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Autore: Sokew86    25/11/2018    0 recensioni
Alberto pensò che Mauro avesse ragione e iniziò a studiare le persone davanti a sé per trovare un diversivo finché la comitiva arrivò alla sala numero 13, a quel punto il ladro piemontese disse sussurrò la parola in codice “Russell Crowe” attraverso al suo auricolare.Inconsapevole di quello che sarebbe successo da lì a poco, il direttore, entusiasta del successo, continuava le sue spiegazioni e nella sala numero 13 enfatizzò molto il mistero attorno gli oggetti presenti, tra cui proprio quello del Cofanetto Farnese.
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Pregiudizi criminali
Capitolo 4

Napoli, Museo di Capodimonte 02 settembre 2013 09.00 A.M.
Il museo di Capodimonte era illuminato da una meravigliosa luce autunnale, la temperatura era calda e umida … l’arrivo del vero freddo non avrebbe spaventato i napoletani fino alla metà d’ottobre, Alberto sorrise a quella vista.
    Questa volta si era infiltrato nel museo nelle vesti di un semplice blogger, Ciro D’aria, ed era pronto a scatenare l’inferno al comando di Mauro, con cui comunicava tramite una trasmittente camuffata in un apparecchio acustico, ciò non era l'unico aiuto ricevuto dal ladro: Mauro negli scorsi mesi aveva lavorato come operario per manutenzione della mostra a vantaggio di Alberto.
    La mostra era iniziata da mezz’ora ma c’era una folla che sembrava infinita e aveva occupato tutto il piano terra del museo, i soldati silenziosi controllavano la situazione mentre il direttore, che per occasione aveva fornito la sua collaborazione come guida turistica, stava radunando attorno a sé il gruppo delle persone interessate a quel servizio.
    La folla in gran parte si radunò a una delle statue più celebri dell’artista romano, Ercole e Lica, un enorme complesso monumentale che rappresentava un episodio famoso del semidio: Ercole, impazzito dal dolore procuratogli dalla tunica intrisa dal sangue avvelenato del centauro Nesso, scaglia in aria il giovanissimo Lica, che, ignaro, gliel'aveva consegnata su ordine di Deianira. Era un’opera dal realismo potente che chiunque,nel vedere Ercole afferrare il piede del povero Lica per scagliarlo in mare, si sentiva dispiaciuto per il ragazzo e intimorito dalla forza del semidio: Alberto guardò la statua con un’inquietante interesse, aveva la consapevolezza che avrebbe potuto fare la fine di Lica.
    Il direttore del museo invitò il gruppo a seguirlo, docilmente Alberto si accodò, esso attraversò le sale che Alberto aveva studiato in precedenza e il ladro iniziò a scattare fotografie per il suo “blog”. La mostra era apprezzata, tanto che tutti i visitatori intessevano lusinghe al museo e il direttore era soddisfatto dal successo, il suo umore era tale che, alla fine della mostra del Canova, propose al gruppo di continuare la visita per le altre sale e la folla accettò con entusiasmo, mentre Alberto gettò un’occhiata nervosa alla coppia di soldati dell’anticamera. La coppia era formata dal solito giovane e veterano ed entrambi non sembravano contenti per il quel cambiamento di programma, Alberto vide il più vecchio sussurrare qualcosa all’orecchio del collega, il quale annuì e accennò il saluto militare come per segno d’aver compreso.
In pochi minuti il giovane soldato parlò al direttore e si unì al gruppo osservando i presenti, senza accennare a un saluto e senza neanche sbattere, per un attimo, le palpebre. A quella scena una goccia solitaria di sudore scivolò al lato del viso di Alberto e quest'ultimo sentì un brusio nell’orecchio -Il piano cambia?-, la voce di Mauro era ridotta a un sussurro e Alberto cercò di sdrammatizzare, quel soldato voleva soltanto dire che avrebbe avuto tre uomini alle calcagna a tempo debito.
Mauro annuì preoccupato mentre Alberto e il gruppo continuavano la loro visita al primo piano seguendo l’ordine delle sale, il direttore continuava le sue belle spiegazioni e il pubblico, come impazzito, continuava a scattare foto a raffica al museo mentre il soldato si muoveva a distanza tranquillo, come se fosse stato solo un visitatore più lento ed era a poco meno di mezzo metro da Alberto.
    Si avvicinavano inesorabilmente alla sala 13, Alberto risentì un brusio indistinto al suo orecchio e Mauro, chiaramente allarmato, gli domandò -Sei sicuro di quello che fai? Quel tipo è troppo vicino-. Alberto pensò che Mauro avesse ragione e iniziò a studiare le persone davanti a sé per trovare un diversivo finché la comitiva arrivò alla sala numero 13, a quel punto il ladro piemontese disse sussurrò  la parola in codice “Russell Crowe” attraverso al suo auricolare.
    Inconsapevole di quello che sarebbe successo da lì a poco, il direttore, entusiasta del successo, continuava le sue spiegazioni e nella sala numero 13 enfatizzò molto il mistero attorno gli oggetti presenti, tra cui proprio quello del Cofanetto Farnese.
-... Questo cimelio possiamo definirlo un oggetto-fantasma, è stato menzionato una sola volta in un unico documento eppure, come potete vedere, esiste eccome, non è un oggetto immaginario-
Un visitatore ne domando l’uso e il direttore teatralmente rispose -Il suo scopo è rimasto un mistero che speriamo un giorno di risolvere … -
    Alberto guardò in alto e un sottilissimo strato di fumo si stava lentamente diffondendo con un movimento che assomigliava a una pittoresca danza: andava come previsto e restava solo il soldato da distrarre. Una vecchietta dalla maglia cobalto camminava a pochi passi da lui, sorretta da un bastone del medesimo colore, una coincidenza che forse faceva a caso suo.
-Non oserai farlo?- domandò sbalordito Mauro mentre fissava incredulo la scena dal suo PC, intuendo correttamente le intenzioni di Alberto.
-Lo faccio per l’Italia e se siamo in queste condizioni, è colpa delle vecchie generazioni- borbottò cinico Alberto e prese dalla sua giacca una penna stilografica, la tenne vicina al petto e la puntò alla base del bastone: una pallina minuscola uscì violentissima dalla penna e colpì il bastone facendolo vacillare mentre, nel frattempo, il fumo aveva raggiunto i dispositivi anti incendio.
    L’anziana persa l’equilibro e cadde causando un momento di confusione nell’intera sala, il soldato del gruppo si avvicinò a soccorrerla e poi ,improvvisamente ,come si risvegliasse il ruggito di mostro, gli antincendi iniziarono ad annunciare violentemente la loro presenza.
    Si scatenò il panico, la gente iniziò a gridare e i soldati in sala furono costretti a intervenire per calmarla persone mentre gli antincendi cominciarono a benedire con la propria acqua stantia i presenti.
Il soldato più anziano cercò di calmare la folla con la classica frase- È tutto sotto controllo- ma uno dei presenti obiettò,-Come fa a dirlo? Questo fumo aumenta invece di diminuire!- e il soldato si guardò attorno sbalordito, in pochi istanti e, non solo nella sala numero 13, si era alzata una specie di nebbia che offuscava la vista e il soldato intuì che qualcuno avesse utilizzato le caratteristiche del ghiaccio secco per causare quell’effetto.
-Seguitemi e non succederà nulla – ordinò mentre uno dei soldati più giovani sentì un lievissimo fruscio in direzione delle bacheche e, con il permesso tacito del superiore, corse a controllare per scoprire con sgomento il cofanetto Farnese scomparso.
    Nel panico chiamò il superiore attraverso la trasmittente annunciando il furto e fu incitato a iniziare subito le indagini perché il ladro non poteva essere andato troppo lontano e il giovane soldato riprese il suo sangue  freddo cominciando a osservare l'ambiente, dove poteva essere scappato il ladro? La nebbia che si era formata offuscava la vista e il soldato decise di aprire le finestre, corse verso la più grande e la spalancò sperando di poter eliminare velocemente tutto quel denso fumo. La differenza di temperatura tra quella interna del museo e quell’esterna era tale che creò un potente risucchiò d'aria e liberò l’ambiente, così da permettere al soldato di poter osservare una presa d’aria, sopra la sua testa, abbastanza grande da far passare un uomo di media corporatura. Il soldato non sembrò convinto della scoperta per l’ovvietà della scelta e non udiva nessun rumore estraneo, ma decise comunque di comunicare quella pista al sistema centrale della sicurezza del museo, nella speranza di poter controllare le condotte dell’aria e di bloccare eventuali uscite eppure la risposta che ricevé non fu quella sperata.
-Non possiamo, il protocollo dice che dobbiamo evacuare l’edificio in caso d’incendio-
-L’incendio è fasullo, c’è stata una manomissione delle prese d’aria per un furto- replicò il soldato duro e spazientito
-Mi dispiace ma la nostra priorità è mettere a sicuro i civili in ogni caso- replicò a sua volta il sistema centrale e il soldato scoraggiato terminò la telefonata, si guardò  attorno: il fumo aveva creato confusione e le guardie erano state costrette a far sloggiare i civili seguendo gli appositi percorsi, le uniche probabili vie d’uscita osservabili erano le finestre ma ciò era impossibile perché chiunque avrebbe notato un uomo arrampicarsi sia sul lato esterno sia quello interno del cortile, eppure … era l'unica possibile via di fuga,  escludendo i condotti d'aria. Il soldato si affacciò precipitosamente a entrambi lati dell’edificio per controllare se ci fosse qualcuno chiamando i suoi superiori e spiegò che il ladro probabilmente era riuscito a fuggire  semplicemente dalla finestra o ,forse, utilizzando i condotti d'aria.
    Mentre succedeva tutto questo, il rumore degli allarmi distruggeva le orecchie di Alberto che respirò profondamente creandosi un fugace attimo di pace, poi indossò la maschera della sua tuta e si calò dal lato del museo nascosto dall’ombra di un bel e fitto bosco. La tuta che indossava l’aveva reso praticamente invisibile: era un'innovazione militare, un capo formato da piccolissime fibre di vetro che assumevano il colore dell'ambiente circostante e Alberto si era trasformato in una macchia rossa,perfettamente camuffata, tra le tegole del tetto del medesimo colore.
-Mauro, sei in posizione? – ,domandò e un brusio di riposta arrivò al  suo orecchio.
-Distruggi la trasmittente- gli ordinò- Saprai se sono vivo dai giornali- e detto ciò distrusse nella mano il suo finto auricolare tenendo i resti per sé.
Alberto scomparve nei boschi, mentre Mauro travestito prendeva il suo ruolo come il blogger Ciro D’aria che, insieme alla folla evacuata, sarebbe stato interrogato e rilasciato per la mancanza di prove che l’avrebbe reso pulito.

Città del nord, 08 settembre  2013 10.00 P.M.
Alberto, a costo di sentirsi un po’ banale, era felice di essere tornato a casa tutto intero: gli ultimi due giorni trascorsi erano stati pieni perché aveva dovuto essere molto abile e scaltro per rientrare in patria. Entrò in casa con il migliore degli umori ma, in un solo attimo, tutto cambiò quando vide la sua casa messa a soqquadro e rimase per un attimo fermo, sentendosi completamente violato e aggredito. Il tappeto del corridoio era aggrovigliato su stesso come se fosse stato trascinato dal passo di troppe persone incuranti e, sulla destra, dalla porta della cucina faceva capolino una sedia rovesciata.
    Alberto richiuse gli occhi e respirò profondamente, quando li riaprì non era più sbarrati dal terrore o dalla sorpresa, erano penosi e afflitti e con grandi passi si diresse nella stanza più importante della casa. Gli tremavano le mani mentre apriva la camera della sua figliaccia e quando la trovò anche in essa in disordine, si sentì angosciato nella profondità della sua anima. L'odore penetrante di chiuso confermava dolorosamente le paure di Alberto che aprì violentemente la finestra della camera, cercando di scacciare quell’orribile odore di chiuso insieme alla sua angoscia, mentre la rabbia offuscava lentamente lo sguardo nei suoi occhi.
    Lentamente entrò nella cucina della sua casa, dove regnava il caos più totale invece della tranquillità familiare, e dal banco di lavoro prese il telefono, quello stesso telefono con cui Giuditta avrebbe chiamato una pizzeria d’asporto, e compose il numero del suo demonio personale - Dove è la mia Giudi?- disse appena sentì di essere stato collegato, la sua voce sussurrante tremava per la rabbia e sentì la sua odiata nemica ridere silenziosamente.
-Non è mai carino prendere il numero di una donna senza il suo permesso, dovresti saperlo, nonostante tutto -, la voce di Michela non era mai stata così dolce nei suoi confronti , Alberto la udiva picchiettare ritmicamente con le dita su qualcosa e Alberto riusciva a immaginarla con un’espressione trionfante.
-Mi complimento per la tua capacità di scoprire l'ubicazione della mia casa... - iniziò acido Alberto - Molto brava Michela ma dimmi dove è?-
Michela, dall’altra parte del telefonò, si alzò dalla sedia su cui era seduta e sbatté la mano violentemente su un tavolo e disse con tono di voce gentile ma fermo-La domanda giusta è che cosa voglio, ladro-.
-Fammi parlare con lei- il tono di Alberto assunse, senza volerlo, una sfumatura di autentica pena e ormai chiaro che stava cedendo al peso della situazione.
-Le condizioni non sono a tuo favore, ascoltami prima- ordinò perentoria la donna, un sorriso di fredda soddisfazione comparve sulla sua bocca, e si ritrovò a pensare che fosse un vero peccato a non aver lasciato delle telecamere nella casa del ladro, avrebbe voluto tanto vedere spegnersi quel sorriso ironico che l’aveva reso tanto famoso.
    Alberto non provò neanche a replicare e tacque un silenzio lungo e ricco di significato, che assumeva due aspetti così diversi per le due persone coinvolte: la sconfitta e la vittoria.

-Cosa vuoi?- domandò Alberto avvilito e Michela ridacchiò, ben decisa a umiliarlo- Non sono tua sorella, sono un ufficiale e come tale devi trattarmi-. Alberto respirò a fondo, l’aveva sempre saputo che Michela non fosse una rivale sportiva e che alla prima occasione si sarebbe burlata di lui, era la dura legge dell’occhio per occhio a cui credeva fermamente la donna.
-Maresciallo Neri che cosa vuole in cambio di mia figlia?- la parola maresciallo si tinse del suo disprezzo ma Michela non sembrò offendersi e infatti la sua voce ritornò amabile, come era stata fin dall’inizio della conversazione.
-Voglio tutto , tutto ciò che io e miei uomini non abbiamo trovato: come avrai visto ti abbiamo già anticipato del lavoro-
    Alberto gettò un'occhiata di disprezzo e irritazione a quel disordine, che non aveva mai regnato sovrano in quella casa,e commentò sarcasticamente -Avresti potuto far mettere ordine ai tuoi uomini, la porta di casa non l'avete neanche scassinata-
-Quel dettaglio era parte del progetto di farti avere un impatto più teatrale al tuo ritorno a casa:certi cliché sono duri a morire- il divertimento di Michela aumentava sempre di più,assieme alla frustrazione dell'uomo.
-Immagino che tu abbia ragione- commentò furioso Alberto, ormai esasperato- Che cosa altro vuoi?-
-Tra due giorni, alle undici del mattino, consegnerai tutte le opere all’entrata della città di Teano, una città che ho scelto in tuo onore, e ovviamente vogliamo te: anzi io voglio te e dovresti sentirti onorato perché difficilmente ho desiderato un uomo-.
-Sono talmente onorato che piangerei- ogni minuto che passava metteva a dura prova il sangue freddo di Alberto e il suo disgusto per quella donna aumentava.
-Posso parlare con la mia figlioccia?- domandò infine con la voce piegata dall'angoscia ma dall’altra parte del telefono si sentì un lungo e prolungato silenzio e Alberto capì che quella era l’ennesima vendetta della sua nemesi e abbassò il telefono e pianse distrutto.

Teano, 10 settembre 2013 11 A.M.
Teano era un’antica città che sorgeva sulle pendici del massiccio vulcanico di Roccamonfina, nel territorio compreso tra la valle del fiume Savone e quella del torrente Rio Messera, e le sue costruzioni in mattone apparivano come parte delle insenature rocciose, l’intera città appariva come una fortezza.
    Un tempo era stata famosa per l'incontro storico,avvenuto durante la seconda guerra d'indipendenza italiana, tra il re piemontese Vittorio Emanuele e il generale Giuseppe Garibaldi, dove quest' ultimo aveva consegnato metaforicamente e letteralmente il Italia meridionale.

    Il maresciallo Neri era stata indubbiamente "amorevole"nella sua scelta: la città apparteneva alla regione Campania ed era ben lontana dal confine  ma ad Alberto non importava fuggire,voleva salvare sua figlia. L'incontro era stato fissato lungo la strada provinciale della città, esattamente dove si trovava il cartello turistico marrone che recitava "Teano", ed era stata bloccata per ragioni ignote ai civili mentre gli attori di quel siparietto si preparavano a mettere in scena uno spettacolo privato.
    Alberto era arrivato dal Nord con un anonimo e piccolo camioncino color bianco, a denti stretti s’imponeva di stare calmo perché una sua qualsiasi sciocchezza sarebbe costata la vita di Giuditta.Due jeep militari lo attendevano e in ognuna c'erano almeno cinque uomini, in quella che appariva come la più pretenziosa agli occhi di Alberto era guidata da una Michela trionfante e, ovviamente, armata come il resto dei suoi uomini. Alberto fermò la vettura a una decina di metri dalle due jeep e non accennò a uscirne: non vedeva Giuditta e fissò la sua nemica, la quale lo osservò per un lungo attimo e ,intuendo il suo freddo diniego, accennò un segno a uno dei suoi uomini che malamente tirò fuori Giuditta dalla parte inferiore del posto del passeggero.
Ad Alberto mancò il respiro alla scena, Giuditta era stata praticamente tra le gambe di un uomo per tutto il viaggio, quanta umiliazione aveva dovuto subire durante il suo rapimento? L'ira voleva divenire padrona della sua mente e delle sue azioni ma tentò di calmarsi intuendo che Michela cercava di fargli saltare i nervi.
    La donna scrutava il suo avversario e gli gesticolò di scendere ma Alberto la fissò con durezza, prese dalla sua tasca un cellulare e in attimo nell'abitacolo del Maresciallo si sentì una suoneria penetrante e la donna rispose. La voce di Alberto fu veloce e lapidaria, -Non mi muovo da qui, finché non mi portate Giuditta-,il maresciallo poteva guardare l’uomo mentre le diceva quelle parole, i suoi occhi erano due cerchi di fuoco e la mascella rimase rigida mentre l'uomo parlava.
-Ti ricordo che io a detto le regole -,Michela dichiarò quelle parole fingendo di guardare verso il finestrino, sentì un lungo e rabbioso sospiro da parte di Alberto, osservandolo poté vedere il suo viso pieno di sconforto per un attimo, per poi riprendere nuovamente la sua fermezza.
- Non uscirò da qui finché non sarò sicuro che rispetterai la tua parte dell’accordo- la voce di Alberto era ferma e dura ma ebbe un attimo di smarrimento, quando vide negli occhi di Michela passare uno sguardo divertito che la rendeva così temibile in quel momento.
    Senza nessun preavviso l’uomo che teneva prigioniera Giuditta aprì lo sportello della jeep e la spinse a terra, Alberto preoccupato si raggelò all'istante ma ,vedendo che l’uomo stava trascinando Giuditta verso di lui, si sentì sollevato … almeno non era stata sparata seduta stante. Il suo sollievo scomparve quando vide uscire il Maresciallo con la pistola in vista e dirigersi verso la ragazza a passo marziale e Giuditta guardò afflitta il suo patrigno: i suoi occhi erano sanguinei,un vistoso livido le copriva la guancia sinistra e la sua bocca era stata legata da una benda così stretta da averle causato delle abrasioni agli angoli.
    Senza pensarci due volte Alberto aprì la portiera della vettura e uscì, sentì l’aria sulla pelle e udì il suono inconfondibile di un caricamento d'armi: il piemontese aprì la giacca e mostrò di non essere armato e poi portò le mani in alto per dichiarare la sua inoffensività.
    Michela, ormai accanto a Giuditta, sorrideva con la stessa espressione che doveva aver la Dea Calì quando riceveva le sue vittime, con un gesto femminile invitò il ladro a farsi avanti e appena l’uomo le fu vicino gli domandò quasi curiosamente- Perché devi rendere tutto complicato?-

    Alberto non rispose, non sapeva che cosa dirle se non parole di disprezzo, che in quel momento erano troppo pericolose da pronunciare perché la vita di Giuditta era nelle mani di quella persona, docilmente si lasciò ammanettare mentre Giuditta fu smanettata e si lanciò ad abbracciare il patrigno. A quella ridotta distanza il padrino le sussurrò di andare alla stazione ferroviaria di Teano, dove un amico l'avrebbe riportata a casa, la ragazza avvilita accennò, nonostante la benda, a una protesta quando si sentì tirata dai capelli da Michela.
- Ho rispettato la mia parte dell'accordo ... -tuonò la sua voce prepotente e, senza degnare di nessuna attenzione al gemito di dolore di Giuditta, fissò negli occhi Alberto.
- .... È il momento della tua - e con quelle parole tirò nuovamente a sé la giovane, che faceva un grande sforzo a non insultarla, mentre Alberto con un groppo alla gola assisteva imponente alla scena, per quanto ancora avrebbe visto la sua figlia maltrattata? Alberto parlò con la stessa voce sconfitta di un torturato che cede al peso del dolore e disse che nel camioncino c'erano le restanti opere.
    Michela guardò sospettosa il veicolo e tendendo la ragazza sotto tiro, ordinò ai suoi uomini, tranne uno che andò con lei, di controllare il piemontese mentre lei trascinava  con sé la ragazza fino al camioncino bianco. Alberto sudava freddo ma rimaneva in un dignitoso e angoscioso silenzio mentre ascoltava l'orribile suono che producevano le scarpe trascinate di Giuditta. Michela spalancò violentemente la portiera del retro del camioncino e per poco non rimase a bocca aperta: seppur ristretti in uno stretto spazio c'erano i dipinti tanto ricercarti dalle due polizie della penisola e l'accompagnatore del maresciallo li autenticò. Con un sorriso divertito e ironico, la bella Michela si complimentò col ladro - Sei un uomo che sa sfruttare gli spazi- Alberto sorrise debolmente a quelle parole e anticipò il pensiero della donna dichiarando- Il cofanetto è sul sedile anteriore del passeggero- Alberto rimase a fissare la sua nemica mentre apriva la portiera , Michela gettò un'occhiata all'interno della vettura, individuò una scatola di cartone e al suo interno trovò il prezioso ninnolo avvolto in dei vecchi vestiti malconci.
    La donna scrutò quel manufatto a lungo e con sorriso di soddisfazione stampato sulla bocca, che significa molto per lei ,tranne il sollievo che non fosse andata perduta un'opera d'arte di quel valore, e si avvicinò nuovamente al ladro tenendo ben stretta a sé la sua figlioccia.
- Come mai era sul sedile?- domandò, questa volta, con autentica curiosità e Alberto le spiegò tranquillamente che, con tutta la fatica che aveva fatto per ottenerlo, gli sembrava un capriccio legittimo tenerlo con sé durante il viaggio della sua disfatta.
-Sei un uomo strano Alberto- commentò seccamente il maresciallo.
-Sono un estimatore dei piccoli capricci nella vita, non si può dire altrettanto di te- rispose per ripicca il ladro pentendosi amaramente della sua battuta, infatti, la donna colpì in faccia Giuditta, un chiaro avvertimento a tenere la bocca chiusa...
-Bene, portate il mio criminale alla jeep-, ordinò Michela ai suoi uomini e questi si sbrigarono a ubbidire, il rumore dei loro passi marziali si mischiò con gli urli soffocati di Giuditta e, appena fu tutto pronto, la ragazza fu spinta a terra e finalmente libera dalla stretta del maresciallo.
    Giuditta accennò ad alzarsi quando la voce autoritaria del maresciallo le intimò di stare ferma e sparire, la giovane fin troppo terrorizzata obbedì mentre con calde lacrime di rabbia le rigavano il viso, aspettò di vedere le auto allontanarsi per togliersi finalmente la benda dalla sua bocca e lasciare andare un urlo stridulo d'angoscia, mentre nei suoi occhi rivedeva all'infinito la scena del suo patrigno catturato.

Nota dell’autore:
Perdonate la formattazione differente del terzo capitolo e eventuale ma NVU mi sta facendo impazzire. Alla prossima domenica per l’ultimo capitolo ^-^
   
 
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