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Autore: Carme93    24/12/2018    3 recensioni
Vigilia di Natale 1997.
Il mondo magico è ormai nel caos e l'Ordine della Fenice continua la sua opposizione strenua, ma i momenti di sconforto non mancano e la giovane Tonks ne è la conferma: i ricordi felici e spensierati del passato si mescolano con la realtà e il pensiero del padre in fuga dal nuovo regime.
Questa storia si è classificata prima al contest “Sotto l’albero di Natale”, indetto da MrMoony-94 sul forum di EFP, utilizzando gli elementi contenuti nel pacchetto “Cioccolata calda” e si è classificata settima ex equo al contest "Il vostro meglio" indetto da Matilde di Shabran sul forum di EFP.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Ted Tonks | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Questa storia si è classificata prima al contest “Sotto l’albero di Natale”, indetto da MrMoony-94 sul forum di EFP, utilizzando gli elementi contenuti nel pacchetto “Cioccolata calda” e si è classificata settima ex equo al contest "Il vostro meglio" indetto da Matilde di Shabran sul forum di EFP.
 
Riscaldami il cuore
 
Il numero sul calendario è rosso. È il 24 dicembre. La Vigilia di Natale. Eppure non sembrava. La giornata era stata cupa e triste, proprio come tutte quelle che l’avevano preceduta negli ultimi cinque mesi.  
Tonks sospirò e percorse nervosamente lo stretto corridoio della villetta, che lei e il marito avevano affittato dopo il matrimonio. Si sentiva come un nundu in gabbia. Ella era abituata all’azione e quel riposo forzato l’innervosiva.
Sbuffò e, stanca di quelle pareti incolori e spoglie, poggiò la guancia al vetro gelato della finestra. Il contatto le procurò un brivido lungo la schiena. Non si vedeva nulla all’esterno: tutto nero, nero come il suo umore.
Eppure Tonks aveva amato il Natale, da bambina era stata la sua festa preferita. Chiuse gli occhi e il salotto di casa sua gli tornò immediatamente alla mente. Ancora un brivido la scosse, ma ella si aggrappò disperatamente al calore di quel ricordo. Un tripudio di luci colorate intermittenti ed ella, ancora molto piccola, che vi saltellava intorno. L’intera sala era decorata, non vi era un solo centimetro libero: fili rossi, bianchi, blu, dorati e argentati; stelle di Natale in ogni angolo con vasi ben infiocchettati; una corona di vischio sul caminetto e, specialmente, il gruppo di Babbo Natale e le renne in ceramica, che tanto adorava.
Suo padre adorava il Natale e l’aveva coinvolta in quel modo di festeggiare tutto babbano, che aveva sorpreso piacevolmente anche la madre, abituata alla celebrazione sobria dei Black. 


Aveva otto anni quell’anno e si sentiva grande e più furba della madre che appendeva le cioccolate proprio nei rami più alti dell’albero, quelli a cui lei non riusciva ad arrivare neanche sforzandosi e mettendosi sulle punte. Aveva provato e riprovato gli anni precedenti. Suo padre aveva riso e l’aveva incitata, deliziato dalla sua caparbia nel volere portare a termine il proprio intento, già allora certo che sarebbe stata smistata a Tassorosso; sua madre si era arrabbiata e l’aveva sgridata ogni qualvolta l’aveva vista gironzolare vicino all’albero. A dire la verità, sua madre la sgridava spesso, perché, effettivamente, era molto pasticciona e aveva la tendenza a urtare e, il più delle volte, a rompere tutto ciò che si trovava sulla sua strada. Lei non voleva essere una ‘pasticciona senza speranza’, come la chiamava la mamma seccata o la nonna paterna ridendo. Non voleva proprio essere chiamata ‘pasticciona’ o ‘goffa’. Non lo faceva mica apposta! E, naturalmente, quando si trattava dell’albero di Natale sua madre si metteva a gridare che ‘goffa com’era’ si sarebbe tirata addosso l’albero stesso, non solo la cioccolata. Quell’anno le avrebbe dimostrato che si sbagliava!
Come ogni anno, l’albero era posto nell’angolo del salotto vicino al caminetto. Erano mesi che la bambina studiava la strategia giusta da mettere in atto: sarebbe salita sul bordo del caminetto e sarebbe stata sufficientemente in alto da raggiungere le cioccolate più basse. Nei momenti di distrazione dei genitori, aveva provato: era perfetto. Questa volta li avrebbe fregati! Per essere tranquilla, però, aveva deciso di tentare quando la madre non fosse stata in casa. Chissà perché fiutava le sue marachelle ancor prima che le mettesse in pratica! E non voleva rischiare stupidamente. Attese a lungo e pazientemente per giorni, ma, finalmente, il pomeriggio della Vigilia di Natale, ebbe un colpo di fortuna: sua madre si era dimenticata di comprare delle spezie e uscì lasciandola con il padre. Quest’ultimo non era un problema, anche perché la moglie lo aveva lasciato in cucina a finire di cuocere i biscotti e non avrebbe mai osato bruciargli e incorrere nella sua ira.
Così la bimba salì sul bordo del camino con una smorfia, quando aveva fatto le prove era sempre stato spento, al contrario in quel momento era accesso ed emanava un forte calore. Poco male, scottarsi le gambe sarebbe stato un buon prezzo per prendersi una di quelle palline speciali a forma di pupazzo di neve o di Babbo Natale fatte interamente di cioccolata. Si concentrò sulla sua missione, nonostante improvvisamente si sentisse davvero piccola rispetto all’immenso abete sfavillante. Allungò la manina, come aveva fatto durante le prove, con l’unica differenza che questa volta avrebbe afferrato la particolare decorazione. Si era a lungo interrogata su quale scegliere tra la renna e l’elfo, gli unici alla sua portata, ma adesso, conscia che il padre avrebbe potuto varcare da un momento all’altro la porta che separava cucina e salotto, ne avrebbe preso uno qualsiasi. Immediatamente si accorse che c’era qualcosa che non andava: non c’erano. Com’era possibile? Appoggiò le spalle al caminetto, sfiorando leggermente i soprammobili presenti sulla mensola di legno, ed esaminò l’albero con attenzione. L’aveva studiato a lungo. Addirittura aveva fatto anche un disegnino. Rovistò nelle tasche della salopette che indossava, tentando di non perdere l’equilibrio. Non c’era, l’aveva lasciato in camera, temendo che qualcuno lo vedesse. Puntò gli occhi sulla cima dell’albero e si affidò alla sua memoria. No, no, nessuno glielo toglieva dalla testa! L’elfo e la renna erano spariti! Ma com’era possibile?
«Ninfadora Tonks! Che diavolo stai combinando!?» tuonò la voce irata del padre, Ted Tonks.
La bimba si voltò in fretta e lo vide sulla soglia della porta che la fissava a occhi sgranati. Oh, oh sembrava proprio arrabbiato! E il suo papà non era mai arrabbiato, era la mamma che strillava per ogni sciocchezza. Turbata tentò di scendere in fretta, ma nel farlo urtò i soprammobili alle sue spalle, che rovinarono a terra.
«Mi dici che ti è saltato in mente? Avresti potuto farti male! Saresti potuta cadere!» sbottò suo padre quasi urlando.
Non aveva mai urlato contro di lei. Mai. Solitamente Ninfadora era una bambina coraggiosa o come diceva sua mamma ‘terribilmente cocciuta’, ma in questo caso scoppiò a piangere perché non solo il suo piano perfetto era fallito, ma soprattutto perché ora il suo papà era arrabbiato con lei. La Vigilia di Natale! In più guardando il tappeto verde ai suoi piedi si rese conto che aveva rotto la statua di Babbo Natale con slitta e renne. Era davvero un’irrimediabile pasticciona, proprio come dicevano la mamma e la nonna.
«Dora». La voce di suo padre ora era bassa e dolce. La prese in braccio e tentò di calmarla.
Dora singhiozzando disse: «Volevo solo prendere la renna o l’elfo che non erano troppo alti, ma sono spariti! Ho rotto Babbo Natale e tu ce l’hai con me!».
«Non ce l’ho con te» le sussurrò l’uomo, dandole un bacio sui capelli diventati neri. E lei odiava il nero. «E Babbo Natale ora lo aggiustiamo» soggiunse estraendo la bacchetta e puntandola sui cocci di ceramica che ricoprivano il tappeto pregiato, scelto personalmente dalla moglie. «Reparo».
«Oh». Dora aveva smesso di piangere e tirava su con il naso, fissando attentamente il padre mentre compiva la magia: Babbo Natale, slitta e renne tornarono interi sotto i suoi occhi, ora luccicanti, e, con un altro gesto della bacchetta paterna, levitarono al loro posto sul caminetto.
«Piccola peste» borbottò l’uomo rimettendola a terra, ma Dora sapeva che non era più arrabbiato. «Andiamo a farci una cioccolata calda».
Dora saltellò felice sul posto: suo papà era bravissimo a fare la cioccolata calda. Si leccò le labbra sorridendo e prese a tirare il padre verso la cucina. Qui si appollaiò sua una sedia e osservò con attenzione tutte le mosse del papà: il pentolino, quello che usavano sempre per la cioccolata, il misurino per il latte e la bustina di cacao in polvere furono sul tavolo in pochi secondi.
«Tolgo io i grumi» si offrì felice.
«Va bene, ma mi raccomando, questa è un’operazione importante» rispose suo padre, porgendole il pentolino pieno di latte in cui il cacao si stava già sciogliendo. Dora si mise a lavoro d’impegno, mentre Ted toglieva l’ultima teglia di biscotti dal forno, che per poco non si erano bruciati. Sennò chi l’avrebbe sentita la mamma? Naturalmente se la sarebbe presa con lei. E sicuramente la mamma non le avrebbe preparato la cioccolata.
«Aspetta, ti aiuto. Ce ne sono ancora». Ted mise la sua mano su quella della bambina e la guidò. Dora sorrise e inclinò la testa appoggiandola sul petto del padre. Il suo maglione era caldo e morbido.
«Ti voglio bene» trillò, scoccandogli un bacio sulla guancia prima che si allontanasse per mettere il pentolino sul fuoco.
«Perché ti faccio la cioccolata?».
«Anche» rispose la bimba, seguendolo.
Ted ridacchiò. «Non stare troppo vicina al fornello acceso, però» l’ammonì.
La bambina obbedì e arretrò leggermente.
«Papà?» chiamò dopo averlo osservato in silenzio mentre girava il liquido nel pentolino.
«Mmm» replicò Ted, che si era perso nei suoi pensieri.
«Ma l’elfo e la renna dove sono andati?».
Per poco suo padre non fece cadere il pentolino. E poi era lei la pasticciona!
 

Successivamente Tonks aveva scoperto che se li era mangiati suo padre. Il suo piano perfetto, non aveva tenuto conto che non era l’unica golosa in casa. Quei Natali, però, erano passati e, a volte, nei momenti più bui, pensava che non sarebbero tornati mai più.
Aprì gli occhi afflitta e osservò il buio oltre il vetro. Fu un attimo, ma le parve di vedere qualcosa muoversi lì fuori. La sua mano, ben addestrata, scattò rapidamente alla bacchetta, che teneva nella tasca della vestaglia, e la estrasse proprio mentre un fulmine illuminava il mondo esterno. Non c’era nessuno. Era solo il vecchio frassino del giardino scosso dal vento. Neanche quello trovava pace.
Fece per riporre la bacchetta e si rese conto di star letteralmente tremando dal freddo. Aveva sbagliato ad abbandonarsi alla memoria, ora il viso di suo padre non le lasciava né gli occhi né il cuore. Percepì il borbottio della radio accesa in salotto, ma in quel frangente non se la sentiva proprio di ascoltare. Ogni giorno la lista dei morti si allungava e la paura di sentire il suo nome la soffocava.
Sospirò e scosse la testa per scacciare le lacrime. Non poteva permettersi di crollare. Suo padre non era lì a consolarla, ma in fuga dai Mangiamorte. L’Ordine non riusciva a contenere l’ondata di magia oscura che aveva travolto il paese. E lei, lei, un’Auror perfettamente addestrata, era bloccata tra quelle quattro mura. E, come se non bastasse, le speranze di tutti erano riposte sulle spalle di un ragazzo a malapena maggiorenne. Dove sei Harry?
Tonks si sentiva sola. Sola.
Alitò sul vetro perché si appannasse: non voleva più vedere quel mondo cupo e tormentato.
Fu in quel momento che qualcosa la colpì alla stomaco. Rimase senza fiato e impiegò qualche secondo a rendersi conto di che cosa fosse realmente accaduto.
E in quell’istante, preceduto da passi felpati, apparve suo marito con un sorriso ebete sul volto, che scomparve immediatamente di fronte alla sua espressione scioccata.
Remus Lupin. Fino a qualche mese prima avrebbe detto di fidarsi ciecamente di lui, ma, dopo quello che aveva fatto, sebbene l’avesse perdonato, non riusciva a farlo più come prima. Aveva paura. Aveva paura che scappasse di nuovo. E lei non era ancora pronta a divenire madre.
«Dora». Dora. Solo lui, oltre i suoi genitori, poteva chiamarla in quel modo. «Che succede? Stai bene? Pensavo stessi ancora riposando. Ti stavo portando una cioccolata calda a letto» disse mostrandole il vassoio che teneva in mano, come se non l’avesse già visto. Le si avvicinò, appoggiando il vassoio sul tavolino del telefono, che suo padre aveva insistito perché installassero. «Stai tremando, su bevi» aggiunse porgendole una tazza.
Ella la prese automaticamente, ma non bevve. «Ha scalciato» sussurrò.
Remus la fissò per un attimo, la bocca semiaperta, e poi sorrise leggermente incerto. Aveva paura. Aveva ancora paura. Tonks strinse forte la tazza e bevve di fretta, senza soffiare, rischiando di scottarsi la lingua. Aveva il timore che lui indietreggiasse e corresse via. Lontano da lei e dal bambino.
Bastò uno sguardo per leggere la sua paura, gli occhi di lei scintillarono di rabbia sfidandolo a imboccare veramente la porta. Questa volta non l’avrebbe riaperta. Remus evidentemente colse il messaggio e si accostò di più a lei, allungando incerto il braccio. Dora decise di aiutarlo e con la mano libera guidò quella di lui sul suo ventre. La mano di Remus lo sfiorò delicatamente, fremente. Il bambino scalciò nuovamente, facendo sussultare entrambi i genitori.
Dora strillò, essendosi versata addosso metà cioccolata. I due fissarono per qualche secondo il disastro: la cioccolata era su tutta la vestaglia e creava una piccola pozza marroncina sul pavimento. Sollevarono gli occhi e gli sguardi si incrociarono. I due scoppiarono a ridere all’unisono. E la tensione si sciolse leggermente.
«Mio padre la sa fare meglio. Me la faceva bella densa quand’ero piccola».
«Cercherò di migliorare, promesso».
«Gli dirò di insegnartelo, quando…». Le parole le morirono in gola. Tutto il suo coraggio venne meno. Quella guerra sarebbe finita?
«Ted dovrà assolutamente insegnarmi» le venne in aiuto Remus. «Vedrai, il prossimo Natale sarò in grado di prepararti una cioccolata perfetta».
Dora si concesse un sorriso. Dopotutto non era sola. Forse non sarebbe scappato. Gli prese la mano e la guidò nuovamente sul ventre, sempre più visibile.
«Ho paura» gli disse. Remus la fissò dritta negli occhi. «Non voglio rimanere sola».
«Ho avuto paura anch’io» mormorò Remus, senza spezzare il contatto visivo. «James diceva che una volta può accadere anche ai Grifondoro migliori. Una volta sola, però».
«Una perla di saggezza degna di James Potter» ironizzò Tonks.
«Vieni ho acceso il caminetto. Stai tremando» le disse Remus. «Vieni». La prese per mano e Tonks si lasciò guidare. Appena mise piede in salotto rimase senza parole: un enorme abete occupava gran parte del piccolo ambiente, perfettamente riscaldato grazie al caminetto, e il salottino era tutto decorato.
«Ma come…?» chiese volgendosi verso il marito.
«Tua madre mi ha raccontato qualcosa del tuo amore per il Natale» sorrise Remus. «I biscotti li ha fatti lei, però» disse indicando la ciotola rossa sul tavolo. «Ma ora vieni a scaldarti» soggiunse deciso.
«Ma ne volevo uno solo!» si lagnò Tonks, che aveva allungato la mano verso il tavolo.
«Dopo» ribatté Remus.
Tonks si accucciò sul divano accanto al marito, che coprì entrambi con un plaid rosso e appellò la ciotola dei biscotti. Le fiamme danzavano davanti ai loro occhi e il freddo sembrava un incubo lontano. Ella si riscaldò velocemente stretta tra le braccia di Remus.
«Tu non conoscevi James, ma per i Malandrini ogni sua parola era legge» le sussurrò lui.
 
   
 
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