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Autore: Roscoe24    30/11/2018    8 recensioni
"Magnus si chiese se il fatto che nel giro di nemmeno un’ora, quella fosse la seconda volta che rimanevano incantati a fissarsi, potesse avere un significato. Forse poteva sperare. Ma in cosa?"
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A Magnus piaceva la sua vita. Era perfetta? No, ma a lui piaceva. Gli piaceva alzarsi tutte le mattine alle sei perché la sua figlioletta di quattro anni gli saltava sulla pancia urlando che era ora di alzarsi perché il sole era entrato dalla finestra. E se si svegliava lui, voleva dire che la notte era finita e con essa anche il tempo per dormire. Magnus avrebbe voluto che sua figlia fosse un po’ meno zelante e che lo lasciasse dormire almeno fino alle sette, ma andava bene lo stesso. Erin era di gran lunga la cosa migliore che gli fosse capitata. Non il suo successo, non la sua fama, non il suo talento. Sua figlia.
Erano soltanto loro due da quando la piccola era venuta al mondo: sua madre non ne aveva voluto sapere, né di crescerla insieme a Magnus, né di formare una famiglia. Camille era sempre stata profondamente egoista e Magnus troppo acciecato da ciò che provava per lei per rendersene conto. La verità era arrivata, alla fine, e Magnus si era reso conto di chi aveva avuto al suo fianco per tutti quegli anni. Erin, comunque, non chiedeva quasi mai della madre e Magnus non ne parlava di sua spontanea volontà. Più nolente che volente, Camille era ancora una ferita aperta, nonostante fossero passati quattro anni, più che altro perché Magnus si domandava spessissimo come avesse fatto a non rendersi conto di chi aveva al suo fianco, di quale fosse la vera natura della donna che aveva amato nell’ultimo decennio della sua vita.
“Papà! Papà svegliati! Il sole!” Erin saltò sulla pancia del padre, come ogni mattina, distraendo Magnus dai suoi pensieri. Osservò la figlia, i suoi occhi a mandorla, il suo sorriso e i capelli scuri come l’ebano. Erin assomigliava a lui e non aveva quasi niente di Camille. Magnus si sentiva sempre un po’ meschino ogni volta che si rendeva conto di essere felice di questa cosa.
“Lo vedo, sayang, il sole è sveglio.”
“E anche noi dobbiamo essere svegli!” Erin si sistemò sotto le coperte del letto di Magnus e si accoccolò al padre. “Però possiamo stare un po’ nel lettone. Basta non dormire.”
Magnus rise e abbracciò la bambina. Era tutta la sua vita, l’unica cosa che contasse davvero. Era per lei che aveva smesso di ballare, per riuscire a crescerla in modo normale. Magnus era un ballerino professionista, classico e moderno, e un coreografo molto richiesto. Aveva visitato ogni paese del mondo, grazie al suo lavoro, ma per quanto l’emozione di essere figlio del globo fosse inebriante, la sua bambina aveva bisogno di stabilità. E Magnus di certo non voleva che Erin crescesse ignorando il concetto di casa, o non sentendosi appartenere a nessun paese in particolare. Così Magnus si era fermato in America, vivendo prima a Boston, e poi trasferendosi a New York, la sua città d’origine. Era tornato da solamente un anno, ma era come se non fosse mai andato via: i suoi amici – più vicini al concetto di famiglia, in realtà – l’avevano accolto a braccia aperte e lo trattavano con lo stesso calore che gli avevano sempre riservato prima della sua partenza, avvenuta ormai quindici anni prima. Magnus era cresciuto (invecchiato, hermano, si dice invecchiato – risuonò la voce di Raphael Santiago, suo amico di vecchia data, nella sua testa) ed era diventato un uomo a tutti gli effetti: trentacinque anni, una figlia di quattro, e proprietario di una scuola di ballo. Erano lontani i tempi in cui, a vent’anni, si dava alla pazza gioia, non conoscendo altre regole diverse da è obbligatorio divertirsi.
“Papà, ma il sole la fa colazione?”
“Certo, lui cuoce la uova su una padella grossa e mangia pancakes giganteschi.”
“Ma dove la fa la spesa?”
“Nello spazio. C’è il supermercato più grande che tu possa immaginare. E il sole, ogni giorno, va a fare la spesa.”
“E dove li prende i soldi?”
Sua figlia era decisamente astuta. E Magnus era giusto un po’ orgoglioso di questa costatazione. “Dal suo conto bancario. Riscaldare l’intero sistema solare è un lavoro ben retribuito.”
“Cosa vuol dire ben retriburito?”  
Magnus rise sommessamente e baciò la fronte della figlia. “Retribuito, bintang. E significa che il sole può fare tutte le spese che vuole.”
La bocca di Erin formò una piccola O di comprensione. “Significa che ha tanti soldi!”
L’uomo annuì. “Sì, più o meno è così.”
Erin annuì e appoggiò una guancia sulla spalla del padre. “Papà, possiamo fare colazione anche noi?”
Magnus sorrise e le baciò i capelli. “Ma certo. Facciamo colazione e poi cominciamo a prepararci, d’accordo?”
Erin alzò la testa e annuì, regalando a Magnus un sorriso dolcissimo.


Magnus amava il suo lavoro. Il vecchio edificio che aveva comprato e restaurato per farlo diventare una scuola di danza lo rendeva felice. Internet si domandava ancora dove fosse finito Magnus Bane, dando per scontato che si fosse rintanato in una cittadella sperduta del Wyoming. Nessuno si immaginava che fosse a New York e insegnasse danza ai bambini. O forse, se alcuni lo sapevano non davano segno di volerlo dire al popolo del web. Forse Magnus stava perdendo la sua importanza, o forse, ormai, era considerato vecchio e di conseguenza meno interessante di altri astri nascenti più giovani di lui. Sia come sia, Magnus era orgoglioso di ciò che era riuscito a fare con le sue forze e quella scuola di danza lo riempiva di gioia. Lo rendeva ancora più felice il fatto che Erin amasse la danza tanto quanto il suo papà e che stesse imparando proprio da lui.
Magnus sapeva che le mattinate insieme alla figlia sarebbero finite a breve, dal momento che con l’arrivo della metà di settembre, Erin avrebbe cominciato il suo primo anno d’asilo. Era un anno in ritardo, ma l’anno precedente Magnus aveva pensato che lasciarla a casa sarebbe stato meglio, aiutandola ad ambientarsi bene nella nuova città, senza che venisse sottoposta a troppi cambiamenti. Comunque, non era la sola: anche Diana Lightwood avrebbe cominciato quell’anno e la piccola aveva la stessa età della sua bambina. Forse era anche per quello che erano diventate amiche. Anche se Magnus riteneva che il fatto che Diana fosse figlia di Clary, una delle sue più vecchie e care amiche, avesse aiutato parecchio. Clary era letteralmente impazzita quando le aveva detto che sarebbe tornato a NY. L’amicizia che legava i due era nata da ragazzini. Jocelyn e Madelaine, rispettivamente le madri di Clary e Magnus, erano molto amiche, quindi i due passavano insieme molto tempo.  Clary era più piccola di lui di sette anni e molto riservata, ma erano riusciti a legare molto bene, tanto che a volte Magnus andava a farle da babysitter , mentre Jocelyn si occupava della casa. Per questo era stato un colpo duro per tutti, quando la ragazza era rimasta orfana di madre: un’orribile malattia se l’era portata via quando lei aveva solo nove anni.
Clary non aveva mai conosciuto il padre biologico, che se n’era andato non appena aveva scoperto che Jocelyn era rimasta incinta, così era stato Luke a prendersi cura di lei e della bambina. Jocelyn e Luke erano migliori amici fin da sempre e ci avevano messo un bel po’ a capire che ciò che li legava non era semplice amicizia, ma vero e proprio amore. Quando Clary compì un anno, Luke l’adottò ufficialmente. Otto anni dopo, erano solamente Clary e Luke. E lo sarebbero stati per molto tempo: almeno fino a quando, qualche anno dopo, non era arrivata anche Maia Roberts, una ragazzina che veniva maltrattata dai genitori e che Luke aveva deciso di prendere con sé, adottandola ufficialmente. Luke era un detective dal cuore decisamente tenero: si era occupato personalmente del caso di Maia e sembrava fosse l’unico del quale la bambina si fidava, per questo era stato relativamente facile adottarla. Gli stessi servizi sociali avevano notato quanto la presenza di Luke tranquillizzasse Maia, di conseguenza avevano accettato la sua domanda.
A Clary piaceva la sua famiglia, con il suo passato triste e tutto il resto. Diceva che era quello che li aveva resi più forti, più uniti. E sebbene quei tre non fossero legati dal sangue, si volevano bene come se fossero un unico essere.
Questa era una delle cose che Magnus apprezzava più di Clary: la sua idea di famiglia, il suo cuore buono. La ragazza gli diceva sempre che anche lui era di famiglia, per lei, quindi se avesse avuto bisogno di qualcosa, la sua porta sarebbe sempre stata aperta. E così era stato: quando Magnus era tornato a NY, Clary l’aveva aiutato con il trasloco. Era arrivata portandosi appresso prole, compagno e famiglia del compagno – con il risultato che Erin e Diana avevano passato tutto il pomeriggio a giocare, mentre Magnus aveva finalmente conosciuto il famoso Jace, di cui Clary parlava nelle loro chiamate Skype,  Isabelle e Max, rispettivamente sorella e fratello minore di Jace.
Erano persone adorabili, soprattutto Isabelle, che oltre ad essere una bellezza mozzafiato, aveva una mente brillante ed acuta. Era il genere di donna per cui ogni uomo perde la testa e lei sembrava essere consapevole di tutto ciò. Max e Jace, se non si assomigliavano fisicamente, si assomigliavano per quanto riguardava la sagacia e il sarcasmo. Erano entrambi belli e intelligenti ed erano consapevoli di queste loro caratteristiche tanto quanto lo era Isabelle. Evidentemente, la consapevolezza era impressa nel DNA Lightwood.
Magnus accantonò quei ricordi e disse alle sue allieve – tra cui c’erano Erin e Diana – di fare stretching. Alla fine di ogni lezione, circa dieci bambine si mettevano sedute e si toccavano le punte dei piedi con le mani, allungando la schiena. Magnus sorrideva ogni volta, ricordando quando anche lui alla loro età faceva i medesimi esercizi. Si sedette a terra a sua volta, unendosi alle bambine. Era già pronto a sentire il solito vociferare sottovoce, a vedere le bambine formare dei piccoli gruppetti e parlare della lezione. Sapeva già che avrebbe trovato Erin e Diana vicine, ma quando alzò gli occhi, vide che lo sguardo della bambina andava oltre la figura di sua figlia. I suoi occhi verdi – come quelli della madre – erano fermi su un punto fisso, verso l’entrata, e la sua boccuccia era spalancata a formare una O di sorpresa. Magnus stava cominciando a preoccuparsi, quando improvvisamente la bambina scattò in piedi e cominciò a correre verso l’entrata, che si trovava a lato del parquet dove avveniva la lezione.
“Zio Alec!” urlò la piccola, i suoi ricci biondi, come i capelli del padre, che balzavano ad ogni suo passo affrettato. “Zio Alec, sei qui!” La vocina della bimba era così emozionata che sembrava stesse per piangere di gioia.
Magnus seguì la direzione della bambina e… Porca. Vacca. La piccola Diana si era appena tuffata tra le braccia di quello che poteva assomigliare alla cosa più simile ad una divinità che la Terra avrebbe mai conosciuto. Zio Alec era un grandissimo figo, alto – tanto alto – moro e barbuto. Era vestito completamente di nero e indossava un giubbotto di pelle. Tutta questa combinazione stava risvegliando in Magnus degli istinti che erano stati assopiti da tempo e che i suoi ormoni impazziti si stavano divertendo a stuzzicare.
Saltagli addosso! Gridarono quei piccoli bastardi.
Sarebbe poco professionale! Strillò la ragione.
Magnus si schierò dalla parte della ragione e quietò la tempesta ormonale che stava avvenendo praticamente in ogni centimetro del suo corpo, ricordando a se stesso che era un professionista e che non aveva più tredici anni. L’età di andare in brodo di giuggiole per uno sconosciuto, per quanto divino potesse essere, era passata da un pezzo. Dunque si avvicinò a Zio Alec e lo salutò cordialmente.
Alec, non appena lo vide, gli rivolse un sorriso storto e un tantino impacciato. Dannazione, pure i suoi sorrisi erano belli. E quegli occhi… Magnus era sicuro che dovessero essere catalogati come arma di distruzione di massa e resi illegali in almeno metà globo. Erano meravigliosi, particolari, erano un misto di verde e nocciola che si combinava alla perfezione, circondati da ciglia scure e lunghe, che li adornavano perfettamente come una corona.
“Mi dispiace essere piombato qui, ma Clary ha detto che potevo venire a prendere Diana.”
Magnus osservò – di nuovo – Zio Figo e, tralasciando che fosse dotato di ogni connotato fisico che trovava di proprio gradimento, notò una certa somiglianza con Isabelle e Max. Gli stessi zigomi alti, gli stessi capelli neri, la stessa bellezza. Magnus scacciò sia l’ipotesi che il grado di parentela potesse derivare dal fatto che Izzy avesse un fidanzato che sua nipote definiva zio, sia la sensazione di tradimento che provava nei confronti di Clary, e domandò, il più professionalmente possibile: “Sei un Lightwood?”
Alec, che teneva ancora la bambina tra le braccia, annuì. “Vuoi un documento?” 
“Sarebbe gradito, sì. Che razza di insegnante sarei se consegnassi bambine al primo sconosciuto che afferma di essere uno zio?”
Alec rise, ma prima che potesse lasciare la bimba per recuperare i suoi documenti, Diana si attaccò al suo collo. “Ma Mangus,” disse, poi, guardando l’insegnante, “Lui è zio Alec!”
“Non lo metto in dubbio, farfallina, ma vorrei esserne sicurissimo.”
“Diana,” Alec intervenne con voce pacata e la bimba portò i suoi occhioni sullo zio, “È una cosa che fanno i grandi.”
“Guardare i documenti degli zii??”
Alec ridacchiò. “Sì, perché devono assicurarsi che siano effettivamente degli zii.” 
“Oooh, capito. Allora va bene.” La piccola fece spallucce e si lasciò mettere a terra da Alec, che estrasse il portafoglio dalla tasca posteriore dei suoi jeans scuri, strappati sulle ginocchia e relativamente aderenti sulle cosce tornite – Magnus, forse, lo stava giusto un po’ fissando. Forse. – e porse i propri documenti all’insegnante.
“Grazie. Se vuoi scusarmi, vado a controllare.”
“Ma certo, chiama Clary, fai quello che devi fare.”
Magnus fece un cenno del capo all’altro e si diresse verso il suo ufficio, che si trovava praticamente di fronte allo spazio dedicato al ballo e aveva le pareti trasparenti, quindi riusciva a tenere sotto controllo tutto: le bambine che continuavano ad allenarsi, Diana e Alec.
Alexander lesse nella carta d’identità. L’universo gli stava decisamente lanciando un tiro mancino: non solo quest’uomo era bellissimo, ma aveva anche un nome stupendo. Doveva avere sicuramente dei difetti orribili, o forse era etero. In caso contrario, stava a significare che era perfetto, ma uomini perfetti non esistono. Giusto, Universo?
Magnus compose il numero di Clary e lasciò squillare. La rossa rispose al terzo squillo.
“Clarissa Adele Fairchild!” esclamò quindi Magnus con la sua voce da papà arrabbiato, nemmeno stesse sgridando Erin per essersi infilata il dentifricio nel naso. “Pensavo fossimo amici!”
“Lo siamo, Magnus!” disse la ragazza, sulla difensiva. Era pienamente consapevole che quando Magnus usava il suo nome per intero c’erano dei guai dietro l’angolo.
“Ah, davvero?”
Clary rimase in silenzio qualche istante, poi capì dove l’amico volesse andare a parare. “Hai conosciuto Alec, deduco.” Tirò un sospiro di sollievo, dopo quella costatazione. Vedere il numero di Magnus le aveva fatto pensare che Diana si fosse fatta male durante la lezione. Invece l’amico voleva solo parlare di suo cognato. Clary era decisamente sollevata.
“L’ho fatto. E ancora non capisco perché tu me l’abbia tenuto nascosto!”
Clary scoppiò a ridere. “Sei così melodrammatico, Magnus.”
Magnus ignorò quell’ultimo commento, perché una parte di lui sapeva che negarlo avrebbe significato negare la verità, e lanciando un’occhiata ad Alec, che stava giocando a battimani con
Diana, disse: “Non mi hai mai parlato di un Lightwood figo.”
“Jace è figo.” Gli fece notare la ragazza, non provando nemmeno a nascondere il suo divertimento.
Magnus decise di non cadere in quella trappola. “Sai cosa voglio dire!”
“Tu non hai mai chiesto.”
“Perché non sapevo esistesse! Pensavo fossero solo in tre!”
Clary sospirò. “Non mi ascolti, quando parlo? Ricordi cosa ti ho detto, la prima volta che ti ho parlato di Jace?”
Magnus fece mente locale, ma l’unica cosa che gli veniva in mente era Clary che diceva che erano tre Lightwood. “Vuoi rinfrescarmi la memoria, biscottino?”
“Jace è stato adottato. Aveva otto anni quando i Lightwood l’hanno preso con loro e avevano già Alec ed Izzy, mentre Max era nato da appena due settimane. Jace non ci ha messo molto ad ambientarsi, ma all’inizio diceva che i Lightwood erano tre e poi c’era lui. Con il tempo poi, e soprattutto grazie ad Alec ed Izzy, ha cominciato a sentirsi un Lightwood a sua volta, sebbene portasse quel cognome non appena venne adottato.”
Magnus si sentì un po’ in colpa per essersi dimenticato questa storia. “Ora ricordo. La mia memoria fa veramente schifo.”
“È l’età, Mangus.
“A tal proposito, devi insegnare a tua figlia a pronunciare bene il mio nome. Non voglio che quella delizia che chiami cognato creda mi chiami in quel modo. Mangus non ha lo stesso effetto di Magnus.”
“Perché Magnus vuol dire grande e tu vuoi mandare un nemmeno troppo subliminale messaggio?”
Magnus spalancò la bocca, quasi come se Clary avesse potuto vederlo. “Il fatto che tu possa pensare una cosa simile mi offende.”
“Magnus. Ti conosco come le mie tasche. So come lavora la tua maliziosa mente e so che serve ben altro per offenderti. Ora, chiarito che il mio futuro cognato non è un rapitore di bambini, ti aspettiamo stasera per cena, d’accordo?”
A Magnus altro non rimase da fare che arrendersi all’inevitabile. “Porterò il vino.”
“Quello buono che mi piace tanto?”
“A patto che non ti ubriachi come l’ultima volta. Sei molesta, quando ti ubriachi. E sorprendentemente forte, il mio mento ancora se lo ricorda.” Le immagini di Clary che, in preda ad un bisogno di affetto estremo, gli si butta al collo con l’intento di abbracciarlo, balenarono nella sua mente. Così come lo fece il ricordo della ragazza che, molto instabile sulle gambe, finì per trasformare quell’abbraccio in una testata.
“Quell’episodio risale a quasi sei anni fa. Sono madre adesso, più responsabile.”
“Mh-mh, staremo a vedere.” Magnus lanciò un’altra occhiata oltre le pareti del suo studio. Erin si era avvicinata a Diana e adesso entrambe le bambine stavano giocando con Alec, che si era chinato alla loro altezza. Il fatto che Magnus lo stesse immaginando nel salotto di casa sua, con il pigiama, mentre guardavano insieme un film, mangiando gelato, dopo aver messo a letto Erin, la diceva lunga sul fatto che la troppa astinenza provoca gravi, gravissimi, problemi mentali. Per quanto ne sapeva  lui, Alec poteva essere sposato. E Magnus aveva decisamente bisogno di una notte fuori, o la sua sanità mentale sarebbe degenerata. “Ci vediamo stasera.”
“A stasera!” lo salutò Clary, prima di attaccare.
Magnus sospirò e dopo aver lasciato il cellulare sulla sua scrivania, uscì dal suo studio con la carta d’identità di Alec ancora in mano. Ne approfittò per dare una sbirciatina: Alexander Gideon Lightwood, nato a NY il 12 settembre di trent’anni prima. Segni particolari: aizza ormoni – avrebbe aggiunto Magnus, ma questi erano dettagli.
Quando l’uomo li raggiunse, Alec si risollevò in piedi e gli rivolse un sorriso. “Clary ti ha detto che non sono un sociopatico?”
“Potrebbe averlo fatto, sì.” Mentre Magnus parlava, istintivamente Erin si mise al suo fianco. Alec notò quel gesto e, notando una certa somiglianza tra la bambina e l’uomo che aveva davanti, dedusse l’ovvio.
“Quindi posso portare via Diana?”
Magnus annuì. “Puoi, ma di a Clary che sarebbe meglio ti inserisse nella lista delle persone autorizzate legalmente a portarla via.”
“Lo farò, grazie.” Alec si chinò all’altezza della nipote e la sollevò per prenderla in braccio. “Hai una borsa, o uno zainetto?” chiese alla piccola, che annuì. I suoi ricci si mossero come tanti piccoli cavatappi intorno a lei. Sembrava un cherubino. Era bella come i suoi genitori e aveva la dolcezza di sua madre. Magnus si chiese se Alec, che guardava la nipote con uno sguardo colmo d’affetto, avesse dei figli, ma scacciò immediatamente quel pensiero: non erano affari suoi.
“Mangus, posso prendere il mio zainetto?”
“Ma certo, farfallina.” Magnus le sorrise e le accarezzò una guancia paffuta, poi Alec la mise nuovamente a terra e la osservò mentre si dirigeva verso l’attaccapanni addossato lungo tutta la parente in fondo alla stanza, dove si trovavano tutti gli zainetti delle bambine. “Come se la cava?” domandò quindi e Magnus portò la propria attenzione su di lui.
“Bene. Impara in fretta e penso sia dotata.”
“Diana è brava,” si inserì Erin e Alec abbassò lo sguardo su di lei.
“Scommetto che anche tu lo sei, vero?”
Erin accennò un sorriso timido. “Papà dice di sì.” Afferrò la mano di Magnus e questi cominciò ad accarezzarle il dorso con il pollice. Alec allora ci aveva visto giusto. Chissà perché andò a cercare una fede e chissà perché rimase piacevolmente stupito quando notò che l’anulare sinistro di quell’uomo era libero. Lo trovi attraente, ecco perché. Ma Alec scacciò quella realizzazione come se fosse la cosa peggiore che potesse venirgli in mente. E non perché non trovasse l’insegnante di danza di sua nipote attraente, ma perché aveva ferite che non si erano ancora chiuse e facevano ancora male. Alec voleva semplicemente tutelarsi. Evitare di farsi coinvolgere in situazioni che sarebbero degenerate. E interessarsi all’insegnante di sua nipote rientrava tra queste. Senza contare che, se aveva una figlia, con ogni probabilità aveva anche una donna con cui l’aveva concepita.
“Zio Alec, ho preso tutto!”
Diana lo estraniò dai suoi pensieri. “Perfetto, allora saluta.”
“Ciao Mangus, ciao Erin!”
“Ciao, piccolina.” Rispose Magnus, mentre Erin agitava una manina. Alec gli rivolse un altro sorriso di saluto e si diresse verso l’uscita della scuola. Se Magnus negasse di aver approfittato di quel momento per guardare il sedere di Alto, Ombroso e Affascinante sarebbe un grandissimo bugiardo.

*

Una delle cose che a Magnus riusciva meglio era apparire fantastico, così non perdeva mai occasione per mettere in evidenza la sua sfavillante persona. Di conseguenza, anche quella sera si era impegnato per essere bellissimo: per la cena a casa di Biscottino aveva optato per un paio di pantaloni di pelle neri, abbinati ad una camicia verde della quale aveva sbottonato qualche bottone per mettere in mostra le collane di varia lunghezza che aveva scelto. Secondariamente, ma non meno importante, si era truccato discretamente: una semplice linea di eyeliner e un po’ di mascara, qualcosa che non fosse esagerato, ma che comunque facesse risaltare i suoi occhi.
“Papà, quando potrò truccarmi anche io?” Gli chiese Erin, mentre Magnus si infilava qualche anello.
“Quando sarai un po’ più grande, bintang.”
Erin, nel suo vestitino azzurro, incrociò le braccia al petto, mettendo su il broncio. Quell’espressione, abbinata alle due trecce che le ricadevano sulle spalle, e il fatto che quel vestitino la facesse sembrare una bambola, la rendevano adorabile. Ma forse Magnus era di parte.
“Ma voglio truccarmi con te!”
Magnus si chinò all’altezza della bambina e la prese in braccio. “Quando sarai grande, lo farai.” Le lasciò un bacio sulla guancia. “Ora andiamo, ti va?”
“Da Diana?”
Magnus annuì ed Erin batté le mani, felice. “Andiamo, andiamo!” disse, così Magnus afferrò le ultime cose che gli servivano – vino compreso – e uscì di casa con la figlia in braccio.

 
Quando Clary l’aveva invitato a cena, Magnus di certo non si era immaginato una tavolata infinita destinata ad ospitare molte persone. Pensava più che altro che sarebbero stati lui, Biscottino, Trace e le bambine. A quanto pare, invece, a quella cena avrebbe partecipato tutta la famiglia, escluse le figure genitoriali.
“Perché non mi hai detto che saremmo stati così tanti?” domandò Magnus, mentre prendeva i piatti dalla dispensa di Clary. Avrebbe apparecchiato lui, ma non prima di ottenere delle risposte.
“Perché, altrimenti ti saresti fatto bello per Alec?” Clary mise un pizzico di sale nella pentola e mescolò. In quella cucina, c’era un profumino delizioso e lo stomaco di Magnus brontolò in approvazione.
“Stai insinuando che così-“ indicò se stesso con un gesto alquanto plateale della mano che aveva libera, “-non sono abbastanza bello?”
Clary ridacchiò. “Tu fai parte di quelle persone ingiustamente belle che stanno bene con qualsiasi cosa. Voglio dire, le mamme fanno commenti d’approvazione su di te in continuazione e ti vedono in calzamaglia!”
“Che ti posso dire: gli indumenti aderenti valorizzano le mie doti!”
La rossa spalancò gli occhi. “Magnus!” esclamò, minacciandolo con il mestolo sporco di sugo. Magnus fece un passo indietro così velocemente da far invidia ad un felino. “Non usare quell’affare sporco contro di me!”
“E tu non fare il malizioso.”
“Sarebbe come chiedere a Trace di smettere di parlare di sé: impossibile, biscottino.”
Clary alzò gli occhi al cielo e tornò alla sua pentola. Stava per correggerlo per tipo la milionesima volta, quando Jace entrò in cucina con il telefono all’orecchio.
“Alec dice se va bene la cheesecake alla nocciola e chiede se deve passare a prendere Max.”
“Sì e sì,” rispose Clary, ma poi guardando Magnus, le venne in mente un dettaglio, “Erin è allergica alle nocciole.”
“Quindi, che gli dico?”
“Se può fare un altro dolce.”
“Non è necessario,” intervenne Magnus, non volendo creare nessun disagio. “Non preoccupatevi.”
Jace guardò Clary, che guardò Jace, allora lui parlò al fratello che stava al telefono. “Alec?”
“Ho sentito.” Disse il maggiore. “Ci penso io, ci vediamo tra poco.”


*

Alec era carico come un mulo, stava sudando ed di certo il suo fratellino ventunenne che calcava con sarcasmo il loro ritardo, non era d’aiuto.
“Se avessi voluto arrivare a questa cena dopo aver compiuto ottant’anni, avrei chiamato Simon e mi sarei fatto venire a prendere da lui.”
“Perché anzi che lamentarti non mi dai una mano?”
“Perché hai voluto fare tutta questa roba?” Max indicò le due teglie che il fratello aveva in mano e il sacchetto  in equilibrio sul braccio, contenente una scatola di metallo piena di biscotti.
“Perché mi hanno detto che c’è una bambina allergica alle nocciole! Come ti sentiresti se tutti mangiassero qualcosa che tu non puoi mangiare?”
Max si fermò nel corridoio, a metà strada tra l’ascensore da cui erano usciti e la porta dell’appartamento di Jace. “La bambina è Erin?”
Alec lo imitò. “E tu come fai a saperlo?”
“Alec.” Max lo guardò come se la risposta fosse ovvia. “Sei l’unico che prima di oggi non conosceva Magnus e sua figlia. Credi che siamo tutti idioti?”
“Non ho mai detto questo. E da quando sei così impertinente?”
“Da quando tu fai dolci in più per impressionare l’insegnante di danza di nostra nipote.”
Alec sentì le guance accaldarsi, ma si rifiutò di arrossire. “Ti preferivo quando avevi otto anni.” Riprese a camminare, fermandosi davanti alla porta dell’appartamento di Jace. Max gli si affiancò subito dopo.
“Non hai negato, quindi vuol dire che ho ragione.”
Alec gli riservò un’occhiata sbieca e gli fece cenno con la testa di bussare, così Max obbedì. Rimasero in attesa qualche istante, prima che la porta venne aperta da Magnus.
Alec, nonostante tutta la sua buona volontà di mostrarsi indifferente, dovette resistere all’impulso di imprecare: Magnus era davvero bello. Era diverso da quella mattina. In qualche modo sembrava più… peccaminoso, e Alec si vergognò non appena quel pensiero attraversò la sua mente. Non poteva farci niente, comunque, se i pantaloni di Magnus erano aderenti oltre il limite umano consentito, mettendo in risalto ogni singolo centimetro delle sue muscolose cosce da ballerino, e se la sua camicia era un tantino sbottonata. Magnus era sexy e Alec in astinenza, non poteva ricevere un po’ di comprensione? Chiedeva troppo? Non pensava.
“Ciao!” li salutò Magnus, con un sorriso che avrebbe illuminato anche la più oscura delle notti. Alec rimase a guardarlo per qualche istante, prima di ricordarsi che non era stato lobotomizzato e quindi doveva comportarsi come una persona normale.
“Ciao…” ricambiò il sorriso e agganciò i suoi occhi a quelli ambrati di Magnus, messi in risalto dal trucco. Erano così belli e intensi che per qualche istante Alec sentì un lieve tremito percorrergli la colonna vertebrale.
I due rimasero occhi negli occhi per un po’, tanto che Max si chiese se fosse diventato invisibile all’improvviso, o se quei due fossero stati ipnotizzati. “Alec? I tuoi dolci, ricordi? Devi metterli nel frigo!”
“Giusto! S-sì, giusto, adesso vado.” Si congedò con un sorriso impacciato e superò sia Magnus che la soglia di casa, dirigendosi verso la cucina. Max salutò l’amico con un abbraccio ed entrò in casa, dove salutò tutti i presenti e poi individuò i suoi fratelli.
“Max!” lo chiamò Izzy, “Dov’è Alec?” La ragazza lo abbracciò e Max per ricambiare quel gesto dovette chinarsi un po’. Max aveva preso l’altezza da Alec e più cresceva più il più piccolo dei Lightwood tendeva ad assomigliare al maggiore dei suoi fratelli.
“È in cucina ad occuparsi della zuppa inglese.”
Isabelle alzò un sopracciglio. ”Pensavo facesse la cheesecake.”
“L’ha fatta, ma ha fatto anche la zuppa inglese. E ha comprato una valanga di biscotti in un biscottificio dall’altra parte della città.”
“E perché?”
“Per Erin. Jace gli ha detto che è allergica alle nocciole.”
Isabelle rimase un attimo in silenzio ad elaborare quell’informazione. Poi passò lo sguardo tra Jace, al suo fianco, e Max, di fronte a lei. “Lo fa per il motivo che penso?”
“Non lo so, per te il fatto che sia rimasto a fissarlo come un pesce lesso quando Magnus ci ha aperto la porta è un indizio valido?”
Jace rise. “Perché mi perdo sempre le scene più belle?”
Izzy diede uno scappellotto a Jace e una manata sul braccio di Max. “Voi non direte niente. Non voglio sentire frecciatine, commenti sarcastici, niente. Mi avete capito?”
“Sì, signora.” Dissero all’unisono.
“Bene. Se deve riaprire il suo cuore a qualcuno, Magnus potrebbe essere la persona giusta.”


Alec aveva sistemato la cheesecake e la zuppa inglese – senza liquori e con il pan di spagna imbevuto nel latte, modificata per fare in modo che una bambina potesse mangiarla – nel frigo e adesso stava aiutando Clary con le ultime cose. La ragazza aveva fatto due diversi tipi di lasagne: al ragù e al pesto – per Simon che era vegetariano – in una quantità tale che sarebbe riuscita a sfamare anche un esercito. Alec la stava aiutando a fare le porzioni e a portarle in tavola, dove tutti gli altri si erano già sistemati. Maia aveva brontolato dicendo che voleva dare una mano, visto che era arrivata per ultima a causa del doppio turno che aveva dovuto fare al bar, ma Alec le aveva detto che proprio perché era stanca, doveva andare a sedersi e lasciarsi servire, una volta tanto.
“Sei un tesoro.” Gli disse la ragazza, quando le porse un piatto pieno di cibo.
Alec sorrise e si chinò per lasciarle un bacio sulla fronte. “Non dirlo a nessuno, però.”
Maia rise e lo guardò sparire di nuovo in cucina. Solo quando la ragazza abbassò di un poco lo sguardo, notò che Magnus, di fronte a lei, la stava guardando con un sopracciglio alzato.
“Che vuoi?” gli sussurrò.
“Niente.”
“Magnus.” Lo fissò, per nulla impressionata da quel miserabile tentativo di fare finta di niente. “Parla. Che c’è?”
“Non posso guardarti?”
“Non con quell’espressione. Forza, non ho tutta la sera.” Maia appoggiò i gomiti sul tavolo e intrecciò le mani per appoggiarci il mento. Studiò l’amico con espressione particolarmente attenta: i suoi lineamenti, il fatto che se non rivolgeva la sua attenzione ad Erin, seduta al suo fianco, la riservava ad Alec ogni volta che entrava per portare da mangiare agli ospiti. “Mio Dio,” esclamò, sorridendo, “Pensi che ci sia del tenero tra me e Alec e la cosa ti infastidisce!”
Magnus afferrò una delle sue collane e cominciò a giocare con il ciondolo, distogliendo lo sguardo da Maia. “Non so di cosa tu stia parlando.”
“Sì che lo sai, invece. Quant’è che non esci con qualcuno? Pensi che Alec sia un ottimo candidato?”
“La mia vita sentimentale non è affar tuo,” sussurrò per non farsi sentire da Erin, che comunque era intenta a giocare con Diana ai my little pony. “E non penso niente di Alexander.”
Maia si aprì in un sorrisetto sornione e compiaciuto. “Alexander.” Lo scimmiottò. “Quindi ti piace.”
Magnus ridusse gli occhi a due fessure. “Hai parlato con Clary? Voi due vi divertite a torturarmi dall’alba dei tempi!”
Maia esplose in una risata che non riuscì a trattenere. “Clary non mi aveva ancora detto niente, ma l’hai fatto tu.”
L’uomo si appoggiò allo schienale della sedia e resistette all’impulso di mettersi le mani nei capelli perché altrimenti avrebbe rovinato la sua perfetta cresta. Non aveva passato mezz’ora ad aggiustarla perché la capacità innata che aveva Maia di provocargli una crisi di nervi la rovinasse.
Adorava Clary e Maia, ma quelle due tendevano a coalizzarsi contro di lui un po’ troppo spesso.
“Non c’è niente tra me e lui. Siamo solo amici. Molto, in realtà… Alec è buono.”
Magnus stava per rispondere, ma decise di rimanere in silenzio quando notò che Alec stava tornando in sala con le ultime porzioni. Lasciò un piatto a Simon e poi si diresse verso di lui.
“Grazie,” gli disse Magnus e Alec gli sorrise.
“Figurati.”
Magnus si chiese se il fatto che nel giro di nemmeno un’ora, quella fosse la seconda volta che rimanevano incantati a fissarsi, potesse avere un significato. Forse poteva sperare. Ma in cosa? Che Alec lo ricambiasse? Non lo sapeva con esattezza. Avrebbe voluto conoscerlo? Sapere cosa celasse la sua mente, scoprire se fosse tanto bella quanto lo era il suo aspetto?
Alec è buono. E Dio sapeva quanto Magnus avesse agognato ad avere qualcuno con quella caratteristica nella sua vita, qualcuno che avesse un cuore capace di amare. Qualcuno che non lo facesse soffrire.
“Alec!” lo chiamò Jace, interrompendo di conseguenza il loro contatto visivo. “Vieni a sederti!”
Alec gli rivolse un sorriso e poi si allontanò, dirigendosi verso il fratello.


“Allora com’è stato il rientro?” Domandò Simon, la bocca piena di lasagne. “Lydia ti è saltata in braccio non appena ti ha visto?”
Alec finì di prendere un sorso del vino che aveva portato Magnus e appoggiò nuovamente il bicchiere sul tavolo. “Più o meno. Mi ha detto di non andare mai più via per così tanto tempo, o mi strozza.”
Magnus drizzò le orecchie con così poca discrezione che Maia gli diede un calcio sotto al tavolo. “Smettila.” Le sussurrò in un sibilo, mentre voltava la testa dall’altra parte del tavolo per captare più informazioni possibili. Se doveva ballare, tanto valeva lo facesse a modo suo. “Lydia è la tua ragazza?” chiese, quindi, cercando di apparire il più calmo possibile e di non prestare attenzione al fatto che nove teste, comprese quelle delle due bambine, fossero rivolte verso di lui. Non avrebbe dovuto essere nervoso, era abituato ai palchi di Broadway e ad infinità di spettatori, eppure nonostante avesse confidenza con le persone sedute a quel tavolo, si sentì improvvisamente vulnerabile. Simon che trattenne una risata, comunque, fece sparire quella sensazione, facendogli tornare la sua solita attitudine spigliata.
“Ti faccio divertire, Sigourney?”
“No, solo che…” Simon lanciò un’occhiata ad Alec, che alzò gli occhi al cielo.
“Quanto ti piace raccontare questa storia?”
“Tanto. Quindi la racconterò di nuovo. Allora, Magnus, devi sapere che conosco Alec da tanto tempo e una volta siamo usciti insieme.”
“Ti sei autoinvitato ad una serata fuori tra me e Jace, se dobbiamo essere pignoli.”
Simon liquidò quel commento con un gesto incurante della mano. “Siamo in questo bar, luci soffuse, musica discreta, un tavolino tutto nostro. Ad un certo punto, si avvicina una ragazza bellissima che chiede ad Alec se ha voglia di bere con lei. Ma lui gentilmente rifiuta e questa ragazza se ne va. Allora io gli domando perché e lui mi risponde che non era il suo tipo. E cosa deve avere una ragazza per piacerti? Gli chiedo, quindi, e lui, con tutta la serietà del mondo, pianta i suoi occhi nei miei e dice: deve essere un ragazzo.”
Alec si mise le mani sul viso con esasperazione e poi si rivolse direttamente a Magnus. “Tutto questo discorso per dire che Lydia è una mia collega e amica.”
Era un coro angelico quello che sentiva Magnus? L’universo l’aveva messo sulla strada di un uomo che era bellissimo, buono (secondo Maia, e lui si fidava di Maia) e gay? Era la mattina di Natale e lui per caso non se n’era accorto?
“Oh,” abbassò lo sguardo sul proprio piatto, altrimenti non solo avrebbe cominciato a sorridere, ma avrebbe addirittura gongolato
“Rovini sempre l’atmosfera. Hai fatto una battuta. Tu che di battute non ne fai mai, quella sera ne hai fatta una! Tutto ciò merita una storia che venga tramandata!”
Alec che ancora stava guardando Magnus e non sapeva come interpretare quella reazione, si sforzò di portare la sua attenzione su Simon. “Se non le faccio con te non vuol dire che non faccia battute.”
“Tu non fai mai battute.” Si inserì allora Max, che fu spalleggiato da Jace e successivamente da Izzy.  
Alec fu tentato di gettare la faccia nel piatto, ma in questo modo avrebbe rovinato le lasagne ed erano troppo buone perché venissero sciupate. “Sapete che vi dico? Non capite il mio umorismo!”
In ogni caso, fu grato a Clary che cambiò argomento, salvandolo da quella specie di inquisizione.


Alec non passava una serata così da… un anno. Da quando era partito, non aveva perso i contatti con la sua famiglia, chiamando via Skype appena ne aveva la possibilità, ma averli con lui in carne e ossa era completamente diverso. Gli mancavano ed era felice di essere tornato. Non era cambiato quasi niente, se si esclude il fatto che sua nipote avesse un anno in più e sapesse dire molte più parole.
«Non mi piace vederti dal computer, zio Alec. Quando torni a casa?»
Alec si sentiva in colpa ogni volta che Diana gli faceva quella domanda. Era partito in un momento di fragilità, dove credeva che allontanarsi fosse la cosa migliore da fare. Forse era stata la cosa migliore per lui, ma non per la sua famiglia: Jace aveva dovuto posticipare il suo matrimonio e Diana sentiva la sua mancanza ogni giorno. Si era scusato con il fratello, ma Jace gli aveva detto che non doveva preoccuparsi. «Non hai mai fatto niente per te, nella vita. Se hai bisogno di andare via, fallo. Io e Clary possiamo aspettare.»
E poi c’era stata Isabelle… lei l’aveva stretto con tutta la forza che aveva in corpo e aveva piantato i suoi occhi neri come la notte in quelli di Alec. «Vorrei che rimanessi, ma capisco perché lo fai. Chiamami, però. Tutti i giorni, o quando torni ti prendo a calci.»
Max non aveva detto niente, si era limitato ad abbracciarlo. In un primo momento, Alec aveva pensato che fosse arrabbiato con lui, che vivesse quell’allontanamento con lo stesso senso di tradimento provato nei confronti del padre quando aveva lasciato la madre. Ma quando si erano sentiti, la prima volta che Alec era atterrato, aveva capito che la situazione non poteva essere più diversa. A Max mancava, ma come Isabelle, capiva il motivo del suo allontanamento.
“Ehi.”
Alec venne distratto dai suoi pensieri. Era in cucina e stava tagliando i dolci per sistemarli su dei piattini da portare a tavola. Alzò lo sguardò da una delle teglie e trovò Magnus sulla soglia.
Ripensò alla reazione che aveva avuto quando Simon aveva detto che era gay. Un Oh che l’aveva portato ad abbassare lo sguardo. Alec conosceva quella reazione. Robert continuava ad averle e si irrigidiva ogni volta che Alec nominava un suo amico, come se un uomo gay non potesse avere amici maschi senza necessariamente andarci a letto.
“Ascolta, se è per quello che è stato detto a tavola, non posso dirti che mi dispiace perché non è così.”
Magnus aggrottò le sopracciglia. “Di cosa stai parlando?”
“Della mia omosessualità. Non è un tabù nella mia famiglia, persino Diana lo sa. Quindi se sei qui per sentirmi dire che è inopportuno dire certe cose a tavola, perché non pensi sia educativo per tua figlia, perdi il tuo tempo.”
“Frena, frena, frena!” Magnus alzò le braccia in segno di resa e si avvicinò ulteriormente ad Alec. C’era un tavolo, al centro della cucina, e i due stavano alle parti opposte di esso. Magnus dava le spalle alla porta, Alec al piano cottura. “Sono qui per ringraziarti.”
Alec sentì chiaramente le guance diventare viola per la vergogna. “Merda. Scusa, io… ringraziarmi per cosa?” Domandò allora, confuso.
Magnus accennò una risata e si avvicinò ancora ad Alec. “Per il dolce in più. So che è stata una cosa dell’ultimo minuto e che l’hai fatto per Erin, quindi grazie. Non tutti  l’avrebbero fatto.”
Adesso Alec si sentiva un totale stronzo prevenuto. Un po’ come suo padre, ma scacciò quell’associazione con orrore. “Mi dispiace, io… pensavo ti desse fastidio. Ho interpretato male la tua reazione, a tavola.”
“Non preoccuparti. Capisco bene che spesso possiamo essere prevenuti. Siamo abituati a determinati comportamenti che ci fanno ancora male, nonostante tutto.”
Alec pensò ancora a suo padre, ma allontanò di nuovo quel pensiero. “Tu…?”
“Bisessuale. Immagina i commenti. E sono anche un padre single che si trucca, quindi quanto pensi si sbizzarriscano?”
“Mi dispiace.”
“Non devi, davvero. È tutto a posto.”
Alec accennò un sorriso, un solo angolo della bocca alzato. “Ricominciamo, ti va?”
Magnus annuì. “Grazie per aver fatto un dolce in più.”
“È stato un piacere.”
“Erin sarà felice.” Magnus accennò alla zuppa inglese. “Adora la crema.”
“In realtà anche io. Potrei mangiarla a cucchiaiate senza sentirmi in colpa nemmeno un po’.”
Magnus rise e Alec si lasciò contagiare aprendosi in un sorriso. Magnus era bellissimo e lui, nonostante avesse un terrore profondo della possibilità di legarsi di nuovo a qualcuno, si sentiva attratto particolarmente da lui. Gli piacevano i suoi occhi: erano a mandorla e di un colore ambrato che trasmetteva calore e dolcezza. Sembravano sinceri. Ma Alec sapeva che era prestissimo per averne la certezza. Alla fine, lui e Magnus non si conoscevano.  
“Vuoi una mano?” chiese Magnus.
“Saresti molto gentile, grazie.”
Quando Magnus fece il giro del tavolo e si sistemò al suo fianco, Alec cercò di non concentrarsi sui loro gomiti che si sfioravano e sul profumo al sandalo dell’uomo che invase piacevolmente le sue narici, invano.
“Non penso ci siamo presentati sul serio,” esordì Magnus, dopo aver tagliato un pezzo di cheesecake e averlo appoggiato su un piattino. “Sono Magnus.” Allungò la mano libera verso Alec, che l’afferrò, prima di sbuffare una risata dal naso.
“Alec.” Si presentò a sua volta. “Avevo intuito, comunque, che il tuo nome non fosse Mangus.
“Grazie al cielo.” Magnus si accinse a tagliare un’altra fetta. Alec lo imitò e dopo qualche istante passato in silenzio disse:  “Comunque, Magnus è più bello di Mangus.
Magnus smise di concentrarsi sul dolce e alzò gli occhi su Alec. Era la terza volta, quella sera, che i loro occhi si incrociavano e rimanevano incatenati gli uni agli altri, attratti inevitabilmente come se delle forze sovrannaturali lavorassero al loro posto, rendendoli vittime di un piacevole, dolcissimo, incantesimo. “Anche Alexander è più bello di Alec.”
Le guance di Alec si colorarono inevitabilmente, mentre si apriva in un sorriso. I suoi occhi, comunque, non lasciarono quelli di Magnus – il quale si chiese quanto sarebbe stato inopportuno sporgersi e baciare quell’uomo bellissimo.
“Papà?”
L’entrata di Erin in quel preciso momento, fu una risposta più che eloquente da parte del destino, che sembrò rispondergli: molto inopportuno.
“Dimmi, bintang.
Erin si avvicinò al padre e cominciò a studiare con i suoi vispi occhi castani l’ambiente che la circondava. “Posso mangiare un biscotto? Clary dice che devo chiederti il permesso.”
“Clary ha ragione, zucchetta.” Magnus guardò Alec. Sapeva che i biscotti in questione erano quelli portati da lui e che Clary li aveva messi in tavola in attesa che Alec facesse le porzioni. “Contengono nocciole?”
Alec negò con il capo. “Sono al latte. Li ho presi di proposito.”
Magnus si chiese quanto fosse stata crudele Clarissa a nascondergli quel tesoro vivente e mentre si rispondeva che era stata crudelissima, prestò di nuovo attenzione ad Erin. “Allora puoi mangiarlo. Uno solo, però.”
“Tre?”
“Uno.”
“Cinque?”
Sayang, non funziona esattamente così una negoziazione.”
Erin aggrottò la fronte e storse leggermente la testa. “Non mi piace quella parola. Non ha un bel suono, quindi ha sicuramente un significato brutto.”
Alec, che stava assistendo a tutta la scena, non riuscì a trattenere una risata. Erin era adorabile.
Magnus sospirò, arrendendosi. “Due. Puoi mangiarne solo due, capito?”
Erin annuì, battendo le mani felice, e uscì dalla cucina.
“È sveglia.” Commentò Alec, con ancora un sorriso sulle labbra.
“Non sai quanto. Fortuna che sa contare fino a cinque, altrimenti avrebbe continuato a salire fino a cento.”
Alec rise di nuovo e tagliò l’ultima fetta. “In ogni caso, riescono sempre a raggirarci.”
“Esperienza personale?”
“Puoi giurarci. Diana mi ha praticamente in pugno, il che non sempre è educativo.”
“Sei suo zio, sei quasi obbligato a viziarla.”
Alec rise e Magnus fu attraversato dal desiderio di sentire quel suono più spesso. “Vallo a dire a Jace, almeno smette di rimproverarmi.”
“Lo farò.”
Rimasero in silenzio per un po’. Era una sensazione piacevole, confortevole, quasi. Alla fine, non si conoscevano, ma nonostante non stessero avendo una conversazione, non c’era quell’imbarazzo che caratterizza di solito due estranei, tra di loro. Ad Alec piaceva, ma la cosa lo terrorizzava a morte, soprattutto perché gli ricordava troppo bene una situazione che l’aveva fatto soffrire.
Che ti ha fatto scappare, vuoi dire.
Alec sospirò impercettibilmente. Era vero, comunque. Non poteva negare che c’era un motivo dietro la sua fuga.
“Alec ti vuoi sbrigare?” gridò Jace dalla sala e Alec alzò gli occhi al cielo. Poi si rivolse a Magnus.
“E poi dicono che i fratelli minori sono una benedizione!” uscì dalla cucina con due piattini in mano, su cui giacevano due porzioni di cheesecake appena tagliate.
Forse Magnus non lo conosceva abbastanza, ma non serviva avere troppa confidenza per capire che Alexander non lo pensasse davvero. Bastava osservarlo mentre guardava i suoi fratelli per capire che si sarebbe gettato nel fuoco per loro.
Alec è buono. Le parole di Maia risuonarono di nuovo nelle sue orecchie e Magnus si ritrovò a crederci ciecamente.



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Ciao a tutti e ben ritrovati!
Allora, se siete arrivati fino in fondo, vi ringrazio immensamente!
Non so bene da dove sia nata questa storia, so solo che l’idea mi frullava in testa da un po’ e ho voluto provare a buttarla giù. È solo il primo capitolo e per adesso ho solo scritto l’inizio del secondo, quindi nonostante abbia più o meno la trama in mente, non so ancora bene come svilupparla. È un AU che vede Magnus padre. Ora, non ho mai scritto di Magnus padre, quindi è un piccolo esperimento e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, se l’idea secondo voi può essere plausibile o se fa schifo. So che magari non si capisce tantissimo da questo primo capitolo, ma conto di spiegare un po’ le cose mano a mano che la storia prosegue.
È una Malec, ma vorrei provare a sviluppare anche i rapporti degli altri personaggi – spero di riuscirci e di non fare un casino.
Vorrei fare una precisazione su Max: non abbiamo mai avuto modo di vederlo crescere, quindi non so bene come potrebbe essere il suo carattere. Me lo sono immaginato un mix tra Jace ed Izzy, caratterialmente, mentre fisicamente me lo sono immaginato come Noah Centineo. Non so se sapete chi sia, nel caso andate a vederlo, ma secondo me assomiglia un po’ a Matt e ce lo vedo un sacco nei panni di un possibile Max adolescente.
Concludendo: il titolo della storia è preso dalla canzone “Ain’t Nobody” nella versione di Jessie J, che mi ha troppo ricordato Alec e Magnus. 
Inoltre, secondo Google Traduttore, sayang e bintang in indonesiano significano rispettivamente tesoro stella, due nomignoli per Erin. Non so quanto possa essere corretto o affidabile, nel caso ci sia qualcuno che ne sappia più di me è più che legittimato a farsi avanti! 
Vi saluto e vi ringrazio ancora per essere arrivati fino in fondo! A presto :D 
   
 
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