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Autore: Sokew86    18/11/2018    0 recensioni
Alberto pensò che Mauro avesse ragione e iniziò a studiare le persone davanti a sé per trovare un diversivo finché la comitiva arrivò alla sala numero 13, a quel punto il ladro piemontese disse sussurrò la parola in codice “Russell Crowe” attraverso al suo auricolare.Inconsapevole di quello che sarebbe successo da lì a poco, il direttore, entusiasta del successo, continuava le sue spiegazioni e nella sala numero 13 enfatizzò molto il mistero attorno gli oggetti presenti, tra cui proprio quello del Cofanetto Farnese.
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Pregiudizi criminali
Capitolo 3

Gagliola, Quartiere Posillipo, Napoli 15 agosto 2013 07.00 A.M
La zona della Gagliola era l’angolo più strano della città di Napoli che si potesse visitare, era nascosta nei meandri del quartiere di Posillipo e sembrava un piccolo villaggio di mare celato in una grande città: quel luogo aveva qualcosa di nostalgico con le sue piccole casette basse e bianche e un' unica strada ,una grossa scala in pietra, che conduceva a una baia dal mare cristallino. Alberto ispirò forte l’aria sentendo l’odore salmastro del mare e guardò con simpatia un grosso gatto tigrato con una coda a tinta unita, che si dondolava al sole nei pressi di una casa con una porta blu, a ridosso delle scalinate. Il piemontese tentò d'avvicinarsi per accarezzare l'animale e questo lo guardò indispettito, quasi offeso da quella violazione della sua area personale, ma Alberto non demorse e continuò ad avvicinarsi finché il gatto s’ingobbiò sulle zampe e ringhiò minaccioso.
-Non è una buona idea stuzzicare Virgilio, all’improvviso si udì una voce e apparteneva al padrone di casa dalla porta blu: un uomo vicino ai sessanta, dal viso olivastro regolare e i capelli grigi ben curati, che indossava una semplice maglietta a mezze maniche e dei jeans scoloriti. Alberto gli sorrise e questo ricambiò invitandolo a entrare in casa e Virgilio sgattaiolò via evidentemente ancora più offeso.

-Lascialo stare, è viziato- dichiarò il proprietario del gatto e Alberto poté finalmente salutarlo come si deve.
-Signor Mauro de Santis… - iniziò a parlare nostalgicamente Alberto scoccando due baci in successione all'uomo, quest'ultimo lo istruì a chiamarlo solo Mauro e lo invitò  a sedersi nel piccolo salottino di casa.
    Non era una casa molto grande osservò Alberto: era un bilocale, spartano, luminoso e decisamente modesto per il valore attuale che possedeva.
-Mi piace questa zona di Napoli -, disse Alberto guardandosi attorno, come se fosse stato ancora fuori all’aperto- Ogni volta che la vedo, rimango colpito da quest’oasi peculiare: sembra di essere finiti in un piccolo villaggio di mare-.
-Già … peccato che una casa qui costa mezzo milione di dollari magna- disse caustico il signor Mauro e Alberto replicò -Considerò ciò come una lezione su come non giudicare un libro dalla copertina-.
-Può essere- affermò Mauro che prese dal tavolo del salotto un pacchetto di Marlboro e l’offrì con un gesto al suo ospite che rifiutò fermamente,con grande approvazione del primo.
-Fai bene. Sai che quella pazza di Lucia aveva cercato di farmi smettere quando siamo stati amanti?- domandò Mauro.
Alberto negò divertito con la testa, non aveva mai sentito questa storia dal suo mentore.
-Ovviamente non ci è riuscita. Lucia aveva ragione: l’unico modo di cambiare un uomo è dentro la culla o se è un babbeo... -.
Dopo una lunga e profonda occhiata ad Alberto, il Signor Mauro costatò con non poca ironia- Infatti è riuscita a cambiarti. Da saccente e disoccupato studioso di storia sei diventato uno dei criminali più ricercati al mondo-.
Alberto ridacchiò – Quindi Lucia è riuscita a cambiarmi perché ero giovane quando la incontrai o perché sono un babbeo?-
-A ventisei anni si è sia troppo giovani e sia troppo babbei-, rispose prontamente l’uomo più anziano mentre Alberto,seccato, alzò le spalle - Riuscirò mai ad avere l'ultima parola con te?- domandò leggermente irritato e Mauro ghignò vittorioso- No, piemontese. Quest’abilità è il miglior dono che Dio mi abbia mai fatto, se vorresti battermi in una conversazione, dovresti venderti l’anima al diavolo-.
-Non è un mio desiderio. In questo periodo ho già abbastanza diavoli per ogni capello che ho-. De Santis osservò i capelli rasati di Alberto - Con quei capelli qualcuno almeno l’avrai eliminato -.
    Alberto non rise alla battuta, ma osservò l’altro che ispirò rumorosamente la sigaretta, appoggiò le braccia sulle ginocchia e domando con un tono di rimprovero, -Il museo di Capodimonte. Vuoi farti ammazzare!?- il suo acuto sguardo rendeva giustizia alla pericolosa situazione.
Alberto rimase calmo e con uno sguardo indifferente dichiarò di aver bisogno l'aiuto del vecchio amante di Lucia, i suoi occhi si spalancarono e l’uomo trattené il respiro per un attimo.
-Questa è bella! I tuoi colpi sono famosi proprio perché lavori da solo-.
-Qualche volta con un aiuto interno- specificò Alberto- Utilizzare come complice un ladro in prepensionamento è come utilizzare un fantasma: non si può parlare di complice-.
-Eppure dovresti sapere che non è un colpo interessante per me!-,tuonò Mauro e nervosamente spense la sigaretta, si alzò seccato dalla sedia e si aggirò per la stanza, lasciando un imbarazzato Alberto seduto.
-Vuoi ancora la tua adorata guerra?-,il volto di Mauro aveva un’espressione così seria che la sua pelle pareva si fosse trasformata in duro granito.
-Sai bene cosa voglio- disse docilmente Alberto preparandosi a un possibile rifiuto.
-L’unificazione... -,commentò sarcastico l’ex-ladro –Io sono tra quelli che sputano sulla vecchia bandiera a tre strisce-.
Un cipiglio di collera comparve sul volto di Alberto a sentire quelle parole, ma Mauro non parve voler venire incontro all'altro ladro e, infatti, gli ordinò -Non guardarmi così- si passò una mano tra i capelli, Mauro sembrava quasi esasperato da quell'argomento.
-Tu e Lucia l’avete sempre saputo che sono a favore della separazione. L’Italia meridionale ci è andata a guadagnare! Abbiamo dimostrato che l’unificazione del 1861 era stata una manna dal cielo solo per voi polentoni, che siete stati voi a distruggerci e ha costringerci alla fame, alla povertà e al beffeggio perenne-.
Mauro volse lo sguardo verso il vuoto ed emise un ringhio, un ricordo spiacevole aveva chiaramente occupato la sua mente.
-Terrone. Non mi sono mai sentito tale finché non stato al norde -.
Mauro rivolse il suo sguardo di dolorosa rabbia verso Alberto, - Non ho mai odiato tanto una parola-. Alberto fu costretto ad abbassare lo sguardo e delle infrenabili parole di scuse volevano uscire dalla sua bocca ma Mauro continuò a parlare.
-Ora non è più così, siamo più ricchi, più potenti e più efficienti di voi: le nostre vere doti sono uscite appena ci siamo liberati della piega dello stivale- la voce di Mauro era piena di orgoglio.
-Lo so- fu costretto ad ammettere sconfitto Alberto - So che la prima unificazione è stata un disastro e che l’Italia meridionale ha avuto dei vantaggi dalla separazione. Ma quanto durerà? Finché i potenti USA troveranno un modo di occupare il sud e l’UE allora troverà quello di occupare il nord. Allora ci mangeremmo le mani perché l’Italia tornerà a essere solo un’espressione geografica: non ci saranno più né la Repubblica Magna né il Regno Padano.-.Mauro si risedette ascoltando attentamente le parole di Alberto.
-L’unificazione che desidero è del tutto simile  a quella avvenuta negli stati germanici nel 19° secolo: una totale sottomissione che con il tempo si è trasformata in unità. Voglio che la Repubblica Magna conquisti il Regno così avremmo una potente Repubblica militare che nessuno potrà sottomettere.
Mauro non disse nulla e Alberto si sporse verso di lui e parlò appassionatamente- Con questa separazione lo sai che siamo ridicoli e che nessuno prende sul serio entrambe le due parti. Il Regno padano sta lì a chiedere l’approvazione dell’Europa come un cane, mentre la Repubblica ha un’alleanza sempre in bilico con l’America. La vostra alleanza si basa su vostro petrolio e sugli accordi su di esso che evitano la concorrenza diretta con gli USA-. Questa volta Mauro guardò sbalordito Alberto e quest'ultimo rincarò la dose.
-So che potete utilizzarlo per uso interno, ma che non avete mai avuto il permesso dalle “ Sette Sorelle” di venderlo o formulare qualunque tipo d'accordo commerciale che non sia stato in precedenza approvato-.
-È un’informazione riservatissima … - commentò turbato Mauro-Mi sorprendo della tua capacità- e Alberto, soddisfatto  da quelle parole, approfittò per continuare- ... Per tenervi questa alleanza avete dovuto far compromessi con l’America. Avete l’UE sul collo a causa della non considerazione  dei diritti umani nella Repubblica:sarebbe già intervenuto l’ONU, se non fosse che in realtà l’ONU non è altro che l’America che tenete buona. Se malauguratamente saltasse quest’alleanza vi ritrovereste in guai seri-.
Mauro sorrideva teso, era rimasto piacevolmente colpito dall’acutezza di Alberto e lo lasciò continuare senza accennare a una qualunque tipo di obiezione.
- Se tutta l’Italia tornasse unita, come una repubblica meno rigida, potrebbe riavere l’appoggio dell’UE e non sarebbe costretta a cedere ai ricatti dell’America-.
Mauro si rialzò dalla sedia e porse la mano ad Alberto dicendogli, -Complimenti sei riuscito a battermi in una conversazione, senza venderti al diavolo-, Alberto ricambiò la stretta e commentò- Chi ti ha detto che non l’abbia fatto?-, contraddicendo ciò che aveva dichiarato poco prima. Il Signor Mauro scoppiò in una fragorosa risata e, appena ripeté parlare, commentò canzonatorio- Quanto onore, piemontese- e si sfregò energeticamente le mani e dichiarò- Ti aiuterò in onore di Lucia e perché forse mi hai convinto a non vederti come un tonto, ma prima un po’ di colazione è d’obbligo e poi parleremo della “faccenda”-.
    Mauro finì tutta la sua discussione con un'altra espressiva stretta di mano e Alberto si sentì rasserenato di sapere di avere un alleato in quella città ostile. La colazione fu lauta e Alberto si convinse di essere ingrassato di un chilo soltanto con quella, ma quando sono offerte le specialità culinarie napoletane, sono difficili da rifiutare.
-Hai gradito?- domandò Mauro premuroso mentre Alberto riuscì appena a boccheggiare un sentito grazie, privo di qualsiasi eleganza e il padrone di casa soddisfatto preparò del caffè.
    Mentre bevevano il caffè iniziarono a discutere della faccenda,Alberto gli espose tutto quello che aveva visto nel museo e che cosa gli interessava rubare, gli disse dei dubbi su un eventuale colpo e dei rischi di infiltrarsi come soldato.
-È una pessima idea. Non sono poliziotti, sono militari. Non si faranno mai fregare da un trucchetto del genere- aveva decretato il signor Mauro senza nessuna delicatezza- Non mi stupirebbe se ti facessero fare qualche rito militare per capire se sei un infiltrato-. Alberto concordò con l'ipotesi e iniziò a esporre anche i suoi dubbi su un eventuale colpo notturno.
-La sicurezza notturna … - iniziò il ladro piemontese-... è troppo sofisticata. Per questo l’ideale sarebbe fare il colpo proprio alla mattina della mostra, la sorveglianza sarà numerosa, ma almeno quei dannati sensori saranno programmati a essere meno sensibili, altrimenti con il pubblico vasto ,che ci sarà in sala, gli allarmi impazzirono per un non nulla-.
Mauro guardò l’altro dubbioso- Eppure la sorveglianza dei soldati ti dovrebbe fare più paura. Hai pensato di fare il colpo come quelli dell’urlo di Munch?-. Alberto cambiò posizione sulla sedia evidentemente infastidito dal pensiero- Entrare dentro armato e minacciare tutti ,come se fosse un furto della gioielleria? No, la mia reputazione ne risentirebbe e soprattutto, l’abbiamo già detto, le guardie del museo sono dei militari … non esiterebbero a far saltare il cervello a qualunque rapinatore-.
-Hanno il permesso d’avere il grilletto facile. Resta solo l'inganno ma la tua paura è di non riuscirci-.
-Soprattutto se c’è Michela Neri, sono sicuro che quell’arpia riesca ormai a percepire il mio odore come la bestia che è-, disse duramente Alberto.
    Il signor Mauro non rispose, riprese da tavolinetto del suo salotto un’altra sigaretta e iniziò a fumare nuovamente, degli irregolari cerchi di fumo uscirono dalla sua bocca.
Alberto si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra, da lì non c’era nessun bellissimo panorama, però udiva l’infrangersi delle onde del mare della baia appoggiando l’orecchio al vetro.
-E se … - iniziò assorto Mauro costringendo l’altro a voltarsi verso di lui.
-... se mettessimo in pericolo la gente in sala?- finì Mauro guardando Alberto con una strana espressione determinata ma dubbiosa allo stesso tempo -Cosa?- domandò Alberto confuso non riuscendo a capire.
- I soldati non sono forse obbligati a proteggere i civili prima di ogni altra cosa?- replicò Mauro, come se volesse in realtà affermare quello che diceva, e, a quelle parole ,Alberto si risedette ascoltando attentamente: forse stava riuscendo a intuire che cosa volesse suggerire l’amico.
-Se creassimo una condizione di pericolo tale, da costringere i soldati a tenere sotto controllo la folla, avremmo almeno un paio di minuti per rubare il tuo prezioso cofanetto-.
-Tipo una calamità naturale?- domandò Alberto.
-Niente di così difficile, magari un incendio che dici?-
Alberto rimase per un po’ in silenzio e poi parlò cautamente.
-Tra i pregiudizi che ho sentito sulla repubblica Magna, c'è ne uno che dice che siete tutti addestrati nel regime militare e quindi una folla di civili si comporterebbe sempre freddamente ed efficientemente-.
Mauro divertito fece una smorfia, -I civili sono civili, puoi addestrarli quanto vuoi ma la paura non è un’emozione che puoi eliminare. In una situazione di pericolo devono essere tenuti sotto controllo e sarò il compito di un paio di militari con il mitra.- Alberto sorrise sincero- L’idea mi piace ma è il momento di affinarla- ed entrambi uomini iniziarono a lavorare di buona lena.

 

Città del nord, 23 agosto 2013 4 PM
Giuditta si stava annoiando così tanto che avrebbe preferito essere a scuola a studiare le materie scolastiche che detestava di più, tutte ad eccezione della matematica. I suoi amici erano in vacanza mentre il suo patrigno era a Napoli a fare chissà cosa e non poteva nemmeno contattarlo perché le era sempre stato severamente proibito. Giuditta non comprendeva questa prudenza perché erano quasi cinque anni che viveva con Alberto, sotto le mentite spoglie di Renzo Rossi, e nessuno aveva mai sospettato di loro, come avrebbe potuto una semplice telefonata ammazza-tempo far saltare la loro copertura? La ragazza sbuffò e gironzolò per la casa vuota, non c’era nulla d’interessante da fare e dire che si era messa a curiosare nello studio del suo tutore! Fuori dalla finestra il sole illuminava la strada e faceva caldo, quel caldo afoso che era capace di abbattere anche un orso ma uscire per una passeggiata era una miglior prospettiva rispetto a quella di rimanere a oziare pigramente al chiuso.

    Seppure annoiata anche dai gesti più semplici, la ragazza si vestì e uscì, aveva deciso di andare al lago per godersi la brezza e rimase lì  per almeno un’ora a leggere uno dei suoi libri, che il patrigno aveva definito porno-harmony e forse non si sbagliava a definirli in quel modo ma Giuditta, fedele al suo genere, negava spesso con veemenza che ci fossero scene spinte in quello che leggeva. Quando ciò accadeva, il patrigno, con aria di sfida, ne prendeva uno e si metteva a decantare qualche parte osé e ,a quel punto, la ragazza specificava che i personaggi facevano l’amore ed era una cosa ben diversa da quello che si vedeva nei film porno: Giuditta amava avere sempre la risposta pronta.
    Ci fu improvvisamente un colpo di brezza così forte che fece voltare le pagine del libro di Giuditta e la ragazza tentò di tenerle ferme con le dita guardandosi attorno, infastidita da quel cambiamento climatico indesiderato ma, ad un tratto, sentì freddo, diverso da quello che sentiva un corpo a un improvviso calo di temperatura ... qualcosa non andava
Giuditta si alzò guardandosi attorno attenta, uno degli insegnamenti più efficaci del suo patrigno era stato fidarsi  sempre del proprio istinto. Alle donne è insegnato che basarsi sulle apparenze è negativo, ma a un uomo, invece, gli si concede di fidarsi delle proprie sensazioni: se un uomo e una donna incontrano per la prima volta qualcuno che al primo impatto non piace, l’uomo non concede il beneficio del dubbio e lo tiene lontano dalla sua vita, mentre la donna si costringe ad andare oltre le sue sensazioni e dare una possibilità a qualcuno che in futuro potrebbe farle del male.
Giuditta, fortunatamente, non era stata educata in quel modo e ascoltò le sue sensazioni e seguì il piano del patrigno: doveva raggiungere il rifugio della casa, dove vi era una stanza segreta per l’emergenza.
    La ragazza s’incamminò con forzata tranquillità ma sentendosi vulnerabile e nervosa, iniziò a canticchiare sotto voce un vecchio inno, che se qualcuno l’avesse sentita sarebbe rimasto sconvolto che una ragazza così giovane lo conoscesse. Arrivò intatta a casa senza riuscire a rilassarsi, sentiva il suo cuore battere così forte d’aver la sensazione che si fosse bloccato in gola, non ebbe neanche il tempo di fare qualche passo dalla porta che sentì qualcuno bussare producendo dei rumori secchi e duri.
    Giuditta trattenne il respiro e spiò attraverso lo spioncino, due uomini con la divisa verde del regno padano aspettavano fuori. La ragazza aprì la porta cautamente, lo spazio era appena sufficiente per intravedere la sua testa, e domandò ai due -Cosa succede signori agenti?-, le fu spiegato che stavano facendo il giro del quartiere per avvertire della presenza di un ladro travestito da poliziotto.
-Si ricordi signorina che noi della polizia agiamo sempre in coppia e questo è il nostro distintivo- dissero mostrando il loro ufficiale segno di riconoscimento: un uomo con lo spadone.    
    Cercando di rimanere calma e volendo, soprattutto, apparire non troppo sollevata Giuditta ringraziò i poliziotti della loro premura e chiuse la porta dietro di sé, ma ,improvvisamente, l'inconfondibile rumore del caricamento di una pistola si udì e Giuditta rimase pietrificata. C’era una donna davanti a lei, dalla bellezza sublime che ben conosceva perché tante volte l’aveva studiata in alcune foto con il patrigno, Michela Neri.
-Ciao Giuditta- disse la donna e la ragazzina non poté fare a meno di sorridere, era la prima volta che sentiva l’accento romanesco ed era divertente come quello che aveva sentito nei vecchi film italiani, però lo sguardo della donna le provocò un brivido di paura.
- Sei stata maledettamente brava- quasi sussurrò con un filo di voce Giuditta sincera, non aveva percepito la presenza di quella donna nella sua casa e s'insinuò immediatamente il dubbio che la visita pocanzi fosse parte di un buon piano congeniato da entrambe polizie.
    Michela sorrise soddisfatta e, continuando a tenere la mira sulla ragazza, la invitò ad avvicinarsi, Giuditta, vulnerabile per la situazione, dové ubbidire e Michela iniziò a perquisirla: la giovane s’imbarazzò per il tocco così evasivo. Michela estrasse dalla giacca delle manette e legò i polsi della ragazza e Giuditta, a sentire quella strana e opprimente sensazione di freddo, manifestò il suo fastidio con gemito strozzato in gola. Gli occhi del Maresciallo divennero più freddi e la sua voce fu tagliente come un pezzo di vetro sulla fragile pelle umana- Abituati ragazzina-, Giuditta manifestò con un solo sguardo di disgusto tutto il disprezzo per quella donna, aveva ragione il suo patrigno a dire che era solo una bestia.
-Guarda che non mi ribello solo perché ho notato gli altri uomini nascosti della stanza-, dichiarò acida, mentre la bella Michela la guardava stupita, e incoraggiata da quell’espressione, la giovane continuò imprudentemente- Non mi fai mica paura!- . Lo schiaffo che Giuditta ricevette da Michela fu preciso e letale, era talmente forte che le bloccò il respiro per un attimo e poi si sentì essere strattonata per il colletto: il viso di Michela era vicinissimo e Giuditta poteva vedere i dettagli che non avrebbe mai potuto notare in foto, come l'affascinante riflesso argenteo negli occhi della donna.
-Vedo che hai la stessa lingua del tuo patrigno- Michela sorrideva ma la sua voce era asciutta e dura, -Ti farò passare la voglia di fare la spaccona- e così dicendo lasciò  violentemente la presa sulla ragazza costringendola a indietreggiare su se stessa.
    Michela continuò a tenere la pistola puntata su Giuditta, la quale vide degli uomini nascosti uscire dalle loro tane, come rassicurati dalla crudeltà del loro superiore. Quando li vide tutti, Giuditta confermò con orrore che era un complotto tra le due polizie perché erano presenti agenti con entrambe le divise. Ormai terrorizzata, la ragazzina domandò perché non le erano stati letti i suoi diritti, come aveva sempre visto fare nei film , e una risata agghiacciante uscì dalla carnosa bocca di Michela.
-Da questo momento sei sotto la giurisdizione della Repubblica Magna e noi non rispettiamo i trattati di Ginevra-. Gli occhi delle due donne s’incontrarono e, in quel momento, Giuditta capì che qualsiasi passo falso le avrebbe portato via la sua vita e probabilmente anche quella del patrigno. 

Note dell'autrice
Dopo moltissimo tempo sono riusciuta a concludere questa storia, nelle prossime due settimane posterò ogni domenica i due capitoli finali. Ringrazio per la vostra pazienza, sto cercando di sistemare la formatazzione dei capitoli che se ne andata a farsi benedire appena ho utilizzato il programma NVU.

 

   
 
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