Pregiudizi criminali
Capitolo
2
Città del nord, 22 maggio 2013
10.00 P.M.
Alberto
guardava critico il dipinto che aveva appeso nella camera della figlioccia
Giuditta, assieme a lei,anche il più distratto degli osservatori
avrebbe capito che i due non avevano nessuna parentela : Giuditta era una
giovane ragazza quindicenne dai grandi occhi scuri e obliqui e il suo viso era
caratterizzato da chiari lineamenti del sud est asiatico mentre la fisionomia
di Alberto era tipicamente europea, eppure i due si somigliavano molto negli
atteggiamenti, ad esempio condividevano lo stesso modo di appoggiare il peso
sul piede destro quando pensavano a qualcosa
come in quel momento.
-Mi
dispiace ma un Salvator Rosa non si abbina a questa stanza- dichiarò la
ragazza.
Alberto
annuì distratto continuando a fissare il dipinto con intensità mentre Giuditta
continuò la sua affermazione - È pacchiano- e, questa volta, Alberto decise di
rispondere a tono- Salvator Rosa non è mai pacchiano-.
-Che
ne facciamo?- domandò Giuditta seriamente mentre Alberto le rivolse uno sguardo
sbarazzino e le domandò – Intendi … come facciamo a tenerlo? Bene, spostiamo i
tuoi libri porno-harmony da qualche altra parte e nella tua libreria mettiamo
una bella collezione di libri classici: così adattiamo l’ambiente al dipinto-.
Giuditta
arrossì violentemente e alzando un po’ troppo la voce dichiarò- Non leggo libri
porno-.
-Ma
certo che lo fai. Alla tua età avevo le riviste e le ragazzine hanno i
racconti. E’ normale-.
Giuditta
iniziò a negare e poi si difese definendo quello che leggeva come storie
d’amore a basso impegno intellettuale e Alberto rise di quell’aggressiva difesa
di Giuditta.
-Sarebbe
molto più facile se tu fossi un comune ladro. Potresti venderlo a qualche
riccone arabo! O un imprenditore asiatico- dichiarò Giuditta cambiando
repentinamente argomento.
-Sai
che è impossibile- disse Alberto assumendo un’espressione pensierosa.
-Rimandalo
indietro! Come al solito!Qual è il problema?- domandò la ragazza, la quale
aveva capito che la preoccupazione del padrino era ben maggiore di vendere o
tenere il dipinto e, infatti, Alberto si avvicinò al Salvator Rosa e sfiorando
delicatamente la cornice, infilò le mani sotto di esso sollevandolo, pronto a
trasportarlo da qualche altra parte.
-Non
è efficace Giuditta. Non sto ottenendo nulla-.
-Aumenti
il tuo rapporto di stima e affetto con la Michela scherzò a disagio Giuditta e
poi ,rendendosi conto dell’errore grammaticale, si corresse imbarazzata- Con
Michela-.
L’uomo
le sorrise debolmente mentre riportava il dipinto nel suo studio, Giuditta lo
seguì docilmente e poté scorgere la cassaforte aperta del dipinto: era costata
due giorni di lavoro, la Repubblica
Magna aveva un'ottima industria della sicurezza.
Quando
Alberto uscì dallo studio, guardò l’orario sul suo orologio da polso e ordinò
alla ragazza di andare a letto.
-Ma
sono solo le dieci e mezza- protestò Giuditta.
-Se
non dormi a sufficienza diventi brutta, non lo sai?- scherzò Alberto, - Domani
c’è scuola e devi essere riposata-
Giuditta
iniziò a protestare- Ci sono dei ragazzi a scuola che vanno con gli occhi gonfi
di sonno o chissà altro!-.
Alberto
alzò le spalle- Allora non ti mostrerò come ho aperto la cassaforte-.
A quella semplice affermazione, improvvisamente, la ragazza dichiarò d’aver
sonno: Giuditta non faceva i capricci perché era infantile, la verità era ben
peggiore le piaceva far polemica!Perciò Alberto la trattava sempre duramente,
perché se non lo fosse stato, chi lo sarebbe stato? La scuola, la
società? In un mondo ideale sì, ma nella realtà l’Educazione spettava ai
genitori e paradossalmente, pur essendo un ladro, Alberto aveva ben insegnato
il comportamento civile a Giuditta.
-Posso
sapere per lo meno, dove vai?- chiese la ragazza che apparve poco dopo
struccata e con enorme pigiama a strisce verdi (era del suo patrigno ma glie
l’aveva soffiato perché era più caldo dei suoi).
-Da
qualche mio amante- rispose serafico Alberto, mentre sul viso di Giuditta passò
un’espressione di chiara indignazione.
-Uomini
… anche se gay, siete poco seri-. Alberto le sorrise, con quel sorriso beffardo
che era il suo simbolo, e mentre giocherellava con le chiavi dell’auto, le
augurò la buona notte con un bacio sulla fronte.
Prima di uscire Alberto si era ovviamente camuffato nel suo alter ego Renzo
Rossi, un bell’uomo dai baffi, occhi scuri e con dei simpatici occhiali da
vista: Renzo Rossi era uno degli alter ego di Alberto ma era quello più
importante, era quello che gli permetteva di avere una vita da civile e
soprattutto la custodia di Giuditta. Nonostante che da
anni sia la polizia del Regno Padano e sia quella della Repubblica Magna erano
sulle sue tracce, nessuno aveva scoperto quell’alterego. Al garage l’uomo
mise in moto la sua automobile, pronto a mettersi in marcia pur non sapendo la
sua destinazione: non sarebbe stata un'idea malvagia chiamare effettivamente
qualche suo amante ma in quel momento non aveva nessuna voglia di relazionarsi
con qualcuno e per cui decise di andare al cinema.
Era da qualche tempo che non ci andava e sapeva che nelle sale stavano
proiettando un film storico che era stato acclamato sia dalla critica sia dal
pubblico. Alberto normalmente evitava di guardare i film storici, le sue
conoscenze lo rendeva uno spettatore difficile: la più piccola incongruenza
storica provocava in lui repulsione e disprezzo eppure decise di fare un
tentativo e uscì dal cinema inaspettatamente contento e ispirato.
Il film
parlava della guerra di successione americana e l’idea di unire uno stato
tramite una guerra era un argomento che toccava profondamente Alberto e si era
sentito stranamente nostalgico e ispirato dalle scene più belle del film girate
del Sud degli stati Uniti.
Sud... come l’Italia meridionale, il Mezzogiorno, e ora la Repubblica
Magna. Un territorio inospitale, non solo per lui, perché erano ben nove anni
che le frontiere fra il Regno Padano e Repubblica erano state chiuse. L’ultima
volta che era stato lì, era proprio alcuni mesi prima che chiudessero le
frontiere definitivamente e appena in tempo per sotterrare il suo mentore Lucia
Mazzoccolo. Alberto ricordava
ancora il traffico che aveva provocato il lungo corteo funebre del suo mentore
per la strada di Via stadera a Napoli e Lucia era stata sotterrata proprio nel
cimitero di Poggioreale. Era passato tanto tempo, troppo tempo ed era il
momento di andare a far visita al suo mentore.
Aeroporto di Malpensa 05 agosto
2013 05.15 P. M
- È
una pessima idea!- disse Giuditta, ancora una volta, mentre Alberto controllava
se i suoi documenti di viaggio erano in ordine.
-Giudi…
guarda com’è grande, l’aeroporto- rispose Alberto utilizzando il tono di voce
che usava quando la ragazza era più giovane, ma Giuditta spazientita gli tirò
via dalle mani i documenti.
-Giuditta…
- iniziò il rimprovero di Alberto per essere immediatamente interrotto.
-Papà
è una follia. Fammi venire almeno con te!- una sentita preoccupazione si
leggeva sul volto di Giuditta e Alberto sentì un moto d’affetto e tenerezza.
-Questo
sarebbe una follia. Gli stranieri non sono ben visti nella Repubblica Magna.
Non devo attirare l’attenzione -.
-Posso
usare una maschera!- Giuditta replicò- È più da folli fare un colpo nella tana
del lupo. Già ti vogliono ammazzare per la beffa del Salvator
Rosa e se ti scoprono, ti linceranno!-
Giuditta si riferiva a come Alberto avesse restituito il Salvator Rosa
alla fine: prima aveva rimandato la cornice e poi il dipinto era stato
ritrovato due settimane dopo, intatto, in una scatola nell’aeroporto di
Catania. I
repubblicani non l’avevano presa bene, sulla testa di Alberto erano aumentati i
mandati di cattura e poco ci mancava che mettessero un annuncio con la scritta
“ Vivo o Morto” come in un film di Sergio Leone. Alberto aveva
deciso d’infliggere una vera e propria umiliazione alla Repubblica: se ci fosse
riuscito, avrebbe potuto iniziare la guerra.
-Me la caverò. Approfitta
della mia assenza per fare delle feste favolose in casa- scherzò ma la ragazza
distrutta aveva abbassato lo sguardo e Alberto la cinse tra le sue braccia e le
disse dolcemente che sarebbe andato tutto nel verso giusto.
Giuditta aveva rialzato
la testa e con aria minacciosa dichiarò - Se ti succede qualcosa, vado giù e
scateno il 48!- usando un modo di dire assai popolare in passato, di cui era
stato proibito l’uso dopo la separazione, Alberto le accarezzò il viso come
ultimo saluto e poi si avviò al suo gate.
Roma, Palazzo del ministero dell'Interno della Repubblica Magna
05 agosto 2013 10.00 P. M
Michela Neri non aveva
paura e ,se l’avesse avuta il suo viso sarebbe rimasto inespressivo, però in
quel momento era un altro sentimento a essere in carica, l'irritazione: secondo
il suo parere il Ministro dell’Interno la stava facendo aspettare troppo. La
donna annoiata provò ad ammazzare il tempo studiando gli interni
dell’anticamera del Palazzo del Viminale ripetendo mentalmente la storia di
quell’edificio: un tempo era stato usato per il medesimo scopo dalla Repubblica
Italiana. Quando era avvenuta la scissione, la nuova politica pragmatica della
Repubblica Magna aveva optato di tenere i ruoli intatti delle sedi. L'idea
generale era che la Repubblica non avrebbe dimostrato la sua potenza spostando
qua e là gli uffici, già la rinnovata instaurazione di Roma come capitale era
un motivo di vanto per i Repubblicani poiché il Regno Lombardo si era dovuto
accontentare della meno antica e gloriosa Milano, per ragioni economiche a
discapito di città più antiche come Torino ad esempio.
Il palazzo del Vinimale era grandioso: i pavimenti di marmo e bellissime
murature riflettevano la luce del sole espandendola nell’edificio, come se
quest’ultima fosse attirata da un misterioso compagno. Michela non era
assolutamente toccata da quel gioco di luce, era insensibile a tutto ciò che
considerava superfluo. Mentre guardava, impassibile quei giochi di luce fu
annunciata dalla guardia-porte e poté finalmente entrare nell’ufficio del
Ministro e, quando entrò, non fu catturata dalla bellezza dell’ambiente ma
dagli sguardi delle persone in cui vi erano all'interno: il Ministro era in
compagnia del Generale. Il politico era un uomo dall’aspetto
giovanile, aveva dei limpidi occhi che gli donavano più l'aspetto di un artista
che quello di un uomo di potere, il viso era così fine che neanche i folti
baffi riuscivano a renderlo più adulto. Il Generale, dall'altra parte, era un
uomo cinquantenne dal viso virile e dalla splendida forma fisica, coerente alla
sua storia personale: siciliano di nascita, aveva studiato dall'accademia
Nautica di Napoli. Gli occhi del Generale erano così scuri da sembrare neri e
per questo motivo era molto difficile capire dove il suo sguardo impenetrabile
si dirigesse e, come accadeva ogni volta lo incrociava Michela riusciva a
provare l'indegno sentimento della preoccupazione, paura mai.
Michela notò che sia
Il Generale e sia il Ministro apparivano stanchi e ansiosi mentre li salutò militarmente
com’era di uso nella Repubblica.
-Benvenuta, Primo
maresciallo Neri- le disse cordialmente il Ministro ricambiando il saluto in un
modo frettoloso mentre il Generale ricambiò senza dire una parola, la donna
rimase in posizione d'attesa aspettando istruzioni.
-Il suo amico Alberto
Giordano ha annunciato il prossimo furto, immagino che lo sappia- chiese
retoricamente il Ministro.
-Sì, signore. Il ladro ha
avvisato che farà un colpo nel Museo di Capodimonte a Napoli. Ma, se permette,
non c’è molto da preoccuparsi-.
Il Ministro cambiò
espressione e commentò severamente- Come può a dire che non c’è molto da
preoccuparsi?Tutti i suoi furti sono riusciti: che cosa le fa pensare che non
possa costituire una minaccia per la bella e fortificata Napoli?-.Michela, per
nulla turbata dal cambio di tono del ministro, mantenne la sua posizione e
commentò sicura – Il biglietto diceva che avrebbe rubato ciò che è di più raro
e prezioso. In un museo in cui c’è un’intera galleria dedicata a oggetti rari,
non vuol dire nulla o tutto. La data del colpo coincide con l’arrivo di alcune
opere del Canova e questo potrebbe far supporre che l’obiettivo possa essere
tra quelle ma non lo è e credo che sia più importante setacciare la città
perché lui deve essere già nella Repubblica-.
-Impossibile!- disse il
Ministro risentito e cercò uno sguardo d’intesa nel Generale, il quale rimase
invece impassibile continuando a studiare il maresciallo.
Neri continuò, senza far
caso volutamente alla negazione - Alberto Giordano ha bisogno d’informazioni
per organizzarsi in un posto sconosciuto: ha mandato quel biglietto per
agitarci e per studiare l'organizzazione della difesa del museo così da vederne
i difetti e se daremmo più importanza alla mostra di Canova o al museo in
generale-.
- Quale crede sia il suo
obiettivo?- domandò il Generale con vivo interesse mentre il Ministro fissava
il Maresciallo con un’espressione mista a scetticismo e incredulità.
-Non è il Canova,
Generale. La statua più famosa esposta è alta circa tre metri e mezzo. È un
professionista ma non ha un complice, una statua così alta è impossibile da
rubare da soli. Penso, per quanto assurdo, che neanche lui sappia cosa rubare e
per questo il suo avviso è così generale. È solo, in una città sconosciuta e ha
bisogno di tempo per organizzarsi infatti il colpo è stato annunciato per il
prossimo mese. Possiamo provare a fortificare il museo ma ho un altro piano:
dobbiamo scoprire la sua identità e incastrarlo. Venire qua è stato un vero
azzardo e questo gli costerà caro-.
L’espressione del
Generale divenne confusa, - La sua identità è Alberto Giordano, che cosa
intende per identità?-.
-L’identità che usa per
vivere da civile, deve averne una e direi che la considera molto preziosa: non
improbabile pensare che possa avere una vita parallela con dei solidi affetti-,
spiegò Neri mentre i due uomini la guardavano interessati ma anche forse
preoccupati dal chiaro risentimento di Neri nei confronti di Giordano, ma il
maresciallo ignorò quelle espressioni per tornare a parlare del suo piano.
-Giordano ha molti alter
ego, di solito li usa una sola volta per fare i colpi, delle sorti d’identità
usa e getta che sono inutili da rintracciare. Ho deciso di trovare il suo alter
ego da civile e trovare che cosa difende così strenuamente per metterlo in
ginocchio-.
Il Generale domandò
scetticamente, - Se fosse vero ciò che dice sarebbe molto strano che la polizia
del Regno Padano non sia mai riuscita a trovare il suo alter ego da civile. Che
cosa le fa credere che lei e i suoi uomini possano trovarlo?-.
La donna disse senza
mezzi termini- Perché siamo migliori e pronti a sporcarci le mani-.
Il Ministro guardò il Maresciallo scioccato, chi diamine credeva di essere
da potersi permettere un atteggiamento così arrogante con un suo diretto
superiore e nientedimeno con il capo della nazione che entrambi servivano? I
pensieri dell’uomo furono interrotti da un piccolo applauso del Generale e solo quel rumore
si sentì nella sala, il ministro era rimasto scioccato e in silenzio, basito da
quel gesto.
- Maresciallo Neri,
conosco i suoi meriti … ha catturato moltissimi criminali nazionali e
internazionali: immagino che possa sentirsi orgogliosa, ma Giordano è sempre
stato la sua disfatta: non dovrebbe avere un atteggiamento così arrogante-.
Michela Neri rimase nella
sua posizione ad ascoltare quella dichiarazione e immaginando il resto.
-Lei però ostenta una
grande sicurezza e per cui possiamo anche aumentare la posta in gioco-, il viso
del Generale divenne malizioso, non la malizia comune ai maschi che Neri ben
conosceva e tanto odiava.
-Se catturerà Alberto
Giordano lei diventerà Tenente-.
Il Ministro si turbò a
tale affermazione che quasi obiettò, ma il Generale lo bloccò e il Ministro
indietreggiò di qualche passo conciliante, il Generale aveva pieno potere su
tutti e chiunque nella Repubblica Magna, Michela invece rimase inespressiva
sentendo la sua l’ansia crescere …
-Se invece non catturerà
Giordano sarà degradata a … - il Generale prese volutamente tempo osservando
bene il Maresciallo per vederne le reazioni- Sergente maggiore. Siamo
d’accordo?-.
Non era una domanda, era
un ordine e Michela lo percepì e rispose- Affermativo, signore-. Il ministro guardò
il Generale e poi il Maresciallo, incapace di capire la strana alchimia e
tentativi di prevaricazione che avevano entrambi l'uno sull'altra.
-Ministro- il Generale
attirò la sua attenzione- Che tutto questo sia messo a verbale-ordinò
perentoriamente.
-Quanto a lei- disse
rivolgendosi a Michela- Può andare-.
Michela uscì con passi
decisi dalla stanza lasciando i due uomini soli,il Generale si sedette al posto
del ministro, costringendolo ad accomodarsi disagiatamente al lato opposto
della scrivania, sulla sedia più scomoda.
-Se ha delle domande, può
chiedermele-, chiarì il Generale mentre il ministro lo guardava confuso e
intimorito, il Generale si trattene a sbuffare, non capiva perché tutti i
ministri avevano paura di lui … preferiva a questo punto una persona come il
primo maresciallo: la sua arroganza era meno disturbante della codardia.
-Si fida del
Maresciallo?-
- È in gamba e la posta
in gioco è alta, non solamente per lei: la credibilità della Repubblica è in
pericolo, se quel ladruncolo riesce a rubare a casa nostra sarà come ammettere
la nostra incapacità e per riconquistare la nostra supremazia sulla penisola
saremmo costretti a dichiarare guerra al Regno. In pochissimo tempo ci
ritroveremmo l’UE e, se riesce a convincerlo, l’esercito ONU in casa. Se
facciamo però la guerra, quel Giordano avrà vinto: vuole riunificare la
penisola come fecero anni orsono gli americani tramite la Guerra di Successione
o i Prussiani con le terre germaniche -.
-Non è più il tempo di
guerre di questo tipo, Generale- obiettò il Ministro, per poi deglutire nervoso
agli acuti occhi del superiore.
- La guerra non cambia,
magari non si ridisegna una cartina geografica ma comunque controlleremo quelle
terre, le quali sono controllate dall’UE, che aspetta un nostro atto di forza
per denunciarci all’ONU. Noi non rispettiamo quelle ipocrite leggi che ha
l’Unione. Che cosa te ne fai della libertà se non puoi lavorare, essere
indipendente e dignitoso?-.
-Ma il Maresciallo,
signore, è … - iniziò il Ministro.
- … Una persona che non
crede nella Repubblica, ma è solo accecata dal suo desiderio di potere e
vendetta?Ho letto il suo profilo: da una persona del genere non può aspettarti
nulla che non sia per suo tornaconto, è fedele per calcolo, per questo più
facile da gestire. Non mi aspetterei da lei un tradimento o un’alleanza con
Giordano-. Il
Ministro fissò il Generale invidiandone la sicurezza: sembrava così certo, come
se considerasse il maresciallo Neri un pezzo di una scacchiera e che sapesse
quali mosse sfruttare per vincere quella partita in corso.
-Sì, signore- concordò
stancamente il Ministro sentendosi anche lui un pezzo di un gioco che non
conosceva.
Napoli, Cimitero di Poggioreale 11 agosto 2013 10.00
A. M
Alberto si era rasato i
capelli prima di andare a Napoli, sapeva che la maggior parte degli uomini
aveva quel tipo di acconciatura e rendeva sopportabile il caldo umido della
città. Stava camminando lungo le strade del cimitero di Poggioreale, alcune di
esse si legavano al tessuto urbano della città e per cui si doveva fare
attenzione alle automobili di passaggio.
Alberto rifletté, che dall’ultima volta che era stato lì, il cimitero non
era cambiato molto ma la città sì, era diventata fredda, efficiente e pronta a
opprimerti, aveva perso il carattere anarchico che la caratterizzava: Alberto
aveva notato che c’erano moltissimi militari in giro, soprattutto nelle
vicinanze delle Università dove se ne stavano lì con le loro divise nere e i
mitra imbracciati pronti a fermare qualsiasi indisciplina. Proprio in virtù
di questi cambiamenti, questa volta non aveva scelto come alterego l'identità di un
turista straniero ma aveva preferito fingere di essere un uomo proveniente
dall’Umbria in visita nella seconda città della Repubblica: i turisti oltre
confine erano benvenuti nello stato militare ma la popolazione locale non
avrebbe mai parlato apertamente della situazione interna con uno loro e Alberto
non era solo lì a fare il colpo, voleva raccogliere informazioni.
Quello che aveva visto e sentito non gli era piaciuto per niente e con
quei pensieri continuò a camminare, fino a quando trovò la sala in cui era
stata spostata la salma del suo mentore. Fin dai tempi della sua costruzione il
cimitero di Poggioreale era sempre stato sovrappopolato, per questo motivo i
morti erano trasportati molto velocemente dalla terra ai sarcofagi a muro per
guadagnare spazio.
Alberto avrebbe preferito trovarsi davanti a una lapide piuttosto che
salutare il suo mentore guardando scomodamente verso l’alto, ma, come le
avrebbe detto la stessa donna, “ Questo passa in convento”. Trovò il suo
sarcofago sopra altri tre e quando vide l’incisione “ Lucia Mazzoccolo nata 31
ottobre 1922 morta 2 giugno 2004” sentì un colpo a cuore. L’uomo si fece il
segno della croce e, assicurandosi che non ci fosse nessuno in ascolto, iniziò
a parlare a bassa voce.
-Ciao-, non ci ovviamente
nessuna risposta e Alberto continuò il suo monologo raccontandole di com’era
diventata la sua città, le disse dei soldati sempre presenti nei posti di
sapere e di circolazione d’idee (come le sedi universitarie, cinema, teatri) e
del clima angoscioso di prevaricazione che si avvertiva negli attimi di
silenzio.
All’apparenza tutto era diventato bello, pulito ma era chiaro che la popolazione non avesse avuto nessun merito di quella trasformazione. La Repubblica era efficiente, però la popolazione era stata ridotta a una chiara sottomissione di un Signore: non era cambiato nulla, esistevano ancora il feudalismo nel cuore del sud dell’Italia. La popolazione non era responsabile delle sue azioni e non poteva lamentarsi delle azioni dei governanti che fornivano il lavoro per avere sia il divertimento e il cibo, e la forca per punire chiunque si opponesse a quella prigione dorata. La situazione poteva essere descritta come antico detto popolare che recitava "Festa, farina e forca"
-Lucia … la ribellione,
la rabbia … hanno perso tutto. Sono consapevole che il nord non se la passa
meglio: appena la popolazione ha perso l’apparente superiorità si è chiusa in
se stessa ed è diventata ancora più individualista, ignora completamente il
significato di senso sociale.- sospirò Alberto.
-Forse non è una buona
idea unirla questa penisola, forse è veramente soltanto un’espressione
geografica-, commentò aspro mentre il
silenzio della cripta aumentava la sensazione di sconforto nel suo cuore,
sentiva la sua fede indebolirsi eppure ci credeva ancora in quella nazione e in
quel popolo che lui sentiva di appartenere.
-Farò un colpo al Museo
di Capodimonte. Quest’anno porteranno alcune opere del Canova da Roma, tra cui
l’Ercole e Lica della Galleria Nazionale d'Arte Moderna-, Alberto strinse le
spalle e commentò- M’interessava molto come opera, ma è troppo grande, circa
tre metri e mezzo-.
Sorrise al sarcofago, -
Probabilmente questo non ti avrebbe fermato però non ho più spazio in casa per
tenere delle opere d’inestimabile valore ad ammuffire e ormai il tuo negozio è
stato chiuso. Inoltre, se tornassi con
qualcos’altro, Giuditta mi ammazzerebbe: il suo caratteraccio peggiora ogni
anno che passa-. Sorridendo tentò di deporre nel vaso del sarcofago dei fiori
che aveva con sé, ma era troppo alto per lui, allora li lasciò a terra, facendo
il segno della croce, sussurrò- Addio-.
Alberto Giordano uscì con
le lacrime agli occhi in una città ostile.
Napoli, Bosco di Capodimonte 11 agosto 2013 11.00 A.
M.
Il museo di Capodimonte
si trovava nel maggior sito verde della città, il Bosco con l'ononimo nome e
quest’ultimo era un parco enorme per una città che era sempre immersa in un traffico
claustrofobico, esso comprendeva all’incirca 1.340 km² di vegetazione ed era
caratterizzato da grandi spazi aperti o piccoli boschetti adatti agli
imboscamenti delle coppie.
Alberto sentiva l’aria fresca arrivargli ai polmoni mentre camminava, era
già la seconda volta che veniva lì ma rimaneva entusiasta da quel vento
rinfrescante e da quella sensazione di calma assoluta nonostante la presenza
numerosa di persone: il parco era un ritrovo per turisti, studenti, che avevano
saltato la scuola, coppiette. Il ladro era lì per dare un senso visivo allo
studio dell’intero perimetro, studiato in precedenza nell’eventualità che
dovesse fuggire attraverso il bosco che, data la sua estensione, sarebbe stata
un’ottima alternativa per far perdere le proprie tracce, ad eccezione nei
grandi spaziali verdi e aperti: in quelli Alberto sarebbe stato un facile
bersaglio per una sparatoria.
L’uomo si sedette sotto una palma, che gli permetteva di studiare
comodamente l’entrata del museo respirando il suo profumo dolciastro.Il museo
di Capodimonte era immerso nel verde perché originariamente avrebbe dovuto
essere una cascina da caccia, ma quando il re Carlo Borbone ottenne la preziosa
Collezione Farnese, decise che la cascina sarebbe diventata un museo per
ospitarla e fu esposta la prima volta nel 1757.
La Collezione era stata ideata dal papa Paolo III, della famiglia laziale
Farnese, ed era composta di dipinti appartenenti al movimento del Rinascimento
emiliano e romano e da pitture fiamminghe raccolte nelle città di Parma e Roma. Non era ovviamente
l’unica collezione esposta al museo: la collezione dei Borgia, la galleria
d’arte napoletana e quella dell’ottocento avevano la possibilità di essere
apprezzate dal pubblico. Dopo aver riposato ed essersi dissetato sotto
la palma, Alberto decise che era il momento di visitare il museo.
Napoli, Museo di Capodimonte 11 agosto 2013 11.20 A. M
Il museo di Capodimonte
era una struttura a tre piani, appariva dall’alto come un grosso rettangolo con
tre insenature quadrate, il resto del perimetro creava lo spazio reale delle
sale. Il piano terra del Museo ospitava il gabinetto dei disegni e delle stampe
di vari artisti, manifesti e una parte della sezione dell’Ottocento: era
probabilmente uno dei piani meno apprezzati dai turisti, assieme a quello
dedicato all’arte moderna al terzo piano, nonostante che l'esposizione vantasse
anche dei disegni di autori come Carracci, Tintoretto e perfino di quelli
monumentali di Michelangelo e Raffaello. Alberto sapeva che gli schizzi
normalmente non riuscivano ad appassionare il pubblico, forse in parte convinto
dal luogo comune che un artista iniziasse il suo lavoro senza nessuna fase
preparatoria: generalmente qualcuno si fermava per buona educazione a quelli di
Michelangelo o Raffaello,ma non avrebbe dedicato più di mezz'ora a quella
collezione di duemilacinquecento fogli e venticinquemila stampe.
Le sale di quel piano erano spesso viste di sfuggita quasi come ci fosse
una maledizione, ad eccezione delle volte che ospitavano qualche mostra di
opere esterne, come il caso della mostra del Canova: in quel caso il piano era
stranamente pieno di visitatori. Alberto camminò a passo spedito in quelle
sale, soffermandosi soltanto a qualche disegno che attirava la sua attenzione o
curiosità,ma fu felice di poter salire al primo piano, che era sicuramente il
più ammirato.
Ospitava la collezione Farnese, gli appartamenti reali e la galleria delle collezioni rare: Alberto decise di visitare il museo passando per gli appartamenti reali, i quali erano stati tutti restaurati e permettevano di rivivere pienamente la sensazione della vita della corte settecentesca napoletana.
La sala da ballo era il più famoso e apprezzato locale di quei
appartamenti: aveva le pareti di colore azzurro e grandi motivi barocchi, il
pavimento di marmo ocra e bianco risplendeva nel suo motivo geometrico e le
grosse finestre avevano un tendaggio color crema, una sfumatura che dava alla
sala quel tocco di spensieratezza che ci aspettava dalla sua funzione. Nella
sala Alberto vide due ragazzine ballare nei modi più disparati lungo tutto lo
spazio, sorrise pensando Giuditta a casa intenta a fare chissà cosa, ma il
divertimento delle ragazzine durò poco: appena si avvicinarono troppo al
cordone che indicava la parte della sala non visitabile, una delle guardie le
sgridò pesantemente e, le due, rosse di vergogna, scapparono immediatamente nel
corridoio successivo.
La guardia esagitata tornò dal suo compagno tutto baldanzoso, come se
avesse fermato chissà quale crimine in corso, ma non ottenne dall’altro i
meriti che si aspettava, infatti, quest’ultimo lo guardò con un’aria di
sufficienza costringendolo a chinare la testa sconfitto. Alberto finse di mettere a fuoco la sala e li
fotografò: aveva osservato che in ogni sala c’era una coppia di guardie, una
più giovane e una più vecchia ma le altre erano sembrate più affiatate tra
loro, era sempre un bene trovare eventuali anelli deboli nella sicurezza del
museo.
Alberto s’incamminò in un'altra sala famosa, il Salottino di porcellana e
corrispondeva al numero cinquantadue. Il Salottino di porcellana era stato
commissionato da Maria Amalia di Sassonia ed era un ambiente in stile Rococò
interamente rivestito da lastre di porcellana bianca decorate ad altorilievo
con festoni e scenette ispirate al gusto orientale, in voga in quel periodo. Il
Salottino era famoso perché era stata una grande opera di manifattura della
Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte e rappresentava i contatti che
aveva il Regno napoletano con il lontano oriente, facendo presumerne la sua
potenza a quei tempi. Dopo aver dedicato qualche scatto al salotto, Alberto
iniziò a visitare la Collezione Farnese mentre avvicinandosi così sempre di più
al vero motivo della sua visita.
La collezione Farnese era molto vasta, i dipinti più famosi del primo
piano erano i seguenti: Danae e alcuni ritratti della famiglia Farnese di
Tiziano, la monumentale Crocifissione di Masaccio, il Trittico di Nicolò di
Tommaso, alcune tavole del Botticelli e la Trasfigurazione del Bellini. Il
dipinto di Tiziano “Danae” era uno dei preferiti di Alberto, si trovava nella
sala numero 11,non lontano dal suo vero obiettivo. Molte persone
ignoravano che il dipinto di Danae non era semplicemente una rappresentazione
dell’antico mito classico (in cui Giove invaghito di Danae, si trasformava in una pioggia
d’oro per penetrare nella stanza attraverso un pertugio nel tetto a
fecondarla). Il dipinto poteva essere considerato un ritratto erotico e anche
in certo senso satirico: la modella usata per Danae non era altro che una
favorita del cardinale e il suo viso era estremamente somigliante al soggetto
femminile di un altro dipinto “Fanciulla Farnese” (altra opera sempre esposta
nel museo) e la pioggia d’oro, tintinnante di monete, sembrava alludere alla
natura di cortigiana della donna. Alberto sorrise osservando il dipinto, in
tutti i secoli gli artisti avevano trovato sempre il modo di superare la
censura e talvolta anche di ridicolizzare chi gli dava da vivere.
Scattò qualche altra fotografia alle telecamere e silenziosamente si avviò
nella Galleria delle cose rare, che iniziava con la sala numero 13, essa
ospitava numerosi oggetti d’arte preziosi che probabilmente provenivano dalle
residenze private dei Farnesi e ,tra questi oggetti spiccava, il peculiare Cofanetto
Farnese.
Era in argento e rettangolare, le pareti erano impreziosite da
lapislazzuli, in cui erano incastrati sei ovali di cristallo di rocca, sopra
questi c’erano delle iscrizioni in latino e greco nominavano le scene
rappresentate lungo il cofanetto. Le gambe del monile erano dieci modiglioni
terminanti a zampa di leone e agli angoli vi erano quattro sfingi imponenti,
che sostenevano quattro statue della mitologia romana: Minerva, Marte, Diana e
Bacco. La forma del coperchio era di un frontone spezzato, fra le due parti si
ergeva una bella statuetta di Ercole seduto su uno scoglio brandendo una clava.
L’intero cimelio sembrava voler celebrare l’abilità dell’artigianato dell’essere umano, era un pezzo raro e misterioso: il cofanetto non era mai stato menzionato negli inventari del Palazzo Farnese e l’unica citazione della sua esistenza era una menzione della Galleria Ducale di Parma nel 1708. Anche l’uso era rimasto un mistero e gli studiosi presumevano che avesse lo scopo di contenere libri, anzi che fosse stato realizzato per contenere il Libro d’Ore, il più prezioso testo miniato posseduto dal Cardinale Alessandro.
Anche se non poteva toccarlo perché protetto da una tecca, Alberto già
pregustava la freddezza dell’argento nelle sue mani e la soddisfazione nel
rubare un oggetto così magnifico, raro e, soprattutto, che si trovava in uno
dei musei più prestigiosi della Repubblica. Fischiettando
Alberto scattò altre foto della sala e si avviò agli altri piani del museo per
studiare altre meravigliose opere, che avrebbero potuto essere un’interessante
scelta se avesse dovuto ricompiere nuovamente un furto in quel museo.
Al secondo piano erano presenti, nella cosiddetta “ Galleria Napoletana”,
dei dipinti dell'arte "caravaggesca" e i capolavori assoluti della
pittura napoletana che andavano dal XIII al XVIII secolo. Tra i dipinti più
noti c’era la Flagellazione di Cristo del Caravaggio. Era un dipinto di
notevole dimensione, rispetto alle antecedenti opere che l'artista aveva svolto
nel suo soggiorno napoletano, Caravaggio aveva dipinto una scena di tortura:
Gesù era tra due aguzzini, appoggiato a una colonna. Il dipinto era organizzato
proprio intorno a quella colonna su cui era legato Cristo e dove si disponevano
i due torturatori, uno dietro e l'altro sul lato. Il corpo di Cristo era
luminoso e sinuoso del suo dolore, tanto da contrastare i movimenti strozzati e
secchi di concentrazione dei suoi aguzzini: era un dipinto dove si avvertiva la
tensione fisica dei personaggi,soprattutto quella di Cristo torturato.
Alberto fissò un lungo attimo quel dipinto, affascinato dal gioco di luci
e contrasti domandandosi com’era possibile che, in una terra come l’Italia,
fossero nati dei geni di quel lignaggio. Era forse stato il senso di precarietà
divoratrice, esistente fin dai tempi della caduta dell’Impero Romano a far
nascere quei geni? Che continuavano a esistere in una terra così arida di
possibilità e opportunità? Lentamente Alberto ripose la sua macchina
fotografica nella custodia, come se fosse stato improvvisamente stanco … soltanto
lui soffriva per le sorti di quella terra?
Decise di visitare, senza impegno, anche il terzo piano del museo che
ospitava una galleria dell’ottocento napoletano, un'altra dedicata alla
fotografia e una sezione d'arte contemporanea: le opere più importanti erano
quelle dello scultore napoletano Vincenzo Gemito, morto tragicamente, con “‘O Pescatoriello” e di Andy Warhol, il fondatore e maggiore
esponente della Pop Art, con Vesuvius.
Il terzo piano subiva la stessa impopolarità del primo piano perché l’arte
moderna è sempre mal vista dalle persone comuni, considerata la morte dell’arte
e non la rappresentazione della propria generazione. Alberto non era
innamorato di quel genere, ma riusciva a riconoscere la follia che
rappresentava perfettamente il XXI secolo e per cui si concesse un po’ tempo
per ammirare quel piano così bistratto rimanendo affascinato dai colori scelti
per rappresentare il Vesuvio da Andy Warhol: erano eccentrici come lo era un
tempo quella città che il suo mentore aveva tanto amato. Alberto uscì
soddisfatto dal museo, ma non prima d'aver chiacchierato amorevolmente con la
commessa della biglietteria per ottenere più informazioni sull’attesissima
mostra di Canova.