli sia molto affezionato.» Domandò Blaine mentre osservava il piccolo Colin stringere le sue braccine al collo di Paul. Suon Maria emise un verso stanco e che esprimeva immenso dolore.
«Lui è Colin, è con noi da quando aveva un anno e ora ne ha otto.»
«Sette anni e nessuno lo ha mai adottato?» Chiese Kurt girandosi verso la suora.
«Vedete, il piccolo Colin ha una malattia molto rara che lo ha condotto praticamente subito alla completa cecità. Le sue cure sono molto dispendiose e non molte famiglie vogliono accollarsi un problema simile. Molti lo prendono in affidamento finché non finiscono i soldi dell'affido e poi lo rispediscono qui.» Kurt volse istintivamente il capo verso Blaine. I suoi occhioni azzurri erano praticamente un libro aperto per il moro che intuì subito cosa gli stesse silenziosamente chiedendo. Con un gesto dolce, Blaine poggiò le sue labbra sulla fronte di Kurt che lesse in quel gesto un ne parliamo dopo.
«Blaine, torniamo a casa.» Kurt si girò nell’abbraccio del marito, guardando negli occhi il marito.
«Non volevi punirlo?» Domandò ridacchiando Blaine.
«Blaine, non farmi fare la figura del padre severo davanti alla suora!» Borbottò il castano, gonfiando appena le guance. Il moro sorrise intenerito. Tutti quegli anni e ancora Kurt poteva diventare l’essere più adorabile sulla faccia del pianeta con un solo sguardo.
I due si guardarono a lungo, uno sguardo intenso.
Un sole dorato che si specchiava in un mare azzurro e cristallino.
«Ora capisco perché Paul è così innamorato dei suoi due papà.» Esclamò la suora con un piccolo sorriso sulle labbra.
«C-ci scusi.» Mormorò Kurt piuttosto imbarazzato. Non che si vergognasse di farsi vedere con gli occhioni a cuoricino per suo marito, ma farlo dinanzi ad una suora era tutta un’altra cosa.
«Sapete, molti pensano che io, in quanto suora, non approvi le adozioni gay. E’ sbagliato. Lavoro in questo orfanotrofio da anni, troppi anni. Ho visto una moltitudine di bambini crescere qui, senza una casa, una famiglia, crescere con il nostro unico affetto che, per quanto possa essere immenso, non potrà mai eguagliare quello di una famiglia. A me non importa se ad adottarli siano un uomo e una donna, due uomini o due donne. A me basta solo che li amino, che gli diano la famiglia che meritano, nessun bimbo merita di essere abbandonato.»
Blaine guardò il capo del marito, i suoi occhioni umidi e le sue labbra leggermente schiuse. Poi il suo sguardo si posò sul piccolo bimbo ancora seduto tra le braccia di Paul che ascoltava rapito la sua storia, sicuramente invidiando quei due bambini che tanto avevano lottato per avere la loro famiglia unita e che alla fine avevano avuto il loro lieto fine. Blaine lo immaginò di notte pregare per un lieto fine anche per se stesso.
E chissà che quel lieto fine non potessero essere proprio lui e Kurt.
Il giorno dopo
Paul non aveva mai saputo che Everett si era fatto sgamare, così Everett quel giorno ricevette l’invito da parte della bella Isabelle per il ballo. Il giovane non seppe mai che trucchetto avesse inventato il fratello, qualunque cosa fosse era però riuscito nel suo intento e per Everett quello era un vero e proprio miracolo.
Come promesso, quel giorno Sebastian tenne a casa sua le quattro pesti e Burt per lasciare la dovuta intimità ai due coniugi.
Kurt e Blaine si erano ripromessi di fare le cose con estrema calma, saziando prima il bisogno che l’uno aveva per l’altro, lentamente, con i loro tempi, riscoprendo punti dei loro corpi che nemmeno ricordavano che esistessero. Si riscoprirono e si amarono profondamente, donando all’altro non solo il proprio corpo, ma anche un pezzo in più della loro anima.
Fu solo quando, appena passata l’ora di pranzo, Blaine tornò, gloriosamente nudo, dal marito ancora steso a letto con un enorme vassoio di cibo, che i due decisero di mettere da parte il desiderio e parlare.
«Sebastian ha ragione.» Nel sentire quelle parole pronunciate dalle labbra di Kurt, Blaine quasi si strozzò con il tramezzino che stava ingoiando. Kurt immediatamente accorse in aiuto del moro, battendo poderose pacche sulla sua schiena, mentre questi cercava di respirare di nuovo.
«Oddio Kurt! Non dire certe cose mentre sto mangiando!» Balbettò, un po’ tossicchiando e un po’ sghignazzando, Blaine quando si fu ripreso dal pericolo di morte.
«Ma perché ho sposato un tale scemo?» Mormorò Kurt che però stava sorridendo, quel sorriso che Blaine così tanto adorava e che tante canzoni gli aveva ispirato. Folgorato da quel sorriso, il moro si apprestò a baciare ciascuna fossetta che si creava adorabilmente attorno a quelle labbra perfette. Le sentì diventare più profonde mentre le baciava, segno che Kurt stesse sorridendo di più.
«Tu ami questo scemo, non negarlo.» I due si guardarono negli occhi. Se c’era una cosa che nei lunghi anni di separazione nessuno dei due aveva mai dimenticato, era il colore degli occhi dell’altro. Per Kurt quelle due piccole gemme ambrate erano la luce che Blaine portava nella sua vita; per il moro quei due pozzi di oceano profondo erano la forza e il sostegno che l’amore della sua vita gli donava.
«Si, amo profondamente questo scemo.» Le sue parole vennero sancite da un bacio. Blaine si ritrovò a chiudere gli occhi assaporando quelle dolci labbra di cui non ne aveva mai abbastanza. Il mondo poteva andare avanti, lui sarebbe potuto sopravvivere benissimo con i semplici baci di Kurt, mentre i suoi piccoli dentini mordicchiavano il suo labbro e la sua lingua si legava alla propria in quella danza lenta e sinuosa che ormai conoscevano a memoria e di cui però mai si stancavano.
«Blaine, sarà meglio fermarsi o riprendo a fare ciò che stavamo facendo prima.»
«Mhm… non me ne lamenterei certamente.» Mormorò Blaine con malizia mentre ricercava il contatto con le labbra del marito. La risata di Kurt fu di nuovo musica per le orecchie di Blaine.
«Non me ne lamenterei nemmeno io, ma riallacciandomi a quanto detto all’inizio: Bas ha ragione. Dobbiamo parlare.» Il tono di Kurt si era fatto improvvisamente serio, così Blaine si sedette meglio sul letto, spalancando le gambe in modo che il marito ci si potesse sedere in mezzo e appoggiare la schiena al suo petto mentre sbocconcellavano qualche tramezzino qua e là.
«Mi spiace, per come ti ho trattato.» Blaine rafforzò la presa con cui stringeva il corpo di Kurt il quale, di nuovo, sentì quel senso di protezione, mai di oppressione, che le sole braccia di Blaine erano in grado di dargli.
«Ammetto che ho pensato delle volte di esserti invisibile, ma non ho mai dubitato del tuo amore.»
«Blaine, io… è che ho perso così tanto di Paul...» Blaine afferrò il mento del marito in modo da poter girare il suo volto e potersi specchiare nei suoi meravigliosi occhi azzurri.
«E io di Everett, Kurt. Sapevamo che prima o poi il passato ci avrebbe fatto avere dei rimpianti e ci avrebbe indotto a commettere degli errori. Ma non dobbiamo permettere al passato di rovinarci il futuro. I nostri bambini sono felici e amati, Kurt. Sei un padre eccezionale e anche se hai perso parte della vita di Paul, non hai mai smesso di amarlo e questo non ti sta impedendo di vedere l’uomo che sta diventando e anche di contribuirne alla trasformazione.» Kurt abbozzò un piccolo sorriso.
«Già, ma non voglio nemmeno perdere la tua crescita. Bas ha ragione, non voglio improvvisamente svegliarmi e trovarmi accanto un uomo di cui non so più nulla. Prima o poi le nostre piccole cosine preziose lasceranno il nido e andranno per la loro strada, mentre tu… noi due saremo tutto ciò che ci resta.» I due si sorrisero teneramente, baciandosi per l’ennesima volta.
«Quindi ho deciso che sarà papà ad accompagnare i bimbi a scuola, noi ci concederemo qualche ora in più a letto. E, almeno una sera al mese andremo a cena fuori, tu ed io. Niente rincorrere Alfie da qualche parte per cercare di vestirlo bene, niente cercare di convincere la nostra principessina che è ancora troppo piccola per dei tacchi e… beh lasciamo a papà e Antoine i classici litigi delle pesti maggiori.» Kurt lo guardò con occhi così luminosi che, per un attimo, Blaine pensò davvero di ritrovarsi sotto il cielo boreale. Gli anni passavano, ma quelle gemme non perdevano lucentezza.
«Ti piace come piano?» Domandò il più grande mentre Blaine gli accarezzava con dolcezza i capelli, spostandoglieli poi dietro l’orecchio. Kurt lo lasciò fare anche se era una cosa che odiava perché poi Blaine i capelli prendono la curva dell’orecchio ed è bruttissimo, tanto poi avrebbero dovuto fare anche una bella e lunga doccia (e probabilmente anche bruciare le lenzuola).
«Mi piace tutto ciò che comporti te e me insieme. Soprattutto se comporta un te e me nudi, in un letto, un bel vasetto di lubrificante pieno e la casa completamente vuota.» Con un’agilità che Kurt ancora si stupiva che Blaine avesse, il moro spostò il vassoio del cibo dal suo lato del letto e stese poi Kurt sull’altro per sovrastarlo subito dopo. Era come essere tornati adolescenti e non averne mai abbastanza.
«Blaine, dai. Dobbiamo parlare anche dell’altra cosa.» Sospirando, il moro si stese di fianco accanto al marito, un braccio piegato su cui appoggiò il capo e l’altro poggiato sullo stomaco di Kurt intento a disegnare intricati arabeschi sulla sua pelle morbida e vellutata.
«Quel bambino sembrava davvero molto affezionato a Paul.» Mormorò Blaine ricordando il modo in cui il piccolo Colin si aggrappava a Paul e anche come guardava un po’ male l’altro bimbo più piccolo che sedeva sull’altra gamba del figlio.
«Beh, Paul è un po’ un mago con i bimbi. Ci ha sempre saputo fare, vedi con Alfie.» Anche Kurt si girò sul fianco in modo da poter guardare il marito negli occhi. Era così orgoglioso dei suoi piccoli ometti. Sia Paul che Everett davano loro una mano con i fratellini più piccoli, in modi diversi ovviamente, ma senza di loro Kurt era sicuro che Tracy e Alfie non sarebbero stati così perfetti come invece erano.
«Non è solo il modo in cui sembra essersi affezionato a Paul, hai sentito suor Maria? Quel bimbo non ha mai avuto una casa.» Il solo pensiero ancora intristiva Kurt, ancora gli faceva sentire quella voragine nel petto. Blaine gli aveva raccontato anni prima che Paul, che da piccolo ignorava l’esistenza di un gemello e della reale situazione tra i suoi genitori, temeva che i servizi sociali lo avrebbero spedito in un orfanotrofio se suo papà non fosse stato in grado di badare a lui economicamente. Nel sentirlo Kurt aveva da sempre provato un’immensa tristezza. Il suo bambino era terrorizzato all’idea di essere allontanato dal suo papà e che potesse essere completamente abbandonato. Non c’era quindi da stupirsi che adesso cercasse di portare un po’ di gioia in quel posto.
«Kurt, sai quello che mi stai chiedendo vero? Insomma, un bambino cieco non è uno scherzo.»
«Blaine, lo so. Non dico che sarà facile. Ma abbiamo due figli grandi che sono un piccolo capolavoro, sono sicuro che loro ci daranno una mano. E poi non dimentichiamoci anche mio papà e Antoine e, per quanto mi dolga ammetterlo, abbiamo anche due migliori amici fenomenali. Io… Blaine non possiamo lasciarlo lì solo in orfanotrofio. Nessuno lo adotterà mai e più cresce più le probabilità diminuiranno. Che futuro ha?» Gli occhi di Kurt erano umidi di lacrime e a Blaine parvero realmente due pozze d’acqua profonde. Con un sorriso spinse in avanti il capo per baciare le sue labbra mentre con un braccio avvolgeva la sua vita e se lo stringeva al petto.
«Volevo solo accertarmi che tu fossi sicuro.»
«Lo vuoi anche tu, vero?»
«Penso di averlo voluto nel momento esatto in cui l’ho visto sedersi sulle gambe di Paul.» Kurt allungò una mano accarezzando la guancia, leggermente ruvida per la barba un pochino più incolta, del marito.
«Ecco perché ti amo, non ho bisogno di dirti nulla perché la pensi esattamente come me.» Lo stilista si sporse in avanti baciando nuovamente le labbra del moro.
«Tranne se si tratta di cibo, lì decisamente non la pensiamo allo stesso modo.» Scherzò Blaine con voce melodrammatica.
Kurt lo guardò divertito negli occhi, andando poi a pizzicare la pancetta del marito.
«Blaine, hai messo su un po’ di pancetta. Lo faccio per te.»
«Mi stai dicendo che se fossi grasso non mi ameresti più?» Blaine mise su un finto broncio, arricciando le sue labbra carnose che Kurt tanto amava e tanto amava riempire di piccoli morsetti.
«Ti amo per questo...» Sussurrò Kurt poggiando la propria mano sul petto di Blaine, proprio in corrispondenza del suo cuore. «… e anche un po’ per questo.» Continuò mentre la sua mano scivolò verso il basso andando poi a stringere l’erezione, ancora morbida, del moro.
Blaine emise un profondo gemito quando sentì la mano di Kurt sul suo membro che stava ricominciando a svegliarsi lentamente.
«Non avevi detto che dovevamo parlare?»
«Beh mi sembra che siamo entrambi d’accordo.» Sussurrò il castano che aveva cominciato a muovere la mano lungo il pene di Blaine e aveva preso a mordicchiargli il lobo dell’orecchio.
«Lo facciamo?» I due si guardarono intensamente negli occhi e, proprio come accadde quando avevano deciso di diventare genitori la prima e la seconda volta, un senso di trepidazione riempì i loro cuori. Ma poi bastò prendersi per mano per darsi la forza necessaria.
«Lo facciamo.»
* * *
La procedura burocratica fu piuttosto lunga, sotto certi punti di vista fu anche più lunga del ricorrere alle agenzie per madri surrogate. A complicare il tutto c’era anche la ferma volontà di Kurt di non dire niente a nessuno per fare a tutti una grande sorpresa.
Fortunatamente avere un avvocato come migliore amico aiutò parecchio in quel caso. Quando finalmente tutte le carte furono pronte e le ispezioni superate, dovettero solo trovare il modo di presentare il nuovo membro della famiglia Hummel-Anderson al resto della suddetta famiglia.
Tutto era pronto quella bella domenica di primavera per il consueto pic-nic a Central Park. Kurt era più emozionato che mai.
«Papi, lo potto mettere il vetitino nuovo?»
«Amore di papi bello, ma tu devi mettere il nuovo vestitino che ti ho confezionato. E anche tu signorinello.» Kurt beccò Paul giusto in tempo. Non avrebbe permesso che suo figlio si presentasse a quel pic-nic così importante con dei jeans strappati.
«Papi, eddai per favore. Non farmi vestire come un damerino per andare al parco.»
«Non dico che devi metterti il completo del matrimonio, Paul. Ma almeno un paio di pantaloni decenti. Anche tu Alfie, vieni che papi ti mette quella bella salopette che ti ho fatto.» Correndogli dietro, Kurt riuscì ad acciuffare il bimbetto prima che si nascondesse sotto il tavolo.
«No! La ‘talopette no!»
«Ma perché amore? E’ così bella.» Una volta portatolo in camera, sempre tenendolo in braccio (aveva imparato la lezione anni prima che se lo lasciava scappare non lo avrebbe più riacchiappato) prese la salopette dall’armadio.
«Peché è butta. Poi se faccio pipì mi devo ‘pogliare tutto e c’ho feddo!» Kurt inarcò le sopracciglia, non che il discorso del figlioletto non facesse una piega però la moda significava anche sacrificio!
«Scimmietta, solo per oggi. Dobbiamo essere belli oggi e per esserlo bisogna fare un pochino di sacrificio.» Disse infatti.
«Peché dobbiamo essere belli?»
«Perché oggi è un giorno importante.» Disse Kurt con un sorriso che andava da un lato all’altro del volto. Proprio in quel momento entrò Everett in camera con in braccio una piccola Tracy vestita e pettinata di tutto punto. Kurt era grato che in quella casa a bilanciare quei due scapestrati di Alfie e Paul, ci fossero Everett e Tracy.
«Papi andiamo ogni domenica a Central Park, non vedo cosa ci sia di diverso oggi.»
«Evy, tu più di tutti non dovresti essere insoddisfatto di sfoggiare un bel vestito.» Kurt ammirò il gusto del figlio che indossava un semplice jeans scuro, aderente, molto aderente, che finiva leggermente alla caviglia; una camicia chiara e sopra uno dei pullover cucito e disegnato di suo pugno. Semplice, ma il suo bimbo, che poi non lo era più così tanto, era davvero bellissimo.
«Papi ma io non mi lamento, solo non voglio sentire le lamentele di Paul nelle orecchie per tutto il giorno.» Proprio in quel momento l’interpellato apparve. Kurt ci rinunciò: jeans e felpa larga con sopra stampata la cover di un qualche gruppo musicale rock. Paul era un caso disperato e irrecuperabile persino per un grande stilista come lui.
«Papi non mi metterò quei maglioncini da checca che si mette Evy, scordatelo. Questo è il massimo che puoi ottenere da me.» Kurt non proferì parola mentre finiva di vestire il piccolo Alfie.
«A parte che qui la checca sei tu.» Ribatté Everett poggiando le mani sui fianchi e guardando minacciosamente il fratello.
«Il fatto che tu abbia adesso una ragazza, e vorrei sottolineare che se siete andati al ballo insieme e quindi vi siete messi insieme è solo per merito mio, non implica che tu non sia checca.»
«Chi è che si è appena mollato con l’ennesimo ragazzo?»
«Non mi sono mollato, non ci sono proprio stato insieme. E comunque ti ricordo che quella prima, era una ragazza.»
«Che è durata solo un giorno perché tu già correvi dietro a Tyler!»
«Beh scusa tanto, ma glieli hai visti quei muscoli? Se a diciassette anni è quella montagna di muscoli non oso immaginare cosa diventerà da grande.»
«Sono etero Paul, non guardo i muscoli dei maschi!»
«No, sei pigro, è diverso! Se tu guardassi i muscoli dei maschi ti accorgeresti invece della loro totale assenza su di te.»
Everett a quel punto aveva letteralmente il fumo che gli usciva dalle orecchie. Quella del fisico gracilino era un nervo scoperto. Da piccolo aveva fatto nuoto, ma il suo fisico era rimasto lo stesso molto esile, niente muscoli possenti o forme scultoree. Adesso poi amava quello sport che si praticava in posizione orizzontale sul letto: dormire! La sua imbranataggine con le ragazze era anche dovuta alla sua poca mancanza confidenza con il suo fisico. Cosa che invece non mancava per niente a Paul. Il ragazzino, sebbene avesse lo stesso fisico magrolino del fratello, aveva messo su qualche muscolo sulle braccia e anche una discreta tartaruga sull’addome. Everett trovava quella cosa profondamente ingiusta vista la sua alimentazione!
«Beh, chi è la checca tra i due?»
«Tu!»
«Ok ragazzi, basta. Ora so come si sente Blaine quando Bas ed io litighiamo. Aiutatemi a prendere tutti i cestini che dobbiamo andare.» Kurt ormai non si scandalizzava nemmeno più per i battibecchi dei suoi bambini. La prima volta, quando Everett aveva detto che il fratello cambiava ragazzo un po’ come cambiava le mutande (e sì, Kurt si assicurava che Paul si cambiasse le mutande almeno una al giorno!) aveva avuto un po’ di timore. Ma poi gli era stato facile capire che Paul era una giusta combinazione tra lui e Sebastian: un animo buono e sensibile come il suo, ma l’istinto del predatore dello zio. Kurt era sicuro che prima o poi anche il suo scricciolo avrebbe trovato il suo personale Thad, maschio o femmina che fosse. Prendendo per mano sia Tracy che Alfie, si diresse al piano inferiore dove Antoine e Burt stavano finendo di sistemare le ultime cose nei cestini.
«A proposito di papà, ma si può sapere dov’è?» Domandò Paul che prese la sua immancabile chitarra. Lui e Blaine si divertivano a suonare qualcosa dopo mangiato per far addormentare i più piccoli e concedere loro il meritato sonnellino pomeridiano.
«Papà arriva più tardi.» Kurt cercò di nascondere il grosso sorriso che aveva stampato in volto, ma questo non passò inosservato né ai suoi figli maggiori, né a suo padre.
«Che ha da fare di domenica mattina?» Chiese Paul sempre insistente.
«Paul, fila a portare queste cose in macchina, anche tu Evy, comincia a mettere Tracy e Alfie nei seggioloni.» Quando i quattro furono usciti di casa, Burt si avvicinò al figlio.
«Me lo dici cosa tu e Blaine state preparando?»
«Non stiamo preparando proprio niente, papà.» Burt studiò attentamente il figlio. Lo conosceva molto bene e sapeva che gli stava nascondendo qualcosa, ma sapeva anche che era qualcosa di bello e non di brutto o non avrebbe avuto quegli occhi così luminosi e quel sorriso che pareva cantare.
«Tu e Blaine non me la contate per niente giusta, ma farò finta di credervi.» Esclamò Burt sorridendo e si apprestò a raggiungere i suoi quattro nipotini.
«Kurt? Sei davvero sicuro che vuoi che venga anche io?» Kurt si ritrovò a sbuffare per l’ennesima volta.
«Si, Antoine. Voglio che ci sia anche tu.»
«Ma è il vostro pic-nic di famiglia.»
«Fai parte anche tu parte della famiglia. Non credere che mi sia mai dimenticato dell’enorme mano che mi hai dato con Everett quando era piccolo.» Antoine sorrise. Quell’uomo davanti a lui non gli aveva solo offerto un lavoro quando il mondo della moda gli aveva chiuso le porte in faccia a causa delle prime rughe e di qualche chiletto di troppo, quell’uomo gli aveva dato molto di più: gli aveva dato una famiglia.
«Va bene, allora vorrà dire che ho fatto bene a cucinare un po’ in più.» Disse con un sorriso mentre prendeva le due enormi torte che aveva fatto, erano ovviamente senza crema visto che non sarebbero potute restare in frigo per un po’, ma erano pur sempre due belle torte al cioccolato.
«Dai andiamo, non voglio che la location la scelga la Mangusta!»
«Papi! Tov’è papà?» La piccola Tracy stava raccogliendo delle piccole margheritine nell’enorme prato in cui Kurt aveva steso la sua altrettanto enorme tovaglia da pic-nic.
«Adesso arriva, tu continua a raccogliere questi bei fiorellini così gli fai un bel mazzo grande grande.» Le disse Kurt il cui atteggiamento era sembrato sempre più strano a tutti, l’unico che conosceva il reale motivo del nervosismo dell’uomo era Sebastian. La piccola Tracy lasciò nelle mani del padre il piccolo mazzetto che aveva appena raccolto e subito corse a raccoglierne ancora, sotto lo sguardo vigile e attento di Burt che si assicurava che non si allontanasse troppo.
«Uffa! Io ho fame! Non possiamo iniziare a mangiare?»
«Paul Bartolomeus Hummel-Anderson, tu mangerai quando tuo padre sarà arrivato!» Paul sbuffò, adocchiando sconsolato il cestino che era sicuramente stracolmo di leccornie prelibate. Quella era una vera tortura, lui stava morendo di fame, ma proprio letteralmente, il suo stomaco poteva essere sentito a chilometri di distanza.
«Pal! Vieni a giocale con noi?» Il piccolo Nathaniel passò la pallina di gomma al ragazzo più grande. Paul afferrò la pallina e la rilanciò al piccolo senza troppo entusiasmo.
«No Nath, sto morendo di fame. Sto per svenire dalla fame, non ho le forze.» Con un ultimo sbuffo melodrammatico, il giovane si stese nell’erba fissando le foglie degli alberi sovrastanti sperando che qualche cibo piombasse miracolosamente dal cielo come succedeva in quel cartone che Alfie si ostinava a fargli vedere a ripetizione.
«Mamma mia, come siamo melodrammatici.»
«Checca piantala. Io sono un ragazzo in piena crescita!»
«Abbiamo la stessa età genio! Poi ti ho già detto che la checca in questione sei tu!»
«Chi è che si è vestito abbinato con la tovaglia?»
«Essere alla moda non fa di me una checca, mentre cambiare ragazzo ogni settimana si!»
(Ore 13.35) Amore, qui gli animi si stanno decisamente scaldando. Tra quanto arrivi? KHA
(Ore 13.46) Amore scusa, ma abbiamo beccato il traffico di un matrimonio lungo la strada BHA
(Ore 13.48) Tra quanto pensate di essere qui? Non so per quanto ancora potrò trattenere Paul dall’assaltare il cibo KHA
(Ore 13.52) Sto parcheggiando BHA
«Ok! Smettetela immediatamente, vostro padre sta arrivando.» Kurt si alzò impaziente cominciando a guardarsi in giro per vedere se spuntava il marito.
«Oddio finalmente si mangia!»
«Davvero Paul, a volte mi chiedo se ci sia qualcosa che ti sta più a cuore del cibo!»
«Ok, ragazzi. Vi adoro, ma piantatela. Mi basta già l’isterismo pre-mestruale di vostro padre: la sola e unica checca!»
«Poi non dovrei incolparti se i miei figli sono venuti su in un certo modo!»
Proprio in quel momento Burt annunciò che era arrivato Blaine ma tutti, tranne Kurt e Sebastian, rimasero sorpresi nel vedere che l’uomo non era da solo.
«Papi chi è il bimbo che ta intieme a papà?» Domandò Tracy mentre strattonava il pantalone del padre.
«Ma quello è Colin.» Paul si era alzato non appena aveva visto il bimbo mano nella mano del padre. Kurt si incamminò verso il marito, inginocchiandosi proprio dinanzi al bimbo che, riconosciuto il particolare odore di gelsomino che gli era diventato così familiare nelle ultime settimane, si lanciò d’istinto tra le sue braccia.
Kurt non riusciva a crederci che in nemmeno due mesi e mezzo potevano finalmente portare a casa la loro quinta cosina preziosa, ancora non ci credeva di poter stringere a sé il suo bambino. Colin era l’unico dei cinque figli Hummel-Anderson a non avere alcun collegamento genetico con i propri genitori, ma Kurt e Blaine lo avevano da subito sentito figlio loro al primo abbraccio, proprio come era accaduto per gli altri quattro.
«Benvenuto a casa piccolo.» Sussurrò Kurt mentre si staccava leggermente dal piccolo quel tanto che bastava per lasciargli un caldo bacio sulla fronte.
«Ma siamo all’aperto. Sento gli uccelli e sento che c’è molta confusione, direi che siamo al parco.» Mormorò il bimbo.
«Casa siamo noi, tutti noi, la tua famiglia.» Gli disse Blaine mentre anche lui si era inginocchiato in modo da accarezzargli i capelli con dolcezza. Il piccolo allungò le sue manine per toccare il volto di entrambi i suoi nuovi genitori. Era un gesto che faceva spesso, un modo per poter vedere i volti dei suoi salvatori. Da subito quando aveva sfiorato le labbra di Kurt gli aveva detto che aveva le labbra dolci di un papà e quando la barba di Blaine gli aveva pizzicato la manina gli aveva detto che aveva la forza di un papà. Si limitò a sfiorare i loro occhi, li immaginava dolci e in quel momento commossi.
«Colin, che ci fai qui?» Paul aveva raggiunto i tre. Non riusciva a capire come fosse possibile che il bimbo si trovasse lì, come i suoi genitori ne conoscessero l’esistenza.
«Sono il tuo nuovo fratello, Paul.» Esclamò il bimbo entusiasta.
Paul guardò il bimbo, poi i suoi due papà che lo guardavano con amore.
«V-voi… lo avete adottato? Ma come sapevate della sua esistenza?» Fu Kurt a parlare mentre tutti e quattro si avvicinavano agli altri. Burt non la smetteva di guardare ammirato quell’ennesimo piccolo miracolo che aveva dinanzi a sé.
«Beh diciamo che un giorno abbiamo sgamato Evy e lui, non senza qualche resistenza, ci ha detto dove fossi. Quando siamo arrivati in quell’orfanotrofio e abbiamo visto lo splendido uomo che stai diventando non ce la siamo sentita di rimproverarti per esserti, per l’ennesima volta, scambiato con tuo fratello. Abbiamo scambiato invece un paio di chiacchiere con Suor Maria e… eccoci qui.» Paul agì d’istinto. Kurt non aveva nemmeno finito di parlare che subito il figlio gli si era gettato tra le braccia.
«Grazie papi!» Kurt strinse con forza il figlio, sentendolo tremare nel proprio abbraccio.
«Beh, non ho fatto tutto io...» Di nuovo, Paul non lasciò finire di parlare il genitore che si lanciò subito tra le braccia anche di Blaine.
«Grazie! Grazie! Grazie!» Paul non riusciva a crederci. Tante volte era stato sul punto di parlare con i suoi papà dei suoi pomeriggi all’orfanotrofio e ancora di più erano state le volte che avrebbe voluto chiedergli di adottare Colin. Ma tutte le volte aveva desistito, spaventato che i suoi potessero arrabbiarsi o che peggio gli dicessero che nulla potevano fare per il piccolo, che già badare a loro quattro era un’impresa. Ma di nuovo i suoi genitori lo avevano sorpreso. Il loro cuore era così immenso che lui non aveva avuto nemmeno bisogno di chiedere una cosa del genere che loro avevano già fatto avverare il suo più grande desiderio.
«Beh sapete, anche io ho fatto la mia parte.» Si intromise Sebastian.
«E cosa avresti fatto, scusa?» Lo punzecchiò Paul.
«Hai idea di quante riunioni, quante scartoffie ho accelerato con il mio fascino? Anzi, già che ci siamo, Checca, cerca di spiegare a mio marito che quella cena non era con un mio amante ma con l’assistente sociale per accelerare le pratiche d’adozione.»
«Vorrei tanto poter dire il contrario, giusto per vederti soffrire, ma sfortunatamente è vero. La Mangusta ci è stata molto utile, senza di lui non saremmo riusciti ad adottare Colin così in fretta.» Sebastian si girò verso il marito con un’espressione un po’ risentita. Thad non aveva visto di buon occhio quella famosa ed incriminata cena che Sebastian aveva dovuto spacciare per una noiosa cena di lavoro (cosa che in fondo era vera) per non destare sospetti, peccato che Thad non se la fosse poi tanto bevuta dato che l’avvocato portava con sé il marito a tutte le cene che non andassero a coincidere con i suoi turni all’ospedale.
«Ok, va bene. Ho sbagliato a giudicarti.» Esclamò Thad borbottando orgoglioso.
«Non ho sentito, puoi ripetere? La voce per urlarmi che ero un marito fedifrago l’hai avuta, abbi anche quella per dire a tutti che non è vero, che sono un marito fedelissimo.» Thad guardò male il marito, ma effettivamente tutti i torti Sebastian non li aveva mica. Gliene aveva dette tante quella sera, lo aveva pure costretto a dormire sul divano per una settimana intera prima di abbassare l’ascia di guerra, però a sua discolpa il comportamento di suo marito era stato veramente ambiguo e c’era anche da dire che il suo passato piuttosto burrascoso lasciasse spazio di tanto in tanto a qualche dubbio…
«Sto aspettando, Thad.» Borbottò Sebastian che si era messo persino a pestare il piede per terra.
«Va bene, mi dispiace. Scusa se ti ho dato del marito fedifrago. Spero che il mio regalo possa spingerti a perdonarmi.» Alla parola regalo, gli occhi di Sebastian si illuminarono e l’uomo tornò a guardare il marito come un bambino durante la notte della Vigilia di Natale.
«Che regalo? Che regalo?» Cominciò infatti a dire con una vocetta petulante. Kurt pensò che gli mancava solo la lingua penzolante di fuori per assomigliare ad un cagnolino che aspettava solo che il suo padrone lanciasse l’osso per iniziare a giocare.
«Giovedì hai un appuntamento alla clinica di madri surrogate a cui si sono rivolti i Klaine per...» Thad guardò prima il figlio che stringeva ancora in braccio, poi gli altri più piccoli. «… per diciamo dare il tuo contributo alla nascita del nostro secondo bimbo.» Sebastian rimase immobile per qualche attimo, gli occhi completamente sbarrati e la bocca ancora spalancata.
Kurt e Blaine si guardarono negli occhi contenti per i loro migliori amici, conoscevano le emozioni che ora stavano albergando nei loro cuori ed erano eccitati per loro.
«Seb, tesoro, dì qualcosa.» Mormorò Thad mordicchiandosi il labbro. Tutto aveva pensato quando aveva deciso di fare quella sorpresa al marito, tranne che questi la potesse prendere a male. Ma proprio quando le prime lacrime stavano provando ad uscire dai suoi occhi scuri, l’urlo di Sebastian gli diede finalmente la reazione sperata.
Il castano alzò le braccia al cielo, urlando la sua gioia con tutta la voce che aveva.
«Oddio! Un figlio! Un secondo figlio! Tu… tu...» Senza nemmeno riuscire a trovare le parole, sì, proprio lui, lo squalo dei fori, era senza parole, Sebastian si gettò tra le braccia del marito, includendo in un unico grande e caldo abbraccio sia lui che il loro piccolo Nathaniel.
«Oddio, vi amo tantissimo! Tantissimo!»
Mentre Sebastian non faceva altro che sbaciucchiarsi marito e figlio, la famiglia Hummel-Anderson osservava la scenetta divertita.
«Possibile che quei due debbano sempre rovinarci la scena? Al matrimonio la Mangusta ha chiesto la mano di Thad, ora Thad gli ha proposto un figlio.» Blaine guardò suo di marito con un sorrisetto divertito.
«Checca piantala di fare la prima donna! Non sei il centro dell’universo.»
Ovviamente… come era prevedibile, Kurt e Sebastian cominciarono a bisticciare.
Sempre sorridendo, Blaine si inginocchiò in modo da essere all’altezza del volto di Colin.
«Non farci caso talpina, Kurt e zio Seb litigano sempre, ma si vogliono bene.» Colin sorrise al nomignolo di Blaine. Quando aveva capito, dai discorsi dei padri, che ogni figlio aveva un nomignolo e, a parte Tracy che era la principessina di casa, tutti gli altri erano degli animaletti (in realtà anche Paul che per Blaine era peste e non scricciolo come per Kurt) aveva chiesto anche lui un nomignolo. Non c’era rimasto per nulla male quando Blaine lo aveva chiamato talpina. Era un nomignolo dato con affetto, ogni sillaba era pronunciata con amore e sembrava balsamo sulle labbra dei suoi papà. Non gli era dispiaciuto, lo aveva da subito amato tantissimo.
«Vuoi conoscere i tuoi fratellini e il resto della tua pazza famiglia?» Colin annuì subito con il capo e, uno ad uno, venne presentato ad ogni membro della famiglia. Ci volle un po’ per far capire a Tracy e Alfie che dovevano fare molta attenzione a Colin, che purtroppo il bimbo non vedeva, ma fu anche estremamente dolce vedere i due bimbi più piccoli prenderlo ciascuno per mano e accompagnarlo, guidandolo con attenzione, verso la grande tovaglia su cui si andarono poi a sedere.
Kurt e Blaine osservarono le loro cinque cosine preziose sedute sul telo intente a conoscersi meglio.
«Ogni volta penso che il mio cuore non possa reggere altre emozioni, ma queste belle direi che le regge proprio bene.» Burt si avvicinò al figlio, un sorriso così luminoso che Kurt pensò che l’uomo potesse essere immortale.
«Scusate se non vi abbiamo detto niente, ma volevamo che fosse una sorpresa per tutti.» Disse Blaine mentre avvolgeva, con il proprio braccio, le spalle del marito.
«Ma va, anzi sentitevi liberi di farci sorprese del genere ogni volta che volete.» Esclamò Antoine non riuscendo a staccare gli occhi dai cinque bambini.
«Ma forse avremmo dovuto chiedervelo, insomma un bambino cieco non è proprio una passeggiata.»
«Kurt, cieco o no, è un bambino. E noi lo ameremo come tutti gli altri e, come gli altri, riceverà tutto il nostro appoggio e sostegno.» Sia Kurt che Blaine sorrisero alle parole di Burt. Sapevano di avere alle spalle due uomini fantastici che li avrebbero aiutati sempre.
Mentre i quattro adulti parlavano, e la famiglia Smythe-Harwood ancora amoreggiava poco più in là, i cinque bambini parlottavano tra loro.
«Paul, i due principini che aiutano i loro papà a rimettersi insieme siete tu ed Evy, vero?» Domandò ad un certo punto il piccolo Colin. I due gemellini più grandi si guardarono negli occhi.
«Si, siamo noi.»
«Quindi era il nonno quello che si era sentito male?» Continuò Colin un po’ più triste ora che sapeva che era quell’uomo stupendo che lo aveva abbracciato con forza e calore quello che era stato tanto male e che aveva fatto si che i due papà si rincontrassero.
«Si, ma ora sta benissimo.»
«Ti, il nonno è un tuper eloe!» Mentre parlava anche la piccola Tracy strinse forte forte la manina di Colin per comunicargli affetto e forza.
«E la pastorella chiacchierona amica del contadino chi era?»
«Ah lei? Beh lei è lo zio Bas!»
«Cosa sarei io, scusa?» Ovviamente, per grande fortuna di Paul, Sebastian aveva scelto proprio quel momento per tornare e sedersi anche lui sulla tovaglia.
«Una pastorella chiacchierona.» Ripeté di nuovo Paul con, stampato in volto, il solito ghigno di marchio Smythe.
«Ritira immediatamente quello che hai detto Mini me, o altrimenti...»
«Altrimenti cosa, Mangusta?» Lo fronteggiò Kurt. Mai minacciare il figlio: Sebastian se la sarebbe vista con il padre.
Mentre Kurt e Sebastian ripresero a bisticciare per l’ennesima volta, Blaine prese Colin e si sedette al suo posto per poi mettersi il bimbo in braccio. Il piccolo non poteva vedere, ma poteva sentire e percepire la gioia e l’amore che si respirava in quella famiglia.
Era felice, era un miracolo in cui ormai non credeva più. Strinse con forza le braccine attorno al collo di Blaine.
«Grazie papà.» Blaine sentì un nodo alla gola. Era la prima volta che Colin lo chiamava papà. Né lui né Kurt glielo avevano mai imposto, gli avevano detto che avrebbe potuto chiamarli come preferiva. Certo, loro ci speravano che accadesse con tutto il cuore, ma di certo non pensavano che sarebbe accaduto così in fretta.
Quando anche Kurt si fu finalmente seduto insieme a loro, Colin saltò tra le sue braccia.
«Grazie papi, vi voglio già un mondo di bene.» Kurt guardò Blaine, ancora con gli occhi lucidi e capì che anche il marito aveva provato la stessa magnifica sensazione. Erano sedici anni che veniva chiamato papi, ormai un genitore dovrebbe averci fatto l’abitudine, ma non era così. Ogni volta era come se fosse la prima, ogni volta si sentiva quel terrore nel profondo e quell’orgoglio nel sentire il proprio figlio pronunciare quella piccola parolina, all’apparenza così insignificante, ma così carica invece di significato.
Papà… una parola che significava fiducia, perché nulla rendeva Kurt e Blaine più orgogliosi del fatto che i loro figli si fidassero di loro al punto da consegnargli le loro vite e loro, quelle vite, le avrebbero protette ad ogni costo.
Kurt e Blaine presero in braccio i loro figli più piccoli, stringendo a sé anche gli altri due più grandi. Le loro cinque piccole cosine preziose, la loro vita.
Li strinsero quel giorno come per il resto delle loro vite.
Quattro chiacchiere al "Drago Verde"
Eccoci qui... non ve l'aspettavate vero?
Eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee invece.
Questo era il regalo di compleanno di una mia carissima amica, glielo avevo regalato dopo una sua piccola richiesta, buttata lì a caso e siccome lei per me ha fatto molto, più di quanto lei stessa possa immaginare, ho pensato di accontentarla. In origine era solo suo, ma poi lei ha detto (cito testuali parole): "Tutti devono leggerla" e così eccoci qui. Ho dovuto aspettare le ere geologiche della mia beta (che ha detto che ho scritto un poema) per pubblicarla perché non mi fido proprio della mia auto betatura e a giudicare dai segni rossi ho fatto anche bene XD
Comunque eccoci qui.
Dopo circa tre anni ritroviamo i nostri Klaine e i nostri gemellini.
Spero che la storia vi sia piaciuta e che non abbia rovinato quella precedente. Spero vivamente di non lasciarvi con l'amaro in bocca ma con una bella sensazione di "conclusione"
E' stato un piacere scrivere di nuovo di Paul, di Everett, del mio Sebastian e dei nuovi arrivati e spero che per voi sia stato altrettanto piacevole leggerla.
Oggi per la sottoscritta è un giorno importante, così invece di fare un regalo a me stessa, lo faccio a voi. Ma in realtà il mio regalo più grande è aver potuto conoscere persone meravigliose tramite questo sito.
GRAZIE MILLE A TUTTI
Il vostro piccolo Hobbit
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