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Autore: steffirah    04/11/2018    2 recensioni
Sette fiori che parlano con il loro linguaggio, sette storie improntate sull'amore, che sia già sbocciato, che stia fiorendo, che debba ancora germogliare.
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[Raccolta di one-shot che seguono i prompt della SyaoSaku week che cadeva dal 23 al 29 luglio 2018]
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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僕達の力を合わせてる


 
La ragione per cui mi trovavo ad Hong Kong era molto semplice.
Quando ero bambina venni qui in viaggio insieme a mio padre e mio fratello maggiore e mentre il primo si occupava dei suoi scavi noi fummo affidati ad una sorta di balia che ci fungeva anche da guida turistica. La signorina Yu Yan, infatti, ci portava sempre in giro, un giorno ci permise di andare anche sul posto di lavoro di papà, così che potessimo vedere di cosa si stava occupando. La sera ci faceva divertire accompagnandoci ai parco-giochi oppure facendoci assistere agli spettacoli di luce sulla baia, mentre durante l’arco della giornata visitavamo un po’ di tutto tra templi, giardini, quartieri e mercatini.
All’epoca avevo appena compiuto sei anni, quindi è naturale che col tempo molti ricordi fossero sbiaditi. Ciononostante alcune cose mi rimasero vividamente impresse, come l’allegria e la vivacità della città. I mille colori che la dipingevano. Gli immensi edifici che sembravano sfiorare le nuvole. Le voci accese e acute degli abitanti, che talvolta suonavano come una cantilena. Erano tante canzoni per me indecifrabili, ma mi divertivano e, in qualche modo, mi rallegravano, facendomi sentire a mio agio seppure mi trovassi in un Paese straniero. Le luci che rischiaravano la città dopo il tramonto, rendendola persino più luminosa di quanto fosse di giorno. Gli odori e i cibi, così differenti da quelli a cui ero abituata, così vari, come se lì vi si mescolassero diverse tradizioni. Per quel che ricordavo c’era in effetti una zona traboccante di modernità, dalle caratteristiche totalmente occidentali; ma c’era anche una parte antica, legata alle tradizioni. Ed era legata proprio a quest’ultima la ragione per cui quel giorno, a distanza di tanti anni, mi trovavo di nuovo lì.
Un lunedì, durante un giro con mio fratello e la signorina Yu Yan, costrinsi entrambi a fermarsi dopo che mi fui arrestata sul posto, stupefatta. Udivo a poca distanza rumori di legno colpito, respiri pesanti e una voce maschile che batteva un certo ritmo, accompagnandola con le mani. Incuriosita da cosa potesse essere mi guardai intorno, alla ricerca delle origini di essa, supponendo che si trattasse di una danza e, in tal caso, trepida di assistervi.
L’unica cosa che attualmente ricordavo era un campo di verbena ai piedi di una scalinata; la salii ignorando i richiami di mio fratello e i rimproveri della signorina finché, una volta in cima, non raggiunsi un cancello in legno, d’un marrone consunto. Attraverso esso vidi diversi bambini di varie età, abbigliati tutti allo stesso modo seppure con tonalità diverse, alle prese con un palo di legno cui erano attaccati paletti a lieve distanza, mentre un uomo anziano vestito sempre con abiti tradizionali grigi ma lunghi camminava in mezzo a loro, controllandone le pose e le mosse, aggiustandole occasionalmente.
Non avevo più idea di quanti ne fossero, fatto sta che i miei occhi si bloccarono per tutto il tempo su un bambino dagli occhi ambrati, in cui ardevano fiamme dorate. La sua immagine sopravviveva in me, come se allora l’avessi fotografata nella mente e qui si fosse conservata, impedendovi quindi di sbiadire. Non sapevo dire con certezza cosa fu a colpirmi di più di lui: se fu il colore della sua casacca con la fascia in vita su pantaloni di tre tonalità di verde tanto simili a quelle degli occhi della mia adorata madre che ancora mi mancava, se fu la concentrazione su quel suo volto tondo da infante che sorprendentemente gli faceva acquisire un’aria quasi matura, oppure furono i colpi che tirava che ai miei occhi sembravano impeccabili. A conferma di ciò, quello che col tempo avevo compreso essere il loro maestro gli si avvicinò, dicendogli qualcosa di incomprensibile con un grande sorriso a tingergli le labbra. Doveva essere un complimento perché il viso del bambino sconosciuto si illuminò come il sole. Mise un pugno nell’altra mano facendo un inchino, quasi fosse un saluto, e poi si voltò, incrociando il mio sguardo.
Per un attimo mi sentii mancare il fiato, colta in flagrante a spiarlo. Ero certa che se la sarebbe presa, ma a parte fissarmi sorpreso e, contemporaneamente, interrogativo non disse una parola. Non mi svelò. E non ebbe effettivamente neppure il tempo di aprire bocca, visto che mio fratello mi acciuffò, portandomi silenziosamente via di lì.
Da quel giorno, nonostante fossero trascorsi ben 12 anni, non mi diedi pace. Da autodidatta imparai la lingua che si parlava a Hong Kong, il cantonese, e fortunatamente sul web conobbi una ragazza simpatica che mi aiutò nell’apprendimento, il cui nome era Li Meiling. E da lei ero ospite mentre mi trovavo qui, con il pretesto di studiare all’estero e l’intenzione di ritrovare quel bambino ormai ragazzo – sperando ardentemente che non avesse lasciato il Paese. Tuttavia il mio cuore mi suggeriva che non stavo sbagliando: tornare lì era stata la decisione migliore che avessi mai preso perché sentivo che proprio lì sarei riuscita a rincontrarlo.
Durante il soggiorno la mia amica Meiling mi funse da guida turistica e un pomeriggio, mentre eravamo in giro, quando le descrissi al meglio il luogo verso cui ero diretta affidandomi al meglio alla mia memoria fotografica, prendendo a riferimento elementi del paesaggio e diversi negozi, lei ne parve sorpresa.
«Sembra la scuola di wing chun che frequentavo» mi disse, prima di condurmi lì. E in effetti, la verbena fiorita era esattamente dove la ricordavo, solo più rigogliosa, avvolta da più erbaccia. Le scale erano un po’ più grigie e consumate dagli anni, ma il cancello era diverso da quello dei miei ricordi, in legno dipinto di rosso, dai bordi smussati.
Meiling decise di entrare per farmi dare un’occhiata all’interno e, conoscendo il suo vecchio maestro, avere l'opportunità di salutarlo; mentre parlava con lui ne approfittai per guardarmi intorno. Osservai scrupolosamente tutti gli allievi mentre si allenavano, senza però riuscire a scorgerlo da nessuna parte.
Ero un po’ giù di morale quando ci allontanammo, ma ciononostante mi mostrai attenta a ciò che mi riferiva la mia amica, partecipe della sua gioia nell’aver rivisto il maestro Wei.
Quella stessa sera mi promise di portarmi al festival delle lanterne, dove mi avrebbe fatto conoscere i suoi cugini, particolarmente “Xiaolang” visto che era nostro coetaneo, cui sembrava essere molto affezionata. Anche in passato mi aveva parlato spesso di lui e da quel che potevo discernere dai suoi racconti sembrava una persona dall’animo molto gentile. Sarei stata veramente lieta di fare la sua conoscenza, sebbene mi sentissi un po’ triste e delusa dal mio fallimento. Dove potevo ritrovare quel bambino che aveva il miele nello sguardo?
Durante il festival, non sapendo bene come, persi di vista Meiling e finimmo con l’essere separate. Procedetti per un po’ per le strade da sola senza scoraggiarmi, bloccandomi dinanzi ad un palchetto su cui delle fanciulle con abiti fiammanti si stavano esibendo in diverse acrobazie. Ad una di queste, tuttavia, cadde un bastone, finendo tra il pubblico ai piedi di un uomo. Non mi piaceva la sua aria, sembrava un gangster, proprio come uno di quelli che si vedevano nei film; ma ancora meno mi piaceva la sua accusa di essere stato colpito in testa, rivolta contro quella povera ragazza del tutto innocente. Per questo, istintivamente, mi misi in mezzo, ponendomi dinanzi a lei, dichiarandomi testimone a suo favore e cercando di farlo ragionare. Altri due uomini con il suo stesso atteggiamento si alzarono in piedi ponendosi al suo fianco e io, dopo aver spinto indietro la ragazza, mi preparai a ricorrere alle maniere forti. Ecco a cos’altro mi aveva portata la mia curiosità infantile: a rimanere affascinata dalle arti marziali, di ogni genere, soprattutto quello che praticava il bambino, che avevo scoperto essere kung fu. Ma in madrepatria, avendo poche possibilità, mi limitai a prendere lezioni di karate.
Così colpii l’uomo di destra non appena fece un passo verso di noi e a malapena mi resi conto che tutt’intorno si stava creando scompiglio. Non volevo disturbare la quiete pubblica, ma non vedevo alternative se non combattere. Egli arretrò preso alla sprovvista, per cui potei occuparmi anche dell’altro di sinistra. Tuttavia proprio mentre ero occupata con questi mi accorsi contemporaneamente di due cose: il primo uomo si era ripreso e tornava alla carica contro di me, mentre quello che supponevo essere il capo si avvicinava pericolosamente alle ragazze. Atterrai frettolosamente quello che avevo di fronte con un calcio, ma non appena mi girai per proteggerle mi accorsi che qualcun altro mi aveva anticipata, allontanandoli.
Spalancai le labbra dinanzi a quei capelli indomabili del colore del cioccolato, quelle spalle larghe e quel lungo changshan verde. Mi dava le spalle, ma ancora una volta il mio cuore lo sentiva e coi suoi palpiti frenetici me lo suggeriva. Era lui. Lo avevo trovato.
Lo guardai col fiato sospeso, trovandolo a dir poco magnifico mentre lottava contro i due energumeni sferrando pochi colpi, sconfiggendoli entrambi in un battito di ciglia. I suoi movimenti erano così puliti, precisi ed eleganti, da sembrare passi di danza. Persino l’apertura delle sue gambe quando tirava i calci era impressionante, invidiabile. Lo trovavo bellissimo.
Seppure la mia attenzione fosse totalmente rapita da lui, con la coda dell’occhio mi accorsi che proprio quando stava per avere la meglio l’uomo che avevo atterrato aveva raccolto un pugnale da una bancarella, dirigendosi verso di lui. Che sleale!
Corsi afferrando al volo il bastone perso per sbaglio dall’acrobata, raggiungendolo proprio mentre il ragazzo si girava, probabilmente percependolo; ciononostante anticipai ogni sua mossa, colpendo il brutto ceffo sulla nuca con tutta la forza che possedevo.
Sospirai vedendolo perdere i sensi e mi voltai alla mia sinistra, verso di lui, immergendomi in un mare d’oro. Non mi ero sbagliata! Il cuore mi si riempì di gioia, la terra scomparve da sotto i miei piedi, l’aria colmò i miei polmoni. Mi sentivo un palloncino scoppiettante di emozioni e soddisfazione, soprattutto quando nelle sue iridi lampeggiò il riconoscimento.
«Tu sei… la bambina di tanti anni fa?»
«Ti ricordi di me?» domandai sorpresa, restando a bocca aperta. Quella era anche la prima volta che lo sentivo parlare. Rivolgendosi a me. Ricordandosi di me!!
«Occhi così non si dimenticano.»
Con un sorriso i suoi tratti spigolosi si addolcirono, somigliando di più al bambino che era, il bambino impresso eternamente nella mia memoria.
Mi morsi un labbro emozionata, prossima alle lacrime, non riuscendo a crederci. Mi sentivo così felice che mi sembrava il cuore volesse scoppiarmi.
«Sakura, ti ho trovata!» Meiling sbucò allora dalla folla, approcciandomisi di corsa, facendo scorrere lo sguardo da me al ragazzo. Avevo una storia abbastanza lunga da raccontarle, ma lei mi stroncò sul nascere: «Oh, vedo che hai già conosciuto Xiaolang!»
Sgranai gli occhi. Possibile?!
Gli rivolsi uno sguardo stupito e lui mi guardò altrettanto incredulo.
«Quindi sei tu l’amica giapponese di mia cugina?»
Scosse la testa, trattenendo il riso, come se cercasse di capacitarsene. Era assurdo, impossibile, incredibile, un miracolo anche per me.
Ma poi gli risposi con un sorriso presentandomi a dovere, mentre lui faceva lo stesso. Ciò poteva significare soltanto una cosa: che se non ci fossimo ritrovati per caso, il destino spinto dalle nostre memorie e i nostri sentimenti ci avrebbe in ogni caso condotti l’uno dall’altra.










 
Angolino autrice:
Perdonate il ritardo, ho ricordato solo adesso che oggi fosse domenica... E pensare che è anche una delle shot che preferisco in questa raccolta!
Traduzione del titolo: 
僕達の力を合わせてる (bokutachi no chikara o awaseteru) = unendo le nostre forze
Scusatemi ancora per l'orario, proprio prima di cena. E grazie mille a chi legge, sperando che stiate apprezzando queste piccole storielle :3

 
  
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