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Autore: ranyare    03/11/2018    0 recensioni
Quando Garon ha orchestrato l'incidente di Cheve, non ha pianificato soltanto il brutale assassinio del Re di Hoshido, ma anche di appropriarsi di una specifica bambina dal sangue di drago. Ma come poteva essere certo che la bambina che ha strappato dal corpo ancora caldo del Re sia davvero quella giusta?
Le bugie crollano quando Ileana, cresciuta come una principessa nohriana, viene catturata da una pattuglia hoshijin presso l'Abisso Infinito, e portata al cospetto della regina Mikoto e di una ragazza della sua età, Zoe; ma il prezzo da pagare per la verità si rivelerà, però, troppo alto per entrambe.
Mentre le ombre della guerra si stagliano sul continente di Euanthe, Ileana e Zoe dovranno prendersi per mano per proteggere i propri cari dal pericolo imminente.
Dalla storia:
Ma, se gliel’avesse detto, il Principe Ereditario non sarebbe partito con un’armata, preferendo invece una delegazione diplomatica. E Re Garon non avrebbe avuto la guerra che voleva così tanto – la guerra che lui, il suo fedele e capace Iago, aveva passato tutto quel tempo a preparare. Quindi, ovviamente, non aveva detto nemmeno una parola sulla pergamena, già sparita in uno sbuffo di fiamme guizzanti.
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Avatar/Kamui (F), Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Golden Bridges'
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Aranyhíd

Una faccia che necessita terribilmente di un pugno.

(Tedesco)

Backpfeifengesicht

 

Takumi sbuffò, girando con un gesto più violento di quanto avrebbe desiderato la pagina del libro che, ormai da ore, stava cercando di leggere nella speranza vana di dimenticare per un po’ tutto ciò che lo angustiava.

Aveva sempre trovato sollievo nelle storie, nei racconti, nei romanzi: le vite di quei personaggi disegnati da altri, creati da altri, erano sempre state in grado di assorbirlo in emozioni e avventure che non gli appartenevano, in cui poteva perdersi ogni volta che qualcosa, nella sua vita, minacciava di sopraffarlo.

Quel giorno, tuttavia, i problemi da cui desiderava scappare così tanto avevano dimostrato una tenacia impressionante, rifiutandosi di essere smarriti per qualche ora fra i paragrafi di un libro.

Era passato ormai qualche giorno da quando avevano rimesso piede a Shirasagi, portando con sé la ragazza di Nohr che ancora faticava a chiamare per nome persino fra i suoi pensieri, ma la situazione, invece di migliorare, si era fatta se possibile ancora più tesa: appena tornato, aveva dovuto affrontare un’altra spiacevolissima conversazione con suo fratello, e non era nemmeno riuscito a trovare il coraggio di cercare sua madre per tentare di spiegarle il perché del suo comportamento – il ricordo dei suoi occhi gentili pieni di orrore, ancora troppo limpido nella sua mente, lo inseguiva sin da quel fatidico pomeriggio a Suzanoh, e sapeva bene quanto ancora a lungo lo avrebbe tormentato.

Digrignò i denti, tentando inutilmente di scacciare quei pensieri velenosi dalla mente, ma era conscio di quanto si trattasse di un’impresa impossibile: come una valanga, come una slavina, i ricordi di quegli ultimi, penosi giorni trascorsi in viaggio e al castello gli si rovesciarono addosso, distruggendo ogni suo patetico tentativo di alienarsi da quella vita che non riusciva più a riconoscere.

Hinata e Oboro non gli rivolgevano la parola da giorni.

Le sue guardie – i suoi amici – si rifiutavano di rivolgersi a lui sin da quando avevano avuto la sfortuna di incappare in quella discussione maledetta fra lui e Zoe: poteva capire il rancore di Hinata – era innamorato di Zoe da sempre, dopotutto, sarebbe stato strano non vederlo prendere le sue difese, ma Oboro… da Oboro si era aspettato comprensione, solidarietà, l’affetto che la lanciera gli aveva sempre dimostrato, e invece…

Invece persino lei gli aveva voltato le spalle, ferita dalle sue affermazioni, sputate in un momento di rabbia, esattamente come Zoe.

Già, Zoe.

Il ritorno di Ileana aveva provocato esattamente ciò che lui aveva paventato per quattordici lunghi anni: prima sua madre, e poteva persino comprendere perché il suo comportamento l’avesse tanto scossa, poi Ryoma, e infine l’unica persona che gli era sempre rimasta accanto e da cui non si sarebbe mai aspettato di essere abbandonato.

Zoe non lo aveva guardato in faccia nemmeno per sbaglio, dopo Suzanoh: durante il viaggio di ritorno era rimasta sempre nei paraggi della nohriana e, quando erano tornati a Shirasagi, aveva fatto di tutto per evitare di incrociarlo – e gli Dei soli sapevano quanto lui avesse tentato di incontrarla, di scusarsi, di tentare di ricucire quello strappo che le sue parole pregne di rabbia avevano causato fra loro.

Ma no, Zoe si era rifiutata di parlargli, e lui si era ritrovato a non riconoscere più nemmeno la sua casa, senza lei ed Hinata ed Oboro al suo fianco: Shirasagi assomigliava ad un tempio sconosciuto, silenzioso ed opprimente, senza i suoni familiari – la risata di Hinata, i rimproveri di Oboro, le canzoncine di Zoe – che da sempre riempivano le sue giornate, la sua mente ed il suo cuore.

Voleva indietro i suoi amici.

Dannazione, voleva indietro la sua vita: nel momento stesso in cui quella ragazzetta aveva fatto la sua comparsa tutto si era sgretolato, sbriciolato, e le colonne portanti della sua esistenza gli erano state violentemente strappate dalle mani… e sapeva esattamente quale era la persona responsabile di tutto quel disastro.

Resistette alla tentazione di scagliare il libro che teneva fra le mani contro la parete dinanzi a lui, frustrato.

Ileana.

Era tutta colpa sua: se lei non fosse riapparsa, niente di tutto quello sfacelo sarebbe mai successo – se non fosse tornata, in trepidante attesa di insinuarsi fra lui ed i suoi cari come la serpe che era, lui non si sarebbe trovato a guardare le spalle di tutte le persone che amava e che non volevano avere più nulla a che fare con lui.

Non avrebbe mai portato a termine le sue minacce, andiamo.

Lo aveva detto a Ryoma, glielo aveva ripetuto a Suzanoh e poi quando erano arrivati a Shirasagi, più e più volte: sì, aveva fatto delle affermazioni davvero orribili, ne era conscio, ma… chi non lo avrebbe fatto, al suo posto?

Chi, davanti alla prospettiva di portare davanti alla propria famiglia una persona che quasi sicuramente si sarebbe rivelata una pericolosa bugiarda, non avrebbe almeno provato a scoprire la verità – persino facendo promesse che, comunque, non avrebbe mai mantenuto?

Nohr era il loro nemico, per tutti gli dei, come potevano averlo dimenticato?

Come potevano aver dimenticato che quei maledetti avevano ucciso suo padre e decine di altre persone innocenti, che erano i responsabili della maggior parte dei brigantaggi lungo il confine, che avevano rapito una bambina per trasformarla in un’incredibilmente abile mentitrice da cui sembravano tutti essersi lasciati abbindolare?

Perché quello avevano fatto, crescendo Ileana in quel ventre oscuro e orrendo che era Nohr, ed era assurdo che nessuno se ne fosse ancora reso conto – andiamo, lui non aveva fatto assolutamente nulla per giustificare la reazione assurda che la nohriana aveva avuto davanti sua madre!

Non l’aveva torturata, non l’aveva picchiata, era stata tenuta al sicuro tanto da Kaze quanto da Hinata da possibili ritorsioni dei soldati: sì, l’aveva minacciata, l’aveva tenuta a digiuno, forse era stato un po’ troppo duro, ma quella… quella cosa aveva attaccato i suoi soldati, maledizione!

Aveva varcato il confine, ucciso dei guerrieri coraggiosi, infranto il fragile patto che proteggeva Hoshido dall’invasione di Nohr e chissà quali altri nefandezze – seriamente, aveva sempre pensato che suo fratello, almeno, sapesse discernere la verità dalle bugie, e invece?

Ed invece le sue azioni gli si erano ritorte contro, e lui si era ritrovato solo.

Il suono di uno sgabello che grattava sul pavimento di legno lucido lo distrasse, sottraendolo ai suoi pensieri tormentati.

Alzò lo sguardo, pentendosi immediatamente di essersi distratto tanto da non accorgersi del manipolo di ragazzi, più o meno suoi coetanei, che si era radunato fra gli scaffali della biblioteca soltanto un paio di file più in là rispetto a lui. Erano giovani aristocratici che conosceva di vista e con cui, durante gli eventi pubblici da cui non era riuscito a sottrarsi, aveva intrattenuto qualche conversazione più per dovere che per piacere personale; riconobbe, fra tutte, la voce di Itou Sosuke, il primogenito del generale Itou, un ragazzotto dinoccolato e dall’aspetto viscido che più di una volta aveva sentito rivolgersi a Zoe con parole che soltanto le preghiere sommesse di lei – “Takumi, ti prego, lascia perdere, non ne vale la pena” – lo avevano convinto a lasciare impunite.

-Abbiamo davvero una nohriana nel castello?-

Abituato com’era a discernere i suoni delle foreste, durante le battute di caccia, non gli fu difficile cogliere quel borbottio pregno di disgusto. Si trattenne dal sospirare, limitandosi a rovesciare gli occhi verso il soffitto quando comprese che quell’ufficioso consiglio di guerra non sarebbe finito tanto presto.

-E sembra che sia una nobile, nientemeno.- rispose un altro, uno di quei ragazzi scialbi e di poco conto che Takumi aveva sempre mal sopportato.

-La Regina ha detto al Consiglio che si tratta di un’ambasciatrice.-

Takumi arricciò il naso, disgustato: un’ambasciatrice? Quella ? Ah! Hinata avrebbe saputo fare un lavoro migliore, come ambasciatore!

-Da Nohr?-

Persino Sosuke parve trovare quell’ipotesi estremamente improbabile, a giudicare dal sarcasmo che venò le sue parole.

-Più facile che sia una spia.-

Takumi rovesciò gli occhi verso il soffitto.

Chi aveva avuto la splendida idea di annunciare al Consiglio che un’ambasciatrice nohriana si trovava nel castello? Nessuno aveva pensato alla resistenza che avrebbe opposto l’intera aristocrazia? Hinoka non lo aveva immaginato, Ryoma non l’aveva calcolato, sua madre non l’aveva previsto? Non avevano pensato che, forse, un emissario di Nohr sarebbe diventato un bersaglio per i nobili in poco più di un istante?

Eppure, come tutti loro, lui aveva presenziato ad ogni seduta del Consiglio di Shirasagi – l’antica forma di governo formata dagli esponenti delle famiglie più antiche e potenti di Hoshido, che consigliava il Re di Hoshido e lo supportava nel governo della nazione: lui, come tutti loro, aveva visto quanto il Consiglio si opponesse alla politica pacifista della Regina, aveva ascoltato i loro timori causati dalle continue razzie nohriane lungo il confine.

Il Consiglio voleva la guerra, non la pace.

Sventolare davanti al naso dei daimyo la possibilità di un dialogo con Nohr, di un compromesso, di un ennesimo patto fragile ed effimero… beh, significava soltanto rischiare la vita del diplomatico di turno.

-Assurdo. La barriera della Regina regge ancora.-

La barriera della Regina, già. Un altro dei tanti motivi per cui il Consiglio era sempre più irrequieto.

Alla morte di Sumeragi, Mikoto aveva eretto una barriera magica che sottraeva a chiunque la varcasse l’intenzione di fare del male o di recare danno al regno di Hoshido: la barriera aveva protetto gli hoshijin per anni, tenendo lontani eserciti e malfattori, ma…

Takumi sapeva perfettamente quanto la barriera si stesse indebolendo.

Si era accorto, così come i suoi fratelli, di quanto fosse pesante per sua madre mantenere la barriera: era conscio di quanto si trattasse di una misura temporanea, che era stata presa per proteggere un regno ferito e senza guida ma che poi era stata dimenticata, preferendo ignorare ciò che succedeva al di là di Suzanoh e dell’Abisso e continuando a pretendere che nulla e nessuno li avrebbe più minacciati.

La barriera poteva fallire – aveva fallito, Takumi ne aveva avuto la riprova: la Maga di Nohr, infatti, non era minimamente migliorata una volta attraversato quel velo magico, il suo comportamento era rimasto assolutamente intoccato…

-La barriera dovrebbe reggere.- Takumi serrò le labbra alle parole di Sosuke, constatando quanto lui non fosse l’unico ad avere quei dubbi. -La Regina è davvero ingenua se pensa che Nohr__-

Oh, quello era davvero troppo.

Takumi si schiarì la voce, sopprimendo la tentazione di sogghignare quando quel rumore improvviso fece sobbalzare quel branco di stupidi ficcanaso – quegli idioti senza cervello potevano parlare quanto volevano della nohriana, ma non gli avrebbe permesso di ingiuriare sua madre.

-Io non finirei quella frase, se fossi in te.- avvertì, incrociando le braccia e scoccando loro un’occhiata tagliente in cui sperò di essere riuscito ad infondere tutto il fastidio che provava nei loro confronti.

-Principe Takumi!- Sosuke si raddrizzò, profondendosi immediatamente in un inchino nella sua direzione. -Mi scuso per la mia impudenza, non era mia intenzione offendere la Regina Mikoto.- aggiunse, lezioso ed irritante come Takumi aveva già avuto modo di notare in passato, gli occhi scuri e sottili pieni di qualcosa che, nella sua mente, ricollegò immediatamente allo sguardo di un serpente in procinto di assalire un inerme topolino.

Itou Sosuke non era uno stupido: Takumi sapeva che, in sede di Consiglio, la sua voce aveva cominciato ad assumere il peso che quella di suo padre, uno dei generali più decorati e ammirati dell’intera Hoshido, aveva iniziato a perdere a causa dell’età. Ryoma gli aveva parlato diverse volte di quel giovane vanaglorioso che tentava ormai da anni di mettere in cattiva luce la famiglia reale, convinto che la politica pacifista della Regina avrebbe portato Hoshido sull’orlo del disastro – un’idea che, talvolta, Takumi aveva condiviso, consumato dall’odio che provava nei confronti del regno di Nohr.

Tuttavia, quell’odio non lo avrebbe mai portato a sostenere la scalata al potere di un ambizioso politicante come quello – anche e soprattutto per via dell’opinione che Sosuke aveva di sua madre.

-Che non ti senta mai più riferirti a mia madre in quei termini.- lo avvertì, freddamente, inclinando la testa per osservare con malcelata curiosità i pensieri che si avvicendavano appena dietro il velo di cortesia ed ossequiosità che Sosuke indossava come una maschera modellata per combaciare alla perfezione sul suo volto.

-Mi scuso ancora, milord, ma…- iniziò, esibendosi in un secondo inchino ed esitando – una pausa ad effetto davvero teatrale, si disse Takumi, tutt’altro che impressionato – prima di continuare. -…capirete certamente  anche voi quanto questa ospite possa destare preoccupazione. La barriera è sempre più fragile, e non possiamo evitare di chiederci…-

…di chiedersi quando Nohr avrebbe invaso il loro regno.

L’avrebbero uccisa, realizzò.

Il Consiglio, gli aristocratici, avrebbero ucciso la Maga e rispedito il suo corpo a Krakenburg in una bara, con i saluti del Consiglio e di una Hoshido che non avrebbe mai dimenticato, che non avrebbe mai perdonato.

Per un istante, Takumi si permise di immaginare cosa sarebbe successo se li avesse semplicemente lasciati fare: si sarebbe liberato del problema alla radice, non avrebbe dovuto più preoccuparsi della salute di sua madre, dei tormenti di Zoe, della sicurezza del suo regno.

Ma non poteva.

Per quanto desiderasse ardentemente che la nohriana sparisse dalle loro vite, lasciare che venisse uccisa da un branco di esagitati guerrafondai non era la giustizia che lui desiderava ardentemente: un conto sarebbe stato giudicarla per i suoi misfatti, smascherarla per tutte le sue bugie, ma permettere al Consiglio di usare il suo cadavere come vessillo di guerra avrebbe soltanto indebolito la posizione di sua madre e dato a Nohr un’eccellente scusa per muovere il primo passo verso l’ormai inevitabile conflitto.

Dannazione.

Per quanto la volesse fuori dalla sua vita, non poteva permettere che le facessero del male – e, per sistemare quel disastro che Ryoma non aveva anticipato, doveva essere certo che quegli imbecilli sapessero che attaccare la Maga sarebbe stato considerato un affronto all’intera famiglia reale.

-I vostri timori non saranno ignorati.- sbottò, distogliendo lo sguardo mentre i suoi pensieri si rincorrevano l’un l’altro, alla disperata ricerca di qualcosa che avrebbe potuto spostare l’attenzione di Sosuke e dei suoi galoppini dall’idea pericolosa di farle fare una brutta fine. -Ma sono infondati. L’ambasciatrice di cui parlate non è affatto nohriana, ma una questione personale della Regina e della famiglia reale.- aggiunse, appuntandosi mentalmente di dare dell’idiota a suo fratello non appena ne avesse avuto l’occasione.

Sosuke sgranò gli occhi; si avvicinò di un passo, le labbra piegate in un lievissimo sorriso irritante che la mente di Takumi riconobbe istantaneamente come un campanello di allarme.

-Milord, non direte sul serio__-

Takumi lo zittì con un cenno, maledicendo la nohriana, maledicendo la stupidità di Ryoma, maledicendo tutta l’intricata sequela di eventi che lo aveva portato a quella conversazione con quella massa di cretini.

-Sì. Quella ragazza è la Principessa Ileana.- sbottò, pronunciando quelle parole con tutta la rabbia che aveva represso sin da quando aveva incontrato la nohriana per la prima volta – con tutta la collera che era cresciuta dentro di lui negli ultimi giorni, alimentata dal vuoto in cui era abituato a trovare le voci dei suoi amici, dallo sguardo colmo di dolore di sua madre, da quello pieno di vergogna di Ryoma.

Sosuke impallidì, sconvolto, mentre sui volti dei suoi amici si disegnò la stessa espressione sorpresa ed un po’ stolida – era persino inquietante come si somigliassero tutti.

-La Principessa Ileana?- sillabò, come se stesse parlando ad un bambino lento di comprendonio, e Takumi dovette trattenersi dal tirargli un pugno sul naso; annuì, invece, serrando le labbra e distogliendo lo sguardo quando quell’imbecille si voltò per ascoltare i mormorii confusi dei suoi compari.

Era una così bella giornata, notò, scorgendo al di là delle finestre il cielo azzurro e il Sole che splendeva. Magari avrebbe potuto uscire dal castello per un po’, andare in città, distrarsi per un po’ e__

-E sta facendo da ambasciatrice per i suoi rapitori? Milord… ne siete sicuro?-

Dei, ne aveva abbastanza.

Si rivolse nuovamente a Sosuke, la pazienza ormai agli sgoccioli, e fu con una punta di soddisfazione che colse la confusione e lo sconcerto dipingersi in quella faccia odiosa.

-Mia madre lo è, e tanto deve bastarvi.- scattò, lanciando un’occhiata rammaricata al suo libro, ripromettendosi di tornare più tardi per provare a riprendere la lettura. -Lasciatela perdere e comportatevi di conseguenza. Ogni affronto alla Principessa sarà considerato come un affronto alla Regina.- aggiunse, scoccando loro un’occhiata d’avvertimento a cui Sosuke rispose con l’ennesimo inchino.

-Ma certo. Mi scuso ancora per__-

-Sì, sì, va bene. Scuse accettate.- Takumi scosse la testa, superando lui, i suoi amici senza nerbo e tutta quella penosa conversazione, per dirigersi verso le porte della biblioteca, perfettamente conscio di quanto la sua pazienza non avrebbe retto ancora a lungo alle prese con loro.

Dei, quanto era difficile tollerare quella gente… almeno quanto, mugugnò fra sé e sé quando sentì una voce familiare e decisamente troppo entusiasta risuonare al di là delle porte scorrevoli, era difficile spiegare a Hinata che non poteva alzare sempre la voce in quel modo.

Sbuffò, scuotendo la testa e chiedendosi per l’ennesima volta che cosa aveva fatto di male nella vita per avere sempre alle calcagna un tale imbranato, spalancando la porta e aprendo la bocca per rivolgergli un rimprovero.

-Hinata, quante volte devo dirti che non puoi urlare__-

Il rimbrotto si spense fra le sue labbra nel momento stesso in cui la sua attenzione venne immediatamente attirata dalla figura familiare che, con le braccia conserte e l’espressione contratta in una smorfia tormentata, affiancava Hinata – Zoe.

-Zoe.- mormorò Takumi, sorpreso, sentendo qualcosa incrinarsi dentro, nel profondo, quando lei voltò la testa nel momento stesso in cui lui la guardò.

Era la prima volta da giorni in cui le si trovava così vicino e, per qualche attimo, volle cullarsi nell’illusione che gli ultimi giorni non fossero mai accaduti – che Zoe lo avrebbe guardato e gli avrebbe sorriso, affettuosa come sempre, gentile come sempre, che gli avrebbe dato un pizzicotto sulla guancia perché aveva rimproverato Hinata per poi lanciarsi in un animato racconto delle ultime figuracce del loro amico…

Ma Zoe non lo avrebbe fatto.

Zoe non lo avrebbe nemmeno guardato in faccia, lo avrebbe ignorato, come aveva fatto più e più volte negli ultimi giorni; ed il motivo di quella distanza era proprio lì, appena un passo dietro la sua amica, vestita di nero, che lo fissava con quei freddi occhi verdi e le labbra serrate.

Ileana.

Takumi digrignò i denti, ricambiando lo sguardo ostile della nohriana con tutta l’irritazione che era cresciuta, dentro di lui, nell’ultima mezz’ora.

Poteva andare peggio, quella giornata? Prima Sosuke e i suoi cagnolini, ora lei

-E… tu.- sibilò, trattenendosi dall’alzare gli occhi verso il soffitto quando lei parve rabbrividire in risposta al suo tono di voce, quando serrò con più forza le braccia già conserte e assottigliò le palpebre, senza distogliere quegli occhi maligni da lui.

Si concesse di osservarla meglio, accorgendosi di quanto sembrasse fuori posto con i suoi capelli chiari e la carnagione lattea e sorprendendosi quando si accorse di quanto sembrasse innocua in quel momento: dov’era finito quel mostro osceno che tanto lo aveva inquietato nelle segrete di Suzanoh?

La ragazza che aveva davanti non era tanto più alta di Sakura, e aveva il suo stesso tipo di fisico, asciutto e sorprendentemente minuto… non sembrava affatto la strega maligna che aveva tormentato i suoi incubi sin da quel giorno all’Abisso.

Ma aveva davvero avuto tanto timore di quella piccoletta, lì?

-Lord Takumi, stavamo soltanto__- cominciò Hinata, arruffandosi i capelli già disordinati con una mano e facendo un passo avanti per avvicinarsi a lui, ma Takumi si rivolse direttamente alla nohriana, ignorando l’intromissione della sua guardia.

-Che cosa fai qui?- domandò, ignorando lo sbuffo di Zoe e l’espressione allarmata di Hinata; possibile che quella giornata non facesse altro che peggiorare? Prima Sosuke e i suoi compari, adesso quell’odiosa__

-Non vedo perché quello che faccio dovrebbe essere affar tuo.- replicò lei, tutt’altro che intimorita dal suo atteggiamento chiaramente ostile – ah, eccola lì quella lingua tagliente, allora non se l’era immaginata –, spostando il peso da un piede all’altro ma rifiutandosi di indietreggiare davanti a lui.

Takumi scoccò un’occhiataccia a Hinata, immaginando perfettamente che cosa fosse successo: Zoe e la nohriana dovevano averlo incrociato per nessun motivo particolare, ma lui di certo non si era trattenuto dall’iniziare una conversazione nonostante avesse avuto il chiaro ordine di non fare rumore… avrebbe dovuto spiegargli per l’ennesima volta che non poteva distrarsi dai suoi compiti per parlare con qualche ragazza, più tardi.

-Perché stai disturbando la mia guardia. Di nuovo.- replicò, stizzito dal tentativo del Maestro d’Armi di frapporsi fra i due reali – per proteggere lui da lei o lei da lui?, si domandò una parte della sua mente.

Ileana – niente, persino chiamarla per nome fra i suoi pensieri lo disgustava, tutto in lui rifiutava quel nome e ciò che significava – raddrizzò le spalle, facendo un passo avanti e avvicinandosi, così, alle due guardie reali insolitamente silenziose.

-Non sto costringendo nessuno ad avere una conversazione con me. Anzi, non desidero altro che terminare questa.- decretò, sollevando il mento con una supponenza tale che, non fosse stato per tutta quella situazione disastrosa, lo avrebbe persino fatto ridere per quanto sembrasse ridicola – andiamo, ma chi credeva di poter intimorire?

Il grugnito di Zoe, chiaramente già esasperata da quell’incontro sfortunato, lo fermò prima che potesse aprire la bocca per rispondere a tono a quella sfacciataggine; con un gesto fluido s’intromise fra i due, guardandolo per la prima volta da giorni dritto negli occhi.

Dei, quella non era la sua amica.

Era abituato a trovare calore in quegli occhi allungati, e affetto, e un sorriso sempre pronto a rincuorarlo; era abituato ad una Zoe allegra, sorridente, che ignorava ogni regola per dimostrargli quanto tenesse a lui; era abituato a scorgere tenerezza, su quel viso, e sicurezza, e un luccichio malizioso che lo faceva sempre impazzire ma di cui non avrebbe mai voluto privarsi nemmeno in cambio di tutti i tesori del mondo…

E invece, quella cagna gliel’aveva portata via.

Zoe assottigliò le palpebre, le iridi scarlatte oscurate da quello che Takumi poté definire soltanto come fastidio: era vicina, più vicina di quanto fosse stata negli ultimi giorni, ma… non gli era mai sembrata più distante.

-…non possiamo farla facile? Tu ti sposti, noi andiamo in biblioteca e non dovrai più vederci per il resto della giornata.- continuò, imperterrita, ignorando il suo sguardo confuso e il mugugno incomprensibile di Hinata; Takumi, però, impallidì, afferrando il significato di ciò che Zoe aveva appena detto con qualche attimo di ritardo.

-La…-

La biblioteca?

Zoe voleva portare una maga di Nohr nella loro biblioteca? Dove erano conservati decine e decine di tomi e pergamene sulla magia e sugli spiriti, dove era raccolta tutta la letteratura di Hoshido, dove una spia nemica avrebbe fatto carte false pur di entrare?

Oh, ma certo, ora quadrava tutto: era stata sicuramente lei a fare quella richiesta, adducendo chissà quale scusa ridicola a cui Zoe aveva creduto, lasciandosi ingannare – oh, andiamo, Saizo doveva averle insegnato a non farsi abbindolare in quel modo!

-Assolutamente no.- sbottò, con un tale livore da far trasalire tanto Zoe quanto quella maledetta, vigliaccamente nascosta dietro le spalle della Samurai. Lui però si costrinse ad ignorarle, voltandosi seccamente verso la sua guardia. -Hinata. Scorta questa__lei nella stanza che le è stata assegnata.- ordinò, agitando una mano in direzione di quella… quella cosa.

-Lord Takumi__- cominciò lui, chiaramente a disagio – ma, prima che potesse dire qualunque cosa, l’irritante nohriana fece un passo avanti, raddrizzando le spalle e dimostrando ancora una volta la sua insolenza fissandolo dritto negli occhi.

-Io non sono una tua prigioniera.- decretò, con quella voce acuta ed irritante che aveva odiato così ardentemente durante i giorni di marcia, la furia che si raggrumava sul fondo del suo stomaco e serrava con violenza quella morsa che lo tormentava, labile ma sempre presente, rendendogli difficile il respiro.

E lui aveva persino fatto lo sforzo di proteggerla.

Serrò le labbra, facendo un passo avanti e piegando la bocca in un sorriso incattivito quando la vide impallidire, se possibile, ancor di più – bene, si disse: non era poi così coraggiosa, quella maledetta, nonostante si stesse chiaramente rifiutando di arretrare…

-Ma i cani non sono ammessi in biblioteca.- sibilò, godendo della crepa che scorse spezzare la determinazione in quello sguardo verde, lasciando trasparire qualcosa che lo soddisfò più di tutto il resto: paura.

-Hinata, toccala e mi costringerai a strapparti il braccio.-

Takumi non fece in tempo ad alzare lo sguardo, allarmato dalla vena metallica nella voce di Zoe, prima che la Samurai apparisse come dal nulla – di nuovo – fra lui e la cagna.

-Sei davvero convinto che la regina o tuo fratello ti permetteranno di continuare a comportarti come l’idiota che chiaramente sei?- sibilò, con una voce bassa e tagliente che Takumi le aveva sentito usare ben poche volte, che ricordava inquietantemente il tono secco e aspro che Saizo rivolgeva alla maggior parte dei suoi sottoposti.

Quella era l’ultima situazione che avrebbe voluto affrontare.

Zoe sapeva essere profondamente testarda, quando voleva, e non aveva mai avuto paura di alzare la testa per difendere ciò che le sembrava giusto difendere: Takumi aveva sempre ammirato quel suo coraggio, sì, ma in quel momento si ritrovò a desiderare ardentemente che lei fosse diversa, che non avesse deciso – ancora una volta – di mettersi in mezzo fra lui e la stupida nohriana.

-Zoe, no…- provò ad intervenire Hinata, ma lei alzò bruscamente una mano per zittirlo, ostinandosi a sostenere lo sguardo esasperato di quello che, fino a qualche giorno prima, aveva chiamato fratello.

-Lei non si avvicinerà a libri, pergamene o incantesimi, Zoe. Portala via da qui.-

-Nessuno mi ha dato l’ordine di tenerla lontana dalla biblioteca.- replicò, furibonda; ma Takumi scorse il fremito nel suo sguardo, si accorse della voce che tremava sotto le sue parole, e qualcosa, in lui, parve rivoltarsi come un serpente pronto ad attaccare.

Aveva fatto un passo falso, e sapeva benissimo che lui non se lo sarebbe lasciato sfuggire.

-Ma a meno che tu non abbia un ordine da qualcuno più in alto di me, farai quello che ti ho detto.- sibilò, non riuscendo a credere al sorriso che percepì stirare le sue stesse labbra, al pugnale che non sapeva di aver stretto fra le dita ma che aveva affondato con rabbia dentro di lei, fino all’elsa.

E infatti, come aveva visto i suoi occhi riempirsi di lacrime giorni prima, quando gli era sfuggita quella frase infelice che avrebbe voluto rimangiarsi immediatamente, scorse il suo sguardo adombrarsi, le sue labbra stringersi per incassare quell’ennesimo colpo che Takumi non osava pensare di averle inferto: sapeva quanto male le stava facendo, ma…

Ma Zoe aveva scelto lei.

Zoe aveva scelto Ileana, non lui: aveva deciso di mettersi dalla parte di quella bugiarda, cascando nella sua rete di menzogne come la più ingenua degli stupidi, e gli aveva voltato le spalle – proprio lei, fra tutti, lei che gli aveva promesso mille volte che sarebbe sempre rimasta al suo fianco… e che, invece, lo aveva abbandonato: proprio come tutti gli altri.

Quell’attimo di debolezza, però, durò soltanto l’attimo di un sospiro: la Samurai serrò i pugni e raddrizzò le orecchie, ignorando l’ennesimo, debole tentativo di Hinata di fermarla.

-Nei tuoi sogni.- ringhiò, avvicinandosi coraggiosamente di un passo a Takumi, dimentica della distanza che avrebbe dovuto mantenere per decoro, per decenza, che lui non aveva mai nemmeno pensato di dover far valere nei suoi confronti: eppure, in quell’istante, ad un soffio da quegli occhi ardenti di rabbia, provò il desiderio di allontanarsi, di fare un passo indietro, di distanziarsi da quel qualcosa di così orribilmente sbagliato che vedeva dinanzi a sé.

Voleva scappare via, come il più vile dei codardi, per non guardare quel mostro strappargli ancora una volta un pezzo del suo mondo.

-Perché devi rendere tutto così difficile?- sospirò, scuotendo la testa, ma la risposta che ottenne fu un versaccio strozzato, un’occhiataccia, una smorfia disgustata.

-Io? Sono io a rendere tutto difficile!?- sbottò, infatti, con una voce più acuta del normale; ma poi prese fiato, socchiudendo le palpebre per qualche istante, forse alla ricerca di una calma che nemmeno lei sentiva di possedere in quel momento – forse anche lei non voleva perderlo, forse anche lei si sentiva dilaniare ad ogni sillaba che si scambiavano, forse sarebbe bastato così poco per sistemare le cose

Ma poi quegli occhi scarlatti tornarono nei suoi, e Takumi vi scorse una determinazione ferrea che poteva significare solamente guai.

-…levati di mezzo.- sibilò, gelida, pronta a mettersi di nuovo contro di lui per fare ciò che considerava più giusto… una decisione ammirevole che però, e Takumi si odiò per ciò che sapeva di dover fare, avrebbe causato un disastro più grande di quello che lui aveva previsto.

Quella voragine, fra di loro, si sarebbe allargata ancora di più: sapeva che quello che stava per fare l’avrebbe ferita immensamente, che Takumi avrebbe voluto disperatamente evitare, ma non poteva fare nulla per evitarlo.

Un ringhio sommesso si mescolò al respiro di Zoe, anche se lei parve non accorgersene: era un avvertimento, il segnale che avrebbe potuto fermarsi in quel momento ed evitare quella catastrofe annunciata, che forse avrebe potuto ancora fare qualcosa per calmarla prima di rovinare ancora di più il loro rapporto, ma…

Quei freddi occhi da serpe, al di là della spalla di Zoe, parvero ridere di lui, consci del dolore che ruggiva nel suo petto.

…ma non poteva lasciare che quel mostro scoprisse i loro segreti.

…e Zoe aveva scelto lei.

Si voltò verso Hinata, provando una fitta di dispiacere quando scorse l’espressione tormentata del suo amico nel momento in cui indicò Zoe con un brusco cenno della testa.

-Trattienila.-

 

Saizo, celato allo sguardo di chiunque fuorché di suo fratello, sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene quando il suo udito fine colse l’ordine del Principe.

Lui e Kaze si trovavano alle spalle di Zoe, ma poté immaginare perfettamente l’espressione oltraggiata che doveva essersi disegnata sul viso della sua deshi: la osservò irrigidirsi, poté quasi vederla aprire la bocca per ribattere – ma poi il suo amico, Hinata, la strattonò indietro, allontanandola dal Principe, e il suo urlo esasperato risuonò in tutto il corridoio.

Maledizione.

-Lasciami!-

Il ragazzo le mormorò qualcosa nel tentativo di calmarla – idiota, in quel modo non sarebbe mai stato in grado di fermarla –, ma le sue parole furono coperte dallo strillo della ragazza di Nohr.

Saizo digrignò i denti e Kaze, al suo fianco, fremette, ma entrambi rimasero immobili quando il Principe Takumi si avvicinò ad Ileana, tendendo una mano per afferrarle un braccio ed imprecando quando lei si divincolò, terrorizzata, balzando indietro e tentando di sfuggire alla sua presa.

-Non puoi lasciarglielo fare!-

L’attenzione del Maestro Ninja fu attirata di nuovo da Zoe: stava cercando di liberarsi dalla presa del suo amico tentando di non fargli del male, cercando disperatamente di costringerlo a lasciarla andare, ma Hinata le teneva le braccia strette contro ai fianchi e lei non riusciva a fare altro che scalciare.

-Lo sai che non ho scelta.- sembrò volersi scusare, quel ragazzo, e in un altro momento Saizo avrebbe persino apprezzato la lealtà che dimostrava nei confronti del suo signore; ma, in quell’istante, colse il silenzio di Zoe farsi tagliente in un battito di ciglia, e comprese immediatamente l’errore madornale dell’ingenuo Maestro d’Armi.

Saizo aveva addestrato Zoe per tutta la vita: conosceva la sua deshi meglio di chiunque altro, probabilmente, ed era perfettamente conscio di quello che sarebbe successo di lì a poco.

Zoe non si sarebbe lasciata fermare.

-Nemmeno io.-

A quelle parole – attese, fatidiche, inevitabili – Saizo alzò una mano, e poi tutto accadde troppo velocemente per essere visto.

Kaze si lanciò in avanti nel momento stesso in cui Zoe si liberò violentemente dalla stretta di Hinata e balzò indietro, frapponendosi fra i due appena prima che uno dei due potesse aggredire l’altro; Saizo, invece, li superò, materializzandosi davanti al Principe Takumi così bruscamente che lui sussultò e lasciò andare la nohriana che, con uno squittio, si raggomitolò contro la parete.

-Basta.-

Fu sufficiente quella parola, tagliente quanto i suoi shuriken, a ridurre tutti al silenzio.

Il Principe assottigliò lo sguardo, chiaramente irritato dall’intromissione dei ninja, incrociando le braccia e scoccando una rapida occhiata in direzione di Zoe ed Hinata – che, fortunatamente, non parevano avere intenzione di continuare ad azzuffarsi – prima di riportare la sua attenzione su Saizo.

-Cosa stai facendo?- abbaiò, piccato.

Saizo aveva scorto ben più di una volta sul suo volto quell’espressione irritata e orgogliosa: Takumi aveva spesso peccato di arroganza e, anche in quel momento, la sua indole stava chiaramente prendendo il sopravvento sul suo buonsenso… anche se, stavolta, sembrava aver pagato un pegno di sangue per la sua reazione eccessiva: due lunghi, profondi graffi rigavano la sua guancia, inequivocabile traccia di come Ileana avesse tentato di liberarsi di lui.

Saizo digrignò i denti, irritato: non era la prima ferita che quella ragazza aveva inferto al Principe e, di nuovo, né lui né suo fratello erano stati in grado di evitarlo.

-Ponendo fine a tutto questo.- rispose, seccamente, avvertendo anche senza vederlo lo sguardo confuso e implorante di Zoe affondargli fra le scapole – stupida ragazzina, adesso cercava il suo aiuto per risolvere il disastro che aveva causato?

-Me ne stavo già occupando io.- Takumi scosse la testa, facendo un passo avanti per tentare di superarlo e avvicinarsi nuovamente alla nohriana; la ragazza, però, gemette, e Saizo poté quasi immaginarla ritrarsi ancor di più.

L’espressione allarmata di Kaze si aggiunse a quella disperata di Zoe, e lui dovette resistere alla tentazione di alzare gli occhi verso gli alti soffitti in legno del corridoio: perché, perché finiva sempre in quel modo?

Se soltanto gli avessero dato retta prima…

Con uno sbuffo, celato dalla sua onnipresente maschera, Saizo allungò un braccio per trattenere il ragazzo.

-Me ne occuperò io da qui in avanti, principe Takumi.- affermò, quando lui si voltò per fronteggiare quella che poteva perfettamente essere ritenuta una grave mancanza di rispetto. -Potete andare, adesso.- aggiunse, cercando di parlare con una pazienza che non aveva mai posseduto, inclinando la testa verso il corridoio vuoto e sperando che Takumi comprendesse il suo gesto.

La diffidenza del Principe non era così sbagliata, checché ne pensassero Zoe e Kaze: non sarebbe stato saggio permettere alla ragazzina nohriana, anche se apparentemente innocua e ancora chiaramente instabile nonostante Suzanoh fosse ormai un lontano ricordo, di prendersi quelle libertà che quei due sembravano così ansiosi di concederle.

Nessuno che provenisse da Nohr poteva meritarsi la fiducia della famiglia reale così facilmente e, questo, a Saizo era stato chiaro fin da quando Reina era atterrata a Shirasagi, giorni prima: aveva immaginato che si sarebbero presentati quei problemi, ma… nessuno, nemmeno lord Ryoma, era stato in grado di prevedere l’aggressività di suo fratello – l’odio che aveva oscurato il suo giudizio, che lo aveva spinto sull’orlo di un eccesso che avrebbe presto portato più problemi che soluzioni.

Takumi lanciò uno sguardo nauseato oltre il braccio ancora teso del ninja.

-Non le è permesso entrare in biblioteca. Non lo permetterò.- ringhiò, e Saizo, ansioso di chiudere quella questione una volta per tutte, annuì.

-D’accordo. Adesso__-

-Non puoi farlo!-

Esasperato, spostò l’attenzione del suo unico occhio sano su Zoe: la sua turbolenta, irrispettosa e testarda deshi si era avvicinata a loro, i pugni stretti e lo sguardo pieno di rabbia, tentando inutilmente di scrollarsi dalla spalla la stretta con cui Kaze stava cercando di impedirle di mettersi in guai ancora più grossi di quelli in cui fosse già finita.

-Zoe.- sibilò, e lei – una volta tanto – si ritrasse, intimorita, accorgendosi finalmente di quanto il suo maestro fosse arrabbiato e abbassando le orecchie come per proteggerle dal tono tagliente della sua voce.

-Ti è proibito portare la Principessa nohriana in biblioteca o ai campi di addestramento, o di darle qualunque tipo di tomo o arma.- decretò, ignorando l’espressione sconvolta che si disegnò sul suo viso e quella irritata che, invece, adombrò i lineamenti di Kaze. -Questo è un ordine, dato con l’autorità dell’Alto Principe.- aggiunse, sperando che l’ascendente che lord Ryoma aveva su Zoe potesse essere sufficiente per domarla.

Speranza vana.

-Saizo, non__- cominciò, una nota di disperazione nella voce e gli occhi che correvano, pieni d’angoscia, alla nohriana; ma il Maestro Ninja non si lasciò intenerire, rivolgendo un cenno a Kaze perché la allontanasse da lui e da Takumi.

-Deshi.- la avvertì, perentorio; e lei, finalmente, chinò la testa, le spalle che crollavano sotto il peso dell’autorità del suo maestro, strattonando stancamente il braccio per liberarsi da Kaze e scambiando un’occhiata dispiaciuta con Hinata.

Senza muoversi, sapendo bene quanto lasciare che il Principe si avvicinasse nuovamente ad Ileana fosse una pessima idea, Saizo si rivolse proprio al Maestro d’Armi che, in risposta al suo sguardo severo, s’irrigidì all’istante.

-Hinata, accompagna il tuo signore nello studio di Lord Ryoma. Vorrà di certo sapere che cosa è successo.- ordinò, e il ragazzo, annuendo frettolosamente, si avvicinò subito al suo Principe.

-Andiamo, lord Takumi.- mormorò, e Saizo finse di non cogliere la mano della guardia reale che si strinse sul gomito del Principe, preferendo soprassedere a quel gesto irrispettoso purché quei due si allontanassero in fretta.

-Non__- provò a ribattere Takumi, furioso, ma Hinata scosse la testa.

-Lord Takumi.- ripeté, gli occhi che dardeggiavano in direzione di Zoe e poi nuovamente sul Principe, una nota esasperata nella voce; e Takumi, forse cogliendo il significato celato dietro quegli sguardi che Saizo non aveva né il tempo né il desiderio di decifrare, sospirò, scuotendo la testa e arrendendosi alla spinta della sua guardia.

-…e va bene. Andiamo.- mugugnò, lasciando che Hinata lo conducesse con fin troppo zelo lungo il corridoio – e Saizo non mancò di cogliere l’occhiata piena di risentimento che il principe lanciò a Zoe, né il fremito che scosse lei in risposta sebbene si stesse ostinatamente rifiutando di rivolgergli la sua attenzione.

Soltanto quando i due ragazzi, infine, furono inghiottiti dal dedalo di corridoi, Saizo si rivolse verso di lei, un aspro rimprovero già sulle labbra – ma di Zoe, più svelta di quanto si fosse aspettato, vide soltanto uno scorcio dell’arruffata zazzera bionda: la Samurai, ignorando tanto lui quanto Kaze, lo aveva già superato, per avvicinarsi cautamente alla nohriana.

-…milady?- chiamò, gentilmente, inginocchiandosi a poca distanza dalla maga, le braccia aperte e i palmi rivolti verso l’alto; quella, però, rabbrividì, gli occhi atterriti che facevano capolino da sotto gli spettinati capelli biondi e che balzarono ansiosamente da Zoe a Saizo a Kaze e poi di nuovo su Zoe, allargandosi all’improvviso quando si accorse di quanto fosse vicina.

-STAI LONTANO DA ME!- strillò, ritraendosi di scatto, strisciando lungo la parete per allontanarsi da Zoe che, nonostante quella reazione violenta, rimase dov’era, appiattendo nuovamente le orecchie contro il cranio per proteggerle da quel suono acuto.

-Okay. Come volete. Nessuno vi toccherà.- mormorò, dolcemente, ma Saizo sbuffò.

-Non funzionerà, deshi.- sbottò, incrociando le braccia quando Zoe non diede nemmeno segno di averlo sentito – impudente, arrogante e maleducata, dove diamine aveva sbagliato con lei!? -Falla addormentare. Kaze la riporterà nella sua stanza e tu verrai con me.- ordinò, aspramente, ma lei rimase ostinatamente rivolta verso Ileana e scosse la testa.

-Non lo farò.-

Saizo represse un grugnito, scoccando un’occhiataccia a Kaze quando colse l’accenno di un sorriso illuminargli gli occhi.

-Non lo farei mai, okay? Possiamo stare qui quanto volete.-

Zoe era abituata ad ammansire le creature spaventate, rifletté, riportando la sua attenzione sulle due ragazze e notando, suo malgrado, che la gentilezza della sua allieva pareva aver sortito una sorta di effetto calmante sulla nohriana sconvolta: Ileana aveva smesso di tremare, e la stretta spasmodica con cui aveva serrato le mani sulle ginocchia si era appena allentata.

-Non vi farò del male.- continuò, Zoe, la voce una cantilena serena e tranquillizzante, muovendosi piano per sedersi a gambe incrociate dinanzi a lei.

Nonostante l’addestramento rigoroso a cui era stato sottoposto sin da bambino, Saizo si scoprì impaziente ed irritato da quell’attesa futile e snervante: se solo Zoe gli avesse dato ascolto, invece di intestardirsi a voler calmare quella ragazza – che poi, che motivo aveva per essere tanto agitata? Non erano forse temprati dalla crudeltà della loro terra e dei loro compatrioti, i nohriani?

-Deshi.- sibilò, ottenendo però soltanto il raddrizzarsi delle sue orecchie come risposta e l’ennesimo brivido da parte di Ileana.

-Del male? No… per favore…- la sentì mugolare, e Zoe si girò di scatto per rivolgergli una smorfia.

-Puoi stare zitto per un minuto? Per favore?- frecciò, roteando gli occhi quando Saizo sbuffò e tornando a rivolgersi alla maga. -Ileana? Puoi guardarmi? Solo per un attimo?- domandò, piano, inclinando la testa di lato quando, dopo un istante, gli occhi vacui e pieni di terrore di Ileana fecero capolino.

-Eccoti qui.- mormorò Zoe, e Saizo poté quasi scorgere il sorriso gentile e sollevato che riscaldò la sua voce. -Non vi farò del male. Ve l’ho già detto, non vi farei mai del male.- ripeté, con quella delicatezza che Saizo non le aveva mai insegnato ma che lei possedeva d’istinto, che era sempre stata allo stesso tempo la sua debolezza e la sua più grande forza.

-Voglio solo portarvi in un posto sicuro dove nessuno potrà farvi del male. Kaze potrebbe rimanere con noi, se volete. Saremo solo noi tre, lo prometto.-

-Non… non mi farai del male?-

-No. Non lo farò.-

No, Zoe non le avrebbe fatto del male, la sua deshi era troppo buona per fare del male a quella che sicuramente vedeva come una ragazzina spaurita, sola e fragile: aveva sempre avuto un debole per le persone bisognose di aiuto, dopotutto…

-Lo prometti?-

Saizo assottigliò la palpebra dell’unico occhio rimastogli, irritato: la ragazza di Nohr non aveva alcun diritto di chiedere qualcosa del genere – di chiedere protezione a quella sciocca Samurai che, infatti, annuì, le orecchie appuntite ben dritte fra i capelli biondi.

Quell’altruismo appassionato, ben presto, li avrebbe maledetti tutti.

Zoe rimase in silenzio ed immobile, aspettando pazientemente che Ileana sciogliesse la stretta in cui si era raggomitolata: soltanto quando la nohriana alzò lo sguardo, passandosi le dita fra i capelli e guardandosi intorno con un’espressione ancora un po’ confusa, parlò di nuovo, attirando nuovamente la sua attenzione.

-Ce la fate ad alzarvi? O volete aspettare un altro po’?- chiese, ma l’altra scosse la testa.

-Voglio andarmene da qui.-

Quelle erano le parole più sensate che Saizo avesse sentito da quando era iniziata quella giornata.

-Comprensibile, direi.- mormorò Kaze, accanto a lui – e Saizo lo avrebbe tanto preso volentieri a pugni, adesso, perché davvero quello non era il momento adatto per un commento del genere… ma no, Kaze doveva assolutamente sottolineare quanto contrario fosse alle decisioni di suo fratello, ovviamente!

Il sarcasmo del suo gemello parve riflettersi sul viso contratto di Zoe quando lei si volse, scoccandogli un’occhiataccia.

-Credi che i giardini vadano bene? Mi è permesso portarla lì?- domandò, e tutto il veleno che Saizo l’aveva sentita usare con Takumi tornò prepotentemente a venare la sua voce, la gentilezza che aveva riservato per Ileana già scomparsa.

Oh, le avrebbe impartito una punizione così massacrante, questa volta, che non sarebbe riuscita a sollevare nemmeno le bacchette per almeno una settimana.

Il Maestro Ninja annuì, distogliendo lo sguardo e concedendosi la debolezza di immaginare un mondo in cui la sua apprendista non avrebbe mai osato rivolgergli quel tono supponente e il suo unico parente in vita avesse deciso ogni tanto di sostenerlo.

-Ti apriremo la strada.- si limitò ad informarla e, con un brusco cenno della testa, ignorando lo sguardo un po’ gongolante che sapeva di poter trovare negli occhi di suo fratello, gli ordinò di precederlo – non aveva la minima intenzione di sopportare i suoi “te l’avevo detto”, in quel momento…

Per fortuna, una volta tanto, Kaze parve capire la sua irritazione e in un battito di ciglia scomparve fra le ombre, invisibile per tutti tranne che per Saizo e per Zoe, che lo seguirono con lo sguardo fino a che non sparì al di là delle stesse porte che avevano varcato Takumi e Hinata.

Saizo lo imitò un istante più tardi, celandosi nell’invisibilità tipica degli shinobi e permettendosi un breve sospiro di sollievo non appena lo sguardo confuso di Ileana e quello tagliente di Zoe lo abbandonarono: ne aveva avuto abbastanza, per quel giorno, e nell’essere celato ai più, distante da quel mondo caotico che non gli era mai appartenuto, trovò finalmente un attimo di sollievo.

Si allontanò dalle due ragazze, scivolando negli angoli più celati del castello di Shirasagi per assicurarsi che nessuno, sul percorso che portava ai giardini, avrebbe intralciato la strada di Zoe ed Ileana; per fortuna, a parte un paio di cameriere che imboccarono un corridoio laterale, quella parte del castello si rivelò sicura, e lui fu ben contento di tornare sui propri passi e lasciare a Kaze il compito di assicurarsi che anche i giardini fossero sicuri.

Non gli piaceva l’idea di lasciare la nohriana con Zoe: per quanto si fosse dimostrata pressoché innocua, fino a quel momento, sarebbe stato fin troppo facile prendersi gioco del buon cuore e dell’ingenuità della sua deshi, e niente e nessuno gli assicurava che la fragilità che Ileana ostentava non fosse soltanto una parte meravigliosamente recitata.

Ben presto Zoe avrebbe avuto altro a cui pensare che il destino della ragazza cresciuta dai nohriani, e lasciare che si avvicinassero troppo sarebbe stato un azzardo che Saizo non era affatto certo di voler tentare: far accettare agli hoshijin e agli aristocratici la vera identità della principessa sarebbe stato già abbastanza arduo senza una Maga di Nohr accanto a rendere ancora più dubbia la sua figura… e, di certo, prima di permettere a Ileana anche soltanto di avvicinare Zoe, sarebbe stato necessario educarla ai costumi di Hoshido e ai doveri della guardia reale che era destinata a diventare.

No, si ripeté, doveva darci un taglio appena possibile: ogni giorno che avrebbero passato l’una accanto all’altra non avrebbe fatto che peggiorare la situazione.

Eccole, all’imbocco dell’ennesimo corridoio vuoto: si erano finalmente alzate in piedi, e Ileana si stava ripulendo i vestiti da una polvere inesistente, lo sguardo basso e l’espressione sempre assente, lontana. Zoe, invece, mosse appena le orecchie ed emise un sospiro quasi impercettibile, scuotendo appena la testa per segnalare al suo maestro di essersi accorta del suo ritorno.

-Possiamo andare, adesso, se volete. La strada è libera.- annunciò, infatti, all’altra, spostandosi di lato per invitare Ileana a precederla. Lei, mantenendosi a poca distanza dalla parete e tenendo d’occhio la Samurai – come se non si arrischiasse a fidarsi abbastanza da darle le spalle – si avviò, camminando a piccoli passi e lanciando continue occhiate intorno a sé, guardinga.

-È lontano?- mormorò, mentre Zoe si affiancava a lei e Saizo, invisibile, le seguiva.

-No.- Zoe distolse lo sguardo, e il ninja scorse una strana espressione – angosciata, forse? – oscurare il suo viso. -Mi nascondevo lì da ragazzina quando volevo scappare dai miei insegnanti.- spiegò e, per qualche motivo a lui incomprensibile, si sfregò gli occhi, nascondendo quel lampo di tristezza ad Ileana dietro un profondo respiro e una maschera di indifferenza. -Nessuno ci disturberà.-

L’altra si limitò ad annuire, stringendosi le braccia intorno alle spalle e senza dire più nulla; tacquero entrambe, ognuna chiaramente immersa nei propri pensieri, accompagnate dall’ombra invisibile del Maestro Ninja attraverso i corridoi di Shirasagi immersi nell’opalescente candore di quel Sole freddo.

Kaze, accanto alle porte d’ingresso del vasto parco del castello, le stava aspettando.

Saizo gli rivolse un breve cenno a cui il fratello rispose annuendo impercettibilmente, senza nemmeno guardarlo; con un passo in avanti e un sorriso lieve sulle labbra prese il suo posto nel sorvegliarle, permettendo a Saizo di precederli tutti e tre mentre lui avrebbe accompagnato le due ragazze in piena vista, contro ogni riguardo per la segretezza dei ninja – e tutto per mettere a proprio agio quella ragazzina nervosa.

Zoe, però, aveva avuto una buona idea: nessuno, in quella stagione, passava il tempo in giardino, ed il nascondiglio a cui si era riferita – Saizo aveva sempre saputo dove si trovava, ma le aveva permesso di credere di averlo ingannato – era effettivamente un angolo nascosto, celato agli sguardi da una vegetazione folta in qualunque periodo dell’anno.

Sì, lì Ileana non avrebbe potuto causare altri guai, e lui avrebbe potuto sottrarre alla sua pericolosa presenza la sua fin troppo influenzabile deshi.

Resistette all’impulso di sfilarsi la maschera e passarsi una mano sul volto, provato da quella mattinata come raramente era successo in precedenza: fare da balia alla falsa principessa si stava rivelando più arduo e spossante di quanto avesse preventivato…

-Eccoci qua.-

Il fruscio dei passi di Kaze, Zoe ed Ileana attirò la sua attenzione, ma Saizo non si mosse, preferendo rimanere celato ai loro occhi: attese, indistinguibile dalle piante fra cui si era mimetizzato, fino a che non si furono sistemati, Ileana accoccolata fra due grossi arbusti di camelie rosate e i suoi guardiani a poca distanza da lei.

Silenzio.

Dopo le urla di Takumi e di Zoe, dopo gli strilli di Ileana, finalmente su tutti loro calò un silenzio misericordioso, spezzato soltanto dal debole fruscio del venticello freddo che spirava fra i fiori dorati dei calicanti e portava con sé il profumo dei nespoli.

Saizo osservò Zoe rilassarsi, scambiare qualche parola con Kaze, la tensione delle spalle che si scioglieva un poco: aveva ancora le orecchie rosse e seminascoste fra i capelli e la mascella contratta, ma non sembrava più sul punto di mettersi ad urlare.

Ileana, invece, sembrava aver perso l’uso della parola: continuava a guardarsi intorno, meravigliata, gli occhi cisposi e stanchi che saltavano da un fiore ad un altro, le labbra schiuse in una “o” quasi perfetta e le guance pallide che sembravano aver ripreso un po’ di colore.

Se fosse stata una qualunque altra persona – se non fosse stata di Nohr, Saizo avrebbe persino potuto pensare che, in effetti, forse la sua apprendista e suo fratello non avevano proprio tutti i torti a considerarla innocua: non sembrava niente di più che una ragazzina spaesata, confusa e con gli occhi cerchiati da profonde occhiaie violacee.

-Non pensavo…- mormorò, allungando timidamente una mano per sfiorare le camelie e portandosi poi le dita al viso, inspirando l’odore che doveva esserle rimasto sulla pelle ad occhi socchiusi. -Quindi questo è un giardino…- sussurrò, e Saizo poté persino comprendere quanto il rigoglioso parco di Shirasagi, con le sue piante in fiore tutto l’anno, potesse sembrare incredibile agli occhi di una persona cresciuta in quel regno freddo e scuro che era Nohr.

Era chiaro, ormai, quanto Ileana non ricordasse nulla della bambina che era stata sotto il Sole di Hoshido.

-Così tanti fiori…-

Saizo aggrottò le sopracciglia, irritato, quando Zoe si avvicinò ad Ileana, sfilandosi l’haori e drappeggiandolo con gentilezza intorno alle sue spalle senza che lei, distratta dalla vegetazione e da una sonnolenza improvvisa che le aveva fatto ciondolare la testa sulla spalla e abbassare le palpebre, protestasse; un lieve sorriso si disegnò sulle labbra della Samurai, ed il suo maestro notò la sua mano alzarsi e poi riabbassarsi di scatto, una carezza gentile trattenuta a stento fra le dita.

-Deshi.- chiamò, uscendo dal suo nascondiglio non appena Ileana si fu addormentata completamente, e Zoe scattò in piedi. -Andiamo.-

-D’accordo.- mugugnò lei, controvoglia, scambiando un’occhiata tormentata con Kaze; lui annuì, stringendole brevemente una spalla quando gli passò accanto in un rapido gesto di conforto, ottenendo in risposta un breve sorriso che svanì nel momento stesso in cui Saizo la condusse lontano da quell’alcova lussureggiante in direzione dei campi di addestramento.

Gli immensi spazi dedicati ai soldati di stanza al castello erano deserti: quasi nessuno, a quell’ora tarda del mattino e in quella stagione, si allenava, preferendo le ore meno gelide del primo pomeriggio o le vaste sale interne dei dojo della capitale, ma lui aveva sempre preferito addestrare Zoe lì, ignorando pioggia, freddo e grandine pur di trasmetterle quello spirito di abnegazione che lei aveva forse preso anche troppo seriamente.

Tuttavia, era un posto familiare ad entrambi, ed il Maestro Ninja scorse i pugni stretti della Samurai allentarsi impercettibilmente: le aveva insegnato a trovare pace nel combattimento, a ricercare nello sforzo fisico e nella lotta quella valvola di sfogo per il suo carattere irrequieto – e soltanto la sua lunga esperienza gli permise di evitare per un soffio la lama appuntita che sfiorò la sua maschera.

Balzò indietro e sguainò i suoi shuriken, ma Zoe lo aggredì di nuovo e lui non poté far altro che parare, l’acciaio affilato che strideva lungo gli tsuba dei sai che parevano essersi materializzati dal nulla fra le mani della Samurai.

Un ringhio soffocato ruppe il silenzio che era calato su entrambi: Zoe si rigirò i lunghi pugnali fra le dita e poi sparì in uno sbuffo di sabbia, ma Saizo si volse appena in tempo per evitare un affondo dal nulla e afferrarle l’avambraccio, torcendolo e costringendola a girare su se stessa per impedire che glielo spezzasse.

Quel vantaggio, però, durò soltanto un istante: Zoe gli tirò una gomitata dritta fra le costole e gli strappò un grugnito, approfittando della sua irritazione per rivoltarsi e scivolare via dalla sua presa, roteando i pugnali e tentando un affondo che Saizo fermò all’ultimo, le lame incrociate ad un soffio dai volti di entrambi.

C’era rabbia, nello sguardo della sua deshi, una rabbia che pareva ribollire come un vulcano pronto ad eruttare – una rabbia che probabilmente covava da giorni, sin da Suzanoh, che Zoe aveva lottato per trattenere fino all’ultimo.

L’ennesimo scontro con Takumi aveva di certo messo a nudo la furia silenziosa che Saizo aveva già notato, che l’aveva spinta a rinchiudersi in un silenzio pacato che così poco si addiceva al suo carattere solare…

Balzarono entrambi indietro, ma quella pausa durò soltanto il tempo di battere le ciglia: con un ruggito esasperato Zoe lo incalzò di nuovo, e Saizo si ritrovò in difficoltà dinanzi a quell’aggressione piena d’ira, evitando i vibranti tsuba d’acciaio ancora una volta.

Quella situazione sarebbe ben presto diventata insostenibile.

L’aggressività del Principe Takumi avrebbe presto causato dei problemi troppo scomodi perché i ninja potessero contenerli. Saizo poteva capirlo, condivideva la sua diffidenza nei confronti di Ileana, ma un altro scontro fra lui e Zoe – e sarebbe stato inevitabile, considerata la reazione della sua deshi – avrebbe portato a conseguenze tali da frantumare del tutto la fragile rete di segreti che l’arrivo di Ileana aveva irrimediabilmente compromesso.

Se soltanto la nohriana si fosse comportata bene e avesse smesso di reagire in quel modo assurdo – se soltanto Zoe non si fosse ersa a sua difesa come la testarda sciocca che era…

Lo sbuffo della sua deshi, il gesto con cui si scostò la lunga frangia dagli occhi, furono l’apertura che Saizo stava aspettando: svanì in un istante e la aggredì alle spalle prima che Zoe potesse individuarlo di nuovo, afferrandole il braccio destro e torcendole il polso, il sai che le cadeva dalle dita – ma comprese troppo tardi di essere caduto nella sua trappola.

Zoe roteò su se stessa e lui riuscì appena in tempo a puntarle le lame della sua armatura alla gola, costringendola ad immobilizzarsi un attimo prima che potesse fare qualunque altra cosa che puntargli il sai rimasto ad un soffio di distanza dalle vulnerabili arterie della coscia.

Impasse.

Rimasero immobili, e Saizo si sorprese di sentire l’aria bruciargli i polmoni ad ogni respiro.

Odiava ammetterlo, ma Zoe era diventata più veloce di lui già da molto tempo, e lottare con lei si era rivelato sempre più arduo ad ogni scontro – persino quando non impugnava la sua arma prediletta.

Ufficialmente, infatti, a Zoe era proibito portare armi all’interno del castello, a meno che non stesse sostituendo Saizo e Kagero nei loro compiti di guardie reali, ma il saperla disarmata aveva sempre destato una certa preoccupazione nel suo maestro: le aveva insegnato a difendersi anche a mani nude, sì, ma la sicurezza non era mai troppa – soprattutto per una principessa, anche se ignara di esserlo.

Per quel motivo, da anni, Zoe celava quei lunghi sai affilati nelle pieghe dei vestiti: Zoe era veloce, era forte, e saperla in possesso di quelle armi aveva permesso a Saizo di dormire sonni un po’ più tranquilli… anche se mai avrebbe potuto immaginare di ritrovarne una così vicina ai suoi organi vitali.

Un calore sospetto parve irradiarsi da qualche parte nel suo petto, quando colse il baluginio soddisfatto nelle pupille verticali della sua apprendista nel riflesso della lama dello shuriken che impugnava.

Era riuscita a coglierlo di sorpresa.

-Meglio?- grugnì.

Aveva previsto il bisogno della ragazza di sfogarsi, di liberare almeno un poco di quella frustrazione che aveva accumulato attraverso uno scontro: non era stata di certo la prima occasione in cui le aveva permesso di battersi con lui per ritrovare un po’ di pace, e lui ne aveva sempre approfittato per studiare i progressi del suo addestramento.

Zoe annuì, accennando una smorfia che forse voleva essere l’inizio di un sorriso; allora, soltanto allora, si mosse, allontanandosi con un gesto elegante dal suo maestro e rinfoderando con l’abilità di un maestro.

Saizo la imitò, gli shuriken che sparivano dalle sue mani come se non fossero mai esistiti, lanciando intanto un’occhiata intorno a sé per assicurarsi di essere ancora solo con lei; una volta accertatosene, si sfilò finalmente la maschera, sfregandosi le guance ispide di barba rossiccia.

-Sto considerando l’ipotesi di impedirti di avvicinarti a quella ragazza, deshi.- sbuffò, strappandole un grugnito di disapprovazione. -Non puoi affrontare un Principe in quel modo e aspettarti dei complimenti.- aggiunse, ma Zoe serrò le labbra sbuffò a sua volta, una bruma d’irritazione raggrumata sul fondo del suo sguardo carmino. -Ileana non è una tua responsabilità. Non le devi niente.-

-Mi sono messa in mezzo fra lei e Takumi perché quello che Sua Maestà stava per fare era sbagliato!- strillò, sussultando quando si accorse del tono isterico che la sua voce aveva assunto; prese fiato, dondolandosi sui piedi e sostenendo il suo sguardo con quella granitica testardaggine in cui Saizo, purtroppo, scorse il vivido riflesso di se stesso.

-Non è questione di responsabilità, è questione di fare la cosa giusta.-

Fare la cosa giusta, diceva.

Saizo aveva fatto la cosa giusta, tanti anni prima, proteggendo la sua principessa dalle mire crudeli di un assassino.

Per lui, fare la cosa giusta significava porre il bene superiore al di sopra di qualunque sacrificio comportasse: era il suo dovere, come guardia reale del futuro Re e come protettore del regno di Hoshido.

-Avresti dovuto evitare comunque lo scontro.- la rimbeccò. -Avresti dovuto obbedirgli senza discutere.-

Zoe però si permise un versaccio denso di sarcasmo, il mento alto e le spalle ben dritte. -Ryoma non avrebbe voluto.- ribatté, fiera e stupida come sempre.

Per Zoe, fare la cosa giusta significava sacrificare se stessa per la felicità e la sicurezza del suo prossimo. Era una Samurai, in tutto e per tutto, e viveva ogni respiro secondo le regole del Bushido sin da quando Lord Ryoma aveva cominciato ad istruirla – sin da quel disastro di tanti anni prima, quando Saizo aveva deciso di portarla con sé durante una missione a Nohr.

La sua attenzione, inevitabilmente, venne attirata dalla vecchia cicatrice che Zoe portava con fierezza, proprio sotto l’occhio sinistro – la prova indelebile del loro fallimento, del suo fallimento.

Ancora lo perseguitava, quel ricordo: il viso della bambina che era stata ricoperto di sangue, il pugnale di un assassino che le tagliava la carne, le sue urla strozzate ed i singhiozzi che l’avevano scossa…

L’unico risultato positivo era stato vedere Zoe rinunciare a seguire le orme del suo maestro, e lui non ne sarebbe mai stato abbastanza grato: eppure, quella scelta aveva decretato un cambiamento, in lei, e l’unico luogo in cui quella bambinetta remissiva e nervosa che mai avrebe osato mancare di rispetto al suo maestro esisteva ancora era la sua memoria.

Zoe era cresciuta, ormai, stava ancora crescendo: quelle reazioni non erano soltanto che il segnale di quanto, ormai, l’essere un’apprendista non fosse più abbastanza per lei.

Era fiero di lei. In ogni modo possibile, era fiero di lei… ma lui doveva fare la cosa giusta, e Zoe era un ostacolo sulla sua strada.

-Non puoi contare troppo sulla protezione di lord Ryoma. O sulla mia.- la avvertì, indossando nuovamente la maschera, provando un immediato sollievo nel sentirne la forma familiare aderire alla pelle. -Andiamo, adesso.-

Doveva fare ciò che era necessario fare, anche se fosse stato necessario usarla per i suoi scopi: lo avrebbe di certo odiato, se se ne fosse resa conto – ma, se anche fosse stato, Saizo lo avrebbe accettato, perché proteggere il suo regno, il suo principe e lei – quella stupida, stupida deshi che non lo ascoltava mai – era più importante dei suoi sentimenti feriti.

-Sì, maestro.- ribatté, velenosa, ma lui ignorò quell’ennesimo affronto e Zoe, esasperata, si rassegnò a seguirlo, sfregandosi le braccia coperte soltanto dalla casacca quando una corrente d’aria fredda la sfiorò – giusta punizione per essersi privata del proprio haori per darlo ad Ileana.

Saizo, sbuffando, si sfilò la sciarpa, tendendogliela con un gesto brusco che, tuttavia, le illuminò il volto come se le avesse appena donato il Sole stesso.

-Cerca di far collaborare la ragazza.- sibilò, aspro, mentre lei si drappeggiava la sciarpa del suo maestro intorno alle spalle, le orecchie che fremevano di contentezza. -Scenate come quella di questa mattina non devono più ripetersi.-

Zoe, soltanto gli occhi visibili da dietro lo strato di stoffa, inarcò un sopracciglio.

-Oh, sarà facile, con due tizi inquietanti ad infestare ogni angolo buio.-

 

§

 

Ryoma si riempì il petto in un respiro profondo, un lieve sorriso che premeva all’angolo delle sue labbra.

Anche se non avesse conosciuto ogni angolo del castello di Shirasagi come il palmo della sua mano, sarebbe stato in grado di trovare la strada che portava ai suoi appartamenti soltanto inseguendo il profumo dei suoi incensi, che accompagnava l’Onmyoji ovunque andasse e che sembrava voler condurre ogni passante a quella porta sempre aperta.

Era un profumo familiare e che riuscì, malgrado tutti i pensieri che gravavano sulle sue spalle, a trasmettergli quel vago senso di pace che aveva sempre associato alla compagnia di Zoe.

Dalla soglia spalancata del salotto provenivano diverse voci e, sopra le altre, Ryoma distinse immediatamente la risata squillante dell’incantatrice: si permise un breve sorriso, rinfrancato da quel trillo contagioso, coprendo gli ultimi metri che lo separavano dalla soglia illuminata in pochi passi.

-Disturbo?- domandò, affacciandosi cautamente nel cono di luce dorata che illuminava l’altrimenti buio corridoio: Orochi, accoccolata nell’alcova che aveva tanto insistito per far costruire dinanzi alle grandi vetrate che occupavano l’intera parete di fondo del salotto, alzò immediatamente lo sguardo verso di lui dalle erbe che stava lavorando in un mortaio di legno, il suo caratteristico sorriso malizioso che si accentuava sulle labbra colorate.

-Oh, micia, stasera ne arriva uno dopo l’altro.- commentò, divertita, rivolta verso il tavolino da tè a cui erano seduti Zoe e la guardia reale di Takumi, Hinata: il ragazzo balzò in piedi, passandosi rapidamente una mano fra i capelli sciolti, fissandolo con gli occhi sgranati e un’espressione allarmata che il Principe non riuscì a comprendere.

-L-Lord Ryoma!- balbettò, inchinandosi rapidamente, strappando uno sbuffo divertito tanto a Zoe, che nascose la sua ilarità dietro le dita di una mano premuta sulla bocca, quanto a Orochi, che non si diede nemmeno la pena di provare a celare il suo divertimento.

-Buonasera, Hinata.- Ryoma, incuriosito, osservò il ragazzo lanciare un’occhiata imbarazzata alla Samurai che, per qualche motivo, scosse lievemente la testa e si alzò a sua volta, rassettandosi gli abiti e spostando la sua attenzione sul Principe.

Ryoma adorava quegli occhi. Erano sempre stati così espressivi, un libro aperto in cui lui era sempre stato in grado di scorgere tutto ciò che Zoe sapeva di non poter dire, e non avrebbe mai smesso di meravigliarsi di quanto quelle iridi rosse fossero in grado di trasmettere così tanto.

Inclinò appena la testa, scorgendo un’ombra insolitamente greve in quello sguardo stanco.

-Speravo di poter parlare con te. In privato?- le domandò; ma, prima che Zoe potesse rispondere, Hinata li interruppe.

-M-Me ne vado immediatamente!- esclamò, e tanto lui quanto Zoe si voltarono appena in tempo per vederlo legarsi frettolosamente i capelli – era così abituato a passare il tempo libero con Zoe da sentirsi abbastanza a suo agio in casa sua da sciogliersi i capelli? – e raccogliere il suo haori e la sua spada.

-Grazie, Nata.- sussurrò lei, completamente ignara dello sguardo attento di Ryoma, allungando una mano per sfiorare il braccio dell’amico quando lui esitò prima di superarla.

-Ci… ci vediamo domani?- le domandò, guardandola con l’incertezza scritta su ogni tratto del volto; tuttavia lei sorrise, stringendo brevemente le dita sul suo polso prima di lasciarlo andare con una carezza accennata.

-Certo.- annuì, con una dolcezza tale nella voce che il Maestro d’Armi parve illuminarsi a sua volta.

-Grande!- esclamò, tentando un passo verso di lei e poi fermandosi all’improvviso, scoccando un’occhiata imbarazzata prima a Ryoma e poi ad Orochi. -Adesso devo proprio andare! Orochi, lord Ryoma!- salutò, rivolgendo loro un rispettoso cenno della testa prima di sparire al di là del cono di luce gettato dalla porta spalancata.

Il silenzio che seguì la sua fuga un po’ maldestra, però, fu di breve durata.

-Non ho mai visto nessuno così spaventato.- commentò, inarcando un sopracciglio, e Ryoma chinò la testa senza ribattere – nemmeno Saizo aveva l’ardire di contraddire Orochi, e lui aveva sempre confidato nella saggezza della sua guardia reale.

…ma lui non era davvero così terrificante, vero?

Chiaramente insoddisfatta dalla mancanza di una risposta, l’Onmyoji sventolò una mano e gettò indietro ai capelli, un luccichio preoccupante che lampeggiava al di là del velo ironico delle sue iridi violette.

-Allora? Non avete nulla da dire su quel povero ragazzo terrorizzato?-

-Mamma, per favore.- gemette Zoe, scuotendo la testa e rivolgendo un’occhiata di scuse a Ryoma; lui, però, sorrise, posando una mano sulla sua spalla e stringendola appena, ottenendo in risposta un fremito delle sue orecchie.

Orochi si avvicinò alla figlia, inclinando la testa per guardarli entrambi dal basso verso l’alto, assottigliando le palpebre in un’espressione che non prometteva nulla di buono.

-Oh, ma certo, sei sempre così protettiva con il nostro Principe, ma sono sicura che una battuta innocente non lo ucciderà.-

Zoe nascose il viso fra le mani, ma Ryoma non mancò di cogliere il repentino rossore che colorò le sue orecchie appuntite; era così facile farla arrossire, e lui stesso non poteva ammettere in tutta onestà di non averla punzecchiata a sua volta, ogni tanto, pur di scorgere i suoi occhi farsi lucidi e le sue guance imporporarsi.

-Mamma.- mugolò, voltandosi verso di lui e rivolgendogli un muto sguardo di scuse da sopra le dita intrecciate.

Orochi ridacchiò, allungando una mano per arruffarle la frangia e dandole un buffetto sul dorso della mano quando Zoe la scacciò e gonfiò le guance in una smorfia offesa.

Era così buffa, si ritrovò a pensare, soffermandosi per qualche istante più del necessario ad osservarla.

Il calore emanato da quel piccolo, forse insignificante quadretto familiare parve sollevare un poco il peso terribile che sentiva gravargli sul petto: trascorrere del tempo assieme a Zoe era un peccato a cui lui si era sempre arreso anche troppo volentieri – come sottrarre l’ultimo mitarashi dango a Sakura pur di averlo tutto per sé, pur di sentire quella delicatezza sciogliersi sulla lingua.

Zoe era sempre stata quel rifugio rassicurante che tante volte lo aveva accompagnato, luminoso quanto la fiammella di una candela, attraverso una notte di lavoro, quella boccata d’aria fresca in una vita che raramente permetteva di respirare del tutto.

Passare qualche ora assieme a lei, senza titoli o nomi o responsabilità pronte a schiacciarlo, era il dono che Zoe riservava per lui, che sapeva dell’incenso di Orochi e della dolcezza insita in quei battibecchi giocosi, nell’illusione che la vita potesse essere davvero così, spensierata e piena d’amore e risate.

Orochi si schiarì la voce, distraendolo appena in tempo per impedire a Zoe di notare il suo sguardo indugiare su di lei.

-Suppongo di dover prendere commiato dal mio stesso salotto, lord Ryoma?- domandò, nella voce una nota d’avvertimento che lui si ostinò ad ignorare.

-Sarebbe molto gentile da parte tua, mia cara.- annuì, ed Orochi schioccò la lingua, pizzicando la guancia della figlia adottiva.

-Oh, ma sarà un piacere!- trillò, allontanando le dita dal viso della ragazza prima che Zoe potesse morderla. -Ma mi raccomando, non stancatela troppo. Zoe deve alzarsi presto, domattina.- lo avvisò, sgusciando verso la porta della sua stanza e chiudendosela alle spalle appena in tempo per evitare il cuscino che suddetta figlia le aveva tirato addosso.

Zoe sbuffò, sfregandosi gli occhi e gonfiando le guance, scoccandogli un’occhiataccia.

-Oh, andiamo, lo so che vuoi ridere di me.- lo apostrofò, arricciando le labbra, e Ryoma dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non lasciarsi sfuggire nemmeno quel sorriso che premeva agli angoli delle sue labbra.

-Non lo farei mai.- negò, ma lei fece una smorfia.

-Bugiardo.- ribatté, attraversando l’intero salotto per raggiungere la seconda porta che si affacciava in quell’anticamera e che Ryoma sapeva essere l’entrata della sua camera privata. -Vieni, tanto sarà sicuramente dietro la porta ad origliare.- lo invitò con un cenno, e Ryoma non poté far altro che precederla prima che lei lo seguisse e si richiudesse la shoji di legno e carta di riso alle spalle.

L’ultima volta in cui era entrato in quella stanza era stato un paio d’anni prima, quando aveva voluto sincerarsi della sua salute dopo una brutta malattia che l’aveva costretta a letto per quasi mezza Luna: ricordava di essersi sorpreso, allora, di quanto fossero vivaci i colori con cui aveva dipinto le pareti e laccato i mobili, fino a che Kagero non gli aveva spiegato che Zoe faticava a distinguere le tinte troppo tenui e preferiva le note più cariche e luminose del rosso, del verde e del celeste; anche adesso, persino nella penombra di un’unica candela, notò quanto quella predilezione non fosse venuta a mancare, notando quanto sembrasse un altro mondo rispetto ai pastelli leggeri prediletti da Orochi.

Si sentì quasi un intruso, guardandosi attorno, suo malgrado curioso di cogliere qualcosa in più della vita di Zoe di cui lui non faceva parte: ogni superficie libera era ricoperta di libri e rotoli, ninnoli e scatolette di legno stracolme di conchiglie, pietre più o meno luccicanti, fermagli per capelli; Zoe amava tutto ciò che brillava, e rammentava chiaramente l’occasione in cui, da piccolina, si era appropriata del suo elmetto appena lucidato e non aveva voluto restituirlo per una settimana.

Sul futon, smontata, era posata la katana che Mikoto le aveva donato per il suo diciottesimo compleanno: chiaramente, prima di essere interrotta dall’arrivo del suo amico, Zoe si stava occupando di ripulirla e affilarla, a giudicare dalla mola e dall’olio appoggiati lì accanto; invece, sul tavolino stracolmo di appunti scarabocchiati e disegni mai finiti, erano abbandonati i sai che ufficialmente lei non avrebbe dovuto possedere, ma che Ryoma sapeva non abbandonare mai le pieghe del suo hakama.

Zoe sospirò, lasciandosi stancamente cadere sui cuscini dinanzi alla grande finestra e spostando lo sguardo su di lui, le orecchie basse e una strana pesantezza negli occhi.

-Allora? Quanto sono nei guai?- domandò, stancamente, e Ryoma avrebbe davvero voluto dirle, ancora una volta, che non ci sarebbero state ripercussioni per il suo comportamento: invece, con la stessa spossatezza che aveva scorto in lei, si sedette al suo fianco, chiudendo gli occhi per un istante e appoggiando la testa al vetro freddo.

-Soltanto un po’.- ammise, rammentando anche troppo bene le parole aspre e piene di rabbia con cui Takumi aveva apostrofato tanto lei quanto Ileana. -Takumi era molto… alterato, stamani.- aggiunse, cupo.

Fai in modo che Zoe stia al suo posto o dovrò farlo io una volta per tutte!

Fortunatamente, Zoe non si accorse della sua mascella serrata, né dei pensieri che lo tormentavano al di là della sua allenata espressione imperturbabile.

La voce di suo fratello, aspra e crudele, echeggiava ancora fra i suoi pensieri, agghiacciante e terribile proprio perché era conscio di quanto lui e Zoe fossero sempre stati legati – di quanto Takumi non avrebbe mai nemmeno osato pensare di trattarla in quel modo se fosse stato in sé.

Ma Takumi non era più in sé.

-Quindi?-

Ryoma sospirò, affatto sorpreso dal tono brusco e difensivo nella sua voce, notando ancora una volta quanto le sue espressioni corrucciate rammentassero le smorfie di Takumi – che cosa, per i Sette, aveva spezzato quel legame tanto stretto?

-Vuoi darmi la tua versione?- domandò, ma Zoe si strinse nelle spalle e scosse la testa, irritata.

-Non vedo perché. Saizo ti avrà già detto tutto.- mugugnò, distogliendo lo sguardo da lui per seguire il volo di un rapace notturno al di là delle vetrate.

Oh, sì, Saizo aveva speso più parole di quante Ryoma gliene avesse sentite pronunciare ultimamente: il Maestro Ninja, protettivo come sempre nei confronti della sua unica apprendista, aveva espresso il suo concerno nei confronti dell’atteggiamento del Secondo Principe, dell’attaccamento pericoloso che Zoe stava sviluppando per Ileana e di quanto sarebbe stato più saggio impedire qualunque contatto fra tutti e tre nel prossimo futuro.

-Mi ha detto che Takumi se l’è cercata.- si limitò a commentare, strappandole uno sbuffo sarcastico e uno sguardo incredulo. -Sto parafrasando.- aggiunse.

Zoe sbuffò, affondando drammaticamente il viso fra le mani.

-La tua guardia è davvero una chioccia.-

A quelle parole Ryoma non riuscì più a trattenersi: scoppiò a ridere, scuotendo la testa, non riuscendo proprio ad impedirsi di immaginare la reazione oltraggiata che avrebbe avuto Saizo nell’udire quelle parole.

Zoe lo osservò, in silenzio, le orecchie che fremevano al suono della sua risata e gli angoli degli occhi che si arricciavano in un sorriso impercettibile.

-Oh, beh, questo migliora la mia giornata.- commentò, sciogliendo le braccia che aveva incrociato sul petto e passandosi le dita fra i capelli, i tratti del viso che si distendevano un poco.

Ryoma sorrise a sua volta, allungando una mano per sfiorare la sua.

-Riesci sempre a trovare un modo per farmi dimenticare i miei pensieri.- mormorò, ed un calore familiare parve sbocciare nel suo petto quando lei allacciò le dita alle sue, sfiorando col pollice le sottili cicatrici che Raijinto aveva inciso sulla sua pelle tanti anni prima e accoccolandosi accanto a lui, contro la sua spalla, rabbrividendo quando si appoggiò al vetro freddo.

-È un dono.- commentò, divertita; Ryoma socchiuse gli occhi, ascoltando in silenzio il mormorio soddisfatto che gli canticchiava nel petto, assaporando il calore del suo corpo riscaldare anche lui.

Zoe non rispettava ma le regole, la decenza, il buoncostume – e lui, per quello, la adorava; eppure, a volte, invidiava chi poteva godersi la sua espansività liberamente, senza doversi preoccupare delle apparenze, delle voci, della reputazione.

-Il tuo amico era qui per via di quel che è successo?- domandò, racchiudendo la sua mano fra le proprie quando si accorse di quanto fossero fredde, e Zoe annuì contro la sua spalla.

-Sì, è venuto per scusarsi. Tuo fratello invece non si è visto.- mugugnò, sussultando quando si accorse del commento velenoso che si era appena lasciata scappare.

Ryoma sospirò, senza ribattere.

Zoe non aveva torto.

Takumi aveva sempre avuto un carattere volubile e tempestoso come i venti che sembravano spirare ogni volta che il Fujin Yumi scoccava una delle sue frecce incantate: era sempre stato incline agli scoppi d’ira, a prendere di petto più situazioni di quelle che meritavano la sua attenzione e a non voler ascoltare chi tentava soltanto di aiutarlo, ma nessuno si sarebbe mai aspettato quell’odio che aveva annientato il suo giudizio e la sua mente acuta, quell’astio crudele che lo aveva spinto a rivoltarsi persino contro chi gli era caro – contro di lui, contro la loro madre, contro i suoi amici…

E per cosa?

-Ryoma?-

La voce di Zoe nascondeva una preghiera, un gemito di dolore, una sofferenza che lui aveva già intravisto a Suzanoh, quando l’aveva incontrata in quel corridoio opprimente e aveva scorto i suoi occhi bui e colmi di lacrime; abbassò lo sguardo verso di lei, scoprendosi estremamente vulnerabile dinanzi a quello sguardo gentile e tormentato.

-Perché non è più lui?- sussurrò, e Ryoma avrebbe tanto voluto avere una risposta da darle, un qualcosa da combattere per riprendersi il suo fratellino, per restituirle l’amico a cui era sempre stata così legata, ma…

-…non lo so.-

Ammetterlo, ammettere quanto fosse impotente davanti a quella situazione sempre più drammatica, sapeva terribilmente di sconfitta.

Dovette costringersi a non passarle un braccio intorno alla vita, a non stringerla di più a sé.

-È sempre stato intimorito dall’ombra di Ileana, ma… non è mai stato crudele, finora.-

Ricordava bene lo sguardo pieno di risentimento che un Takumi bambino aveva riservato ad Hinoka quando lei aveva annunciato di voler diventare un guerriero “in nome della sua sorellina perduta”, i mille dubbi che gli avevano reso così difficile impugnare il Fujin Yumi, la sua smania continua di dimostrarsi sempre migliore di tutti gli altri.

Non per la prima volta, Ryoma si ritrovò a chiedersi come avrebbe reagito suo fratello una volta scoperta la verità.

Aveva sempre pensato che, vista la loro amicizia, sarebbe stato felice di scoprire che Zoe era, se non per il suo sangue almeno agli occhi del loro regno, sua sorella: ne era sempre stato sicuro, ed era uno dei motivi per cui non si era mai preoccupato eccessivamente di spingere Zoe a mantenere le distanze dalla famiglia reale, ma adesso…

Adesso, però, non ne era più così certo: se incontrare Ileana aveva causato un tale cambiamento nel suo carattere, una tale cattiveria, come poteva pensare che Zoe non avrebbe incontrato lo stesso muro di diffidenza e di crudeltà, che quella furia non si sarebbe rivoltata contro Mikoto, contro Hinoka, contro tutti coloro che avevano mantenuto quel segreto per tutti quegli anni?

-Già. Non avrei mai pensato che si sarebbe comportato così.- concordò, sfilando con gentilezza la mano dalla sua stretta. -Suppongo di non conoscerlo bene quanto credessi.- aggiunse, voltandosi verso le mille luci colorate che rendevano impossibile alla notte di Hoshido di inghiottire tutto nell’oscurità. -Quello non è il mio amico. Il Takumi che conosco io non avrebbe mai impedito ad una ragazza di leggere un libro.-

Ryoma si passò una mano sugli occhi, ricordando improvvisamente l’ordine che Saizo aveva impartito con la sua autorità e che lui sapeva di non poter revocare, visto che sembrava essere stata l’unica cosa in grado di acquietare un poco l’ira di Takumi.

-Per quello che vale, preferirei che quegli ordini non fossero necessari.- mormorò, ed il disagio che provava parve smorzarsi un poco quando Zoe annuì.

-Lo so.- mormorò, piano, scostandosi da lui per voltarsi con uno scatto verso la finestra, distratta dal baluginio di una luce lontana; e Ryoma sorrise, il ricordo di una bambina paffuta che inseguiva le lucciole che si sovrapponeva ai lineamenti affilati della donna che aveva dinanzi.

Per fortuna, però, lei era sempre la stessa, rifletté, osservandola seguire la lanterna di carta che l’aveva distratta con uno sguardo assorto, il fiato che si condensava sul vetro e le labbra dischiuse in un sorriso inconscio: nonostante tutto quello che era successo negli ultimi giorni, Zoe era rimasta la ragazza impertinente che faceva impazzire Saizo, la donna gentile che tentava sempre di prendersi cura di tutti.

-Lui…- mormorò, improvvisamente, abbassando il viso quando la lanterna venne inghiottita dal cielo, ammantato delle stesse nubi che sembrarono riflettersi nella smorfia tormentata che spezzò l’effimero entusiasmo che aveva colorato le sue guance di rosso.

-Credo che lei lo spaventi.-

Ryoma trasalì, sorpreso.

Zoe era sempre stata protettiva nei confronti di Takumi, ed il tormento che percepiva nella sua voce sussurrata doveva essere soltanto una briciola del senso di colpa che provava all’idea di rivelare i suoi segreti.

-Takumi non si è mai sentito abbastanza per nessuno.- continuò, gli occhi che seguivano distrattamente le sue dita nervose, che stringevano e tormentavano l’orlo del kimono in un gesto meccanico, ripetitivo, inconscio. -Ha vissuto nell’ombra di Ileana per tutta la vita, e adesso che è tornata…- esitò, passandosi una mano fra i capelli e mordendosi le labbra. -…beh, credo che sia convinto che lei, e lei è di Nohr, e lui odia Nohr, gli porterà via tutto quello che ama.-

Ryoma aggrottò le sopracciglia, confuso, ma non ebbe il tempo di chiedersi come fosse possibile che suo fratello fosse così insicuro dell’affetto della sua famiglia e dei suoi amici; Zoe sbuffò, e non gli sfuggì il brontolio irritato che mugugnò a mezza voce – “Anche se sta facendo già un ottimo lavoro da solo” – prima di sospirare, sconfitta.

-Dei, mi ucciderebbe se sapesse che te l’ho detto.- mugolò, sfregandosi gli occhi.

-Rimarrà fra noi due.- le assicurò, ma i suoi pensieri erano già lontani da quella stanza in penombra: ripensava allo sguardo furente di suo fratello, Ryoma, al disgusto che aveva scorto nei suoi gesti a Suzanoh, alla rabbia trattenuta a stento che aveva visto quella mattina.

Era quello, quindi? Era quello il motivo per cui Takumi era tanto ostile nei confronti di Ileana?

Poteva capire il suo odio per Nohr, nessuno poteva capirlo meglio di lui – non dopo Cheve, non dopo suo padre, ma… sapeva di aver fatto degli errori, con lui, ma com’era possibile che Takumi fosse arrivato ad un livello di insicurezza, ira e paura tale da annientare tutto ciò che lo rendeva la persona orgogliosa, altruista e intelligente di cui lui era sempre stato fiero?

-Continua a farle del male, Ryoma, ma quella ragazza si è solo trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.-

Ah, eccola lì, la Zoe che conosceva.

Ad essere onesti, quella protesta non lo sorprese affatto: si era aspettato che Zoe prendesse le difese di Ileana – sarebbe stato strano il contrario – ed era persino rimasto sorpreso quando lei non aveva affrontato l’argomento già nel momento in cui Orochi era sparita nella propria stanza…

-E tu lo sai.-

C’era accusa, nella sua voce, ed una punta di dolore che lui non mancò di cogliere.

Avrebbe dovuto riprenderla per quel commento spazientito, per quella che avrebbe considerato una mancanza di rispetto da chiunque altro, ma si limitò ad alzare una mano per interromperla quando Zoe aprì la bocca per ricominciare a protestare.

Testardamente, tuttavia, Zoe non ricambiò lo sguardo penetrante che le rivolse; al contrario, si ostinò a mantenere la propria attenzione su un quadro che, a giudicare dalle pennellate cupe e tempestose, Kagero doveva aver dipinto per lei.

Aveva sempre apprezzato le rimostranze di Zoe, le discussioni che, a volte, li avevano impegnati per ore, il suo punto di vista tanto acuto quanto, troppo spesso, ingenuo: confrontarsi con lei era stimolante e, sinceramente, le occhiatacce che lei gli riservava erano davvero troppo carine per riuscire a rinunciarvi.

Sì, sapeva benissimo che Ileana era soltanto stata sfortunata, vittima del caso e del destino scelto per lei da qualcun altro: era palese quanto fosse ignara di tutto ciò che la riguardava, dei piani che sicuramente la famiglia reale di Nohr aveva ordito con lei come vittima sacrificale per scatenare la guerra che tanto volevano, ed una parte di lui comprendeva il desiderio di Zoe di proteggerla.

Ileana era innocente, ed era stata mandata a morire per la sete di conquista di un regno crudele: chiunque si sarebbe sentito mosso a compassione dalla sua situazione, ma…

…ma Zoe non sapeva, non poteva sapere che cosa attendeva tanto lei quanto la sua amica di infanzia.

Abbassò la mano, posandola sulla spalla di lei che, però, continuò ad ignorarlo.

-Dovresti ascoltare Saizo, ogni tanto. Vuole soltanto proteggerti.- mormorò, ma Zoe sbuffò e serrò le labbra.

-So proteggermi da sola. Non lascerò sola Ileana e non starò a guardare Takumi consumato da… da questa pazzia.- brontolò, scacciando la sua mano con un brontolio che lo sorprese e sfregandosi le mani sulle braccia forse per scacciare il freddo – d’altronde, Shirasagi svettava verso il cielo sino a sfiorare le nubi, in un vano tentativo di raggiungere le stelle… ma, dopo un istante, Ryoma colse l’ombra di Suzanoh nei suoi occhi esausti.

Si raggomitolò su se stessa, e Ryoma lottò ancora una volta contro se stesso per impedirsi di prenderla fra le braccia, di abbattere quel muro che aveva eretto intorno a sé, di implorarla di dirgli che cosa era successo fra lei e Takumi.

Ma sarebbe stato inutile, si disse, allungando cautamente una mano per scostare con gentilezza i ciuffi di quella frangia arruffata, indugiando per qualche attimo di troppo quando le sfiorò la pelle chiara della tempia.

Così testarda, tale e quale a suo fratello.

-Odio vederti così, Zoe.- mormorò, lasciandosi scivolare fra le dita quei capelli sempre disordinati, guadagnandosi l’ennesima occhiata indispettita da quel paio d’occhi tanto familiari che fecero capolino dal nido sicuro in cui si erano rifugiati.

-Non compatirmi.- mugugnò, ma mosse comunque la testa per seguire la sua carezza, socchiudendo le palpebre come un gattino.

-Sei l’ultima persona al mondo che compatirei.- le assicurò, piano, sfiorandole le orecchie appuntite che fremettero al contatto, sensibili come sempre. -Sono soltanto preoccupato per te.-

-Posso cavarmela.-

Oh, aveva sentito quella risposta tante di quelle volte, ormai, da essere arrivato ad odiarla.

Quelle erano le parole che Zoe usava per tenere tutti a distanza, per rinchiudersi dietro la convinzione di essere in grado di far fronte a qualsiasi cosa e di non aver bisogno di aiuto e conforto e affetto – di non aver bisogno lui.

-Chi è il bugiardo, adesso?- le domandò, spazientito, ma lei non esitò nemmeno un istante per rispondergli a tono.

-Quello fra i due che riesce ad ammettere di non sapere cosa fare soltanto quando nessuno può sentirlo.- lo rimbeccò, tagliente come sempre, e lui non seppe davvero che cosa ribattere quando il peso delle sue parole lo colpì più di quanto, forse, lei avesse desiderato.

Aveva ragione, certo, ma… non poteva capire.

Lui aveva dei doveri da assolvere, un ruolo da interpretare: incertezze, paure ed errori non erano ammessi nel suo mondo – non quando sentiva ad ogni incontro il fiato caldo del Consiglio sulla gola, non quando le bugie e i segreti della sua famiglia sembravano farsi ancor più gravosi sulle sue spalle e gli toglievano il respiro, non quando suo fratello sembrava aver perso il senno e rischiava di rivoltarsi contro tutti loro ad ogni discussione.

Lui non poteva mostrare debolezze.

Lui era l’Alto Principe di Shirasagi, il futuro Re di Hoshido, il daimyo dell’esercito di una nazione intera; da lui ci si aspettavano certezze e sicurezza e, fin da bambino – fin da Cheve –, lui aveva cercato di rendere onore a tutto ciò che comportava il suo ruolo, il suo titolo e il suo futuro, sperando di riuscire a diventare almeno la metà del Re che suo padre era stato.

Lui non poteva avere debolezze.

Nessuno poteva capiva la confusione sul suo volto, né vedere le occhiaie profonde sotto i suoi occhi, né sentirlo ammettere di aver sbagliato.

Eppure Zoe capiva, vedeva e sentiva, e lui non riusciva a costringersi ad impedirglielo.

Si fidava di lei.

Si fidava di lei e, quando le sue dita fredde gli sfiorarono il palmo aperto della mano, Ryoma si aggrappò a quel gesto gentile, al sollievo che lo invase quando, ancora una volta, la vicinanza di quella ragazza fu sufficiente per acquietare il tumulto di pensieri ed emozioni che rimestavano dentro di lui.

La guardò, e trovò i suoi occhi colmi di affetto e di preoccupazione.

Le sue mani erano fredde, ma la sua stretta era salda e sicura… proprio come era stata quella della sua mano di bambina, tanti anni prima, quando lo aveva preso per mano ed era rimasta con lui fino a che non aveva accettato di lasciare il corpo di suo padre nel santuario, dopo il funerale, dopo che i suoi fratelli si erano addormentati tutti e tre nel letto di Mikoto.

Ryoma si era sempre considerato un uomo forte. Aveva temprato se stesso nel codice dei Samurai e dalla corona che presto avrebbe indossato tanto sul campo di battaglia che sul trono che lo attendeva, ma forse… forse la forza che gli mancava, e di cui invece Zoe abbondava, era un’altra – era quella forza che l’aveva spinta a prendersi cura di Takumi e di Sakura, e che le permetteva di riuscire dove lui continuava a fallire.

Alzò una mano per sfiorarle una guancia, incapace di resistere al bisogno di sentirla, di toccarla.

-Che cosa farei senza di te?-

I suoi occhi si allargarono, a quelle parole, ma la sua sorpresa durò soltanto pochi istanti: Ryoma colse solamente un lampo di determinazione attraversarle il volto e poi si ritrovò spaesato, colto di sorpresa dal gesto rapido con cui si era insinuata fra le sue braccia, aggrappandosi a lui e infilando la testa nell’incavo della sua spalla.

Ryoma trattenne il respiro, ma Zoe sedò la sua protesta sul nascere:

-Non ci provare. Avevi bisogno di un abbraccio.-

-Io non posso “aver bisogno di un abbraccio”.- protestò, debolmente, ma si arrese comunque fra quelle braccia, chinando la testa in una resa che aveva il profumo dei capelli che gli solleticarono gli occhi.

Era così morbida. Così calda. Così dolce.

Sarebbe stato in grado di rifiutare un abbraccio da chiunque, persino da sua madre, ma non da lei – no, da lei mai, sentì ribellarsi i suoi pensieri, e quell’idea lo spinse a stringerla a sé ancor di più.

Gli Dei lo avrebbero maledetto, per quella debolezza che lei era per lui, ma Ryoma sapeva che avrebbe potuto accettarlo; ma vivere senza di lei, senza i suoi abbracci, senza i suoi sorrisi… no, nessuna maledizione divina avrebbe potuto ferirlo tanto.

Si scoprì a tremare, fra le sue braccia, quando quella paura sempre più schiacciante si affacciò di nuovo nella sua mente.

Attenta come sempre, Zoe si accorse del suo fremito, del respiro che gli si era spezzato in gola: si allontanò appena, quel tanto che le bastò per prendergli il viso fra le mani, per rivolgergli il più preoccupato dei suoi sguardi. -Ehi? Va tutto bene?-

No, nulla andava bene, e lui voleva dirle tutto.

Una parte di lui sperava disperatamente che, se fosse riuscito a spiegarle come erano andate le cose, Zoe non si sarebbe arrabbiata, non lo avrebbe odiato, non gli sarebbe scivolata via come acqua fra le dita: non voleva, non voleva che segreti che non erano nemmeno suoi, che lui aveva mantenuto per anni nonostante li avesse sempre odiati, gliela portassero via.

Non era giusto.

Era tutta colpa di Nohr. Aveva portato via suo padre, la sua infanzia, la sua innocenza, e ora minacciava di portargli via anche lei e lui non riusciva a immaginare un mondo in cui non era al suo fianco – un mondo freddo, cupo e buio, che tutto in lui sembrava rifiutare con una violenza inaspettata.

Non era giusto, e nulla andava bene.

La rabbia di Takumi, il dolore di sua madre, e l’ombra di quella maledetta guerra che oscurava tutti loro…

Scosse la testa fra le sue mani, percependo le sue dita scivolargli fra i capelli con una gentilezza quasi commovente: una parte di lui avrebbe voluto chiudere gli occhi e rimanere lì per tutta la notte, permettendole di prendersi cura di lui, di stargli accanto, concedendosi la sua vicinanza come un peccato a cui non sapeva se sarebbe, in seguito, riuscito a rinunciare.

Ma si costrinse a sorridere, spingendo indietro quel desiderio irrealizzabile. -Sono soltanto stanco. Non preoccuparti.- sospirò, e dovette usare violenza su se stesso per costringersi a sciogliere quell’abbraccio, a separarsi da lei.

Non era abituato a quel tipo di contatto fisico ma non poteva negare a se stesso quanto fosse piacevole, quanto l’impronta del corpo caldo di Zoe sembrasse bruciare contro il suo petto, sulle sue mani, e quanto una parte di lui ringhiasse a gran voce il suo desiderio di tornare fra quelle braccia; eppure resistette, resistette e si costringe ad alzarsi in piedi, offrendole una mano per aiutarla ad alzarsi a sua volta.

-Io mi preoccupo sempre.- ribatté, guidandolo senza un suono verso il mondo al di fuori di quella stanzetta buia, di quella nicchia calda e confortante, nelle luci quasi fastidiose del salottino di Orochi.

Sbuffò, scostandosi i capelli dalla fronte, sfiorando inconsapevolmente la cicatrice sullo zigomo – e Ryoma sentì, ancora una volta, una fitta di preoccupazione attraversargli il petto.

-Dovresti davvero ascoltare Saizo.- mormorò, misurando accuratamente le parole perché non aveva affatto dimenticato l’Onmyoji in agguato. Zoe gli rivolse un’espressione confusa, e lui sospirò. -Nessuno ti ha ordinato di prenderti cura di Ileana. Non sei costretta a fare tutto questo.-

Il suo sguardo si assottigliò ancora una volta, scintillando con la stessa pericolosità di una lama ben affilata.

-Ileana merita soltanto gentilezza, dopo quello che ha passato – dopo quello che noi le abbiamo fatto passare. Non smetterò di provare a offrirgliela soltanto perché sarebbe più facile per me.-

La sua affermazione assomigliava molto ad un’accusa, e Ryoma sapeva che sarebbe stato inutile continuare a discutere: Zoe era troppo protettiva, troppo gentile…

-Potrei ordinarti di stare lontano da lei.- borbottò, ma era una minaccia vuota e lo sapevano entrambi: Zoe avrebbe semplicemente trovato un modo di fare di testa propria alle sue spalle, e quello avrebbe causato ancor più problemi del suo attaccamento a Ileana.

Eppure, invece di arrabbiarsi, lei piegò appena la testa, allacciando le mani dietro la schiena e guardandolo da sotto in su con uno sguardo da cucciolo maltrattato davvero sleale.

-Questo mi ferirebbe. Tantissimo. Vuoi davvero farmi stare tanto male?- miagolò, con una vocina tenera e innocente che lo colpì con la prepotenza di un pugno nello stomaco.

Ryoma grugnì, esasperato, coprendosi gli occhi con una mano e provando un improvviso moto di comprensione verso Saizo.

No, non avrebbe mai potuto farle del male… così come non avrebbe mai potuto negarle nulla.

Zoe si accorse della sua disfatta e sorrise, illuminandosi. -Se davvero vuoi aiutarmi, cerca di tenere Takumi lontano da Ileana. Non è così male quando non si sente minacciata.-

Ryoma annuì, dandole le spalle, cercando di mantenere almeno una briciola di dignità davanti alla donna che, lo sapeva, sarebbe stata la sua disfatta. -Vedrò cosa posso fare.- borbottò. -Ora, però, cerca di riposare.-

-Grazie.-

Sentì un movimento nell’aria, Ryoma, e il suo braccio spostato da un tocco affettuoso; e, quando si voltò, colto di sorpresa, la trovò lì, con quel sorriso di cui non era mai sazio sul viso, alzatasi in punta di piedi per lasciargli un bacio sulla guancia.

-Buonanotte, Ryoma.-

Lui si schiarì la voce, accarezzandole un’ultima volta i capelli.

-Buonanotte, Zoe.- borbottò, allontanandosi da lei e sparendo oltre la porta prima che lei potesse notare il rossore che si era fatto largo sulle sue guance.

 
   
 
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