Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: Sokew86    18/11/2018    0 recensioni
Alberto pensò che Mauro avesse ragione e iniziò a studiare le persone davanti a sé per trovare un diversivo finché la comitiva arrivò alla sala numero 13, a quel punto il ladro piemontese disse sussurrò la parola in codice “Russell Crowe” attraverso al suo auricolare.Inconsapevole di quello che sarebbe successo da lì a poco, il direttore, entusiasta del successo, continuava le sue spiegazioni e nella sala numero 13 enfatizzò molto il mistero attorno gli oggetti presenti, tra cui proprio quello del Cofanetto Farnese.
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
capitolo 2

Pregiudizi criminali

Capitolo 2

Città del nord, 22 maggio 2013 10.00 P.M.

 

Alberto guardava critico il dipinto che aveva appeso nella camera della figlioccia Giuditta, assieme a lei,anche il più distratto degli osservatori avrebbe capito che i due non avevano nessuna parentela : Giuditta era una giovane ragazza quindicenne dai grandi occhi scuri e obliqui e il suo viso era caratterizzato da chiari lineamenti del sud est asiatico mentre la fisionomia di Alberto era tipicamente europea, eppure i due si somigliavano molto negli atteggiamenti, ad esempio condividevano lo stesso modo di appoggiare il peso sul piede destro quando pensavano a qualcosa  come in quel momento.

-Mi dispiace ma un Salvator Rosa non si abbina a questa stanza- dichiarò la ragazza.

Alberto annuì distratto continuando a fissare il dipinto con intensità mentre Giuditta continuò la sua affermazione - È pacchiano- e, questa volta, Alberto decise di rispondere a tono- Salvator Rosa non è mai pacchiano-.

-Che ne facciamo?- domandò Giuditta seriamente mentre Alberto le rivolse uno sguardo sbarazzino e le domandò – Intendi … come facciamo a tenerlo? Bene, spostiamo i tuoi libri porno-harmony da qualche altra parte e nella tua libreria mettiamo una bella collezione di libri classici: così adattiamo l’ambiente al dipinto-.

Giuditta arrossì violentemente e alzando un po’ troppo la voce dichiarò- Non leggo libri porno-.

-Ma certo che lo fai. Alla tua età avevo le riviste e le ragazzine hanno i racconti. E’ normale-.

Giuditta iniziò a negare e poi si difese definendo quello che leggeva come storie d’amore a basso impegno intellettuale e Alberto rise di quell’aggressiva difesa di Giuditta.

-Sarebbe molto più facile se tu fossi un comune ladro. Potresti venderlo a qualche riccone arabo! O un imprenditore asiatico- dichiarò Giuditta cambiando repentinamente argomento.

-Sai che è impossibile- disse Alberto assumendo un’espressione pensierosa.

-Rimandalo indietro! Come al solito!Qual è il problema?- domandò la ragazza, la quale aveva capito che la preoccupazione del padrino era ben maggiore di vendere o tenere il dipinto e, infatti, Alberto si avvicinò al Salvator Rosa e sfiorando delicatamente la cornice, infilò le mani sotto di esso sollevandolo, pronto a trasportarlo da qualche altra parte.

-Non è efficace Giuditta. Non sto ottenendo nulla-.

-Aumenti il tuo rapporto di stima e affetto con la Michela scherzò a disagio Giuditta e poi ,rendendosi conto dell’errore grammaticale, si corresse imbarazzata- Con Michela-.

L’uomo le sorrise debolmente mentre riportava il dipinto nel suo studio, Giuditta lo seguì docilmente e poté scorgere la cassaforte aperta del dipinto: era costata due giorni di  lavoro, la Repubblica Magna aveva un'ottima industria della sicurezza.

Quando Alberto uscì dallo studio, guardò l’orario sul suo orologio da polso e ordinò alla ragazza di andare a letto.

-Ma sono solo le dieci e mezza- protestò Giuditta.

-Se non dormi a sufficienza diventi brutta, non lo sai?- scherzò Alberto, - Domani c’è scuola e devi essere riposata-

Giuditta iniziò a protestare- Ci sono dei ragazzi a scuola che vanno con gli occhi gonfi di sonno o chissà altro!-.

Alberto alzò le spalle- Allora non ti mostrerò come ho aperto la cassaforte-.

A quella semplice affermazione, improvvisamente, la ragazza dichiarò d’aver sonno: Giuditta non faceva i capricci perché era infantile, la verità era ben peggiore le piaceva far polemica!Perciò Alberto la trattava sempre duramente, perché se non lo fosse stato, chi lo sarebbe stato? La scuola, la società? In un mondo ideale sì, ma nella realtà l’Educazione spettava ai genitori e paradossalmente, pur essendo un ladro, Alberto aveva ben insegnato il comportamento civile a Giuditta.

-Posso sapere per lo meno, dove vai?- chiese la ragazza che apparve poco dopo struccata e con enorme pigiama a strisce verdi (era del suo patrigno ma glie l’aveva soffiato perché era più caldo dei suoi).

-Da qualche mio amante- rispose serafico Alberto, mentre sul viso di Giuditta passò un’espressione di chiara indignazione.

-Uomini … anche se gay, siete poco seri-. Alberto le sorrise, con quel sorriso beffardo che era il suo simbolo, e mentre giocherellava con le chiavi dell’auto, le augurò la buona notte con un bacio sulla fronte.

Prima di uscire Alberto si era ovviamente camuffato nel suo alter ego Renzo Rossi, un bell’uomo dai baffi, occhi scuri e con dei simpatici occhiali da vista: Renzo Rossi era uno degli alter ego di Alberto ma era quello più importante, era quello che gli permetteva di avere una vita da civile e soprattutto la custodia di Giuditta. Nonostante che da anni sia la polizia del Regno Padano e sia quella della Repubblica Magna erano sulle sue tracce, nessuno aveva scoperto quell’alterego. Al garage l’uomo mise in moto la sua automobile, pronto a mettersi in marcia pur non sapendo la sua destinazione: non sarebbe stata un'idea malvagia chiamare effettivamente qualche suo amante ma in quel momento non aveva nessuna voglia di relazionarsi con qualcuno e per cui decise di andare al cinema.

Era da qualche tempo che non ci andava e sapeva che nelle sale stavano proiettando un film storico che era stato acclamato sia dalla critica sia dal pubblico. Alberto normalmente evitava di guardare i film storici, le sue conoscenze lo rendeva uno spettatore difficile: la più piccola incongruenza storica provocava in lui repulsione e disprezzo eppure decise di fare un tentativo e uscì dal cinema inaspettatamente contento e ispirato. Il film parlava della guerra di successione americana e l’idea di unire uno stato tramite una guerra era un argomento che toccava profondamente Alberto e si era sentito stranamente nostalgico e ispirato dalle scene più belle del film girate del Sud degli stati Uniti.

Sud... come l’Italia meridionale, il Mezzogiorno, e ora la Repubblica Magna. Un territorio inospitale, non solo per lui, perché erano ben nove anni che le frontiere fra il Regno Padano e Repubblica erano state chiuse. L’ultima volta che era stato lì, era proprio alcuni mesi prima che chiudessero le frontiere definitivamente e appena in tempo per sotterrare il suo mentore Lucia  Mazzoccolo. Alberto ricordava ancora il traffico che aveva provocato il lungo corteo funebre del suo mentore per la strada di Via stadera a Napoli e Lucia era stata sotterrata proprio nel cimitero di Poggioreale. Era passato tanto tempo, troppo tempo ed era il momento di andare a far visita al suo mentore.

 

Aeroporto di Malpensa 05 agosto 2013 05.15 P. M

- È una pessima idea!- disse Giuditta, ancora una volta, mentre Alberto controllava se i suoi documenti di viaggio erano in ordine.

-Giudi… guarda com’è grande, l’aeroporto- rispose Alberto utilizzando il tono di voce che usava quando la ragazza era più giovane, ma Giuditta spazientita gli tirò via dalle mani i documenti.

-Giuditta… - iniziò il rimprovero di Alberto per essere immediatamente interrotto.

-Papà è una follia. Fammi venire almeno con te!- una sentita preoccupazione si leggeva sul volto di Giuditta e Alberto sentì un moto d’affetto e tenerezza.

-Questo sarebbe una follia. Gli stranieri non sono ben visti nella Repubblica Magna. Non devo attirare l’attenzione -.

-Posso usare una maschera!- Giuditta replicò- È più da folli fare un colpo nella tana del lupo. Già ti vogliono ammazzare per la beffa del Salvator Rosa e se ti scoprono, ti linceranno!-

Giuditta si riferiva a come Alberto avesse restituito il Salvator Rosa alla fine: prima aveva rimandato la cornice e poi il dipinto era stato ritrovato due settimane dopo, intatto, in una scatola nell’aeroporto di Catania. I repubblicani non l’avevano presa bene, sulla testa di Alberto erano aumentati i mandati di cattura e poco ci mancava che mettessero un annuncio con la scritta “ Vivo o Morto” come in un film di Sergio Leone. Alberto aveva deciso d’infliggere una vera e propria umiliazione alla Repubblica: se ci fosse riuscito, avrebbe potuto iniziare la guerra.

-Me la caverò. Approfitta della mia assenza per fare delle feste favolose in casa- scherzò ma la ragazza distrutta aveva abbassato lo sguardo e Alberto la cinse tra le sue braccia e le disse dolcemente che sarebbe andato tutto nel verso giusto.

Giuditta aveva rialzato la testa e con aria minacciosa dichiarò - Se ti succede qualcosa, vado giù e scateno il 48!- usando un modo di dire assai popolare in passato, di cui era stato proibito l’uso dopo la separazione, Alberto le accarezzò il viso come ultimo saluto e poi si avviò al suo gate.

 

Roma, Palazzo del ministero dell'Interno della Repubblica Magna

05 agosto 2013 10.00 P. M

Michela Neri non aveva paura e ,se l’avesse avuta il suo viso sarebbe rimasto inespressivo, però in quel momento era un altro sentimento a essere in carica, l'irritazione: secondo il suo parere il Ministro dell’Interno la stava facendo aspettare troppo. La donna annoiata provò ad ammazzare il tempo studiando gli interni dell’anticamera del Palazzo del Viminale ripetendo mentalmente la storia di quell’edificio: un tempo era stato usato per il medesimo scopo dalla Repubblica Italiana. Quando era avvenuta la scissione, la nuova politica pragmatica della Repubblica Magna aveva optato di tenere i ruoli intatti delle sedi. L'idea generale era che la Repubblica non avrebbe dimostrato la sua potenza spostando qua e là gli uffici, già la rinnovata instaurazione di Roma come capitale era un motivo di vanto per i Repubblicani poiché il Regno Lombardo si era dovuto accontentare della meno antica e gloriosa Milano, per ragioni economiche a discapito di città più antiche come Torino ad esempio.

Il palazzo del Vinimale era grandioso: i pavimenti di marmo e bellissime murature riflettevano la luce del sole espandendola nell’edificio, come se quest’ultima fosse attirata da un misterioso compagno. Michela non era assolutamente toccata da quel gioco di luce, era insensibile a tutto ciò che considerava superfluo. Mentre guardava, impassibile quei giochi di luce fu annunciata dalla guardia-porte e poté finalmente entrare nell’ufficio del Ministro e, quando entrò, non fu catturata dalla bellezza dell’ambiente ma dagli sguardi delle persone in cui vi erano all'interno: il Ministro era in compagnia del Generale. Il politico era un uomo dall’aspetto giovanile, aveva dei limpidi occhi che gli donavano più l'aspetto di un artista che quello di un uomo di potere, il viso era così fine che neanche i folti baffi riuscivano a renderlo più adulto. Il Generale, dall'altra parte, era un uomo cinquantenne dal viso virile e dalla splendida forma fisica, coerente alla sua storia personale: siciliano di nascita, aveva studiato dall'accademia Nautica di Napoli. Gli occhi del Generale erano così scuri da sembrare neri e per questo motivo era molto difficile capire dove il suo sguardo impenetrabile si dirigesse e, come accadeva ogni volta lo incrociava Michela riusciva a provare l'indegno sentimento della preoccupazione, paura mai. Michela notò che sia Il Generale e sia il Ministro apparivano stanchi e ansiosi mentre li salutò militarmente com’era di uso nella Repubblica.

-Benvenuta, Primo maresciallo Neri- le disse cordialmente il Ministro ricambiando il saluto in un modo frettoloso mentre il Generale ricambiò senza dire una parola, la donna rimase in posizione d'attesa aspettando istruzioni.

-Il suo amico Alberto Giordano ha annunciato il prossimo furto, immagino che lo sappia- chiese retoricamente il Ministro.

-Sì, signore. Il ladro ha avvisato che farà un colpo nel Museo di Capodimonte a Napoli. Ma, se permette, non c’è molto da preoccuparsi-.

Il Ministro cambiò espressione e commentò severamente- Come può a dire che non c’è molto da preoccuparsi?Tutti i suoi furti sono riusciti: che cosa le fa pensare che non possa costituire una minaccia per la bella e fortificata Napoli?-.Michela, per nulla turbata dal cambio di tono del ministro, mantenne la sua posizione e commentò sicura – Il biglietto diceva che avrebbe rubato ciò che è di più raro e prezioso. In un museo in cui c’è un’intera galleria dedicata a oggetti rari, non vuol dire nulla o tutto. La data del colpo coincide con l’arrivo di alcune opere del Canova e questo potrebbe far supporre che l’obiettivo possa essere tra quelle ma non lo è e credo che sia più importante setacciare la città perché lui deve essere già nella Repubblica-.

-Impossibile!- disse il Ministro risentito e cercò uno sguardo d’intesa nel Generale, il quale rimase invece impassibile continuando a studiare il maresciallo.

Neri continuò, senza far caso volutamente alla negazione - Alberto Giordano ha bisogno d’informazioni per organizzarsi in un posto sconosciuto: ha mandato quel biglietto per agitarci e per studiare l'organizzazione della difesa del museo così da vederne i difetti e se daremmo più importanza alla mostra di Canova o al museo in generale-.

- Quale crede sia il suo obiettivo?- domandò il Generale con vivo interesse mentre il Ministro fissava il Maresciallo con un’espressione mista a scetticismo e incredulità.

-Non è il Canova, Generale. La statua più famosa esposta è alta circa tre metri e mezzo. È un professionista ma non ha un complice, una statua così alta è impossibile da rubare da soli. Penso, per quanto assurdo, che neanche lui sappia cosa rubare e per questo il suo avviso è così generale. È solo, in una città sconosciuta e ha bisogno di tempo per organizzarsi infatti il colpo è stato annunciato per il prossimo mese. Possiamo provare a fortificare il museo ma ho un altro piano: dobbiamo scoprire la sua identità e incastrarlo. Venire qua è stato un vero azzardo e questo gli costerà caro-.

L’espressione del Generale divenne confusa, - La sua identità è Alberto Giordano, che cosa intende per identità?-.

-L’identità che usa per vivere da civile, deve averne una e direi che la considera molto preziosa: non improbabile pensare che possa avere una vita parallela con dei solidi affetti-, spiegò Neri mentre i due uomini la guardavano interessati ma anche forse preoccupati dal chiaro risentimento di Neri nei confronti di Giordano, ma il maresciallo ignorò quelle espressioni per tornare a parlare del suo piano.

-Giordano ha molti alter ego, di solito li usa una sola volta per fare i colpi, delle sorti d’identità usa e getta che sono inutili da rintracciare. Ho deciso di trovare il suo alter ego da civile e trovare che cosa difende così strenuamente per metterlo in ginocchio-.

Il Generale domandò scetticamente, - Se fosse vero ciò che dice sarebbe molto strano che la polizia del Regno Padano non sia mai riuscita a trovare il suo alter ego da civile. Che cosa le fa credere che lei e i suoi uomini possano trovarlo?-.

La donna disse senza mezzi termini- Perché siamo migliori e pronti a sporcarci le mani-.

Il Ministro guardò il Maresciallo scioccato, chi diamine credeva di essere da potersi permettere un atteggiamento così arrogante con un suo diretto superiore e nientedimeno con il capo della nazione che entrambi servivano? I pensieri dell’uomo furono interrotti da un piccolo applauso del Generale e solo quel rumore si sentì nella sala, il ministro era rimasto scioccato e in silenzio, basito da quel gesto.

- Maresciallo Neri, conosco i suoi meriti … ha catturato moltissimi criminali nazionali e internazionali: immagino che possa sentirsi orgogliosa, ma Giordano è sempre stato la sua disfatta: non dovrebbe avere un atteggiamento così arrogante-.

Michela Neri rimase nella sua posizione ad ascoltare quella dichiarazione e immaginando il resto.

-Lei però ostenta una grande sicurezza e per cui possiamo anche aumentare la posta in gioco-, il viso del Generale divenne malizioso, non la malizia comune ai maschi che Neri ben conosceva e tanto odiava.

-Se catturerà Alberto Giordano lei diventerà Tenente-.

Il Ministro si turbò a tale affermazione che quasi obiettò, ma il Generale lo bloccò e il Ministro indietreggiò di qualche passo conciliante, il Generale aveva pieno potere su tutti e chiunque nella Repubblica Magna, Michela invece rimase inespressiva sentendo la sua l’ansia crescere …

-Se invece non catturerà Giordano sarà degradata a … - il Generale prese volutamente tempo osservando bene il Maresciallo per vederne le reazioni- Sergente maggiore. Siamo d’accordo?-.

Non era una domanda, era un ordine e Michela lo percepì e rispose- Affermativo, signore-. Il ministro guardò il Generale e poi il Maresciallo, incapace di capire la strana alchimia e tentativi di prevaricazione che avevano entrambi l'uno sull'altra.

-Ministro- il Generale attirò la sua attenzione- Che tutto questo sia messo a verbale-ordinò perentoriamente.

-Quanto a lei- disse rivolgendosi a Michela- Può andare-.

Michela uscì con passi decisi dalla stanza lasciando i due uomini soli,il Generale si sedette al posto del ministro, costringendolo ad accomodarsi disagiatamente al lato opposto della scrivania, sulla sedia più scomoda.

-Se ha delle domande, può chiedermele-, chiarì il Generale mentre il ministro lo guardava confuso e intimorito, il Generale si trattene a sbuffare, non capiva perché tutti i ministri avevano paura di lui … preferiva a questo punto una persona come il primo maresciallo: la sua arroganza era meno disturbante della codardia.

-Si fida del Maresciallo?-

- È in gamba e la posta in gioco è alta, non solamente per lei: la credibilità della Repubblica è in pericolo, se quel ladruncolo riesce a rubare a casa nostra sarà come ammettere la nostra incapacità e per riconquistare la nostra supremazia sulla penisola saremmo costretti a dichiarare guerra al Regno. In pochissimo tempo ci ritroveremmo l’UE e, se riesce a convincerlo, l’esercito ONU in casa. Se facciamo però la guerra, quel Giordano avrà vinto: vuole riunificare la penisola come fecero anni orsono gli americani tramite la Guerra di Successione o i Prussiani con le terre germaniche -.

-Non è più il tempo di guerre di questo tipo, Generale- obiettò il Ministro, per poi deglutire nervoso agli acuti occhi del superiore.

- La guerra non cambia, magari non si ridisegna una cartina geografica ma comunque controlleremo quelle terre, le quali sono controllate dall’UE, che aspetta un nostro atto di forza per denunciarci all’ONU. Noi non rispettiamo quelle ipocrite leggi che ha l’Unione. Che cosa te ne fai della libertà se non puoi lavorare, essere indipendente e dignitoso?-.

-Ma il Maresciallo, signore, è … - iniziò il Ministro.

- … Una persona che non crede nella Repubblica, ma è solo accecata dal suo desiderio di potere e vendetta?Ho letto il suo profilo: da una persona del genere non può aspettarti nulla che non sia per suo tornaconto, è fedele per calcolo, per questo più facile da gestire. Non mi aspetterei da lei un tradimento o un’alleanza con Giordano-. Il Ministro fissò il Generale invidiandone la sicurezza: sembrava così certo, come se considerasse il maresciallo Neri un pezzo di una scacchiera e che sapesse quali mosse sfruttare per vincere quella partita in corso.

-Sì, signore- concordò stancamente il Ministro sentendosi anche lui un pezzo di un gioco che non conosceva.

Napoli, Cimitero di Poggioreale 11 agosto 2013 10.00 A. M

Alberto si era rasato i capelli prima di andare a Napoli, sapeva che la maggior parte degli uomini aveva quel tipo di acconciatura e rendeva sopportabile il caldo umido della città. Stava camminando lungo le strade del cimitero di Poggioreale, alcune di esse si legavano al tessuto urbano della città e per cui si doveva fare attenzione alle automobili di passaggio.

Alberto rifletté, che dall’ultima volta che era stato lì, il cimitero non era cambiato molto ma la città sì, era diventata fredda, efficiente e pronta a opprimerti, aveva perso il carattere anarchico che la caratterizzava: Alberto aveva notato che c’erano moltissimi militari in giro, soprattutto nelle vicinanze delle Università dove se ne stavano lì con le loro divise nere e i mitra imbracciati pronti a fermare qualsiasi indisciplina. Proprio in virtù di questi cambiamenti, questa volta non aveva scelto come alterego l'identità di un turista straniero ma aveva preferito fingere di essere un uomo proveniente dall’Umbria in visita nella seconda città della Repubblica: i turisti oltre confine erano benvenuti nello stato militare ma la popolazione locale non avrebbe mai parlato apertamente della situazione interna con uno loro e Alberto non era solo lì a fare il colpo, voleva raccogliere informazioni.

Quello che aveva visto e sentito non gli era piaciuto per niente e con quei pensieri continuò a camminare, fino a quando trovò la sala in cui era stata spostata la salma del suo mentore. Fin dai tempi della sua costruzione il cimitero di Poggioreale era sempre stato sovrappopolato, per questo motivo i morti erano trasportati molto velocemente dalla terra ai sarcofagi a muro per guadagnare spazio.

Alberto avrebbe preferito trovarsi davanti a una lapide piuttosto che salutare il suo mentore guardando scomodamente verso l’alto, ma, come le avrebbe detto la stessa donna, “ Questo passa in convento”. Trovò il suo sarcofago sopra altri tre e quando vide l’incisione “ Lucia Mazzoccolo nata 31 ottobre 1922 morta 2 giugno 2004” sentì un colpo a cuore. L’uomo si fece il segno della croce e, assicurandosi che non ci fosse nessuno in ascolto, iniziò a parlare a bassa voce.

-Ciao-, non ci ovviamente nessuna risposta e Alberto continuò il suo monologo raccontandole di com’era diventata la sua città, le disse dei soldati sempre presenti nei posti di sapere e di circolazione d’idee (come le sedi universitarie, cinema, teatri) e del clima angoscioso di prevaricazione che si avvertiva negli attimi di silenzio.

All’apparenza tutto era diventato bello, pulito ma era chiaro che la popolazione non avesse avuto nessun merito di quella trasformazione. La Repubblica era efficiente, però la popolazione era stata ridotta a una chiara sottomissione di un Signore: non era cambiato nulla, esistevano ancora il feudalismo nel cuore del sud dell’Italia. La popolazione non era responsabile delle sue azioni e non poteva lamentarsi delle azioni dei governanti che fornivano il lavoro per avere sia il divertimento e il cibo, e la forca per punire chiunque si opponesse a quella prigione dorata. La situazione poteva essere descritta come antico detto popolare che recitava "Festa, farina e forca"

-Lucia … la ribellione, la rabbia … hanno perso tutto. Sono consapevole che il nord non se la passa meglio: appena la popolazione ha perso l’apparente superiorità si è chiusa in se stessa ed è diventata ancora più individualista, ignora completamente il significato di senso sociale.- sospirò Alberto.

-Forse non è una buona idea unirla questa penisola, forse è veramente soltanto un’espressione geografica-, commentò aspro  mentre il silenzio della cripta aumentava la sensazione di sconforto nel suo cuore, sentiva la sua fede indebolirsi eppure ci credeva ancora in quella nazione e in quel popolo che lui sentiva di appartenere.

-Farò un colpo al Museo di Capodimonte. Quest’anno porteranno alcune opere del Canova da Roma, tra cui l’Ercole e Lica della Galleria Nazionale d'Arte Moderna-, Alberto strinse le spalle e commentò- M’interessava molto come opera, ma è troppo grande, circa tre metri e mezzo-.

Sorrise al sarcofago, - Probabilmente questo non ti avrebbe fermato però non ho più spazio in casa per tenere delle opere d’inestimabile valore ad ammuffire e ormai il tuo negozio è stato chiuso.  Inoltre, se tornassi con qualcos’altro, Giuditta mi ammazzerebbe: il suo caratteraccio peggiora ogni anno che passa-. Sorridendo tentò di deporre nel vaso del sarcofago dei fiori che aveva con sé, ma era troppo alto per lui, allora li lasciò a terra, facendo il segno della croce, sussurrò- Addio-.

Alberto Giordano uscì con le lacrime agli occhi in una città ostile.

Napoli, Bosco di Capodimonte 11 agosto 2013 11.00 A. M.

Il museo di Capodimonte si trovava nel maggior sito verde della città, il Bosco con l'ononimo nome e quest’ultimo era un parco enorme per una città che era sempre immersa in un traffico claustrofobico, esso comprendeva all’incirca 1.340 km² di vegetazione ed era caratterizzato da grandi spazi aperti o piccoli boschetti adatti agli imboscamenti delle coppie.

Alberto sentiva l’aria fresca arrivargli ai polmoni mentre camminava, era già la seconda volta che veniva lì ma rimaneva entusiasta da quel vento rinfrescante e da quella sensazione di calma assoluta nonostante la presenza numerosa di persone: il parco era un ritrovo per turisti, studenti, che avevano saltato la scuola, coppiette. Il ladro era lì per dare un senso visivo allo studio dell’intero perimetro, studiato in precedenza nell’eventualità che dovesse fuggire attraverso il bosco che, data la sua estensione, sarebbe stata un’ottima alternativa per far perdere le proprie tracce, ad eccezione nei grandi spaziali verdi e aperti: in quelli Alberto sarebbe stato un facile bersaglio per una sparatoria.

L’uomo si sedette sotto una palma, che gli permetteva di studiare comodamente l’entrata del museo respirando il suo profumo dolciastro.Il museo di Capodimonte era immerso nel verde perché originariamente avrebbe dovuto essere una cascina da caccia, ma quando il re Carlo Borbone ottenne la preziosa Collezione Farnese, decise che la cascina sarebbe diventata un museo per ospitarla e fu esposta la prima volta nel 1757.

La Collezione era stata ideata dal papa Paolo III, della famiglia laziale Farnese, ed era composta di dipinti appartenenti al movimento del Rinascimento emiliano e romano e da pitture fiamminghe raccolte nelle città di Parma e Roma. Non era ovviamente l’unica collezione esposta al museo: la collezione dei Borgia, la galleria d’arte napoletana e quella dell’ottocento avevano la possibilità di essere apprezzate dal pubblico. Dopo aver riposato ed essersi dissetato sotto la palma, Alberto decise che era il momento di visitare il museo.

 

Napoli, Museo di Capodimonte 11 agosto 2013 11.20 A. M

Il museo di Capodimonte era una struttura a tre piani, appariva dall’alto come un grosso rettangolo con tre insenature quadrate, il resto del perimetro creava lo spazio reale delle sale. Il piano terra del Museo ospitava il gabinetto dei disegni e delle stampe di vari artisti, manifesti e una parte della sezione dell’Ottocento: era probabilmente uno dei piani meno apprezzati dai turisti, assieme a quello dedicato all’arte moderna al terzo piano, nonostante che l'esposizione vantasse anche dei disegni di autori come Carracci, Tintoretto e perfino di quelli monumentali di Michelangelo e Raffaello. Alberto sapeva che gli schizzi normalmente non riuscivano ad appassionare il pubblico, forse in parte convinto dal luogo comune che un artista iniziasse il suo lavoro senza nessuna fase preparatoria: generalmente qualcuno si fermava per buona educazione a quelli di Michelangelo o Raffaello,ma non avrebbe dedicato più di mezz'ora a quella collezione di duemilacinquecento fogli e venticinquemila stampe.

Le sale di quel piano erano spesso viste di sfuggita quasi come ci fosse una maledizione, ad eccezione delle volte che ospitavano qualche mostra di opere esterne, come il caso della mostra del Canova: in quel caso il piano era stranamente pieno di visitatori. Alberto camminò a passo spedito in quelle sale, soffermandosi soltanto a qualche disegno che attirava la sua attenzione o curiosità,ma fu felice di poter salire al primo piano, che era sicuramente il più ammirato.

Ospitava la collezione Farnese, gli appartamenti reali e la galleria delle collezioni rare: Alberto decise di visitare il museo passando per gli appartamenti reali, i quali erano stati tutti restaurati e permettevano di rivivere pienamente la sensazione della vita della corte settecentesca napoletana.

La sala da ballo era il più famoso e apprezzato locale di quei appartamenti: aveva le pareti di colore azzurro e grandi motivi barocchi, il pavimento di marmo ocra e bianco risplendeva nel suo motivo geometrico e le grosse finestre avevano un tendaggio color crema, una sfumatura che dava alla sala quel tocco di spensieratezza che ci aspettava dalla sua funzione. Nella sala Alberto vide due ragazzine ballare nei modi più disparati lungo tutto lo spazio, sorrise pensando Giuditta a casa intenta a fare chissà cosa, ma il divertimento delle ragazzine durò poco: appena si avvicinarono troppo al cordone che indicava la parte della sala non visitabile, una delle guardie le sgridò pesantemente e, le due, rosse di vergogna, scapparono immediatamente nel corridoio successivo.

La guardia esagitata tornò dal suo compagno tutto baldanzoso, come se avesse fermato chissà quale crimine in corso, ma non ottenne dall’altro i meriti che si aspettava, infatti, quest’ultimo lo guardò con un’aria di sufficienza costringendolo a chinare la testa sconfitto.  Alberto finse di mettere a fuoco la sala e li fotografò: aveva osservato che in ogni sala c’era una coppia di guardie, una più giovane e una più vecchia ma le altre erano sembrate più affiatate tra loro, era sempre un bene trovare eventuali anelli deboli nella sicurezza del museo.

Alberto s’incamminò in un'altra sala famosa, il Salottino di porcellana e corrispondeva al numero cinquantadue. Il Salottino di porcellana era stato commissionato da Maria Amalia di Sassonia ed era un ambiente in stile Rococò interamente rivestito da lastre di porcellana bianca decorate ad altorilievo con festoni e scenette ispirate al gusto orientale, in voga in quel periodo. Il Salottino era famoso perché era stata una grande opera di manifattura della Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte e rappresentava i contatti che aveva il Regno napoletano con il lontano oriente, facendo presumerne la sua potenza a quei tempi. Dopo aver dedicato qualche scatto al salotto, Alberto iniziò a visitare la Collezione Farnese mentre avvicinandosi così sempre di più al vero motivo della sua visita.

La collezione Farnese era molto vasta, i dipinti più famosi del primo piano erano i seguenti: Danae e alcuni ritratti della famiglia Farnese di Tiziano, la monumentale Crocifissione di Masaccio, il Trittico di Nicolò di Tommaso, alcune tavole del Botticelli e la Trasfigurazione del Bellini. Il dipinto di Tiziano “Danae” era uno dei preferiti di Alberto, si trovava nella sala numero 11,non lontano dal suo vero obiettivo. Molte persone ignoravano che il dipinto di Danae non era semplicemente una rappresentazione dell’antico mito classico (in cui Giove invaghito di Danae, si trasformava in una pioggia d’oro per penetrare nella stanza attraverso un pertugio nel tetto a fecondarla). Il dipinto poteva essere considerato un ritratto erotico e anche in certo senso satirico: la modella usata per Danae non era altro che una favorita del cardinale e il suo viso era estremamente somigliante al soggetto femminile di un altro dipinto “Fanciulla Farnese” (altra opera sempre esposta nel museo) e la pioggia d’oro, tintinnante di monete, sembrava alludere alla natura di cortigiana della donna. Alberto sorrise osservando il dipinto, in tutti i secoli gli artisti avevano trovato sempre il modo di superare la censura e talvolta anche di ridicolizzare chi gli dava da vivere.

Scattò qualche altra fotografia alle telecamere e silenziosamente si avviò nella Galleria delle cose rare, che iniziava con la sala numero 13, essa ospitava numerosi oggetti d’arte preziosi che probabilmente provenivano dalle residenze private dei Farnesi e ,tra questi oggetti spiccava, il peculiare Cofanetto Farnese.

Era in argento e rettangolare, le pareti erano impreziosite da lapislazzuli, in cui erano incastrati sei ovali di cristallo di rocca, sopra questi c’erano delle iscrizioni in latino e greco nominavano le scene rappresentate lungo il cofanetto. Le gambe del monile erano dieci modiglioni terminanti a zampa di leone e agli angoli vi erano quattro sfingi imponenti, che sostenevano quattro statue della mitologia romana: Minerva, Marte, Diana e Bacco. La forma del coperchio era di un frontone spezzato, fra le due parti si ergeva una bella statuetta di Ercole seduto su uno scoglio brandendo una clava.

L’intero cimelio sembrava voler celebrare l’abilità dell’artigianato dell’essere umano, era un pezzo raro e misterioso: il cofanetto non era mai stato menzionato negli inventari del Palazzo Farnese e l’unica citazione della sua esistenza era una menzione della Galleria Ducale di Parma nel 1708. Anche l’uso era rimasto un mistero e gli studiosi presumevano che avesse lo scopo di contenere libri, anzi che fosse stato realizzato per contenere il Libro d’Ore, il più prezioso testo miniato posseduto dal Cardinale Alessandro.

Anche se non poteva toccarlo perché protetto da una tecca, Alberto già pregustava la freddezza dell’argento nelle sue mani e la soddisfazione nel rubare un oggetto così magnifico, raro e, soprattutto, che si trovava in uno dei musei più prestigiosi della Repubblica. Fischiettando Alberto scattò altre foto della sala e si avviò agli altri piani del museo per studiare altre meravigliose opere, che avrebbero potuto essere un’interessante scelta se avesse dovuto ricompiere nuovamente un furto in quel museo.

Al secondo piano erano presenti, nella cosiddetta “ Galleria Napoletana”, dei dipinti dell'arte "caravaggesca" e i capolavori assoluti della pittura napoletana che andavano dal XIII al XVIII secolo. Tra i dipinti più noti c’era la Flagellazione di Cristo del Caravaggio. Era un dipinto di notevole dimensione, rispetto alle antecedenti opere che l'artista aveva svolto nel suo soggiorno napoletano, Caravaggio aveva dipinto una scena di tortura: Gesù era tra due aguzzini, appoggiato a una colonna. Il dipinto era organizzato proprio intorno a quella colonna su cui era legato Cristo e dove si disponevano i due torturatori, uno dietro e l'altro sul lato. Il corpo di Cristo era luminoso e sinuoso del suo dolore, tanto da contrastare i movimenti strozzati e secchi di concentrazione dei suoi aguzzini: era un dipinto dove si avvertiva la tensione fisica dei personaggi,soprattutto quella di Cristo torturato.

Alberto fissò un lungo attimo quel dipinto, affascinato dal gioco di luci e contrasti domandandosi com’era possibile che, in una terra come l’Italia, fossero nati dei geni di quel lignaggio. Era forse stato il senso di precarietà divoratrice, esistente fin dai tempi della caduta dell’Impero Romano a far nascere quei geni? Che continuavano a esistere in una terra così arida di possibilità e opportunità? Lentamente Alberto ripose la sua macchina fotografica nella custodia, come se fosse stato improvvisamente stanco … soltanto lui soffriva per le sorti di quella terra?

Decise di visitare, senza impegno, anche il terzo piano del museo che ospitava una galleria dell’ottocento napoletano, un'altra dedicata alla fotografia e una sezione d'arte contemporanea: le opere più importanti erano quelle dello scultore napoletano Vincenzo Gemito, morto tragicamente, con “O Pescatoriello” e di Andy Warhol, il fondatore e maggiore esponente della Pop Art, con Vesuvius.

Il terzo piano subiva la stessa impopolarità del primo piano perché l’arte moderna è sempre mal vista dalle persone comuni, considerata la morte dell’arte e non la rappresentazione della propria generazione. Alberto non era innamorato di quel genere, ma riusciva a riconoscere la follia che rappresentava perfettamente il XXI secolo e per cui si concesse un po’ tempo per ammirare quel piano così bistratto rimanendo affascinato dai colori scelti per rappresentare il Vesuvio da Andy Warhol: erano eccentrici come lo era un tempo quella città che il suo mentore aveva tanto amato. Alberto uscì soddisfatto dal museo, ma non prima d'aver chiacchierato amorevolmente con la commessa della biglietteria per ottenere più informazioni sull’attesissima mostra di Canova.

 

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: Sokew86