La dolce vita
Ho cercato di restare calmo e ragionare sul da farsi,
ho dato solo leggeri segni di squilibrio e apprensione,
ho guardato Ecli innervosirsi a sua volta e poi ridere ancora
e annientarsi in stanchezza e ho aspettato e pensato
prima di mettermi a urlare, prima di scendere,
prima di tornare sui miei passi e
alzare la musica a un volume improbabile
prima di realizzare che le bottiglie che avevamo ora sono davvero
vuote,
prima di aprire il cofano e il tappo malvagio,
prima di alzarmi equilibrista sul paraurti ammaccato,
prima di slacciare affannato i pantaloni che indosso
e urlare di nuovo mentre mi metto a pisciare.
(Tibe, Valido per due)
☆ PRIMA TAPPA
- Merda! –
Vittorio stava imprecando a voce alta mentre prendeva a pugni il
volante della sua auto d’epoca.
- Merda, merda, merda, merda, merda… - continuò e ad ogni “merda” corrispondeva
un colpo al manubrio, - MERDA! –
- Dai, Vittorio, calmati, - suggerì Luca, trattenendo a stento le
risa. Il ragazzo si era tolto le Converse blu e si era gettato contro lo
schienale del sedile; aveva anche poggiato i piedi, accavallati l’uno
all’altro, fuori dal finestrino.
La giornata era iniziata come una qualsiasi mattina estiva del sud
Italia: cielo azzurro e una temperatura che superava i ventinove gradi. Nonostante
questo, però, Luca era stato teso fino a quando non aveva sostenuto l’esame di
maturità; era sicuro di aver sproloquiato un po’ troppo sui poeti romantici ma,
malgrado ciò, era riuscito a superare quello scoglio con uno dei voti più alti
ottenuti quell’anno.
Uscito dall’istituto, con ancora indosso degli abiti più formali
del solito, il ragazzo aveva trovato Vittorio ad attenderlo fuori al cortile;
quest’ultimo lo stava aspettando seduto sul cofano della vecchia cinquecento
blu che utilizzava per spostarsi in città. Vittorio indossava un paio di jeans
comodi, una t-shirt di una band punk/rock e un paio di occhiali da sole scuri e
grossi.
Prima di raggiungerlo, Luca era rimasto a osservarlo da lontano un
bel po’ di minuti: era così bello e scenico che avrebbe potuto fare il modello.
Infine, Vittorio l’aveva notato e aveva fatto un cenno con la mano per
salutarlo.
- Ora sono ufficialmente un disoccupato, - affermò Luca, ridendo,
facendo un segno di vittoria con le dita della mano destra.
- Bravissimo, - si complimentò Vittorio, scompigliandogli i
capelli con un gesto della mano, - Allora qui bisogna festeggiare. –
- Sushi? – propose il ragazzo ammiccando.
Vittorio ridacchiò e si tolse gli occhiali, soffiando via un
ciuffo ribelle, - L’idea non è male, ammetterò che è una tentazione, ma avevo
altri piani… -
- Tipo? –
- Dai un’occhiata dietro, - disse Vittorio, scivolando per
rimettersi in piedi. Infilò le mani in tasca e fischiettò, in attesa di una
reazione da parte del ragazzo.
Luca aveva assunto un’espressione che sembrava essere accigliata e
aprì lo sportello della vettura con fare confidenziale, del resto sapeva che la
porta laterale sinistra necessitava di un minimo di forza bruta, e batté gli
occhi nel realizzare che i sedili posteriori erano coperti da casse d’acqua,
cioccolata, cd, un paio di libri, asciugamani, una tenda da campeggio, due
sacchi a pelo, coperte e un paio di zaini. Uno di questi ultimi aveva un’aria
familiare: somigliava a quello che Luca utilizzava alle elementari ed era azzurro
con dei dinosauri disegnati sopra.
- Ma questo… - farfugliò tra sé e sé, afferrandolo. C’era ancora
una vecchia targhetta cucita sulla spallina destra che diceva “Luca Caruso, III
C”, - Avevo detto a mamma di buttarlo. –
- Non l’ha fatto, - sentenziò Vittorio ridacchiando.
- E perché c’è tutta questa roba…? –
- Perché ora partiamo! –
Vittorio sembrò essere euforico all’idea, mentre Luca era un po’
più scettico, tant’è che assottigliò gli occhi nel guardarlo.
- Ho già avvisato tua madre che ti ha preparato lo zaino, con
tanto di sciarpa di lana perché non si sa mai, cit, e ci ha preparato il pranzo
da asporto: per smaltirlo ci vorranno tre giorni ma è stata molto carina! –
Luca rimase in silenzio accomodandosi sul sedile anteriore,
incrociando le gambe sul sedile; non sembrava mostrare emozione alcuna
nell’allacciarsi la cintura di sicurezza tant’è che Vittorio, preoccupato di
averlo deluso con quella sorpresa, si accomodò al posto del conducente e gli
rivolse un tono premuroso, - Se non ti va, però, il sushi è la perfezione! Ma
niente “all you can eat”, famo gli
chic e andiamo à la carte! –
- Sono senza parole. –
Vittorio l’osservò confuso e, seppur avesse fatto tutto con
l’intento di fargli una sorpresa e renderlo felice, si sentì come se avesse esagerato
e sembrò amareggiato.
- Luca… -
- No, davvero. Sono senza parole: ti sei organizzato con i miei
genitori e hai anche preso gli Sneakers. –
- Sono i tuoi preferiti… - commentò Vittorio.
- È... bellissimo, tutto questo, è veramente bellissimo: non ho
parole! –
Il medico rilasciò il fiato un sospiro e lasciò che il suo viso si
schiudesse in un sorriso dolce, - Meglio così. Abbiamo tanti chilometri da
fare! –
- Dove andiamo? C’è anche lo spray per i morsi di zanzara? –
- C’è tutto, ho perfino un unguento per le ustioni e il kit per le
suture. –
Luca sorrise e batté le mani felicemente, - E allora, dove mi
porta, chauffeur? –
- Verso l’infinito e oltre, - ridacchiò Vittorio, indossando
nuovamente gli occhiali da sole; successivamente accese il motore dell’auto e,
con una breve manovra, lasciò il cortile dell’ormai ex scuola di Luca.
☆☆☆
Con quell’auto d’epoca Vittorio non poteva prendere l’autostrada,
ma questo non avrebbe impedito ai due di raggiungere la capitale d’Italia con
delle strade secondarie: c’avrebbero impiegato un’ora in più ma sarebbero
ugualmente giunti alla meta.
Questo, almeno, era il piano originale e così sarebbe stato se non
fosse che l’automobile, senza alcun motivo plausibile, si fosse fermata nel bel
mezzo di una strada statale persa nel nulla.
Prima che si scaricasse totalmente lo smartphone di Luca li
segnava a “Vignarola”; il sole stava tramontando e su quella strada non
sembravano esserci case o luminarie.
- MERDA, - urlò ancora Vittorio, battendo con forza la testa
contro il volante.
I due si erano frequentati per circa un anno e Luca non l’aveva
mai visto perdere la pazienza, anzi, i suoi nervi sembravano essere saldi in
ogni situazione, anche quella più angusta e complessa. Era una dote che gli aveva
invidiato per mesi dato che, suo malgrado, lui era piuttosto irascibile e
permaloso.
- Vittò, - lo chiamò
Luca, poggiandogli una mano sulla spalla, - Dai, non fare così. Troveremo una
soluzione, - disse il ragazzo in tono calmo.
- Se, lallero, - sbuffò
Vittorio.
Un’altra cosa che Luca aveva notato era che, in momenti di forte
stress, Vittorio iniziava a parlare con un forte accento romanesco: era un
accento che, in realtà, il ragazzo adorava.
- Abbiamo i telefoni scarichi. La powerbank è tipo morta e questo
cesso a pedali ha deciso di fermarsi proprio adesso. Nel mezzo del nulla. Senza
un cazzo di cenno! –
- Facciamo così: mettiamo il triangolo d’emergenza, indossiamo i
giubbotti catarifrangenti e camminiamo un po’ a piedi. Magari troviamo qualcuno
che ci farà usare il telefono, o ci farà caricare il nostro… -
- Non lascerò questo catorcio da solo, qui, abbandonato in mezzo a
una terra! –
- Allora moriremo qui, - affermò Luca, lasciandosi scivolare per
stendersi meglio sul sedile.
Vittorio rimase in silenzio per dei minuti e poi si costrinse a
uscire dall’auto; si trascinò fuori, letteralmente, con la forza e, prima che
Luca potesse solo commentare con qualche altra frase motivazionale, il maggiore
dei due si avvicinò al ciglio della strada, si tirò giù la zip dei pantaloni e
iniziò a urinare, con lo sguardo perso nel vuoto.
Dall’auto Luca si schiaffeggiò la fronte e si impose di non
sbirciare; nel corso del loro frequentarsi si era chiesto più volte se Vittorio
fosse o meno omosessuale, e soprattutto se potesse davvero piacergli, ma nella
maggior parte dei casi aveva accantonato l’idea, ritenendosi inadatto e
inopportuno. Per dei secondi gli balenò nella testa l’idea di poter spiare
dallo specchietto ma si costrinse a non farlo.
Dopo quell’attimo di sbandamento, Vittorio ispezionò i dintorni
dell’auto e, ritenendo che non vi fossero perdite dal radiatore e che
probabilmente si trattasse di un semplice surriscaldamento, recuperò dal
bagagliaio il kit d’emergenza e il crick, per impegnarsi a emarginare il danno.
- Aspetta, - lo raggiunse Luca, - Indossa questo, - gli suggerì,
porgendogli un gilet catarifrangente. Ne mise su uno a sua volta e poi
aggiunse, - Ti reggo la torcia, ok? Che qui sta per fare buio. –
- Va bene, grazie, - sbuffò Vittorio nell’infilarsi quel capo,
sbuffando.
Era passato circa un quarto d’ora da quando Vittorio aveva messo
le mani su quel radiatore e, non solo si era sporcato del tutto, ma il buio si
era fatto molto più fitto e la fame più imponente.
Luca, però, era rimasto al fianco dell’altro, con quella torcia
tra le mani, sorridendo incoraggiante.
- Sai anche aggiustare un radiatore, - si complimentò.
- Sono un uomo dalle mille sorprese, - commentò Vittorio,
asciugandosi la fronte con il dorso del braccio.
Luca osservò quel gesto come se fosse un video rallentato e
deglutì, - Aggiusti cuori e radiatori? –
- Sembra il nome di qualche rubrica su una rivista gossip, - rise
Vittorio.
- Cuori&Radiatori: la rubrica a cura di Vittorio Salvemini,
pronto a sistemare qualsiasi tragica situazione che attanagli i vostri animi. –
- Ma… -
- No, no, ci sono. Cuori&Radiatori: se il tuo cuore perde, ci
sarà sempre… -
- …qualcuno a reggerti una torcia? – chiese Vittorio, guardandolo
di sottecchi.
Il ragazzo arrossì e si guardò intorno per distrarsi, poi annuì.
Vittorio sorrise e, dopo poco, si poggiò le mani sui fianchi,
sporcandoseli con un misto di olio e polvere.
- Ora dovrebbe andare. Proviamo? –
☆☆☆
☆ BONUS TRACK: ROMA (NUN FA LA STUPIDA STASERA)
- Vittorio, Vittorio! Come
here! –
Luca rise di gusto citando quello che era uno dei suoi film
preferiti. Non era mai stato a Roma, sebbene fosse la capitale del paese in cui
viveva e, dopo averci trascorso solo una giornata, si chiedeva già come avesse
fatto l’altro ad ambientarsi a Napoli. La Fontana di Trevi era uno dei simboli
della capitale e ammirata di sera aveva un fascino peculiare. La piazza che
l’ospitava era nettamente ridotta rispetto agli spiazzi larghi e più popolari
come Piazza Navona o Piazza di Spagna, eppure, in quel piccolo pezzo di città
si racchiudevano secoli di storie; la sola fontana aveva assorbito desideri e
speranze di miliardi di abitanti del mondo e ne custodiva i segreti bisbigliati
e pensati, in centinaia di lingue, in ogni singola goccia che versava per
congiungersi alle altre.
Vittorio era seduto su una delle insenature di pietra della
fontana; quando era sgombra di turisti e mercenari, il monumento riacquistava
quella maestosità che di giorno, alla mercé di fotografi improvvisati e
lucratori, sembrava perdersi. La vera beltà, però, era il sorriso di Luca che
saltellava felice intorno a quella fontana: sembrava estasiato, quasi come se
avesse realizzato il sogno della sua vita. Proprio per questo Vittorio non poté
fare a meno di assecondarlo e raggiungerlo a passo lento: diamine, quanto
avrebbe voluto afferrargli un braccio per tirarlo a sé e baciarlo.
Eppure gli sarebbe bastato continuare a guardarlo ridere e
zampettare.
☆☆☆