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Autore: _Joanna_    30/11/2018    0 recensioni
Alla periferia della grande città di Londra, circondato da alti cancelli, un modesto edificio si erigeva grigio e silenzioso.
I passanti nemmeno lo notavano, troppo occupati nelle loro faccende quotidiane per badare a quella piccola costruzione, dimora degli esclusi, degli ultimi, dei più inutili e insignificanti membri della società inglese.
Quel luogo cupo e dimesso era, infatti, un orfanotrofio, un luogo squallido e tetro, dove una ventina di bambini aveva trovato accoglienza
.
Tutti sapevano, ma nessuno lo disse.
Tutti lo ignoravano, ma un giorno nessuno avrebbe più potuto fingere.
-
Fanfiction incentrata sull'adolescenza di Tom Riddle e sui lunghi anni passati nell'ombra prima di diventare il famigerato Lord Voldemort.
Narratore d'eccezione, un nuovo personaggio che ha già trovato posto in milioni di fanfiction sul tema,
Spero solo di annoiarvi a morte, a questo ci penserà, nel caso, qualcun altro.
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Riddle/Voldermort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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2.22



Capitolo II

La Rivelazione






31 dicembre 1937


Un deciso bussare alla porta.
Nessuno bussava mai alla nostra porta e di certo non con tanta decisione.
Tom, che si era sdraiato sul suo letto, si rimise a sedere.
Io rimasi appollaiata sul sedile della finestra, lo sguardo fisso sulla porta che si stava aprendo.
La direttrice Cole entrò nella stanza; dietro di lei, c'era l'uomo che avevamo visto arrivare.
Era molto alto ed emanava un senso di sicurezza, ma anche di minaccia.
C'era qualcosa nel suo aspetto, un po' eccentrico, con quella lunga barba e la buffa veste color prugna, che mi rese sospettosa.
Era strano, ma, nel guardarlo, mi resi conto di quanto lui e Tom si somigliassero, con quella loro aria di superiorità, quell'aurea di un qualcosa, come di potere.
«Tom, Ophelia questi è il signor Sipiente… Mi scusi, Saliente» esordì la direttrice «È qui per parlare con voi di … bé ve lo dirà lui».
Scoccai un'occhiata preoccupata a mio fratello, mentre la signora Cole usciva dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
«Come state, Tom, Ophelia?» esordì lo sconosciuto, tendendoci la mano.
Tom aveva gli occhi socchiusi e lo sguardo indagatore.
Io esitai: non volevo sembrare scortese, ma, per mia abitudine, aspettavo sempre che fosse Tom a fare la prima mossa.
Alla fine, lui strinse la mano dell'uomo e così io lo imitai subito dopo.
«Io sono il professor Silente» si presentò quello, avvicinando la sedia al letto di Tom e facendomi segno di accomodarmi accanto a mio fratello.
Obbedii.
«Professore?» chiese intanto Tom, brusco «È come “dottore” vero?» continuò, sempre più sospettoso «Lei l’ha chiamata per farmi visitare?» disse sprezzante, indicando la porta dalla quale la signora Cole era appena uscita.
Era di nuovo arrabbiato, notai.
«No, no» rispose l'uomo, sorridendo.
«Non le credo» ribatté Tom, secco «Vuole farmi visitare, vero? Dica la verità!» ordinò. Tom era fatto così: lui voleva, lui pretendeva, lui otteneva, sempre.
Ma l'uomo, Silente, non sembrò affatto impressionato dalle parole di un undicenne.
«Chi è lei e che cosa vuole da noi?» intervenni io alla fine; anche io ero sempre più diffidente e non mi piaceva affatto quella situazione.
«Ve l’ho detto, sono il professor Silente e sono venuto a offrire a voi un posto a Hogwarts, la mia scuola» rispose l'uomo, calmo, e aggiunse «La vostra nuova scuola, se vorrete venire».
Prima che potessi di nuovo aprire bocca, Tom balzò giù dal letto.
Era furibondo.
«Non mi prenda in giro! Dal manicomio, ecco da dove viene lei, vero professore? Bé, io non ci vado, capito?» gridò.
«Certo che no!» concordai, raggiungendo Tom, che era indietreggiato e ora dava le spalle alla finestra «Tom non è malato, sono gli altri che si immaginano le cose!» esclamai convinta.
«Quella vecchia, è lei che dovrebbe essere ricoverata» continuò Tom «Io non ho mai fatto niente alla piccola Amy Benson o a Dennis Bishop e può anche andare a chiederglielo, glielo diranno!»
Ora era spaventato, capii.
Gli strinsi la mano, serrata a pugno; se quell'uomo era venuto lì, convinto di portarci via, per poi rinchiuderci in qualche strano centro dove pensavano di poterci esaminare, studiare, sezionare, bé, si sbagliava di grosso.
«Io non vengo dal manicomio» disse Silente, paziente «Sono un professore e se volete sedervi tranquilli, vi racconterò di Hogwarts. Ma se preferite non venire nella mia scuola nessuno vi costringerà».
«Vorrei solo che ci provassero» commentò Tom, beffardo, ma risoluto.
«Hogwarts» continuò Silente, facendo finta di non averlo sentito, «è una scuola per ragazzi con capacità speciali…»
«Io non sono pazzo!» protestò Tom.
«Lo so che non sei pazzo. E non lo è nemmeno tua sorella. Hogwarts non è una scuola per gente pazza. È una scuola di magia».
Silenzio.
Percepii le emozioni di mio fratello: adesso Tom era come bloccato, il volto inespressivo, ma i suoi occhi erano attenti e vigili e scrutavano quello strambo uomo, cercando di capire se e perché stava mentendo.
«Magia?» ripetei io alla fine, in un sussurro.
Tutto stava improvvisamente cominciando ad acquistare senso.
«Esatto, signorina Riddle» confermò Silente.
«È… è magia, quella che so fare?» chiese Tom, ritrovando la voce.
Anche lui, come me, cominciava a comprendere.
«Che sapete fare» lo corresse l'uomo «E dimmi, che cos'è che riuscite a fare?» aggiunse.
«Di tutto» esalò Tom, come frastornato, mentre un rossore eccitato, quasi febbricitante, gli saliva dal collo alle guance incavate.
Le immagini delle nostre imprese scorsero rapide nella mia mente e sapevo che lo stesso stava accadendo in quella di mio fratello.
E, ancora una volta, fu Tom a parlare per entrambi «Posso muovere le cose senza toccarle» cominciò ad elencare  «Faccio fare agli animali quello che voglio senza addestrarli, faccio capitare cose brutte a chi è cattivo con me. Posso ferirli, se voglio».
Gli tremavano le gambe, così lo afferrai per un braccio e lo aiutai a sedere di nuovo sul letto; Tom si accovacciò, le mani strette in grembo.
Io invece rimasi in piedi, senza sapere che cosa fare, che cosa dire.
Era vero, Tom ed io avevamo sempre fatto delle cose inspiegabili.
Ricordai la prima volta che era avvenuto qualcosa di strano.
Era successo tre anni prima; era notte e Tom non riusciva a dormire a causa di qualcosa che era accaduta quel pomeriggio.
A quell'epoca, quella era una novità per lui, così si era intrufolato nel mio letto.
Era sconvolto ed eccitato, proprio come in quel momento.
Mi aveva giurato di aver fatto appassire la pianta di gerani di Lucy White, una ragazzina che viveva all'orfanotrofio con noi.
L'aveva fatto arrabbiare e lui, per punirla, aveva deciso di intrufolarsi nella sua stanza per estirpare la piantina.
Non ce n'era stato bisogno.
Dopo essere entrato nella camera, si era avvicinato al vaso, appoggiato come sempre sul davanzale della finestra.
Ma, prima ancora di riuscire a fare un solo altro movimento, aveva notato le foglie non erano del solito verde brillante, ma scure e smunte, accartocciate, e i fiori rosa erano scomparsi, e ne era rimasto solo qualche rado petalo, ancora attaccato allo stelo, annerito, come bruciato.
Allora, non eravamo stati in grado di fornirci una spiegazione convincente che dimostrasse perché una pianta, un attimo prima viva e rigogliosa, era morta all'improvviso subito dopo.
Non c'era stata allora, ma adesso sì: era stata magia.
C'erano poi stati molti altri episodi simili, ogni volta più sconvolgenti, ma ciò mi aveva sorpresa maggiormente era stato quello che era accaduto a me, appena qualche mese prima.
Eravamo tornati da pochi giorni dalla breve gita al mare; Tom aveva fatto un'altra delle sue cose inquietanti e inspiegabili, e i ragazzi più grandi, quella volta, avevano deciso di fargliela pagare.
Ovviamente, non si sarebbero mai arrischiati ad affrontare mio fratello direttamente, così avevano deciso di prendere di mira me, perché sembravo essere l'unica persona di cui a Tom importasse qualcosa.
Si era trattato di uno scherzo innocente, per quanto un po' crudele, che però non aveva avuto gli esiti sperati.
Mi avevano teso una sorta di agguato, nel cortile: quando ero uscita all'aperto, dopo pranzo, quei ragazzi erano sbucati da dietro un cespuglio, e mi avevano lanciato addosso il contenuto di una grossa pirofila. Decine se non centinaia di insetti e altri piccoli, viscidi animaletti, di varie forme e colori, accuratamente catturati e conservati nei giorni precedenti, mi erano piombati in testa, infilandosi tra i miei capelli e dentro i vestiti.
Avevo urlato di terrore, ma, appena un istante più tardi, quegli insetti erano subito sgusciati via e si erano dispersi in fretta tra l'erba del prato.
Ricordavo ancora i volti dei ragazzi, che erano rimasti sbigottiti e delusi, incapaci, come me del resto, di spiegarsi quello che era successo.
Non ci avevano più riprovato, e così io avevo deciso di non fare parola dell'accaduto, un po' perché, appunto, non sapevo neppure io darmi una spiegazione, un po' perché non volevo che Tom si cacciasse in qualche altro guaio.
«Lo sapevo che eravamo diversi» sussurrò Tom alle proprie dita tremanti, facendomi riemergere dai ricordi.
«Lo sapevo che eravamo speciali. Ho sempre saputo che c’era qualcosa» continuò.
«Be’, avevi ragione» disse Silente, che non sorrideva più, ma osservava Tom con intensità «Tu sei un mago, Tom» affermò «Come tu» aggiunse, rivolgendosi a me «Tu sei una strega»
Fissai il professore attonita e incredula.
Anche Tom sollevò la testa e il suo volto era come trasfigurato: una selvaggia felicità era dipinta sul suo viso; i suoi tratti, finemente modellati, ora sembravano rozzi, la sua espressione quasi bestiale.
Avevo già visto quella metamorfosi, ma per la prima ne ebbi paura.
«Anche lei è un mago?» chiese Tom.
 «Sì, lo sono».
 «Lo dimostri» ordinò subito.
Silente sollevò le sopracciglia, evidentemente doveva essere esasperato dal comportamento di mio fratello.
«Se accettate di venire a Hogwarts…»
«Certo che accettiamo!» esclamò immediatamente Tom.
Non l'avevo mai visto tanto felice, anche se io non riuscivo proprio a esserlo.
«Aspetta un momento, Tom» dissi piano «Non possiamo, come facciamo a sapere-» cominciai, ma mio fratello mi interruppe e i suoi occhi mandavano lampi «Siamo diversi, il nostro posto non è qui!» esclamò «Vuoi davvero restare?» aggiunse, e il suo tono era a metà tra l'aggressivo e l'implorante.
«N-no, io-» balbettai, cercando di riflettere; stava accadendo tutto troppo in fretta.
«D'accordo» mi arresi alla fine, e Tom mi rivolse uno dei suoi rari sorrisi sinceri.
«Molto bene» approvò Silente.
«Quindi, se anche lei è un mago, me lo dimostri» insistette Tom.
«Devi chiamarmi “professore” o “signore”» disse Silente, con una nota di ferma autorità nella voce calma e misurata.
Tom si irrigidì; lui detestava sottomettersi agli altri, specialmente quando questi non avevano fatto nulla per guadagnarsi il suo rispetto, impresa, questa, che non era mai riuscita a nessuno fino a quel momento.
Alla fine, con una cortesia che riconobbi come falsa, Tom disse «Mi scusi, signore. Volevo dire, la prego, professore, potrebbe mostrarmi…?»
Ero sicura che Silente si sarebbe rifiutato, ma ancora una volta quello strano professore mi sorprese; forse era abituato a trattare con ragazzini scettici e testardi.
Silente estrasse dalla tasca interna di quel suo bizzarro vestito un bastoncino di legno.
“Non può essere”, mi dissi, sbalordita: davvero le storie su Merlino, i maghi, le bacchette magiche e tutte quelle sciocchezze che venivano raccontate ai bambini erano vere?
Intanto, il professore aveva puntato quel suo bastoncino verso il nostro armadio, agitandolo debolmente, come se per lui quello fosse un gesto banale, ripetuto migliaia di volte.
All'improvviso, l'armadio prese fuoco.
Io lanciai un grido.
Tom balzò in piedi, spaventato, ma potevo vedere l'avidità nei suoi occhi.
E, insieme a quella, l'onnipresente rabbia.
Potevo capirlo questa volta: tutti i nostri averi si trovavano là dentro, e quell'uomo li stava riducendo in cenere.
Poi, così come erano divampante, le fiamme svanirono, lasciando il nostro armadio intatto.
«Dove posso trovarne una?» chiese Tom, mentre io rimanevo ancora ferma in piedi, scioccata e spaventata.
«Tutto a tempo debito» rispose Silente «Credo che ci sia qualcosa che cerca di uscire dal tuo armadio».
E infatti, udii provenire dall’interno un debole sbatacchiare.
Anche Tom era spaventato quanto me adesso.
«Apri» ordinò Silente.
Tom esitò, così fui io quella volta a farmi avanti.
Aprii l'anta dell'armadio e sullo scaffale più alto, tra i miseri abiti lisi di mio fratello, scorsi una scatoletta di latta, che tremava e vibrava come una trappola per topi.
Sentii lo sguardo di mio fratello puntato sulla mia nuca, ma decisi di ignorarlo.
Credevo di sapere che cosa c'era all'interno della scatola, ed ero sicura che lo sapesse anche il professore, che, infatti, mi chiese di aprirla.
«C’è qualcosa in quella scatola che non dovresti avere?» domandò Silente.
Mio fratello gli rivolse un lungo, limpido sguardo calcolatore, prima di ammettere che sì, lì dentro c'era decisamente qualcosa che non gli apparteneva.
Tom mi fece un cenno e io rovesciai sul letto il contenuto della piccola scatola, null'altro che uno yo-yo, un ditale d’argento e un’armonica a bocca arrugginita.
«Li restituirai ai loro proprietari con le tue scuse» ordinò Silente con calma, nascondendo la bacchetta «Saprò se questo è stato fatto o no. E ti avverto: il furto non è tollerato a Hogwarts».
Ero smarrita: come aveva fatto a sapere di quegli oggetti rubati? Mi domandai, ma Tom non parve nemmeno remotamente confuso. Continuava a fissare il professore, quindi, a mezza voce, mormorò «Sissignore».
«A Hogwarts,» continuò Silente «si insegna non solo a usare la magia, ma a controllarla. Tu, di sicuro inavvertitamente, hai usato i tuoi poteri in un modo che non viene né insegnato né ammesso nella nostra scuola. Non sei il primo e non sarai l’ultimo che consente alla propria magia di prendere il sopravvento: ma devi sapere che Hogwarts può espellere gli studenti, e che il Ministero della Magia punisce chi infrange la legge con severità ancora maggiore. Tutti i nuovi maghi devono accettare, entrando nel nostro mondo, di attenersi alle nostre leggi».
«Sissignore» ripeté Tom, inespressivo e in tono piatto e incolore. Detestava le regole e si era sempre sentito superiore agli altri. Probabilmente, considerai, stava già pensando a come infrangere quelle della scuola.
Dopo aver rimesso a posto la scatola, Tom si rivolse di nuovo a Silente «Non abbiamo denaro» dichiarò.
Aveva ragione, noi non avevamo niente.
«A questo si può porre rimedio» rassicurò Silente, estraendo da una delle sue numerose tasche un borsellino di pelle; il tintinnio delle monete risuonò argentino e invitante. «A Hogwarts esiste un fondo per aiutare chi ne ha bisogno a comprare libri e abiti. Forse dovrete accontentarvi di libri e altre cose di seconda mano, ma…»
«Dove si comprano questi libri?» lo interruppe Tom, prendendo la borsa con il denaro, senza ringraziare.
«A Diagon Alley» rispose Silente «Ho qui la vostra lista dei libri e del necessario per la scuola. Posso aiutarvi a trovare tutto…»
«Lei viene con noi?» chiese Tom, alzando lo sguardo da una grossa moneta d'oro, diversa da qualunque altra mi fosse mai capitato di vedere.
«Certo, se voi…»
«Non abbiamo bisogno di lei. Siamo abituati a fare le cose da soli, e io vado sempre in giro per Londra per conto mio».
Aveva ragione, pensai, era proprio così; e comunque, come Tom, avrei preferito perdermi per la città piuttosto che seguire quel professore.
Quella storia, poi, continuava a suonarmi troppo strana e non mi fidavo affatto di Silente.
«Come si arriva in questa Diagon Alley… signore?» aggiunse intanto mio fratello.
Silente incrociò il suo sguardo, come se stesse soppesando le parole.
Alla fine, decise di spiegarci come arrivare a un locale, il Paiolo Magico, e ci consegnò una busta ciascuno.
Presi la mia con dita tremanti e incerte, senza però trovare nulla da dire.
«Voi riuscirete a vederlo, anche se i Babbani, la gente non magica, non possono» disse Silente «Chiedete di Tom il barista. È facile da ricordare, ha il tuo stesso nome» proseguì, accennando a mio fratello.
Tom represse uno scatto irritato.
«Non ti piace il nome “Tom”?» chiese Silente, che aveva notato il fremito indolente di mio fratello.
«Ci sono un mucchio di Tom» borbottò lui. Poi fece una domanda che, non appena la udii, mi colpì molto, per il semplice fatto che a me, fino a quel momento, non era nemmeno passata per la mente.
«Nostro padre era un mago? Si chiamava anche lui Tom Riddle, mi hanno detto»
«Temo di non saperlo» rispose Silente.
«Nostra madre non può essere stata magica, se no non sarebbe morta» disse Tom, quindi aggiunse in fretta «Quando avremo preso tutta il necessario… quando veniamo a questa Hogwarts?»
«Tutti i dettagli sono sul secondo foglio di pergamena nella busta» replicò Silente «Partirete dalla stazione di King’s Cross il primo di settembre. C’è dentro anche un biglietto ferroviario».
Tom annuì pensieroso, mentre il professore si alzava; gli tese di nuovo la mano e questa volta lui la strinse senza esitazione.
Ancora una volta, io lo imitai.
«So parlare con i serpenti» disse a un tratto Tom.
Silente, che aveva già una mano sul pomello della porta, si voltò lentamente, con un'ombra di inquietudine nello sguardo aguzzo.
Mi irrigidii.
Quella particolare capacità, inizialmente, ci aveva reso entrambi orgogliosi; era sempre stato il nostro linguaggio segreto, un modo per comunicare tra noi, unico e incomprensibile per la signora Cole e gli altri bambini.
Ma poi avevamo scoperto che altre creature erano in grado di capirci, creature infide e viscide.
Capii che mio fratello aveva tralasciato fino a quel momento di citare quello stranissimo potere, deciso a far colpo, ma io non sapevo quanto quell'abilità fosse positiva.
Da un po' di tempo, infatti, io ne ero spaventata.
Silente si voltò verso di me.
«Diglielo Ophelia» mi incalzò Tom, e il suo sguardo brillava di una luce inquietante «Loro ci  trovano, ci sussurrano cose» continuò «È normale, questo, per un mago?»
Silente spostò di nuovo lo sguardo su Tom e i suoi occhi si fecero penetranti e intensi.
«È insolito» rispose alla fine «Ma non unico» aggiunse poi, con noncuranza.
Tom parve deluso.
«Ci rivediamo a Hogwarts. Tom, Ophelia» ci salutò Silente e finalmente si congedò.
Una volta rimasti di nuovo soli, pensai che fosse quello il momento più giusto per comunicare a Tom i miei dubbi.
«Credi che sia tutto vero, la magia, la scuola?» chiesi, timidamente.
«Certo, perché tu no?» ribatté mio fratello, con decisione.
«Non lo so, Tom, tu ti fidi di questo Silente?»
«No, ma non mi sserve fidarmi di lui per ssapere che è tutto vero» sibilò lui.
Aveva usato quel nostro strano linguaggio, riconobbi.
«Ma Tom…» tentai di protestare.
«Non c'è nesssun'altra sspiegazione» mi interruppe lui.
Quindi, con un semplice sguardo, ordinò allo yo-yo, che giaceva ancora immobile sul suo letto, a parecchi centimetri di distanza da lui, di ruzzolare giù.
Quello cadde sul duro pavimento con un piccolo tonfo e rotolò fino ai miei piedi.
«Credi che gli altri ssappiano fare una cossa cossì?» insistette.
Con un identico movimento degli occhi, rispedii lo yo-yo indietro.
Tom mi sorrise e io ricambiai, senza però riuscire a scacciare il mio turbamento.
«Vissto?»
«E sse quesssto fossse ssbagliato?» tentai di nuovo.
«Ssempre meglio che resstare qui» sentenziò Tom, quindi andò a sedersi accanto alla finestra, e prese l'orizzonte con intensità, come se pensasse di potervi intravedere qualcosa di nuovo, rispetto al grigio panorama cittadino.
Io mi sdraiai sul mio letto, ancora confusa e perplessa.
“Sono una strega” pensai, preoccupata.
“E le streghe sono cattive” mi dissi, rivolgendo uno sguardo a Tom, che mi dava le spalle.
Lui era sempre stato un po' cattivo, non potei fare a meno di considerare.
E dunque, questo significava che lo ero anche io?


* * *



N.A.

Specifico che, come magari avrete notato, parte della conversazione tra Silente e i due Riddle è presa direttamente dal capitolo 13 (Il Riddle segreto) del Principe Mezzosangue.

  
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