Le lancette dell'unico orologio che
ornava la parete spoglia dell'ufficio dello sceriffo segnavano le 2
di notte.
Erano trascorse tre ore da quando Emma
aveva arrestato il signor Gold, dopo che egli aveva aggredito e
pestato a sangue il fioraio Moe French.
L'uomo si era lasciato condurre in
centrale senza opporre resistenza, mantenendo anzi l'innata eleganza
e l'atteggiamento beffardo che lo contraddistinguevano, come se
l'essere arrestato non implicasse un grosso problema per l'uomo più
potente e temuto della città.
La donna lo aveva rinchiuso in una
delle due anguste celle della piccola centrale di Storybrooke, dove
l'unico elemento d'arredo era una misera brandina sulla quale giaceva
una coperta ripiegata e mezza mangiata dalle tarme.
Lo sceriffo l'aveva schedato e aveva
tentato di carpirgli qualche informazione riguardante il vero
motivo della sua cruenta, e apparentemente insensata, spedizione
punitiva contro French, ma lui si era chiuso in un silenzio ostinato
e alla fine Emma si era vista costretta a desistere.
I due non si erano più parlati. Gold
si era seduto sul letto e osservava il vuoto davanti a sé, mentre un
turbine di lontani ricordi, risvegliati dall'accaduto di quella
giornata, imperversava nella sua mente e un unico obiettivo lo
tormentava: riprendersi l'oggetto che gli era stato rubato.
Riprendersi quell'umile tazza da tè sbeccata che era tutto ciò che
gli rimaneva di lei.
Naturalmente sapeva che Moe non si era
intrufolato in casa sua per rubare di sua iniziativa; no, era stato
sicuramente istigato da qualcuno e lui aveva l'impressione di sapere
perfettamente di chi si trattasse e che questa persona presto si
sarebbe fatta viva per proporgli uno scambio.
Emma, dal canto suo, si era preparata
una tazza di cioccolata fumante, arricchita da una spruzzatina di
cannella, e si era messa a sfogliare distrattamente le pagine de Lo
specchio di Storybrooke.
Quella sera,
tuttavia, le riusciva stranamente difficile concentrarsi sui numerosi
articoli scritti a caratteri minuscoli o sulle foto in bianco e nero
che troneggiavano fiere su ogni facciata. Era come se ogni suo gesto,
ogni suo respiro, perfino ogni battito del suo cuore, fossero
costantemente passati al vaglio di... qualcuno. Come se il muro di
freddezza e distacco dietro al quale aveva sempre tentato di
ripararsi celando al mondo la vera se stessa, fosse diventato
improvvisamente di vetro e chiunque potesse, a un tratto, osservare
ciò che la maggior parte del tempo rimaneva nascosto.
No, non chiunque...
Lui.
Emma scoccò una
fugace occhiata al suo prigioniero seduto sulla branda dietro le
sbarre, e questi le restituì un sorrisetto furbo. Il dente d'oro
luccicò per un istante, come se stesse ammiccando maliziosamente
nella sua direzione.
Dopo un po', la
donna ripiegò il giornale e si stropicciò stancamente gli occhi
chiari, con un lieve sospiro.
Al signor Gold non
sfuggì quel gesto, così come i ripetuti sbadigli che lo sceriffo
aveva inutilmente cercato di dissimulare nel corso dell'ultima ora e
mezza. - Dovrebbe dormire un po', dearie o finirà per crollare sulla
scrivania. -
Emma alzò lo
sguardo e trovò l'uomo che la fissava da dietro le sbarre della
cella; impossibile capire cosa stesse pensando davvero e cosa si
nascondesse dietro quell'accenno di sogghigno beffardo.
- Non avrò grande
esperienza come sceriffo, - esordì la donna, - ma di certo non sono
così ingenua o sprovveduta da andarmene e lasciare lei qui da solo,
senza sorveglianza. Conoscendola, credo che potrebbe trovare il modo
di evadere ed essere fuori di qui neanche dieci minuti dopo che mi
sarò allontanata. -
Il ghigno di Gold
rimase al suo posto mentre la sua mano si depose all'altezza del
cuore e l'uomo accennò un piccolo inchino. - Lei mi lusinga,
sceriffo. Ha ragione a non sottovalutare le mie risorse, ma, in
questo caso, posso rassicurarla: non ho nessuna intenzione di fuggire
e sottrarmi alla legge. -
Emma alzò un
sopracciglio, sinceramente sorpresa. Grazie al suo “superpotere”
capiva sempre quando qualcuno mentiva, dunque rimase piuttosto
stupita quando non scorse alcuna ombra di menzogna nelle parole del
suo prigioniero che, con il solito disarmante acume, intuì subito la
sua perplessità come se la sua mente fosse un libro aperto.
- Oh, non mi guardi
così, sceriffo Swan. Solo perché non intendo fuggire di cella in
piena notte come un comune galeotto, non significa che rimarrò a
lungo dietro le sbarre. I miei mezzi sono molto più sottili e
raffinati, dovrebbe saperlo. -
La bionda annuì
piano. - Sì, mi sono fatta un'idea piuttosto chiara dei suoi
“mezzi”. -
- Allora avrà
sicuramente capito che non potrà trattenermi qui più di quanto io
le permetterò, ma, come le ho detto, per stanotte non deve
preoccuparsi di me. Farò il bravo prigioniero e me ne starò seduto
qui a rimpiangere di non essere riuscito a fare ancora più male al
signor French. -
Suo malgrado, Emma
rabbrividì a quell'asserzione che, nonostante il tono casuale e
distaccato con cui era stata pronunciata, trasudava crudeltà e
ferocia inaudite, quasi inumane.
Di nuovo, Gold
colse alla perfezione i suoi pensieri. - Mi considera un mostro, non
è vero? Mi considera... una Bestia. -
Emma non rispose
subito, si limitò invece a scrutare intensamente l'uomo. Il
contrasto tra il suo portamento distinto, l'abbigliamento fino ed
elegante e il misero ambiente della scarna cella in cui si trovava
risultava quasi grottesco a vedersi.
Alla fine, la donna
parlò. - Sì, credo che lei sia un bastardo senza cuore,
opportunista, subdolo, manipolatore, crudele ed egoista. -
L'uomo ghignò
nuovamente. - Una descrizione piuttosto accurata e lusinghiera,
direi. -
- Ma, - proseguì
Emma ignorando il suo commento sarcastico, - so che non si diventa
così senza aver subito un grande dolore. Sono piuttosto sicura che
dietro la sua maschera si celi un'enorme sofferenza, anche se non
riesco ad immaginarne la causa. Involontariamente, me l'ha confermato
lei stesso proprio questa sera. -
Il sorriso
scomparve dalle labbra sottili del signor Gold. - Che cosa vorrebbe
dire, sceriffo? -
- L'ho sentita
accusare Moe French di aver fatto del male a una persona... una lei
che, dal suo punto di vista, se n'è andata per sempre per colpa di
French. La furia cieca con cui l'ha colpito può nascere solo da un
dolore immenso. -
Per la prima volta,
Gold rimase in silenzio e non replicò prontamente con una risposta
caustica come era suo solito. Emma si prese un attimo per studiare
l'effetto che le sue parole avevano avuto sul prigioniero e capì di
aver colto nel segno. - Perché non mi dice cos'è successo
esattamente? Chi è questa lei? Forse potrei fare qualcosa
se... -
- Questi sono
affari che non la riguardano, dearie. - sibilò l'altro a denti
stretti. - E, ad ogni modo, qualunque sua buona intenzione sarebbe
assolutamente vana perché lei è morta molto tempo fa e, a
meno che non sia in grado di trascendere le leggi della Vita e della
Morte, dubito fortemente che il suo aiuto possa essere di qualche
utilità. -
A Emma non sfuggì
il tremore della sua voce, né il fatto che le sue nocche fossero
sbiancate dalla forza con cui stringeva l'impugnatura dorata del
bastone. Gold poteva nascondersi dietro la sua preziosa maschera
quanto voleva, ma l'aura di dolore che lo circondava in quel momento
era quasi palpabile... almeno per lei, che con quel tipo di
sentimenti aveva avuto a che fare fin da bambina.
- Mi dispiace. -
disse piano.
Il signor Gold fece
un gesto di noncuranza con la mano. - Ormai non ha più importanza. -
- Davvero? Non si
direbbe, a giudicare da come ha ridotto il signor French. -
- Può anche
smettere di giocare a fare il Dottor Hopper con me, dearie. Le posso
assicurare che non otterrà altre informazioni, inoltre le sconsiglio
vivamente di perdere il suo tempo in inutili congetture: la faccenda
è molto più complicata di quanto lei possa immaginare. -
Emma osservò
l'uomo dietro le sbarre e capì che quella discussione era conclusa;
non avrebbe saputo nulla di più da lui. Non quella notte.
Sapeva riconoscere
una causa persa, e quella lo era senza alcun dubbio.
Messo da parte ogni
tentativo di far parlare Gold, Emma prese a scartabellare in silenzio
alcuni vecchi e polverosi fascicoli che aveva trovato nell'archivio
della centrale, giusto per tenersi impegnata e non cedere al sonno;
ma sembrava proprio che gli unici avvenimenti rilevanti nella ridotta
storia del crimine di quella città fossero le sbronze di Leroy, che
si concludevano a volte con il soggiorno di una notte in cella, e un
paio di furtarelli di nessuna importanza. Non certo vicende che
riuscissero a tenere desta la sua attenzione, e così non passò
molto tempo prima che Emma Swan si appisolasse sulla poltrona da
ufficio, il capo reclinato su una spalla e le braccia abbandonate in
grembo.
Il signor Gold, dal
canto suo, si sentiva invece perfettamente sveglio; l'adrenalina
messa in circolo dal pestaggio di French non si era ancora esaurita e
sebbene esternamente egli si mostrasse calmo e imperturbabile come
sempre, si sentiva percorso da un insolito formicolio sottopelle: era
il brivido dell'azione, l'esaltazione della violenza che non
avvertiva da prima del Sortilegio, il piacere e l'eccitamento della
sofferenza inflitta a quel maledetto che aveva imprigionato e
torturato la sua stessa figlia e che l'aveva spinta ad una morte
orribile, togliendo a lui ogni possibilità di rivederla, di
chiederle scusa per il modo in cui l'aveva cacciata rinnegando il suo
amore, di rimediare all'ennesimo errore della sua vita.
Per distrarsi da
quelle cupe e dolorose elucubrazioni, Gold tentò di concentrare
tutta la propria attenzione sulla donna assopita di fronte a lui,
dall'altro lato delle sbarre: Emma Swan. La Salvatrice. Il frutto del
Vero Amore. Il pezzo più importante della scacchiera. La pedina
imprescindibile senza la quale il suo piano non avrebbe mai potuto
realizzarsi.
Quante cose c'erano
in gioco, quante vite dipendevano da quella giovane del tutto ignara
del suo inestimabile valore.
L'uomo approfittò
di quel momento di vulnerabilità per studiare con tutta calma i
lineamenti e le fattezze dello sceriffo: da sua madre aveva ereditato
gli occhi verdi e fieri, in quel momento nascosti sotto le palpebre,
e il disegno delle labbra; da suo padre il biondo oro dei capelli e
la forma del viso, da entrambi, aveva preso invece il coraggio,
nonché l'innata propensione a perseguire sempre e in ogni
circostanza la strada dell'altruismo e della giustizia. La strada
degli eroi, quella che lui non aveva mai intrapreso, scegliendo
sempre la via dell'Oscurità. La via più semplice.
Ma di due cose il
signor Gold era del tutto certo: il fatto che presto Emma Swan
avrebbe spezzato il Sortilegio portando a compimento l'impresa per la
quale era nata, e che... si sarebbe svegliata con un terribile
torcicollo.
Da Stria93:
Hello dearies!
Credo che questo
sia stato uno dei miei primissimi esperimenti di scrittura. Era
sepolto in un cassetto da anni e negli ultimi tempi mi è venuta la
voglia e l'ispirazione per riprenderlo e completarlo.
Adoro scrivere dei
missing moments che la serie non ci ha mostrato e poi mi è sempre
piaciuto il rapporto ambiguo tra Rumpel e Emma, che per certi versi
sono molto simili.
E niente, spero che
questa OS vi sia gradita e ringrazio come sempre chi leggerà e
magari vorrà lasciarmi un parere.