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Autore: mikimac    24/10/2018    2 recensioni
L'amore colpisce tutti. Spesso, quando meno te lo aspetti. Qualche volta, per chi non dovresti amare.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Un pomeriggio ad Ascot
La giornata era splendida. Il sole illuminava la terra battuta che presto sarebbe stata calpestata dagli zoccoli dei cavalli. C’era caldo, ma non troppo da sudare. Ogni tanto si levava una leggera e piacevole brezza, che rendeva la temperatura ancora più gradevole. L’ippodromo di Ascot era affollato. Le donne sfoggiavano abiti variopinti e cappellini stravaganti. Ognuna studiava l’abbigliamento delle altre con occhio critico, rilevandone i difetti e cercando una complice con cui malignare. Nessuna donna era esente da critiche, agli occhi di quelle severe e implacabili osservatrici. Gli uomini¸invece, erano più interessati alle scommesse o a corteggiare le dame presenti.
John si trovava nel palco privato dei Morstan. La sera precedente aveva detto a Mary che sarebbe andato ad Ascot per distrarsi. Mischiato alla folla, che abitualmente invadeva l’ippodromo in occasione delle corse, sperava di passare inosservato e di trascorrere qualche ora spensierata. In realtà, questo era il motivo che aveva spinto Sherlock a scegliere Ascot come luogo ideale per incontrarsi. Lui e John sarebbero stati in bella vista, ma nascosti fra la gente che affollava l’ippodromo. Mary si era offerta di accompagnare John, che non aveva trovato validi motivi per rifiutare la sua compagnia. A loro si era unito anche Theodore, che li sorvegliava come un falco. Il giovane medico aveva riferito all’agente Wolf dell’imprevisto e sperava che questo contrattempo non indisponesse Sherlock Holmes. John aveva capito di essere profondamente attratto dall’affascinante spia e desiderava essere ricambiato, anche se nutriva pochissime speranze che ciò potesse accadere.


Un pomeriggio ad Ascot


Il palco privato dei Morstan si trovava nella parte centrale della tribuna principale, circondato da quelli dei nobili più illustri e dei borghesi più ricchi e potenti. Il palco dei Watson non era molto distante, ma era desolatamente vuoto. Con una stretta al cuore, John si ricordò di tutte le fotografie di Henry, apparse sulle riviste di pettegolezzi, che lo ritraevano in quel luogo con la fiamma del momento. Una mano gli sfiorò delicatamente un braccio: “Va tutto bene, John?” Domandò Mary, teneramente.
John si riscosse dai propri pensieri: “Scusa, non è nulla. Ricordi,” rispose, con un sorriso triste.
“Se non te la senti di rimanere qui, possiamo andare via.”
“No. Non voglio rovinare la giornata a te e a tuo padre. Siete stati così gentili e comprensivi con me. Non sarebbe giusto che rinunciaste a un giorno di svago per colpa mia.”
“Io non ho mai amato molto le corse dei cavalli né le tradizioni che circondano Ascot. Tutto ciò che voglio è stare in tua compagnia. Ovunque. Per più tempo possibile. E voglio che tu stia bene. Non ti obbligherei mai a fare qualcosa che ti facesse sentire a disagio.”
John e Mary si guardarono negli occhi. Il dottore lesse tanto sincero interesse per il suo benessere nelle iridi azzurre della donna, che si chiese se stesse facendo la cosa giusta. Possibile che Mary fosse l'anima nera dietro la perdizione di Henry? Perché a lui sembrava così innocente e leale? Era tanto facile ingannarlo?
“È tutto a posto?” Chiese una voce velatamene irritata alle loro spalle. Theodore li aveva raggiunti. John era più propenso a pensare male del padre piuttosto che della figlia. Theodore Morstan era un uomo gelido, calcolatore e spietato, capace di ogni subdola azione pur di raggiungere il proprio fine.
“John…” iniziò a rispondere Mary, ma il medico la interruppe: “Nulla di che. Sta per partire la prima corsa. Ha puntato su qualche corsa?”
Theodore osservò John per qualche secondo: “Nella prima corsa ho scommesso sul numero sette, Dark Light. È giovane, ma promettente. Potrebbe persino vincere. Dopo deciderò se giocare ancora.”
“Allora facciamo il tifo per lui,” concluse John, sedendosi e prendendo un binocolo. Mary lanciò uno sguardo minaccioso al padre che, per nulla impressionato, scrollò le spalle, si mise a sedere e prese il proprio binocolo. I cavalli erano tutti entrati nei box e scalpitavano, pronti a rilasciare la potenza delle loro zampe per vincere una gara di cui non gli importava nulla. Alla fine, ognuno di loro, vincente o perdente, sarebbe stato accuratamente strigliato e sfamato. Mary si sedette accanto a John, prendendo il binocolo e puntandolo sulla partenza. L’eccitazione della folla iniziò a salire. Tutto era pronto per la prima corsa. Si udì uno sparo. I cancelli dei box si spalancarono. I cavalli si lanciarono sulla pista, condotti dai loro fantini. Il ruggito della folla si levò dagli spalti, accompagnando la corsa e incitando i cavalli verso la vittoria.
John fingeva di seguire compostamente la corsa, invece stava cercando di individuare Sherlock e di trovare una scusa plausibile per lasciare il palco da solo e raggiungerlo. Non fu difficile trovare la spia. Sherlock si era messo lungo il percorso di gara, appoggiato alla balaustra, che delimitava la parte interna della pista. Avvolto in un abito a due pezzi nero, con la camicia bianca senza cravatta e i primi due bottoni aperti, era l’uomo più bello che John avesse mai visto. Il sole lasciava riflessi quasi viola sui capelli corvini, che il giovane Holmes non aveva lisciato, cosicché i ricci ribelli si muovevano sinuosi a ogni alito di vento. Gli zigomi pronunciati e taglienti gli conferivano un aspetto serio e severo. Gli occhi, di un azzurro chiarissimo, scrutavano i presenti, con un’espressione disgustata. John non poté trattenere un mezzo sorriso.
“Spero che tu non abbia perso troppi soldi, padre,” disse Mary, in tono sarcastico.
La corsa era terminata e John non ne aveva seguito nemmeno un secondo.
“Non sarà quello che ho perso oggi a mandarci in rovina,” ribatté Theodore, nello stesso tono.
John ignorò il battibecco fra padre e figlia. Si alzò e sorrise a Mary: “Vado a puntare su una delle prossime gare. Credo che assaporare l’adrenalina del tifo mi farà bene. Aspettami qui. Torno presto,” concluse, chinandosi per lasciare un leggero bacio sulle labbra della donna. Senza attendere risposte, il medico lasciò il palco. Si diresse velocemente verso gli sportelli delle scommesse e puntò su alcuni cavalli in corse diverse, a caso. Prese i tagliandi e si diresse a passo deciso verso il luogo in cui aveva visto Sherlock. Lo trovò proprio dove si aspettava che fosse. Con una certa trepidazione lo affiancò: “Le piacciono le corse dei cavalli?” Esordì, in tono cordiale.
Sherlock non si voltò a guardarlo, come se fosse più interessato alla seconda corsa, che era appena partita, piuttosto che al suo vicino. Il boato della folla coprì la risposta tagliente di Sherlock per tutti, tranne che per John: “Vedo che è tornato velocemente nelle grazie della sua ex fidanzata, dottore. Oppure devo riferirmi a Mary Morstan come alla sua attuale amante?  Non si salutano le amiche con baci come quelli.”
John impallidì, come se fosse appena stato schiaffeggiato in pieno viso: “Non era ciò che mi avete chiesto di fare? Riallacciare i miei rapporti con Mary?” Domandò gelido, sulla difensiva.
“Non ci aspettavamo che per il buon esito della missione andasse a letto con il nemico, ma se si vuole divertire, non abbiamo nulla da eccepire. Basta che non comprometta il raggiungimento del nostro scopo.”
Il tono sprezzante di Sherlock ferì profondamente John, che si sentì sporco, quasi fosse stato una prostituta. Furioso per l'atteggiamento dell’altro uomo, non fece nulla per chiarire l’equivoco in cui la spia era caduta: “Grazie per l’approvazione. Sono disposto a tutto per la Regina e per la corona,” sibilò feroce.
“Per la Regina e per la corona. Certo,” ribatté Sherlock, con velenoso sarcasmo.
John non comprendeva la rabbia e la cattiveria di Sherlock. Afferrò la staccionata con una mano e vi si appoggiò, insicuro che le gambe potessero reggerlo: “Non vuole sapere chi fossero gli ospiti presenti alla villa ieri sera?” Cambiò discorso, guardando verso la corsa, senza vederla.
“Ne abbiamo identificati la maggior parte. Gente insignificante e innocua. Vogliamo sapere di questi quattro uomini,” rispose Sherlock, girandosi verso la pista con il cellulare stretto in mano. John vide passare velocemente le fotografie dei quattro uomini non accompagnati: “Mary me li ha presentati come Steve Ballard, Thomas Raynolds, Phillip Chappel e Albert Newman, suoi soci in affari. Non ha specificato quali fossero gli affari di cui si occupavano. Non avevano dame. Dopo cena, Mary si è richiusa per una mezz'ora nello studio con quei quattro uomini. Ovviamente non so di che cosa abbiano parlato. Probabilmente non del tempo o non avrebbero avuto bisogno di tanta riservatezza.”
“Sono tutti nomi falsi. L’unico che conosciamo è questo. Si tratta di Herbert Hoffmann, un brillante chimico tedesco originario dell’ex Germania Est. Si vende al miglior offerente, non ha un credo politico o religioso. Lo tenevamo d’occhio, ma ne abbiamo perso le tracce più di un anno fa. Sapere che sia riuscito a entrare  in Inghilterra senza che noi lo intercettassimo, non è rassicurante.”
“Ballard o Hoffmann, lo chiami come vuole, è l’unico che si è comportato in modo strano. Edgar stava stappando una bottiglia di vino francese e Ballard ha reagito come se il maggiordomo stesse per fare scoppiare una bomba. Era veramente terrorizzato. La spiegazione che ha dato delle sua reazione è stata assurda. Gli altri tre uomini, Mary e Theodore erano davvero arrabbiati con lui,” raccontò John.
L’urlo della folla fece capire ai due uomini che la corsa era finita.
“Il vino proveniva dalla cantina della villa o era stato portato da un ospite?”
“Edgar lo aveva preso dalla cantina.”
“Dobbiamo entrare in quella cantina e controllare se vi siano altre bottiglie di quel vino. Se scoprissimo che alcune di esse non contengono solo vino, potremmo fare un importante passo in avanti nella nostra indagine,” disse Sherlock, in tono deciso.
“Non so se…” iniziò John, ma fu interrotto da una voce proveniente dalle sue spalle: “John! Sei qui. Pensavo che non ci raggiungessi più,” sorrise Mary, in modo tirato, squadrando Sherlock come se fosse un rivale.
“Volevo vedere la corsa e ho pensato che non avrei fatto in tempo, se fossi tornato al palco,” spiegò John.
“Mi presenti il tuo amico? Vi ho visti parlare dal palco.”
John si irrigidì, invece Sherlock si girò verso Mary con eleganza e indifferenza: “Sherlock Holmes, piacere signorina Morstan. Sono un giornalista freelance. Ho avvicinato il dottor Watson affinché mi rilasciasse un’intervista per raccontare la storia di Henry dal suo punto di vista di fratello minore, ma non sono riuscito a convincerlo. Forse lei, come fidanzata, avrà più fortuna di me.”
“Concordo con il mio fidanzato, signor Holmes. La ferita lasciata dalla vicenda di Henry è tuttora aperta e fa soffrire molto le persone coinvolte. Non è ancora il momento di parlarne in pubblico. La prego di non insistere e di non disturbare ulteriormente John,” ribatté Mary, in tono deciso.
“Oggi non è la mia giornata fortunata. Ci rifletta, dottore. Se cambia idea, sa come contattarmi,” si arrese Sherlock. Con un cenno del capo salutò e lasciò soli Mary e John. Era cominciata la terza gara. Mary seguì Sherlock con lo sguardo e sorrise maliziosa: “Strano tipo. Sembrava un fidanzato geloso.”
“Credo che sia sposato con il suo lavoro. E io non sono gay,” sospirò John.
“Oh, questo lo so. – rise Mary, ma tornò subito seria – John, forse questo non è né il posto né il momento giusto, però… però io sento di doverlo fare. Io ti amo. Non ho mai smesso di amarti. Averti ritrovato per caso, mi ha fatto capire che non posso lasciarti andare via un’altra volta senza confessarti i miei sentimenti. So che non è ortodosso, ma io non mi sono mai adattata alle formalità. Mi vuoi sposare, John?”
La folla urlò. Anche la terza corsa era finita e John non sapeva se avesse vinto qualcosa. Se fosse diventato il marito di Mary, avrebbe sicuramente avuto accesso alla cantina che Holmes voleva perquisire.
“Che cosa penserà Sherlock di me, se sposerò Mary?” Si chiese John, mentre una dolorosa fitta gli stringeva il cuore. Non si rese quasi conto di rispondere “Sì, Mary, ti voglio sposare.” La sua voce suonò estranea persino alle sue stesse orecchie.
Mary gli gettò le braccia al collo e lo baciò con passione. John ricambiò con trasporto, ma nella sua mente si formò l'immagine di un uomo moro, felice per il successo della sua missione. Con disperazione John desiderò che le labbra e la lingua,  che divoravano le sue, appartenessero a Sherlock Holmes.


Angolo dell’autrice

Come ho già scritto, la trama ripercorre quella del film di Alfred Hitchcock del 1946. John e Sherlock si daranno del lei fino alla fine del racconto. L'atteggiamento scontroso e geloso di Sherlock deriva dall’essere il T.R. Devlin interpretato da Gary Grant. Nel film, lui si rode fino alla fine, senza mai confessare il proprio amore ad Alicia Huberman, interpretata da Ingrid Bergman. Devlin si comporta da idiota, certo, ma non c'è motivo per rendere Sherlock migliore. Inoltre, l'uso del plurale da parte di Sherlock è un accentuare ulteriormente il distacco da John e sottolineare che Watson lavori per l’MI6, non con Holmes.

Grazie a chi stia leggendo il racconto e lo abbia segnato in una qualsiasi categoria.

Grazie a meiousetsuna per il commento allo scorso capitolo. Cercherò di rispondere a tutte le recensioni,  ma tenete conto che sono riuscita a fratturarmi un gomito e posso scrivere con una sola mano. Che non è né agevole né veloce.
Comunque, ogni commento è sempre benvenuto.

Alla prossima settimana.

Ciao!


   
 
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