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Autore: Persej Combe    21/10/2018    2 recensioni
Vieni da me, Augustine. Stasera i bambini sono con la madre. Vieni da me.
[Lubricantshipping]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Clem, Lem, Nuovo personaggio, Professor Platan
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I racconti della scogliera'
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   Meyer era un uomo semplice. Andava ormai per i quaranta, faceva l’elettricista e aveva due bambini, ma si era separato dalla moglie l’anno prima e viveva da solo. Non aveva alcun tipo di aspirazione particolare, almeno non più, e soltanto per caso era venuto a conoscenza di questo progetto a cui aveva deciso, un po’ titubante, di provare a partecipare.
   Il suo Blaziken sedeva accanto a lui, esaminando con occhio vigile i Pokémon degli altri Allenatori che si erano fatti avanti all’appello. Era tutto un incrociarsi e scontrarsi di sguardi ostili.
   Meyer non era mai stato un asso nei combattimenti. Non che gli fosse mai interessato d’esserlo: dopo aver rinunciato ad affrontare i Superquattro si era ben presto ritirato a studiare e a cercarsi un lavoro che fosse in linea con le sue corde. Da quel momento non aveva più impartito comandi ai propri Pokémon, e aveva chiesto il loro aiuto soltanto a volte, nello svolgere le proprie mansioni. Il loro rapporto si era fatto col tempo più quotidiano e sereno, privo di quell’inquietudine aggressiva che aveva caratterizzato l’età giovanile, sempre troppo presa dall’imminente scontro o dal pensiero costante delle medaglie da accumulare. Gli rivenne per un attimo in mente l’immagine di Blaziken che stringeva tra le zampe la figlia ancora in fasce contro il piumaggio morbido, a mo’ di improbabile bambinaia, per scaldarla nel proprio calore. Sospirò.
   Non era particolarmente sicuro, quindi, delle possibilità di successo in vista del colloquio. La sala era gremita di sfidanti capaci, fra di essi riconobbe molti Veterani e non riusciva a contare quanti Fantallenatori. C’erano anche un paio di Domadraghi, che raramente aveva avuto l’occasione di incontrare nei suoi viaggi, avvolti nei loro mantelli lunghi e scuri, come creature imperturbabili, che non fosse possibile avvicinare ad un uomo semplice del tipo che era lui.
   Nel petto si acuì un dolore sottile, che a tratti lo irrigidiva e gli affaticava il respiro. Cosa c’era venuto a fare lì, se contro di quelli non avrebbe avuto speranze? Non ci sarebbero state lotte, questo era vero, ma per quel che riguardava forza ed esperienza, in confronto a tutti quei rivali sarebbe stato poco che spacciato. Cacciò il viso tra le mani, scoraggiato, e temette d’aver sbagliato a scegliere, nell’angoscia di un ulteriore fallimento, dell’ennesima umiliazione: ma Blaziken ancora teneva fisso lo sguardo, irremovibile, e non pareva deciso a desistere.
   Ad un tratto, una porta si aprì nel corridoio. Gli occhi di tutti si posarono su di essa, mentre un silenzio carico d’attesa andava via via a calare tra i presenti. Dalla porta uscì un uomo, e Meyer capì che doveva trattarsi del professore: un tipetto magro, slanciato, dal bel sorriso largo e i modi composti. Restò ad osservare quella sua capigliatura mossa e ben curata che si scuoteva mano a mano che avanzava verso di loro ed inavvertitamente arrossì un poco nel momento in cui intravide l’ampia scollatura della camicia che portava aperta sul petto. Immaginò che dovesse essere quel genere di persona cosciente del proprio fascino e pronta a tutto pur di esaltarlo nella maniera più efficace. Non si stupì, quindi, nell’udire qualche manciata di sospiri ammirati provenire da un paio di avversarie e di altri pretendenti accanto a lui quando egli li accolse intorno a sé. Persino i Pokémon parevano attratti dalla sua figura, ma d’altronde, si disse Meyer, in caso contrario che razza di professore Pokémon sarebbe mai stato?
   Non appena venne raggiunto dalla sua assistente, il professore si schiarì la voce e incominciò a presentarsi. Meyer ritenne d’aver avuto ragione riguardo al suo aspetto, perché ebbe l’impressione di trovarne conferma nel modo in cui si stava rivolgendo loro, con quella gestualità ampia e sicura, il tono chiaro e conciso delle parole, non privo tuttavia di una certa piacevole argutezza. Era evidente che sapesse l’arte del parlare, e Meyer glielo riconobbe come un pregio. Quasi aveva dimenticato le proprie ansie nel ritrovarsi attratto dal suo carisma. Gli sembrò di capire che si chiamasse Augustine, e per quanto lo divertisse un nome così delicato su un uomo consapevole della propria virilità, pensò che in fin dei conti gli calzasse a pennello e che rispecchiasse perfettamente quell’aura graziosa e raffinata che aveva cucita addosso*.
   «Per favore, adesso ho bisogno della vostra attenzione», disse a un certo punto, come se fino a quel momento non fosse già stato all’attenzione di tutti. «Per lasciare libero il passaggio del corridoio ci sposteremo nella serra. Lì sarete chiamati uno alla volta per prendere parte al colloquio. Nell’attesa del vostro turno, intanto, vi pregherei di non disturbare i Pokémon che sono accolti qui nei nostri locali. Vi ringrazio per la collaborazione».
   Si spesero ancora un paio di minuti in indicazioni secondarie e per delle ultime precisazioni, poi il gruppo si mosse e venne condotto alla serra. Essa presentava diversi ambienti, ognuno con specifiche caratteristiche in modo da adeguarsi alle esigenze dei Pokémon che vi abitavano all’interno. Meyer lanciò un’occhiata a Blaziken, che tuttavia non pareva affatto colpito e nemmeno si lasciava tentare dal richiamo dei suoi compagni, troppo preso dai propri pensieri e ancora intento a squadrare gli avversari: Meyer si domandò se veramente tenesse così tanto al progetto in cuor suo come stava mostrando o se vi si stesse piuttosto prestando per il semplice motivo di compiacerlo in quanto suo Allenatore.
   Venne fatto l’appello, furono segnati i presenti, si definirono i turni, e mentre l’assistente portava via con sé il primo candidato, una folla smaniosa si impossessò del foglio che era stato lasciato loro con nomi, cognomi, Pokémon e fasce orarie cui erano stati assegnati. Meyer aspettò che le acque si calmassero, poi, quando lo spazio si fu liberato, andò a controllare per sé. Facendo qualche conto stimò che gli sarebbe toccato non prima di pranzo, quindi si mise l’animo in pace e andò a rintanarsi in un angolino di prato, lontano dagli altri che nel frattempo incominciavano a riunirsi e a scambiarsi le reciproche opinioni.
   L’attesa fu lunga, a tratti insopportabile. Meyer di tanto in tanto allungava la mano a cercare la tasca, vi rovistava dentro con le dita nervose, poi tirava fuori le due gemme e rimaneva a studiarle assorto, perdendosi nelle loro lumeggiature e scoprendone ogni volta di nuove: una Pietrachiave e una Megapietra.
   Se avesse dovuto essere sincero, in realtà non aveva che una vaga idea di che cosa fosse la Megaevoluzione. Aveva avuto modo di vederla soltanto una volta, in una notte di tre anni prima. All’improvviso Blaziken era apparso, le sue piume si erano incendiate di un fuoco rosso, ed era stato come una rivelazione. Ma da quel momento non se n’era più fatto uso, nonostante Meyer sapesse che il suo Pokémon fosse perfettamente in grado di raggiungere quello stadio e di sprigionare un potenziale ineguagliabile rispetto a quello di molti altri. Questo in parte appunto perché ormai negli ultimi anni non aveva più avuto bisogno di lottare.
   E d’altronde, ciò che era accaduto quella notte, era un ricordo che aveva bisogno di custodire necessariamente in segreto dentro sé.
   Mentre vagava distrattamente in questi pensieri, tra gli altri contendenti si era creata una strana agitazione. Anche Blaziken pareva stare più all’erta di quanto non avesse fatto fino a quel momento, tuttavia Meyer era troppo concentrato a starsene per conto proprio e a riportare alla mente la ragione che l’aveva spinto a presentarsi all’appello, poiché l’aveva dimenticata. Carpì giusto qualche parola dai discorsi concitati che si ammassavano gli uni agli altri laggiù dove i Veterani e i Domadraghi erano raggruppati. Ne vide uno, soprattutto, che si sbracciava e scuoteva la testa in maniera particolarmente eccitata, gesticolando con le mani robuste, ma nemmeno questo riuscì a distoglierlo dalle sue riflessioni. Si chiese, anzi: per quale motivo era venuto se non aveva neppure la più pallida idea di che cosa fosse la Megaevoluzione?
   Le ore passarono, i candidati si succedettero senza interruzioni uno dopo l’altro. Meyer rimaneva al suo posto, si stendeva sull’erba a scrutare il cielo e le nuvole oltre la vetrata, soffermandosi sullo svolazzare lento dei Pokémon Coleottero che si facevano avanti a curiosare tra la folla che pian piano si sfoltiva. Blaziken sedeva al suo fianco, di nuovo, e non si era mai allontanato.
  Fu il loro turno. Meyer si tirò in piedi di scatto, mise mano all’orologio, controllò l’ora. Sperò che li facessero passare al più presto, ma come purtroppo aveva previsto, l’assistente venne ad avvisarlo che lei e il professore si sarebbero presi una pausa per il pranzo e gli domandò scusa. Dunque non gli rimase altra scelta che di appostarsi vicino allo studio ed attendere lì.
   Girò e rigirò, misurando il corridoio a lunghi passi, avanti e indietro, indietro e avanti, cominciando a sentire un’altra volta il nervosismo pulsare nella testa, con le dita che si aprivano e richiudevano rabbiosamente nei pugni che non riusciva a tener fermi dentro alle tasche.
   Ed ecco, ad un tratto una porta si aprì nel corridoio. I suoi occhi e quelli di Blaziken si posarono su di essa mentre un silenzio carico d’attesa calava via via tra di loro. Dalla porta uscì un uomo, e Meyer riconobbe che era il professore: guardò un’altra volta il suo fisico magro e slanciato, il sorriso largo e tutto il resto, come a voler trovare qualche appiglio che gli fosse familiare e che lo calmasse e rassicurasse. Insieme a lui, uscì dallo studio l’assistente, avvolta nel bel cappotto nero e con la borsa sulla spalla, in procinto di andare. Ma prima che ella potesse partire, Meyer vide il professore chinarsi e baciarle intensamente le labbra, e ne provò inspiegabilmente imbarazzo, come quando aveva posato lo sguardo sulla sua scollatura. Poi si fece strada un qualche ricordo, una sensazione amara. Il rossore sulle guance svanì e al suo posto rimase un peso ineluttabile nel cuore.
   Non si accorse che l’assistente ormai non c’era più e che il professore si era voltato a guardarlo. Quando si riscosse da quell’emozione, Meyer si sentì osservato, e restò interdetto di fronte a quegl’occhi che lo scrutavano.
   Il professore si fece da parte, gli tenne la porta aperta facendo segno d’entrare.
   «Suppongo lei sia il prossimo. Prego, si accomodi».


 
 

*Il nome Augustine è stato dato nella versione inglese dei giochi, probabilmente in riferimento (come dice Bulbapedia) a una varietà di platano chiamata Augustine Henry, che a sua volta prende il nome dall'omonimo studioso di piante irlandese. Il nome di Platan quindi sarebbe più prettamente anglofono piuttosto che francofono, tuttavia se volessimo rimanere in ambiente francese e provare a instaurare comunque qualche possibile paragone è curioso notare come in effetti questo nome corrisponda alla variante femminile di Augustin.

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Buona domenica a tutti!
Come avrete notato l'aggiornamento di oggi è piuttosto corto, e in parte anche per questo all'inizio avevo pensato di rendere questa storia una raccolta, dato che le lunghezze varieranno e di tanto in tanto i capitoli saranno anche fini a sé stessi. Però appunto come ho detto l'altra volta, la successione degli eventi mi sembrava abbastanza semplice da ricostruire, quindi ho finito per cambiare idea. Spero soltanto che in questo modo riesca ad aggiornare più spesso e più coerentemente di quanto faccio di solito :')
Stavolta non ho davvero nient'altro da dire, ma prima di concludere ringrazio ancora Afaneia e Niki ven per le loro dolcissime recensioni al capitolo precedente e come sempre GingerGin e JoksBK per il loro supporto! Grazie anche a tutti i lettori silenziosi che sono passati di nuovo a proseguire questa storia!
Un abbraccio a tutti,
Persej
  
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