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Autore: Beeanca    02/11/2018    2 recensioni
[Cato x Clove ♥, alternative universe!, one shot]
Il ragazzo dagli occhi azzurri la ringraziò a malapena sorridendole, ma lei lo ignorò, persa nell'universo nebbioso del fumo e nei suoi pensieri. Quando fumava si chiudeva in una bolla di riflessione e nessuno poteva infastidirla, ma il ragazzo lo fece comunque.
...
Prese l'accendino e inspirò profondamente, la sensazione di isolamento la avvolse dopo mesi. Una bolla di illusoria felicità nella quale Cato era ancora vivo. Un sogno così realistico, una realtà così distorta.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cato, Clove
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Self made cigarettes and stolen smiles


Si infilò il cappuccio e rabbrividendo chiuse la giacca, maledicendo se stessa per aver dimenticato ancora una volta l'ombrello a casa. La pioggia l'aveva colta di sorpresa ed era lì, tremante e fradicia alla fermata dell'autobus.
Lo zaino era incredibilmente bagnato, le Converse erano zuppe, i capelli lavati il giorno prima erano ormai una massa informe. Clove imprecò a bassa voce, cercando di coprire il più possibile i libri.
I pullman newyorkesi non si erano mai distinti per la puntualità, ma quel giorno i ragazzi aspettarono venti minuti prima di tornare a casa. Clove si era riparata sedendosi su una panchina coperta da una cupola, e tirò fuori la cartina. Aveva tutto in una tasca dello zaino, e in pochi minuti la sigaretta era pronta.
Si pettinò i capelli con le dita, osservò il traffico della Grande Mela, le persone chiuse nella loro indifferenza che attraversavano le strade immobilizzate nella loro apatia, e diede il primo tiro. Era così presa dalla sua osservazione che il ragazzo alle sue spalle la colse di sorpresa. Aveva un qualcosa di familiare, e le si sedette accanto. Non disse nulla, le indicò una cartina e Clove annuì fugacemente, passandogli una sigaretta.
Il ragazzo dagli occhi azzurri la ringraziò a malapena sorridendole, ma lei lo ignorò, persa nell'universo nebbioso del fumo e nei suoi pensieri. Quando fumava si chiudeva in una bolla di riflessione e nessuno poteva infastidirla, ma il ragazzo lo fece comunque. La scosse per le spalle, non molto delicatamente, e le indicò il pullman che era appena arrivato.
Entrambi gettarono le sigaratte a terra e salirono velocemente sul bus, senza guardarsi negli occhi. Lei si infilò le cuffiette e si abbandonò alla musica, lui si concentrò sul suo telefono, lanciandole sguardi fugaci. Clove a scuola era sarcastica, fredda, quasi crudele, ma in quel momento, coperta dal cappotto sgualcito e bagnata, gli faceva quasi tenerezza. Non avevano mai interagito davvero, l'aveva notata a un paio di feste ma nulla di più. Ma quegli occhi nocciola l'avevano sempre affascinato, e fece una cazzata.
Prese una penna e un fogliettino e scribacchiò il suo numero, poi lo poso sullo smartphone di Clove. Lei se ne accorse e un sorriso impercettibile le attraversò il volto, poi tornò la solita ragazza dal cuore di ghiaccio.
Cato le sfiorò i capelli, senza che lei se ne accorgesse, e dopo una mezz'ora scesero entrambi, senza rivolgersi minimamente la parola. Un paio d'ore dopo, Cato sbloccò il telefono e trovò il messaggio più bello della sua vita.


La flebo le dava davvero fastidio, la nausea le impediva di alzarsi, i giramenti di testa erano fortissimi. Ma non era quella la vera causa del suo dolore.
Ricordava a stento ciò che era successo, di tanto in tanto le apparivano frammenti sfocati dell'incidente. Le sirene dell'ambulanza, un urlo straziante, una sofferenza breve ma atroce.
Indossavano entrambi il casco, ma non era servito a molto. La macchina li aveva travolti frontalmente, l'impatto non aveva lasciato loro via di scampo. Tante persone avevano cercato di soccorerli chiamando i soccorsi, e di colpo Clove ricordò il corpo di Cato a proteggerla, le voci soffuse dei medici...nessuno le aveva ancora detto come stesse il suo ragazzo.
Le infermiere la assistevano continuamente, ma non riusciva a rivolgere loro la parola: appena cercava di aprire bocca era travolta dalla sinusite, e non faceva altro che rimettere tutti i liquidi che aveva in corpo. La coperta dell'ospedale era fredda, nessuno dei suoi familiari era ancora venuto a trovarla, i medici non facevano altro che misurarle valori su valori. Ma nessuno le aveva detto come stesse Cato.
E proprio quando stava per perdere le speranze un medico, senza strani strumenti in mano, entrò nella sua stanza. Non era tardi, ma il viso dell'uomo era incredibilmente stanco. Scosse la testa, affranto.
“Mi dispiace, Clove. Abbiamo provato a salvarlo in tutti i modi, ma era ferito mortalmente. È morto poco fa, in sala operatoria. Mi dispiace davvero.”
Clove chiuse gli occhi, incapace di credere a quanto aveva appena sentito. Non poteva essere morto. Era uno stupido scherzo. Cato l'avrebbe raggiunta a breve e si sarebbero baciati ancora una volta, come stavano facendo un paio d'ora prima sul ponte di Brooklin. Era una fottuta bugia.
Ma gli occhi del dottore non mentivano. Cercò di respirare normalmente, ma non ci riuscì. Le mancava qualcosa. Era a pezzi.
Avrebbe voluto urlare, piangere, sfogarsi. Avrebbe voluto imprecare contro tutti e chiedere perchè non l'avessero salvato, ma rimase immobile nel letto.
Avrebbe voluto dirgli addio decentemente.
Il medico prese una siringa, la riempì di un liquido giallognolo e gliela iniettò subito nel gomito sinistro. Clove ansimò, e vide gli occhi di Cato. Per l'ultima volta.
Poi sprofondò in un sonno falso, ma il dolore non sparì. Non sarebbe mai sparito.


Non l'avrebbe mai detto, ma era stato estremamente dolce. Aveva continuato a chiederle se si sentisse davvero pronta, e aveva cercato di farlo più delicatamente possibile. Erano a casa di Clove, i suoi genitori erano a Los Angeles per lavoro ed entrambi lo volevano.
In cinque mesi avevano imparato a conoscersi senza filtri, solo quando erano soli riuscivano a essere se stessi. Scherzavano, si facevano qualche sigaretta e si baciavano sotto i lampioni.
Il letto di Clove non era molto grande, era una ragazza minuta, ma non fu un problema. I termosifoni erano spenti, ma il calore emanato dai loro corpi era più che sufficiente.
Clove non si era mai ritenuta particolarmente bella, ma gli sguardi che le rivolgeva Cato la facevano sentire meravigliosa. Cato era estasiato dal modo in cui lei lo accarezzava, sfiorandogli la pelle come se avesse voluto imprimere dentro di sé ogni parte di lui.
Il dolore che Clove provò fu diverso da quello che si aspettava. Era stata una sensazione violentemente dolce, un ossimoro di sentimenti che aveva represso per anni avevano fatto capolino in pochi minuti. Sussurrò “ti amo”, per la prima volta, un bisbiglio nascosto tra le lenzuola.
Ma Cato la sentì, e non disse nulla. Non smise di baciarla, di ammirarla in tutti i suoi pregi e in tutti i suoi difetti. Non l'aveva mai amata così tanto.
Dopo un po' si alzarono entrambi, si rivestirono e Clove prese il tabacco e la cartina dallo zaino. Cato la colse di sorpresa, la prese in braccio facendola volteggiare per la stanza, ignorando le sue proteste.
La fece scendere dopo dieci minuti di calci e baci, e insieme andarono sul balcone a fumare. Si isolarono dal mondo per qualche minuto, ognuno perso nei propri pensieri. Uno stupido sorriso attraversò il volto di Cato, e la figura esile di Clove in lontananza ne era la causa.


Avrebbero dovuto festeggiare un anno, ed erano passati sei mesi esatti dall'incidente.
Fisicamente Clove si era ripresa, ma la sua vita non era più la stessa. Aveva conosciuto nuove persone, era all'ultimo anno e si stava impegnando per la maturità, ma senza Cato tutto era sbiadito. Una nebbia infinita aveva preso il sopravvento sulla sua felicità, e le cose non sarebbero mai cambiate.
Dodici mesi prima si erano conosciuti per casi alla fermata, ma Clove aveva smesso di prendere il pullman. Ci aveva provato, ma i ricordi la travolgevano e si sentiva male. Così aveva fatto l'abbonamento alla metropolitana, sebbene i costi fossero nettamente superiori e la sicurezza lasciasse a desiderare.
Ma proprio quel giorno tutte le metropolitane newyorkesi avevano scioperato, e Clove fu costretta a prendere il pullman. Diluviava, le gocce di pioggia che le rigavano il viso mascheravano perfettamente le lacrime copiose.
Le mancava così tanto.
Aveva smesso di fumare dopo l'incidente, ma teneva sempre il tabacco nello zaino. Era un modo per averlo inconsciamente vicino, e incosapevolmente prese la cartina dalla borsa. Aveva bisogno di lui, in un modo o nell'altro. Il mascara le si era sbavato, ovviamente aveva dimenticato ancora una volta l'ombrello.
Si sedette sulla panchina, cercando di non far caso agli sguardi che gli altri le lanciavano. Occhiate piene di curiosità, velate di pietà e compassione.
Prese l'accendino e inspirò profondamente, la sensazione di isolamento la avvolse dopo mesi. Una bolla di illusoria felicità nella quale Cato era ancora vivo. Un sogno così realistico, una realtà così distorta.

Chiuse gli occhi, e sorridendo si abbandonò ai ricordi.


angolo autrice:
Ciao!
Non scrivevo davvero sulla Clato da tanto tempo, e questa AU! si è scritta da sola. Sono stata ispirata dalla pioggia torrenziale di questi giorni, le gocce grondanti sulla finestra mi hanno invogliata a scrivere, e ho inconsciamente pensato alla Clato :)
Spero che questa storia nella sua malinconia novembrina vi sia piaciuta, se vi va lasciate un commento! 

Un abbraccio <3
Bianca

 

 

 

 

   
 
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