EPILOGO
Vennero i giorni di gloria, per i guerrieri vichinghi. I
Fratelli erano ricchi, e il principe che li aveva condotti alla vittoria era
venerato come un dio, dopo aver ripristinato anche il culto degli antenati.
Il colossale Fratello, amico di Alfred, gli aveva giurato
fedeltà; a sua volta era rimasto abbagliato da cotanta potenza.
Sigurd si sentiva ebbro di effluvi divini… si sentiva
posseduto da una divinità che l’avrebbe portato alla vittoria. Aveva preso possesso
del palazzo dell’imperatore dei nativi, per poi convocare subito Alfred.
“Hai visto? Mi avevi promesso che non sarei mai diventato un
re. Infatti sono diventato un imperatore”, gli disse.
L’uomo si era limitato ad abbassare lo sguardo e a fare una smorfia
truce… così il principe era tornato a dubitare di lui. Ora più che mai, però,
doveva tenerselo stretto. Poteva ancora influenzare il parere dei Fratelli.
Il principe trascorse la sua prima notte da imperatore
ascoltando i rumori del palazzo in cui alloggiava.
Aveva voluto che Alfred e Bjorn soggiornassero lì anche loro,
assieme ai Fratelli più importanti, seguendo la tradizione dei nativi. I nobili
dovevano sempre stare vicino alla loro guida. E l’indomani ci sarebbe stato il
riconoscimento ufficiale da parte dei sacerdoti Messicani, mentre i Fratelli
gli avevano già giurato fedeltà.
Li aveva letteralmente conquistati… proprio loro, che
sarebbero dovuti essere i suoi nemici più affiatati.
Incapace di dormire, il ragazzo abbandonò il suo sontuoso alloggio
e si mise in movimento verso quello di Alfred, nella speranza che l’uomo fosse
ancora sveglio. Voleva parlargli.
Le stanze non avevano porte, poiché gli indigeni non
conoscevano tale usanza, quindi quando si trovò al cospetto di quella del
comandante poté udire subito i gemiti prodotti da un amplesso. Avrebbe dovuto
immaginare che i due non avrebbero perso tempo… allora si chinò nel buio e si
mise a fissare le due figure, che si davano da fare al chiaro di luna.
Bjorn, passivo, lasciava che il più anziano lo dominasse.
Ogni tanto quest’ultimo si chinava a dargli qualche rumoroso e languido bacio,
ma raramente.
Andarono avanti per un po’, poi smisero, poi ripresero
daccapo. Il giovane spione non si perse una scena, per quel che riusciva a
vedere. Odiava Bjorn… gli augurava ogni sorta di male. Perché quel giovane era
più in gamba di lui… se solo avesse avuto Thor dalla sua parte, avrebbe fatto
faville.
Sigurd ormai si sentiva secondo solo al suo cospetto. Nel suo
cuore era avvenuta una maturazione incredibile, grazie al supporto della
divinità, ma desiderava tanto essere al posto dell’altro giovane.
Dopo diverso tempo, i due interruppero i loro amplessi e
rimasero abbracciati a lungo, chiacchierando. Il principe non riuscì a udire
nulla.
Infine, tra i due parve scoppiare all’improvviso un alterco;
Bjorn sovrastò la figura più possente di Alfred e mormorò qualcosa di davvero
rabbioso e sprezzante. La reazione fu un pronto manrovescio da parte del
comandante.
Allora, il più giovane scappò via singhiozzando.
Sigurd rimase a bocca aperta, mentre osservava la rapida
degenerazione della situazione.
Alfred poi tentò di inseguire l’amante, ma si bloccò
sull’apertura della sua stanza… non voleva umiliarsi a seguirlo. Infatti solo
il principe lo fece, avvolto dal buio.
Bjorn era andato nella sua, di stanza. Rannicchiato al suolo,
piangeva sommessamente.
Era così disperato che non si accorse che una figura l’aveva
raggiunto alle spalle… quando avvertì un improvviso senso di pericolo, era già
tutto finito e una stretta ferrea gli aveva strappato anche l’ultimo e triste
sospiro.
Venne l’indomani, e vennero anche i giorni successivi; Sigurd
era imperatore e non pensava ad altro se non ampliare il suo prestigio. E,
naturalmente, tornare a Vinland.
Da quando aveva ucciso Bjorn, soffocandolo e poi facendo
sparire per sempre il suo corpo in uno dei tanti canali che attraversavano
quella magnifica capitale, Alfred era stato tutto per lui. L’uomo aveva cercato
l’amante con disperazione, ma non l’aveva più trovato.
A quanto pareva avevano litigato, e il giovane gli aveva
detto che non l’avrebbe voluto rivedere mai più… e tutto questo perché il più
anziano favoreggiava proprio per il principe. Bjorn era un fervente cristiano e
pur di non accettare quel capovolgimento improvviso di fronte aveva promesso di
nascondersi nella foresta e di provare a convertire gli indigeni.
Questa consapevolezza, unita alle rassicurazioni di Sigurd,
aveva fatto in modo che Alfred accettasse quella scelta. D’altronde, se il
cocciuto traduttore si era messo in testa tale cosa, tanto valeva che
l’assecondasse.
Senza più l’impiccio del nemico, il novello imperatore del
Messico e dei Fratelli cominciò a recarsi ogni notte nella stanza di Alfred,
fino a convincerlo a lasciargli condividere il letto. Presto fu solo ciò che
Bjorn era stato fino a poco prima.
Il giovane nobile riceveva quei baci bugiardi, sapendo che il
comandante immaginava il suo amato scomparso, però si accontentava così.
L’imperatore si affrettò a mettere sotto tortura i pochi
Spagnoli sopravvissuti allo scontro finale. Li aveva lasciati in vita per
scoprire ogni cosa, tutto quello che c’era da sapere sul mondo dal quale
provenivano.
Che si trattasse dello stesso da cui provenivano i suoi stessi
antenati?
Tra gli sventurati c’erano alcuni che conoscevano qualche
parola delle lingue indigene, e tra gli indigeni c’erano giovani molto
intelligenti e svegli che stavano già cominciando ad apprendere la lingua dei
vichinghi. Presto tutto sarebbe stato più chiaro, nel frattempo li avrebbe
nutriti e terrorizzati, in vista di tempi decisamente peggiori.
Dopo neanche un mese di regno, il ragazzo era riuscito
tuttavia a capire molte cose di quegli individui, e ad essere a conoscenza dei
segreti delle imbarcazioni che li avevano condotti fin lì.
Con un ritardo di ben due anni, alla fine il giovane principe
di Vinland riprese il mare. Era il tempo di tornare a casa, al cospetto di suo
padre. Sperando fosse ancora vivo…
Il viaggio verso Nord fu semplice e agevole, con il colossale
Fratello che era un esperto navigatore quasi quanto Alfred, lasciato invece
assieme ad altri guerrieri a vegliare sui nuovi possedimenti in Messico. I
Fratelli rimasti nelle colonie settentrionali lo accolsero volentieri e offrirono
il loro supporto, anche militare.
Il grosso Fratello garantiva per lui e si dilungava a narrare
le sue imprese degne di un’antica saga.
Con tutte le colonie riunificate sotto il suo scettro, e con
decine di poderosi drakkar a scortarlo, il giovane si accingeva quindi a
tornare a casa.
E a Vinland ci giunse sul finire della breve estate; eppure,
la cittadina era già isolata dai ghiacci e dalla neve.
Sigurd sbarcò assieme a una ventina tra i guerrieri più
abili, e si diresse alla porta della città, ove le sentinelle lo intravidero e
parvero non credere ai loro occhi. Gli aprirono e gli andarono incontro, ma
dimostrarono un’ansia che lasciava presagire qualcosa di spiacevole.
A Vinland nessuno era venuto a conoscenza delle sue prodezze,
isolata com’era, povera e misera capitale di un regno inesistente.
Fu accompagnato immediatamente al palazzo di suo padre, ma
tutto gli parve cambiato. Da quanto tempo se n’era andato? Due anni abbondanti,
quasi tre. E suo padre aveva vissuto solo per i primi mesi successivi alla sua
partenza.
Il buon Ragnar era così venuto a mancare.
Sigurd apprese tutto dagli anziani, che avevano preso il
potere della città governando tramite l’Assemblea che formavano già da tempi
immemori; la mancanza di eredi al trono aveva favorito la loro ascesa al
potere.
E ora, quei vecchiacci bavosi e rinsecchiti si erano radunati
tutti nella spaziosa sala che un tempo era stata di suo padre, ove solo uno di
loro sedeva sul trono intarsiato. Era il più incartapecorito di tutti, quello
che il ragazzo aveva sempre detestato fin dalla prima volta in cui l’aveva
visto.
“Non ha importanza ciò che vi prendete premura di narrare”,
interruppe infine la narrazione, mettendo a tacere i vari anziani, “io ora sono
tornato e voglio ciò che mi spetta per diritto. Questo regno è mio”.
L’intera Assemblea lì riunita si lasciò andare a una risata
univoca e grottesca.
“Credi tu di avere diritti su questa città? Devi dimostrarlo.
Io non ti riconosco più”, esclamò in modo tragicomico il capo dei vecchi, che
dirigeva l’Assemblea dall’alto del suo trono, “voi, per caso, riconoscete in
questo prepotente qualche tratto di quello che definisce suo padre?”, domandò,
infine.
Tutti negarono.
Sigurd fremette di rabbia.
“Quindi voi non mi avete mai visto prima d’ora?”, chiese a
sua volta.
I visi grinzosi e barbuti negarono. Gli occhi brillavano
però, avidi di potere.
“Il figlio del nostro defunto sovrano è morto, assieme a
tutti i membri della spedizione che doveva scortarlo più a Sud. Tu sei solo un
pirata, giunto fin qui con un seguito di reietti e di individui condannati
all’esilio eterno, assieme ai loro discendenti”, sancì l’anziano sul trono,
inflessibile.
“In quanto straniero ed estraneo alla città, sei solo un
nemico. Esci da queste mura prima di ritrovarti con una lama tra le costole”,
si pronunciò un altro vecchio, ricevendo larghissimo consenso.
Tutti avevano riconosciuto il principe, ma nessuno voleva
cedere l’importanza ottenuta dopo la morte del vecchio sovrano.
Sigurd li immaginava con le mani tra i denari, avide e
sudicie… li maledisse con forza.
“Questa quindi è la vostra ultima parola? Io sono un
nemico?”, chiese infine, in modo tale che la dichiarazione di guerra fosse
chiara.
I vecchi annuirono e lo cacciarono.
“Mi rivedrete a breve, e allora saprete riconoscermi a
dovere”, promise, prima di abbandonare il palazzo e la città.
Andò dai guerrieri che l’attendevano ancora sulle
imbarcazioni e fece loro cenno di sbarcare; era giunto il momento di compiere
una grande razzia. E tra i Fratelli non c’era nessuno che non provasse rancore
verso Vinland, e ciò che quella città rappresentava.
Vinland contava a malapena duecento guerrieri abili alla
guerra, e i vecchi che la governavano non avevano idea di quale fosse il potere
in mano a Sigurd.
Nonostante le basse mura in pietra, le migliaia di uomini
addestrati dell’imperatore del Messico e dei Fratelli non ebbero problemi a
varcarle e a distruggere la città.
Gli anziani dell’Assemblea furono sgozzati a uno a uno,
davanti allo scempio e alla rovina della loro città quasi millenaria.
Tutti gli uomini furono uccisi e le abitazioni razziate. Le
donne furono violentate e portate sui drakkar, i bambini ammazzati assieme ai
loro padri. Vinland doveva pagare il suo debito, al cospetto del sovrano che
aveva rifiutato e ritenuto scemo.
L’imperatore fece salpare di nuovo i suoi uomini verso Sud
soltanto quando fu sicuro che dell’antica capitale non era rimasto altro che
qualche cumulo di pietre fumanti e insignificanti.
Luglio 1529, Lisbona.
Il porto della città lusitana era sempre affollatissimo
durante l’estate. Genti da tutto il mondo conosciuto si accalcavano e lottavano
per introdurre le loro mercanzie nei redditizi mercati cittadini.
Molti di questi marinai e mercanti si vantavano di importare
mercanzie dall’Africa, oppure dalla più lontana Asia. Eppure, la maggior parte
di questi beni materiali erano solo porcherie prive di valore.
Nel continuo baccano quotidiano, nessuno parve accorgersi
delle imbarcazioni strane che erano comparse improvvisamente all’orizzonte. Era
la stagione dei mercanti e dei navigatori, no? Tutti avevano in testa la fissa
di affrontare la vastità dell’oceano, al fine di scoprire nuove terre e nuove
mercanzie da importare.
Ci si era già scordati di quel Cortes che era salpato ormai
decenni addietro, e che come tanti altri temerari non aveva più fatto ritorno.
Sulle strane navi in avvicinamento, nel frattempo, un giovane
uomo stava sulla prua a osservare con curiosità quel nuovo mondo che stava per
scoprire. Che fosse quello il posto da cui erano partiti i suoi antenati, e ove
si erano svolti i fatti antichi narrati in quelle saghe che tanto adorava?
L’importante era averle raggiunte; ciò aveva comportato
tantissimi sacrifici, infatti.
Il giovane imperatore del Messico, dei Fratelli e di Vinland
durante i primi anni del suo regno non aveva fatto altro che espandere i suoi
confini e approfondire le conoscenze degli Spagnoli.
Aveva imparato la lingua dai prigionieri che aveva tenuto in
vita, ed era riuscito a estrapolare a loro ogni conoscenza dei popoli al di là
dell’oceano. Si era fatto spiegare come costruire navi che fossero in grado di
affrontare una navigazione così lunga e difficile, ma soprattutto come costruire
le armi invincibili.
Così, mentre l’esercito vichingo avanzava inesorabilmente
lungo tutti i fronti, sottomettendo i nativi del settentrione e poi gli
indigeni del meridione, giungendo a conquistare in tempi brevissimi anche il
vasto impero degli Incas, i Messicani erano stati utilizzati come operai in
immensi cantieri navali.
Erano state abbattute intere porzioni delle immense foreste
che si estendevano nelle zone più miti, e il legno quindi era stato presente a
volontà. Erano state aperte cave di estrazione ove molti sudditi inetti alla
guerra erano stati mandati a scavare, al fine di reperire i materiali idonei a
fabbricare le armi più avanzate in possesso degli stranieri.
L’imperatore aveva da sempre saputo che se voleva avere una
possibilità di spingersi oltre l’orizzonte poteva soltanto cercare di essere il
migliore di tutti.
L’immenso esercito era poi stato istruito all’utilizzo delle
armi da fuoco e di ferro, attraverso una ferrea disciplina impartita sempre
dagli Spagnoli prigionieri, che ormai avevano capito che sarebbero
sopravvissuti solo fintanto che sarebbero stati al gioco.
Quando la flotta immensa era stata ritenuta pronta, e i
cantieri disseminati lungo tutto il litorale da Nord a Sud erano stati
riforniti di ingenti quantità di viveri sotto sale e di grandi barili di acqua
limpida, i tempi avevano iniziato a dimostrarsi maturi.
Lo stesso esercito era stato ritenuto soddisfacente da Sigurd,
che aveva supervisionato i momenti più importanti dell’addestramento di massa.
Le malattie portate dagli Spagnoli avevano creato qualche danno tra gli
indigeni, però era bastato apprendere le cure, anche in quel caso, e tutto era
stato arginato e aveva fortificato la popolazione.
Adesso, lasciandosi alle spalle un mondo ormai totalmente in
mano sua, il giovane imperatore poteva dedicarsi a tornare a seguire le orme
degli antenati, grazie alle indicazioni ottenute dagli stranieri.
Quando l’oceano rivelò un’estensione immensa di navi, era già
troppo tardi. I primi barbari vestiti di pelliccia erano già sbarcati e stavano
assaltando le periferie della città con un’aggressività folle e incontenibile.
Soverchiati dagli invasori, e in decisa inferiorità numerica,
i soldati d’istanza a Lisbona si limitarono a darsela a gambe.
Giunti a sera, di quella splendido e importante centro
abitato restavano solo le fiamme, che si alzavano fino al cielo. Ai vichinghi
erano toccate molte donne, così come accadeva durante le antichissime razzie.
Sigurd però non era stato soddisfatto di quella vittoria
schiacciante e molto semplice; non riusciva infatti a comprendere quanto vasto
potesse essere quel mondo. Gli Spagnoli suoi prigionieri avevano giurato che
quello era solo un lembo di una penisola… quindi, altre immense estensioni
territoriali dovevano espandersi a Est, dove l’oceano lasciava spazio solo alla
terra ferma.
Presto tutti avrebbero saputo del suo arrivo, doveva quindi
prepararsi all’arrivo di altre truppe nemiche. E si trovava anche in un
territorio totalmente ignoto, ove nessuno poteva più aiutarlo a orientarsi. La
sfida ora era tutta sua.
Come se non bastasse, gli abitanti di quella grande città non
avevano alcuna sembianza nordica; e allora, da qualche terra erano partiti i
vichinghi che avevano fondato Vinland, venerando Thor e scrivendo saghe eroiche?
Lì c’erano tantissime chiese cristiane, quindi era da quei territori che si era
diffuso il credo religioso che aveva infettato pure la dinastia regnante delle
Terre Verdi.
Mentre i suoi uomini si divertivano, l’imperatore si limitava
a riflettere e ad attendere il nuovo giorno.
Il giorno successivo, un ingente esercito si presentò al
cospetto delle rovine della città portuale. Schierato al medesimo modo del
contingente Spagnolo che aveva creato tanti danni in Messico, i suoi guerrieri
erano attrezzati con armi da fuoco e venivano protetti dal ferro.
Non avevano tuttavia fatto i conti con le sterminate forze
giunte dall’oceano.
Grazie all’arruolamento forzato anche tra i nativi e i popoli
sottomessi, e al lavoro di milioni di uomini in tutto l’impero, l’esercito
invasore contava cifre da capogiro.
Sigurd coordinò le operazioni militari e la vittoria fu
schiacciante e rapida.
Innervosito e deciso a voler spaventare gli abitanti di quel
nuovo mondo, decise di avanzare a marce forzate verso l’entroterra, razziando e
distruggendo ogni cosa. Una manna per i Fratelli, sempre smaniosi di fare
bottino e di riempire la pancia.
Dopo settimane di distruzione e di saccheggi, una pacifica
delegazione di messi giunse a contrattare una pace, ma anche a far domande.
Parlavano la lingua degli Spagnoli e Sigurd sapeva cavarsela da solo.
Tuttavia rifiutò di contrattare con quelle persone tanto
comuni; se volevano la pace, che si presentassero pure i vari sovrani che la
richiedevano.
E i sovrani giunsero. Bandiere e vessilli da tutto quel mondo
sconosciuto.
L’imperatore li atterrì con una dimostrazione militare che
fece tremare la terra sotto ai loro piedi, poi li fece inginocchiare al suo
cospetto, promettendo loro che non avrebbe mai più nociuto ai loro territori, a
patto che gli giurassero fedeltà.
Quando questo fu accaduto, osservò i loro volti spaesati…
nessuno di loro si sarebbe mai potuto aspettare l’arrivo di un’orda così
potente di invasori dall’oceano. Erano rimasti travolti e sconvolti…
“Io voglio”, proseguì l’imperatore, in Spagnolo, “che voi mi
indichiate la via di Asgard. Quella che mi riporterà alla terra dei miei
antenati nordici, poiché io voglio vedere con i miei occhi il luogo ove tutto è
iniziato. Io voglio conquistarlo”.
I sovrani presenti, rassicurati dal fatto che le loro terre
interessavano solo relativamente a quel conquistatore formidabile, dopo aver
giurato di nuovo fedeltà promisero che lo avrebbero indirizzato verso la
Scandinavia.
Era così allora che quelle genti identificavano le terre
gelide del Nord? Scandinavia?
Sigurd annuì, soddisfatto. Per la prima volta in vita sua era
davvero felice.
Gennaio 1535, Uppsala,
Svezia.
Norvegia, Svezia, Danimarca… tutte Nazioni ora sotto un’unica
bandiera. La profezia degli antenati era diventata realtà con secoli di
ritardo.
Con tutti ai suoi piedi, l’imperatore dei Due Mondi appariva
invincibile, e il suo esercito era triplicato in forze e in numeri. Thor era
tornato a essere il dio più venerato e adorato, e le chiese erano state
razziate e deturpate, per poi essere trasformate in templi pagani.
Ora, tra la neve e il ghiaccio, si compiva l’ultimo capitolo
dell’epica esistenza di un principe di un’isolata cittadina di pietra che era
diventato il più grande imperatore mai esistito.
Sigurd era sì molto amato dalle divinità, ma era anche
composto di carne e ossa.
Era ancora relativamente giovane quando, ormai compiuto il suo
destino, si ammalò di febbri. E queste febbri divorarono le sue membra…
In procinto di morire, pensò a cosa sarebbe accaduto il
giorno in cui sarebbe venuto a mancare. Ma questa era tutta un’altra storia, in
fondo.
Come nelle antiche saghe degli eroi, lui aveva solo iniziato
un percorso… di certo, qualcun altro con il suo medesimo valore l’avrebbe
concluso nel miglior modo possibile.
NOTA DELL’AUTORE
Un vero parto, questo racconto.
Partendo dalla consegna, e cioè che i vichinghi non hanno mai
abbandonato Vinland, la loro colonia in America Settentrionale, ecco gli
sviluppi di questa storia.
Rimasti isolati e incapaci di ripercorrere le antiche rotte
che li avrebbero riportati ad avere contatti con le popolazioni europee, i
vichinghi rimasti nel continente americano hanno continuato a vivere
un’esistenza distaccata e indipendente dalle vicende del Vecchio Continente.
Poi è bastata un po’ di fantasia… xD
Sigurd infatti ha incontrato Cortes. Nel racconto ho
miscelato realtà storica e fantasia…
Il racconto ha qualcosa di epico, ho voluto provare a
renderlo una sorta di piccola saga.
E…. niente, a voi giudicare. Ringrazio il giudice! La
creatività dei suoi contest mi spinge sempre a scrivere avventure che forse
vanno ben oltre anche ai miei stessi limiti.