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Autore: ghostmaker    04/11/2018    2 recensioni
[Prima classificata nel contest “Il mio personale modus operandi" indetto da Not_only_fairytales (ex aequo con "L'innocenza dei pastori" di Claire roxy)]
Un uomo comune con un lavoro qualunque ma la sua vita non è come quella di qualsiasi altra persona. La sua mente l’ha spinto verso il buio, dove soggiorna qualcosa di malvagio ma che, allo stesso tempo, è qualcosa di gradevole. Deciderà di esporsi al chiarore che lo condanna o sceglierà di proseguire nell’ombra che lo protegge?
Genere: Drammatico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ATTRAVERSO L’OSCURITA’
DELLO SPECCHIO






Anche questa notte ho dormito pochissimo e non ho bisogno della sveglia per alzarmi; sto fissando il soffitto da quasi un’ora, scendo dal letto per andare a farmi la doccia, cammino a piedi nudi perché anche oggi ho dolore ai piedi, mi chiudo nel box e mentre l’acqua mi rinfresca, perdo la cognizione del tempo. Infilo l’accappatoio e mi accorgo che sono già passate le otto ma io sono ancora qui a guardarmi nello specchio; sono ancora qui a chiedermi se le scelte che ho fatto negli ultimi due anni sono frutto della mia mente, o semplici atti dettati da una morale corrotta appresa nella mia famiglia. Quanti sono? Ogni giorno lo dimentico. La mia mente però è così assurdamente ambigua che mi cancella il ricordo della notte ma, allo stesso tempo, mi costringe a lasciare tracce precise cui attingere per ricordare il numero. La scatola è proprio sul lavandino del bagno in bella vista e devo solo aprirla; lo faccio con la tranquillità di chi non ha niente da nascondere, inizio a contarne il contenuto, più si fa alto il numero e più sento le mie labbra sollevarsi per fare un grosso sorriso, richiudo la scatola con la massima cura e la ripongo nuovamente sul lavabo.

Mi vesto veloce senza badare troppo al vestiario che indosso con l’unica eccezione della cravatta obbligatoria, esco dalla porta di casa e, come sempre, la mia vicina è la prima persona che incontro. Lei mi sorride sempre ed io contraccambio il suo affetto, seppur senza parlare, augurandole con il cuore una buona giornata. Donna fantastica la signora Mildred, una persona d’altri tempi, sempre dedita al marito, mai una parola fuori posto, mai un gesto di stizza neanche verso i bambini che ogni pomeriggio giocano a pallone sotto le sue finestre. Lei assomiglia, seppur molto più giovane, alla nonna che ho perso quando ero ancora troppo piccolo perché potessi imparare a vivere in questo mondo fatto di lupi famelici e pecore destinate al macello.


***


Arrivo sul posto di lavoro con leggero ritardo, mi affretto a sistemare la scrivania e mi siedo nel mio scomparto, dove svolgo un lavoro tanto noioso da farmi quasi addormentare. Accendo il computer e inizio a fare le solite ricerche di Marketing imposte dalla mia azienda; senza che possa dare un parere su ciò che è davvero importante come informazione e senza che possa discuterne con il mio capo settore. Proprio lui, appena arrivato, appoggia le mani sulla mia scrivania e, mentre lo guardo, inizia a sbraitare qualcosa alzando la voce per farsi sentire da tutti i miei colleghi e per dimostrare di avere in pugno ogni situazione nonostante sia un completo fallimento in questo lavoro. Io continuo a guardarlo ma non sento la sua voce; dentro di me ho soltanto il desiderio di conficcargli la mia matita nell’occhio ma mi trattengo perché qui sarei allo scoperto. Lui si allontana tronfio ma a me non importa neanche cosa abbia detto; sono talmente focalizzato sul modo con cui ripagarlo della sua gratuita arroganza che inizio forsennatamente a scrivere, su un foglio, delle singole parole che da sole non hanno nessun senso.

A distogliere la mia mente da questo impulso è la voce di un mio collega che, nel suo momento di pausa, legge il giornale ad alta voce. Ci racconta dell’ennesimo omicidio perpetrato nella nostra città e sul quale la polizia, come per tutti gli altri, brancola nel buio perché il Modus Operandi utilizzato dall’assassino è diverso per ogni sua vittima, anche se sono concordi nel ritenere che si tratti di un unico Serial Killer poiché hanno riscontrato un elemento comune che, ovviamente, non si può divulgare alla stampa. Io sono scosso; mi domando chi può essere questa persona che dà forma alle sue fantasie attraverso una serie di omicidi, ma poi guardo il foglio su cui stavo scrivendo e noto che tra tutte le parole che ho scarabocchiato quella evidenziata è “uccidi.” La testa diventa pesante, i miei occhi si chiudono senza comando e come in un film rivedo quell’uomo ben vestito mentre entra nella sua macchina, mentre si slaccia la cravatta perché fatica a respirare, mentre, esanime, crolla sul volante senza poter più fiatare. Vedo le mie mani e ho ancora stretto tra le dita la boccetta di veleno che ho usato per prendermi l’anima di questa persona.
«Ehi, Philip, tutto bene? Sembrava che stessi per svenire!»
«Sì grazie, solo un po’ di stanchezza,» rispondo al collega che mi sta scuotendo le spalle, «questa notte non ho chiuso occhio».
Lui sorride e torna al suo posto; io metto in tasca il foglio su cui scrivevo e ricomincio a fare il mio lavoro.


***


Nella pausa pranzo salgo fino al tetto del palazzo; non mi piace ciò che cucinano in mensa e preferisco stare da solo mentre mangio un’insalata senza condimento che equilibra la linea del mio corpo. Sento un rumore sordo nelle mie orecchie ma non c’è niente intorno a me che può causare questo fastidio così chiudo gli occhi e, ancora una volta, rivedo qualcosa del recente passato, qualcosa che la mia mente nasconde ma che poi ricorda. Un uomo così diligente ma allo stesso tempo incoerente, una persona che mostra il suo lato negativo solo a tratti per poi manifestarlo tutte le notti. Lo vedo mentre penzola dal ponte; il suo collo stretto nella morsa di un cappio che avevo già predisposto e preparato in quel punto preciso dove, con una banale scusa, lo avevo portato senza che potesse immaginare che fosse la sua ultima passeggiata. Sorrido pensando che erano bastati un gioco e un piccolo stimolo per toglierli quella sporca vita che conduceva alla luce della Luna e, mentre rido sonoramente, non penso minimamente al pentimento perché lui era come gli altri. Estraggo dalla tasca il foglio; ora le singole parole che avevo scritto iniziano a formare delle frasi dal significato preciso e comprendo che non sono destinate al mio capo sezione, che è solo un arrogante borioso, ma a una prossima vittima che compie le stesse nefandezze che faceva quell’altro.

Ho ancora del tempo libero prima di tornare al lavoro così scendo con l’ascensore al piano terra e m’incammino verso l’uscita del palazzo per fare una passeggiata considerando che siamo in primavera ma, per fortuna, non piove. Osservo ogni particolare di tutte le persone che mi passano vicino: guardo l’aspetto, il colore degli occhi, le mani e gli atteggiamenti che hanno verso le persone con cui stanno parlando e, mentre continuo questa specie di selezione, rallento il mio passo perché vedo una persona che conosco. Quest’uomo, a quest’ora, non ha motivo per essere seduto in questa caffetteria e certamente non dovrebbe tenere le mani, in modo più che affettuoso, della giovane ragazza che gli è seduta affianco. Sicuro di non essere stato visto, mi siedo su una panchina non molto distante da loro, continuo a osservare ciò che fanno e i miei occhi iniziano a lacrimare quando i due si alzano e si salutano baciandosi appassionatamente come farebbero dei giovani innamorati. Perché lui? Ho quasi il singhiozzo pensando alla signora Mildred che ogni giorno aspetta il marito pensando che stia lavorando mentre lui, invece, la tradisce con una ragazza che potrebbe essere la propria figlia. Devo chiudere gli occhi, non voglio più vedere questa scena ma, adesso, iniziano a scorrere nella mente scene di un passato remoto che ricordo ancora per piccoli frammenti; rivedo gli occhi spalancati e privi di espressione di mia madre, risento sulla mia pelle la rabbia che mio padre sfogava violentemente, sia su di lei, sia su di me, e infine, assisto al funerale di qualcuno senza provare nessun tipo di sentimento. Questi spezzoni del passato mi turbano, riapro gli occhi costringendomi, quasi fisicamente, a farlo e improvvisamente tornano la calma, il distacco e la fredda logica. Lui è da punire ma non posso essere io il giudice perché mi conosce, perché non avrei i mezzi necessari per eseguire la condanna se non usando delle armi che ne sfregerebbero il corpo o che, addirittura, gli farebbero perdere l’anima all’istante. Anche lui deve soffrire!


***


Ho dormito per parecchie ore senza sentire il morso della fame nonostante il pomeriggio lavorativo fosse stato impegnativo, ma ora mi alzo dal letto e apro lo sportello dell’armadio in cui c’è quello che mi occorre per la notte e controllo che tutto sia in ordine e ben piegato, quindi raggiungo il soggiorno dove c’è la mia scrivania su cui sono posti in ordine una penna stilografica e un quaderno aperto nel quale avevo inserito in bella vista il foglio che ho scarabocchiato questa mattina. Mi siedo e ricopio quella specie di appunti sul quaderno ma lo faccio in modo completamente diverso perché aggiungo quello che, in questo momento di fredda lucidità, mi suggerisce la mente. Il progetto è pronto; apro il cassetto della scrivania e prendo una piccola agendina sulla quale, in prima pagina, ci sono dettagliate le trappole che ho nascosto in bella vista e che sono disseminate in tutta la città ma, anche quelle che ho già utilizzato, sottolineate in rosso, dei luoghi in cui ho completato i miei piani degnamente e che, sparsi senza una logica precisa, non danno modo di creare una mappa, seppur poco dettagliata, dei miei spostamenti. Rileggo ciò che ho scritto ripassandone con cura i dettagli: andrò in quel locale e mi limiterò ad attendere che la preda cada nella mia rete quindi, con la scusa della presenza di molte persone, farò in modo che mi segua all’esterno per parlare senza essere disturbati dal chiacchiericcio chiassoso della gente e in seguito lo intratterrò con le solite frasi, così puerili, che lo faranno cadere in trappola senza che se ne accorga. Al momento propizio mi allontanerò con una scusa futile ma, conscio che mi seguirà, camminerò lentamente in modo che mi raggiunga alla scuola abbandonata dove compirò la seconda parte del progetto sfruttando la sua poca lucidità causata dall’assunzione di alcolici e di una dose, non letale, di un narcotico che gli avrò versato, in precedenza, in uno dei cocktail. Si chiederà perché sono andato in quel luogo, ma non risponderò, aprirò l’uscio saltando il buco che è sul pavimento quindi attenderò che lui entri dalla porta per cadere in quella piccola voragine creata da dei teppisti per raggiungere la palestra sotterranea nel caso in cui la polizia li stesse inseguendo. La caduta verso il basso non è profonda e non gli causerà danni ingenti ma lo costringerà a chiedere aiuto per potersi alzare in piedi; in quel momento mi appoggerò sul bordo della buca e mi calerò giù mettendomi alle sue spalle, non per aiutarlo, ma per compiere il mio atto finale, perché indosserò i guanti, estrarrò la busta di plastica che ho in tasca e gliela metterò sul suo viso in modo che gli manchi l’aria lentamente, ma inesorabilmente, in modo da sentire il suo ultimo respiro. Dovrò, poi, sistemare la scena cancellando ogni mia traccia ma, allo stesso tempo, dovrò fare in modo che qualcuno lo trovi in poche ore e, prima di andarmene, mi prenderò il mio regalo dal suo cadavere così da tornare a casa soddisfatto di ciò che ho fatto.


***


In questo bar, posto in una delle zone più squallide di questa fetida città, non ci sono mai entrato, anche se ci passavo davanti tutti i giorni andando a scuola. Lentamente bevo un singolo cocktail perché devo rimanere lucido e mi rapporto con le persone presenti osservandole: i ragazzi troppo giovani li liquido all’istante, gli uomini in gruppo portano contraddizioni così li evito anche con lo sguardo, agli uomini soli che non hanno il giusto requisito, non permetto più di una frase. Come immaginavo non ho dovuto attendere troppo per avere la mia preda.
«Ciao, mi chiamo Alan», dice quest’uomo mentre sta per sedersi accanto a me.
«Se mi offri da bere, puoi sederti oppure vai via», gli rispondo con tono deciso mentre gli mostro il mio bicchiere vuoto.
Lui parla ma io non ascolto tutte le cose che mi racconta perché non m’interessa di cosa si occupa o come passa il suo tempo libero; lo faccio bere molto versandogli nel bicchiere il narcotico quando è distratto, io mantengo il bicchiere quasi sempre pieno in modo da essere sobrio e, così facendo, non devo attendere molto per chiedergli di uscire dal locale. All’esterno non ho bisogno di inventare scuse perché la mia preda è già pronta.
«Alan, ho visto che sei sposato, direi di chiudere qui ogni discorso», gli dico in tono secco mentre inizio a incamminarmi senza offrirgli l’opportunità di rispondere. Lui si sarà accorto che il segno dell’anello sulla mano sinistra è troppo marcato per non essere visto ma non gli è importato poiché sento i suoi passi dietro di me.

Tutto procede come da programma, raggiungo la scuola, salto la buca e non attendo troppo tempo prima che lui ci cada dentro, però qualcosa non sta funzionando perché non sento la sua voce. Temendo che si sia fatto troppo male scendo nella buca e con sorpresa lo trovo sdraiato su una pila di materassini.
«Per fortuna che c’è questa protezione», mi dice sorridendo mentre io sono paralizzato perché il mio perfetto piano si è sgretolato sotto i miei occhi. Penso ai materassini e capisco che anche quei delinquenti rischiano di farsi male mentre fuggono e che, per proteggersi, hanno ideato questa specie di salvagente. Ora che fare? Ora sono io in trappola perché non ci metterà molto a scoprire il mio segreto. Senza parlare seguo il corridoio della palestra mentre lui mi segue facendo tante domande alle quali non rispondo e, raggiunta l’uscita, facendo mente locale e mantenendo il sangue freddo ricordo che c’è una piccola fontana mai svuotata nella quale c’è acqua stagnante. Raccolgo una piccola mattonella nascondendola alla sua vista e gli dico ridendo in modo che mi segua senza fare altre domande: «Ho le mani tutte sporche e lì c’è una fontana. Anche tu sarai impolverato.»
Vicini alla vasca attendo che lui si inginocchi per ripulirsi il viso con entrambe le mani e, contrariamente a ciò che faccio sempre, lo colpisco alla nuca con la mattonella in modo che perda i sensi senza che subisca una ferita. L’uomo finisce con la faccia dentro l’acqua rimanendo in ginocchio; io sono lesto a spingergliela in profondità e, nonostante si sia ripreso, non gli do modo di rialzarsi. Attendo qualche minuto prima di lasciarlo andare così da essere certo che la sua anima sia svanita inghiottita dall’acqua, ma c’è qualcosa che m’impedisce di allontanarmi, c’è qualcosa che la mia mente ricorda facendomi rivivere le emozioni provate in quel momento. Rivedo mio padre ubriaco che rientra a casa tardi e litiga con mia madre che lo sta accusando di avere delle amanti e lui, per risposta, che la colpisce con uno schiaffo così forte da farla cadere a terra e, non contento, colpisce anche me, reo di essere ancora sveglio e presente a quella scena. Lui, noncurante di ciò che ha fatto, si dirige in bagno per immergersi nella vasca; mia madre attende che cessi lo scroscio d’acqua e lo raggiunge impugnando il grosso mattarello, che usa per fare la pasta in casa, e lo colpisce alla testa tramortendolo.  Lei, con uno sguardo perso nel vuoto, butta il corpo di mio padre nella vasca mettendogli la faccia verso il basso quindi entra anche lei nell’acqua per stargli sopra in modo che non si possa rialzare più. Io non piango ma, anzi, mi guardavo nello specchio sorridendo. Mi riprendo da questi ricordi; senza aspettare oltre prendo il mio dono da quell’uomo, m’incammino veloce verso la mia macchina e, al sicuro da possibili sguardi indiscreti, torno alla mia abitazione.


***


Rientro in casa più tardi del previsto; i piedi mi fanno male così tolgo le scarpe, e senza ciabatte, entro in bagno dirigendomi verso lo specchio dove, ad aspettarmi, c’è come ogni notte mia madre.
«Anche oggi hai fatto il bravo bambino?»
«Sì mamma. Perdonami se ho fatto tardi.»
«Sei stufo di prenderti cura di me?»
«Assolutamente no. Sono solo più stanco perché questa notte ho dovuto rivedere il mio progetto in corso d’opera e non è facile cambiare programma in fretta e con la lucidità necessaria per non fare errori.»
«Sei riuscito a portarmi il regalo?»
«Certamente mamma, non dimentico mai il dono che desideri tanto.»
«Il mio caro bambino che mi fa sempre regali. Adesso vai a riposare tranquillo», e mentre tolgo la parrucca, la mia mamma scompare dallo specchio. Prendo dalla borsetta il regalo per la mamma, faccio scivolare dal corpo il corto vestito da donna, che mi fa solo da travestimento per attirare gli uomini che sono talmente ossessionati dalle giovani donne disponibili tanto da tradire la propria moglie, e infine apro la scatola posta sul lavandino, dove metto il dono per mia madre; l’anello nuziale di quell’uomo, di cui ho già dimenticato il nome e del quale sentirò parlare alla televisione, si mescola insieme a tutti gli altri. Ricordo cosa mi ha detto prima la mamma e mi corico sul letto, senza fare la doccia, svestito e sopra le coperte per il grande caldo che c’è in questi giorni; sistemo il cuscino in modo che la mia guancia sinistra stia comoda come quando dormivo nel lettone con mamma mentre lei piangeva, sospiro felice di ciò che ho fatto e le rivolgo le mie ultime parole prima di addormentarmi.
«Cara mamma, dovunque tu sia lassù in cielo, puoi riposare in pace e senza pensieri perché tuo figlio ti ha protetto anche questa notte; non devi più preoccuparti di quel marito che ti tradiva, di quell’uomo che ti picchiava, di quella persona che non ti rispettava come donna e madre, perché la sua anima si è dissolta nella sofferenza mentre si poneva la domanda su cosa sarebbe successo se fosse stato fedele. Non temere: ogni volta che tornerà, io ucciderò ancora mio padre.»





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