4
Progetti
Il ministro
delle finanze di Vanheim
era un uomo quasi calvo, decisamente anziano, fin troppo magro e con
una voce
cavernosa e roca. Spiegava concetti e strategie utilizzando
continuamente
metafore, e Sigyn ricordò distrattamente che suo marito lo
trovava divertente
quanto suo nonno insopportabile. Loki lo ascoltava con le mani
incrociate
dietro la schiena e lo sguardo attento, quasi volesse bere ogni parola
del suo
interlocutore, come se si fidasse ciecamente della sua opinione. Non
era vero:
ricontrollava minuziosamente conti e statistiche anche a costo di
rimanere
sveglio fino all’alba. In quei casi, lei si alzava un
po’ prima del sorgere del
sole con un lieve broncio sulle labbra, rimproverandogli dolcemente di
averla
lasciata sola. Poi lo cingeva per le spalle, lo baciava sul collo e gli
metteva
davanti una tazza di tisana calda fatta con dei semi che toglievano il
sonno e
rinvigorivano lo spirito (1). Lui non la ringraziava apertamente, ma la
fissava
con quei suoi occhi chiari increspando leggermente le labbra sottili in
un
sorriso.
“Ti
amo,” gli diceva lei. “Ti amo,
Loki: non ti stancare così tanto.”
Lui la studiava
in silenzio – una
volta Sigyn pronunciò quella frase e l’ingannatore
la scrutò con quel suo
sguardo rapace che dicevano avesse rubato a Odino in persona, e non le
rispose
– non lo faceva mai. No, di fronte a
quell’ammissione incondizionata e
coraggiosa, totale, lui non replicava, limitandosi a baciarla se
stavano
facendo l’amore o a sorriderle appena se erano in pubblico.
Ma, nella luce
incerta dell’alba, talvolta incassava quel tributo con meno
artificio del
solito e le prendeva la mano per posarle un bacio sul dorso liscio
– l’omaggio
di un cavaliere alla sua dama.
Passeggiando con
il vecchio nobile le
tornò in mente questo e altro ancora, come sempre. I
giardini attorno al
palazzo reale di Vanheim erano in fiore e regalavano lo spettacolo
magnifico di
una natura che traboccava di colori e odori.
“Mia
regina?!”
“Approvo
ogni punto del vostro
progetto,” si riscosse Sigyn, “tranne le misure
relative alle nostre difese.
Vanno aumentate.”
Il ministro si
fermò, stupito da
quella risposta che riteneva assurda. “A Thanos non
piacerà, mia signora, e
sarebbe una mossa del tutto inutile, lasciate che ve lo dica. Se
volesse
schiacciarci, manderebbe il solo in grado di sconfiggerci. Colui che
conosce
ogni varco, ogni debolezza del nostro esercito e del regno
intero.” Deglutì,
non osando aggiungere il nome della figura altera che gli si era
disegnata
nella testa.
Sigyn
piegò le labbra in un sorriso
amaro. Loki non veniva nominato apertamente nemmeno quando era ancora
il
principe esiliato di Asgard, il profugo inquietante che suo nonno aveva
accolto
in casa sua non in nome di qualche riguardo o favore, ma della
politica. Il
fabbricante di bugie, l’ingannatore, il figlio maledetto di
Odino; così lo
chiamavano le sue amiche quando venivano a trovarla per passeggiare in
quei
medesimi giardini, ridendo e bisbigliando ogni volta che incrociavano
l’Ase.
Com’è
il dio dell’inganno, cosa fa? È
crudele e spietato? Infastidita da quelle domande, lei fissava senza
capire la
figura altera di quello straniero che si muoveva con passo felpato
nelle sale
di casa sua e parlava fittamente con sua zia Freya. Non era che una
ragazzina,
allora, e di Loki le sfuggivano ancora troppe cose. Sapeva che doveva
guardarsi
da lui e temerlo, eppure era stato a quell’Ase che suo nonno
aveva chiesto il
favore di farla ballare, la sera del suo debutto a Corte. Sigyn non era
ancora
sbocciata come un fiore, nel lento passaggio dall’infanzia
all’età adulta. Si
sentiva impacciata, stretta com’era in abiti che non le
appartenevano e
rischiavano di farla sembrare ridicola. La giovane principessina di
Vanheim non
era bella come sua zia Freya, e ne pagava lo scotto rimanendo in
disparte in un
angolo della sala, ad annoiarsi e a riflettere su cosa le mancasse per
essere
come le sue amiche già belle e civettuole. A metà
serata, ricordò di aver visto
Njord chiamare con un cenno della mano Loki, bisbigliargli
all’orecchio
qualcosa indicandola. L’Ase si era voltato, aveva annuito
dopo averla squadrata
appena e si era diretto verso di lei tendendole la mano.
“Non
mi piace ballare,” aveva detto Sigyn
in fretta abbassando gli occhi.
“E a
me non piacciono le ragazzine
imbronciate. Tuo nonno desidera vederti al centro della sala, io
accontentarlo.” Loki le aveva preso la mano scostandola
finalmente dalla parete
per condurla verso il centro della sala. La sua presa era sicura,
decisa, ma a
suo modo fredda, libera da qualsiasi coinvolgimento. Eseguiva il
compito
assegnatogli con estrema efficienza, conducendola in giri e passi senza
alcun
tipo di trasporto, limitandosi a suggerirle dove fosse la pausa quando
lei,
agitata per tutte le paia d’occhi che la fissavano dubbiose,
smarriva il tempo (2).
Infine, Sigyn aveva rotto il suo silenzio.
“Si
aspettavano fossi diversa? Come
Freya?”
Lui
l’aveva squadrata rapidamente “Di
Freya ne abbiamo già una, non credi? Sei solo troppo
giovane,” si era lasciato
sfuggire, e lei aveva abbassato gli occhi pensando a quello che le sue
amiche
le avrebbero detto il giorno dopo – che il bel dio
dell’inganno l’aveva
invitata a ballare solo per compiacere suo nonno.
Era stata
felice? Il suo cuore aveva
accelerato i suoi battiti, mentre lui la faceva volteggiare? Meno di
quattro
anni dopo, lui non l’avrebbe deliberatamente invitata a
ballare, ma sarebbe
rimasto in un angolo a scrutarla, mascherando abilmente
l’attenzione selvaggia che
riservava a ogni suo gesto per poi venirla a cercare in qualche angolo
remoto e
buio del palazzo, strappandole baci lunghi e intensi che erano un
accarezzarsi
di labbra e di lingue, sfiorandole il corpo sottile e tremante sotto la
seta
dei suoi begli abiti colorati, finché il desiderio non
avrebbe annebbiato gli occhi
di entrambi. Cosa rimaneva in quei momenti di lei, di Sigyn? La voglia
che lui
andasse avanti. Che ne facesse, finalmente, la sua amante. Allacciata
alle sue
spalle, non poteva fare a meno di desiderarlo, di cercarlo, di
baciargli la
pelle parzialmente protetta dal colletto della tunica, di passare le
dita sulla
schiena dritta e altera. Di sceglierlo, perché si era
insinuato nel suo cuore e
nelle sue vene – perfido dio
dell’inganno, mi sono innamorata di te e non dovevo, ma
è successo e non riesco
a dimenticarti, né lo voglio.
(3)
“Loki
Laufeyson,” disse Sigyn
scacciando dalla sua testa il ricordo dei baci rubati, dei sospiri
spezzati,
“non è invincibile, come nessuno. Ce lo ha
insegnato lui stesso, mio caro
ministro, quando ha costretto Asgard e Odino a trattare con noi da
pari. Più
che invocare il suo nome come fosse un talismano in grado di
proteggerci,
dovremmo raccogliere ciò che di buono ci ha lasciato, io
dico, e farne tesoro.”
Il ministro la
guardò a lungo, prima
di rispondere. “Siete saggia, mia regina. E fedele.”
Lei
annuì con un cenno lieve del
capo. Leveresti la tua spada verso questa
terra che hai contribuito a rendere grande, amore mio? Contro la casa
di tua
moglie e dei tuoi figli? Lo faresti, se Thanos te lo ordinasse? Era,
questa, una domanda muta che Sigyn si era già posta infinite
volte. Ogni volta
che i suoi bambini si stropicciavano gli occhi e sbadigliavano
perché era
finalmente giunta l’ora di alzarsi, si chiedeva se quello
sarebbe stato il
giorno in cui il Titano avrebbe ritenuto Vanheim un possedimento
inutile,
indegno di vivere. Sonje arricciava le labbra replicando
inconsapevolmente il
broncio di Loki, Vali la fissava con i suoi begli occhi verdi, e lei
giurava a
se stessa che avrebbe fatto ogni cosa per proteggerli e credeva,
sì, lo
credeva, che anche il dio dell’inganno avrebbe fatto lo
stesso. Doveva essere
così.
“Con
l’acciaio dei Nani costruiremo
anche delle armi,” soffiò. “Non
rimarremo inermi, in attesa che il Titano si
stanchi della nostra presenza. Vanheim c’era prima di Asgard
e continuerà a
esserci anche dopo.”
***
“Spie.”
Thor ripeté quella parola
accarezzandone il senso crudo e inequivocabile, mentre Loki continuava
a
fissarlo con quel suo sguardo aguzzo e terrificante. C’era,
nei suoi occhi, una
luce nuova, diversa. Un brillio folle che il tonante non vedeva da
molto,
troppo tempo negli occhi di suo fratello, ma che non aveva dimenticato
mai,
nemmeno per un momento. Era il sintomo più evidente della
stessa furia cieca
che aveva convinto, un giorno lontano, Loki a recarsi a Jotunheim
seguendo
sentieri noti a lui solo per proporre a Laufey in persona uno scherzo
che si
sarebbe rivelato anzitutto crudele e, che per un contrappasso amaro,
avrebbe
trascinato l’ingannatore stesso in un abisso di follia e
disperazione e rabbia
(4). Una scintilla di cui il giovane e arrogante Thor non si era
accorto, che
il vecchio Odino aveva tragicamente sottovalutato e che ora brillava
lì, di
nuovo davanti a lui, coperta dalle sopracciglia corrucciate del suo
inafferrabile fratello.
“È
per questo che non devi mai più
metterla in mezzo,” disse Loki a denti stretti.
“Noi possiamo crepare anche
domani, Thor. Siamo guerrieri Asi e la morte non ci spaventa, ma lei, lei la devi lasciare fuori. Vanheim
esiste ancora perché Thanos non ha il tempo materiale di
vedere quale regno gli
è utile e quale, invece, no.” (5)
“Pensavo
lo sorvegliasse per te,”
replicò torvo il re della distrutta Asgard fissando negli
occhi suo fratello.
Fu tentato di bere ancora la pessima birra, ma il sopracciglio inarcato
dell’altro lo fece desistere quando già le sue
dita sfioravano il manico del
boccale. “Davvero crede che non ti importi nulla di
loro?”
Stavolta fu
Loki, a fissare il
liquido ambrato. “Vanheim esiste ancora anche
perché così può ricattarmi meglio. La
distruggerà davanti a miei occhi o
testerà la mia immortale
fedeltà
facendomela radere al suolo,” ammise il dio degli inganni e,
nel pronunciare
quelle parole, abbozzò un sorriso triste, pesante come un
macigno. “Non
permetterò che si ricordi prima del tempo
dell’arma che ha in mano,” soffiò, e
quelle parole suonarono, alle orecchie di Thor, come delle minacce
nient’affatto velate. (6)
“Non
potevo farne a meno, lo sai.
Dovevo contattarti e tu eri sparito.” Thor aveva risposto in
maniera stizzita,
irritato, come sempre, dalla querula perfida di del fratello che voleva
sempre
avere ragione, forte dei suoi ragionamenti precisi come il filo delle
lame
forgiate dai Nani.
“Finalmente
abbiamo un esercito, Loki.
Uno abbastanza grande da fermare una volta per tutte quel figlio di
puttana e
liberarci per sempre della sua presenza. Il momento in cui vendicheremo
Asgard
è finalmente vicino. E quello che hai concesso a Sigyn ci
serve. Con l’acciaio
di Nidavellir, il sole tornerà a
splendere su di noi.”
Le belle dita di
mago del dio degli
inganni tamburellarono sulla superficie unta del tavolo di legno.
Attorno a
loro, le voci strascicate degli avventori ubriachi si confondevano con
le grida
del locandiere intento a riportare l’ordine nel suo locale
sudicio e malamente
illuminato. Era il posto perfetto, per parlare di una congiura e di un
colpo di
stato. Il solo possibile, anche. Arricciò le labbra, incerto
se mettere a parte
il fratello di una notizia che avrebbe scalfito inevitabilmente
quell’incrollabile fiducia di cui Thor si ricopriva come
fosse un abito. La
cieca resistenza del dio del tuono, in qualche modo, era confortante.
Rendeva
possibile il crogiolarsi ancora nell’illusione che Thanos
potesse essere vinto,
sconfitto.
“Cosa
sa, lei?” Una domanda secca,
guardinga, pronunciata con filo tetro di voce. “Cosa sa lei davvero? Di quello che dobbiamo fare,
intendo.”
“Tutto
ciò che lei hai confessato
quando l’hai ripudiata. Che stai lavorando ai fianchi per
tradirlo.” Thor
avrebbe voluto aggiungere anche altro. Parlargli dei dubbi e delle
ansie che
avevano stretto il cuore della regina di Vanheim quando erano giunte
notizie cupe
e contrastanti sul suo operato, raccontargli di quanto stessero
crescendo Sonje
e Vali, condividere il ricordo del bambino con indosso la sua
bandoliera. Del
magnifico stupore che gli aveva letto negli occhi quando si era
specchiato con
indosso quell’accessorio troppo grande. Chiedergli il conto
del nervosismo che
Loki riusciva a malapena a sfogare con quel suo tamburellare leggero,
anche
quello voleva.
“Non
coinvolgerla ancora, Thor. Per
nessuna ragione.” Il dio degli inganni lanciò
un’occhiata torva al locale
ancora rumoroso nonostante l’ora tarda, alla gente sfatta e
con la testa
svuotata dall’alcool che dimenticava problemi e speranze
accanto a un boccale
colmo di chissà che schifezza.
“Siamo
tutti coinvolti.” (7)
Loki
continuò a guardare altrove, in
ogni luogo e in nessuno. “Ha chiesto ai Nani di fabbricargli
il guanto,
fratello.” Lo disse con una voce distante e priva di
emozione, ma Thor fu certo
di riconoscere un lieve sussulto nelle spalle coperte dal mantello
dell’altro.
Un brivido di terrore improvviso che, solo a osservarlo,
spaccò a metà tutte le
certezze con cui era entrato in quella locanda fetida e sporca.
“Io
c’ero,” proseguì Loki con voce
torva, “c’ero e l’ho visto ordinare che
fosse forgiata quell’arma tremenda.
Utilizzerà tutto quel
potere per spazzare
via metà dell’universo.” Si
leccò le labbra e tornò a guardarlo negli occhi
con
quelle sue iridi chiare capaci di trapassargli la pelle, entrargli nel
cuore,
leggere nella sua mente, forse. “Dicono che gli
basterà uno schiocco di dita.”
Rimase in attesa
della reazione
dell’altro, le labbra congelate in una piega amara che
raccontava di massacri
ed empietà: eccolo, il prezzo scottante della sopravvivenza,
del compromesso,
dell’attesa. L’obbedienza cieca, la saliva mandata
giù di fronte all’esecuzione
di un ordine particolarmente crudele, le catene invisibili che gli
impedivano
di essere ciò che era – caos,
nient’altro
che questo.
Thor
deglutì, pronto ad ascoltare le
nefandezze che certo sarebbero seguite. Ecco perché Loki
aveva mancato il loro
appuntamento. Aveva fatto carriera e il Titano aveva deciso addirittura
di
portarlo con sé. Le voci sinistre e perfide che lo avevano
rincorso nei lunghi
mesi in cui non si erano né visti né sentiti
tornarono a mordergli il cuore. Il
dio degli inganni aveva fatto ogni cosa lecita e illecita per rientrare
nelle
grazie di Thanos, perché l’unico modo che aveva
per sconfiggerlo era stargli
tanto vicino da poter respirare la sua stessa aria. Un compito
sgradevole e
oltremodo orrendo, che forse aveva avvelenato e corrotto ciò
che la bella e
fertile Vanheim era riuscita a curare con le sue lunghe primavere e gli
inverni
miti e placidi, che le labbra morbide di Sigyn avevano lenito nelle
dolci notti
che aveva condiviso con lui.
“Te lo
immagini, Thor?” Quasi
compiaciuto, Loki riprese a parlare con voce bassa e quasi trasognata,
sottolineando ogni parola con ampi gesti delle belle mani eleganti.
“Un solo
schiocco, un unico, semplicissimo gesto e metà
dell’universo sparirà senza un
ordine preciso né una regola.
Un’imparzialità devastante calerà come
una
mannaia su ogni anelito di vita. Chi sopravvivrà, non
continuerà a esistere per
merito, selezione o scelta, ma solo per un regalo del caso.”
C’era
una nota stonata, nel discorso
del dio dell’inganno. Un’agitazione strana, che
incupì il tonante. Si chiese se
non fosse ammirazione. Se, in qualche parte nascosta del petto di Loki,
il
piano del Titano non esercitasse un certo osceno fascino.
“Sarà
il caos,” lo provocò, per
testare una volta di più le intenzioni del suo alleato
più caro e del suo
nemico più terrificante.
Loki gli rivolse
un ghigno tetro, ma
dovette percepire l’improvviso dubbio del fratello,
perché si ritrasse poggiando
la schiena sulla sedia. “Sarà il caso a decidere
un ordine innaturale. Il caos
è diverso. È vita, possibilità,
incertezza, libertà.
Thanos vuole l’universo ai suoi
piedi. Vuole decidere cosa è giusto e cosa sbagliato,
pretende di conoscere la
ricetta giusta per la felicità e la
prosperità.”
“Tutte
cazzate.”
“Un’utopia
irrealizzabile e
pericolosa che sperimenterà sulla nostra pelle,”
precisò il mago, calcolando
mentalmente le probabilità che lo strettissimo manipolo di
persone di cui gli
importava qualcosa potessero sopravvivere allo schiocco. Quattro anime
che, secondo
un fato impossibile da decifrare, sarebbero potute sparire senza avere
nemmeno
il tempo di rendersene conto o, viceversa, avrebbero conosciuto quanto
costasse
sopravvivere all’incubo. Cosa sarebbe rimasto di Sigyn
– di lui stesso – se i
loro piccoli eredi fossero morti? Se lo schiocco, crudele e senza leggi,
ma
tutt’altro che neutrale, avesse spezzato proprio le loro
giovani vite,
distruggendo la perfetta combinazione con cui i lineamenti di lei si
erano fusi
con i suoi? Quante possibilità esistevano che tutti loro
fossero risparmiati? A
Thanos, che gli rinfacciava di aver perduto un’intera armata
di Chitauri, Loki
aveva risposto un tempo con furba arroganza che preferiva chiamare le
sconfitte
opportunità. Un
fallimento non era
che un tentativo andato male, da cui una mente astuta e brillante come
la sua
avrebbe potuto ricavare una futura vittoria; una scatola piena di
informazioni
e possibilità da custodire con cura. Un modo di ragionare,
questo, che aveva
difeso a testa alta per tutta la vita, ma che, da tempo, non valeva
più.
Perdere, adesso, voleva dire rischiare di veder svanire per sempre
qualcosa di
importante e immeritato.
Thor vide lo
sguardo del fratello
incupirsi, osservò la smorfia tirata che avevano assunto le
sue labbra sottili,
tagliate da un’antica cicatrice verticale che da tempo
s’era fatta bianca.
“Quante
gliene mancano? C’è chi dice
che le abbia prese tutte, chi sostiene che stia ancora brancolando nel
buio.”
“Una.
Gliene serve una. L’ultima.”
Loki lo disse articolando ogni sillaba con una lentezza estrema. Il
tempo non
era dalla loro parte, e nemmeno il destino. L’altro si
irrigidì, sorpreso da
quella notizia inaspettata e l’ingannatore gli rivolse un
sorriso triste e
breve. “Siamo in pochi, a saperlo,”
spiegò. “All’interno del suo stesso
esercito, solo uno stretto manipolo conosce il numero di gemme
effettivamente
raccolte e, cosa più importante, il suo piano idiota. Solo i
suoi generali più fidati,”
aggiunse arricciando le labbra
ironiche.
“Cos’hai
fatto per meritarti questo
privilegio dopo tutto quello che gli hai fatto?”
Il baccano,
nella locanda, pareva
destinato a non cessare affatto. Il dio degli inganni
giocherellò con una delle
monete che il fratello aveva poggiato sul tavolo per pagare la pessima
bevanda
ordinata. “Credo che tu lo abbia sentito dire in
giro.”
“Ho
sentito dire tante cose, Loki.”
Un lampo fugace
attraversò gli occhi
dell’ingannatore. “È abbastanza
probabile che siano vere. Dovresti preoccuparti di altro, tuttavia.
Delle spie
che circolano a Vanheim e negli altri luoghi dove gli Asi sopravvissuti
si sono
nascosti. Dell’ultima gemma che deve ancora
trovare,” suggerì perfido.
“Hai
un piano, a proposito?” Gli
occhi di Thor continuavano a essere puntati sul viso affilato e pallido
del
fratello. Era giunto il momento di rendere concreta la congiura, di
dare un
senso ai sacrifici operati dalla Resistenza che aveva tirato su con
fatica
negli ultimi, difficili anni. Asgard doveva essere vendicata, e
così tutti gli
altri regni o pianeti che erano stati ridotti in cenere dal Titano
pazzo.
Mentre le guglie della città degli Asi bruciavano, pochi
minuti prima di
arrendersi di fronte alla potenza di Thanos, Loki, citando un poema
antico, gli
aveva promesso che la sconfitta di quel giorno tremendo sarebbe servita
a
ottenere la vittoria in futuro. Il momento di mantenere quella promessa
era
arrivato, ma suo fratello continuava a essere quello che era sempre
stato: il
dio degli inganni ambiguo e inafferrabile, che poteva concedere il suo
aiuto
così come negarlo non perché fosse folle o
particolarmente crudele, ma per
seguire uno dei suoi piani rischiosi e azzardati, geniali e teatrali.
“Quando
Thanos radunerà tutte le
gemme e schioccherà le dita,” cominciò
a dire Loki, “non solo l’universo si
dimezzerà, ma anche il suo esercito. Il punto è,
fratello, che noi non avremo
alcun vantaggio da tutto ciò. La morte potrebbe portarsi
indistintamente via
sia i suoi generali che noi. Capisci, Thor?”
“E
quindi il tuo progetto qual è?”
L’ingannatore
smise di dedicarsi alle
poche monete sul tavolo. “La conoscenza ci salverà
e ci renderà liberi.
Dobbiamo impedirgli di usare
l’ultima
gemma, non di trovarla. E abbiamo bisogno che la voce di quello che
è davvero
il suo piano circoli ovunque e allontani quanti, assurdamente, ancora
lo
appoggiano. Useremo le tue spie. Quelle che si sono infiltrate in mezzo
alla
Resistenza, che vivono vicino a mia
moglie per controllarla, che sanno che sei qui, ma non hanno
idea di cosa
tu stia facendo, da solo in una locanda,” aggiunse.
Thor si
guardò attorno. Suo fratello
era davvero invisibile a tutti tranne che a lui?
“Un’operazione delicata,”
commentò. Si ritrovò a sorprendersi come quando
era poco più di un bambino di
fronte all’incantesimo magnifico creato da suo fratello,
quell’essere geniale e
mutevole sempre in vena di fare scherzi con cui, da quando aveva
memoria, si
era ritrovato a dividere ogni cosa. Erano stati alleati, amici,
compagni di
stanza e d’arme. Avevano bevuto dallo stesso corno e si erano
guardati le
spalle così tante volte da non ricordarle tutte. Loki.
“Avrai
bisogno anche di un’altra
cosa, Thor.” L’ingannatore socchiuse leggermente le
palpebre, s’inumidì le
labbra, quasi cercasse le parole giuste da dire. “Di qualcuno
cui passare il
testimone in caso Thanos riuscisse a mettere anche l’ultima
gemma nel guanto e
noi venissimo scoperti e uccisi. La Resistenza deve proseguire anche dopo di noi. E di questo, vorrei non
facessi parola con lei,” precisò l’Ase
sollevando leggermente il mento altero,
quasi glielo stesse ordinando come il re che non era mai stato.
Fu allora che
Thor comprese. Si passò
una mano tra i capelli che ora teneva corti, masticò
un’imprecazione veloce
alle Norne beffarde. “Loki,” iniziò, ma
l’altro fu più veloce e lo interruppe.
“Gli
sottrarremo la pietra dopo che
l’avrà trovata e prima di metterla nel guanto e
forse moriremo nel farlo,
fratello. Ma è l’unico modo. Taglieremo
direttamente la testa al mostro con una
congiura ben fatta. Non sacrificheremo centinaia di migliaia di vite,
come
abbiamo fatto ad Asgard. Sarà un’azione rapida,
letale, velocissima: avremo una
sola occasione.”
“È
davvero il piano migliore che ti è
venuto in mente?”
Loki Odinson
increspò le labbra in un
sorriso laterale e breve. “Ho scartato a malincuore chiamate aiuto,” chiosò.
Continua…
L’angolo
di Shilyss
Cari Lettori che
siete
arrivati fin qua,
Voglio
ringraziare
tutti coloro che hanno recensito, preferito, ricordato e seguito questa
storia.
Grazie davvero, ogni riga è per voi ♥ Per quelli
che non lo hanno fatto, vi
ricordo che su Efp è possibile utilizzare delle liste:
usatele, non vi costa
niente e farete un Autore felice! ^^
Mi dispiace di
avervi
fatto aspettare tutto questo, ma prometto di aggiornare questa storia
con un po’
più di regolarità. Come avete visto, il canone
MCU è stato (e sarà) da me
plasmato e ridotto a qualcosa di totalmente differente da quanto avete
visto. Vi
avverto: nei prossimi capitoli succederanno
cose, e tante. La Fatina dell’Ispirazione necessita
sempre delle vostre
cure per poter spandere i suoi glitter! Per ulteriori info e un
po’ di
divertimento… c’è la mia pagina
facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/
Ricordo che Vanheim e l’Impero di Thanos così
come QUI sono intesi e descritti,
con questo ordinamento sociale,
politico e culturale sono una mia idea:
vi pregherei di non utilizzarla o, di inserire un disclaimer apposito
in
cui dichiarate i credits ♥. Anche
il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla
voce “Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
1 Una sorta di
caffè.
2 Per ballare,
occorre ascoltare la
musica e sentire il tempo.
3 Come viene
raccontato nella mia
long “Tutte le tue bugie.”
4 Come nel primo
Thor.
5 Come forse
ricorderete, nel cap. 1
Sigyn porge a Loki un biglietto che viene bruciato nel caminetto.
6 Qui e altrove
vengono citate delle
frasi tratte da Avengers: Infinity War.
7 Poteva mancare
Faber?
Shilyss