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Autore: SOULVATORE    28/12/2018    3 recensioni
Elena Gilbert stava girando il sugo quando le squillò il telefono.
Sì, il sugo.
Ed era strano, curioso, perché lei non cucinava mai, aspettava sempre che fosse lui a farlo, con il suo grembiulino bordeaux e quel sorriso che sapeva di primavera.
Lei lo guardava, seduta su una sedia, dopo aver apparecchiato la tavola, e lui le parlava della sua giornata, di quanta gente era entrata nella sua piccola libreria, di tutte le storie che gli avevano raccontato, del sogno che aveva fatto la notte precedente o di quel film che dovevano obbligatoriamente andare a vedere.
Ed Elena lo ascoltava, sorridendo, dava ad ogni sua parola un peso enorme, perché non basta una vita intera per conoscere una persona, si diceva sempre, ma lei voleva imparare ad amare ogni piccola parte di Stefan.
Per questo si disse che forse era stato un segno del destino il fatto che avesse scelto, proprio quella sera, di cucinare, per fargli una sorpresa.
Perché nessuno avrebbe mai mangiato quell'orrenda lasagna.
Damon/Elena/Stefan
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena, Damon/Katherine, Elena/Stefan, Katherine/Stefan
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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“Perché diamine hai pagato tutto tu?”
“Non potevo mettermi ad acquistare con due carte separate, avremmo rischiato di perdere i posti, e non possiamo permetterci di aspettare, ricordi? Non m’importa.”
“Ma importa a me, si tratta di quattrocento dollari!”
“Lena, ascolta, se preferisci preoccuparti dei soldi piuttosto che pensare al vero motivo per il quale siamo finiti a bordo di un aereo in fretta e furia, per me va bene, ma non c’è bisogno che tu ti senta in colpa anche per questo.”
“Vaffanculo.”
E non disse altro, per le successive tre ore. Passò il tempo a cercare di scacciare le lacrime, a sperare che quel maledetto coso che era costato un occhio della testa non atterrasse mai, sperò davvero di poter restare a bordo tutta la vita.
Che schifo di persona era diventata.
Glielo aveva promesso, quando tutto quel casino era iniziato, lei glielo aveva promesso.
“Ti sveglierai presto, Stefan. Ed io sarò al tuo fianco.”
E invece no, aveva pensato bene di farsi la vacanza a New York City.
Le veniva da vomitare per il ribrezzo che provava dei confronti di sé stessa.
“Ci stiamo preparando per la fase di atterraggio, i Signori passeggeri sono pregati di rimanere al loro posto e non slacciarsi le cinture. Vi ringraziamo per aver scelto di volare con noi.”
C’era Caroline ad aspettarli all’uscita dell’aeroporto di Richmond, come d’accordo.
Il viso teso, il tacco dello stivaletto che batteva con insistenza sul pavimento, i gomiti sulle cosce e le mani nei capelli. Si alzò in piedi scattando quasi come un soldatino, quando li vide, il viso era privo di qualsiasi tipo di emozione che non fosse la rabbia.
“Parleremo più tardi di quanto tu sia stato un idiota ad andartene” Disse, premendo un dito sulla giacca di pelle di Damon. “O di quanto io lo sia stata ancora di più a consigliare a te di inseguirlo.” Questa volta si riferiva ad Elena. “Siamo una banda di incoscienti, tre cazzo di smidollati che non hanno pensato alle conseguenze delle loro azioni. Io- io non voglio neanche sapere cosa sia successo a New York, né ora né mai, perché questa immensa catastrofe mi ha finalmente fatto capire, alla veneranda età di ventidue anni, perché tutti mi hanno sempre consigliato di tenere questo grazioso nasino negli affaracci miei. Non ho fatto altro che peggiorare le cose.”
“Tu non hai fatto-”
“Niente?” Care interruppe la sua amica, che si era fatta così piccola nel frattempo. “Oh, questo lo so. Voi due ci siete riusciti benissimo da soli.”
“L’hai visto?” Chiese Elena tremante, mentre si rintanava sul sedile della macchina.
“No.” Caroline scosse il capo. “Non so niente di più di quello che sai tu.”
Damon sospirò. “Sbrighiamoci.”

“Ho anch'io una teoria, la mia riguarda i momenti.
I momenti d'impatto.
La mia teoria dice che i momenti d'impatto, lampi di elevata intensità che cambiano la nostra vita completamente, finiscono con il definire chi siamo.
Ognuno di noi è la somma di tutti i momenti che abbiamo vissuto, con le persone che abbiamo conosciuto, e questi momenti diventano la nostra storia.
Come i migliori momenti che ripercorriamo e ripercorriamo ancora e ancora.
Allora ecco la mia teoria.
Questi momenti d’impatto ci caratterizzano come individui.
Ma quello che non avevo mai considerato era: e se un giorno non potessimo più ricordare nessuno di essi?”
- La Memoria Del Cuore


Elena aveva pensato molto a quelle parole durante i mesi che l’avevano tenuta separata da Stefan, terrorizzata dall’idea che lui potesse svegliarsi senza più ricordare niente, che non avrebbe ricordato mai, e si sarebbero persi per sempre. Perché la vita non è un film con Channing Tatum e Rachel McAdams.
Ma, varcando la soglia di quella dannata porta bianca, si rese conto che era accaduto il contrario, dovevano essersi invertiti i ruoli. C’era qualcosa che proprio non andava, ma non in Stefan, in lei.
Lui se ne stava lì esattamente come l’aveva lasciato, i tubicini nelle vene, la “molletta”, come la chiamava lei, avvinghiata al suo anulare sinistro, che faceva risuonare il suo battito cardiaco per la stanza, il petto che si alzava e si abbassava lentamente. Solita descrizione degli ultimi due mesi, con una sola eccezione.
Gli occhi.
Quegli occhi che si era tanto sforzata di immaginare, finalmente erano aperti di nuovo.
E furono loro.
Fu ritrovando quel verde, che Elena cominciò a frugare tra i suoi momenti d’impatto.
Il profumo di sua madre e le canzoncine della buonanotte di suo padre, il mondo in cui suo nonno la spingeva sull’altalena, quando aveva sfiorato Jeremy per la prima volta, la risata di Caroline che riecheggiava per il corridoio delle scuole elementari, Matt che le prestava un pastello a cera mentre Tyler lo prendeva in giro per essere arrossito di fronte ad una bambina femmina, il cerotto che Bonnie era corsa a prenderle in infermeria dopo che si era sbucciata un ginocchio in giardino, la sua prima sbronza, il primo bacio, la prima volta, la prima rottura, e l’incidente.
Poi, Stefan.
Sì. Sapeva che dopo, di sicuro, veniva lui, ma non rivide a rallentatore gli appunti volare per aria, il libro di storia che si schiantava a terra, la mano con l’anello dei Salvatore che si stringeva alla sua.
Per qualche motivo non accadde, e le gambe le tremarono quasi fossero fatte di gelatina.
Si rese conto per la prima volta di quanto l’amore non bastasse. Di quanto il conoscere il solo carattere di qualcuno, ma non tutta la sua storia, non bastasse. Di quanto si fosse sbagliata, perché appunto, i nostri momenti definiscono chi siamo, ed Elena non sapeva nulla dei momenti che aveva vissuto Stefan prima di conoscerla, per questo, in quel momento, in quel letto, lei non rivide altro che lo sconosciuto contro il quale era andata a sbattere cinque anni prima.
Ma Stefan non ci fece caso, troppo preso a fissare un punto alle spalle, come in trans. Diventò ancora più pallido di quanto già non fosse, quando mosse appena le labbra secche, per soffiare “Damon”.
“Ciao, fratellino.”
“Ho le…le allucinazioni?” Suonava così strano sentire la sua voce, che Elena si era come congelata, paralizzata.
“Il solito melodrammatico.” Damon la superò, appropriandosi dello sgabello. “No, Stef, non hai le allucinazioni, sono davvero io. Ripensandoci, forse preferiresti sentirti dire che le hai, non è vero?”
“Perciò sei qui? A Mystic Falls?”
“Sì, fratello. Cazzo, ma non te li hanno fatti dei controlli? Sembri parecchio confuso.”
Stefan non rispose, facendo vagare lo sguardo per la stanza fino a raccogliere quello di Elena, che si sistemò varie ciocche di capelli con le mani sudate, gli occhi iniziarono a pizzicarle perché nonostante tutto, ciò che avevano vissuto insieme rimaneva, e il sollievo l’avvolse come un abbraccio.
“Ciao” Riuscì a formulare, finalmente. Si avvicinò di più al letto, quasi terrorizzata all’idea di toccarlo, perché sentiva di non meritare di farlo, non dopo aver baciato Damon. Di sicuro non si era immaginata così il risveglio del suo ragazzo. “Come ti senti?”
“Io- bene, credo, solo stanco, e confuso. Ora ancor di più. Non so neanche da dove cominciare a farvi domande.”
Ciò che Elena provava era ridicolo.
Si sentiva in colpa, ma allo stesso tempo arrabbiata, persa, fuori controllo.
“Non farlo, ti spiego io.” Disse, quando quella parte prese il sopravvento su di lei. “Stavi tornando a casa, una sera di fine ottobre, tre mesi fa circa, stavi tornando da me, ed io ti stavo preparando una lasagna, capisci? Io stavo cucinando, per davvero, ci stavo provando così tanto, ero sommersa di libri e il mio cellulare era tutto sporco di salsa perché continuavo a guardare dei video tutorial, li mettevo in pausa, poi li facevo ripartire, sperando di capirci qualcosa. Non ricordo…io non so neanche che fine abbia fatto il sugo che avevo sul fuoco in quel momento. È bruciato di sicuro, ma non mi sembra neanche di averlo buttato via.”
“Perché l’ho fatto io, la mattina seguente. Era tutto incollato alla pentola, è finita in pattumiera anche lei. Riposi in pace.” Già, sì, un po’ dell’ironia di merda di Damon era esattamente ciò di cui tutti quanti avevano bisogno. Elena lo ignorò e proseguì.
“Mi hanno chiamata, sono corsa qui e tu avevi un’emorragia al cervello, perché un furgone non aveva visto il semaforo rosso, e il suo furgoncino si era schiantato in pieno contro il retro della tua macchina, facendoti volare fuori dal parabrezza. Ti hanno operato, poi sei finito in coma, e una sera, quando sono tornata a casa, nel nostro salotto mi aspettava quest’uomo, questo sconosciuto che mi ha fatta sentire una perfetta idiota, la fidanzata del Signor Nessuno.”

Atlanta, Febbraio 2010
“Non credo sia il caso che tu stia qui, e sinceramente proprio non capisco cosa vai cercando ancora da noi.”
“Suo figlio, Signora Salvatore.”
“Sai che Damon non è qui.”
“Non mi riferivo a lui.”
Lily alzò allora il tono della voce, irrigidendo le spalle e sollevando un indice a mezz’aria. “Avvicinandoti a Damon hai ucciso la mia famiglia, ciò per cui ho sudato e fatto non immagini quanti sacrifici, ragazzina. Perciò adesso esci da questa casa prima che io ti sbatta fuori a calci. Sta’ lontana dai miei figli e da tutti noi, Katherine, dico sul serio.”
“Mamma.” Stefan scese le scale correndo, a petto nudo, solo con i jeans neri che gli fasciavano le gambe e un asciugamano posato sulla spalla. “Cerca di calmarti, ti sentono tutti.”
“Non m’importa, che sentissero. A patto che questa parassita rimanga fuori da casa nostra vita natural durante.” Lily non staccava gli occhi dalla figura che stava di fronte al lei, sull’uscio della casa, mangiata dalla rabbia e dal dolore dell’allontanamento di Damon, era come se non ragionasse più.
“Potrebbe essere tua figlia. Smettila di dare spettacolo, te lo chiedo per favore. E tu” Fece un cenno a Katherine, “Esci, mi dirai ciò che devi dirmi qui fuori. Ti do cinque minuti.”
“Stefan, ma sei impazzito?”
“No, mamma.” Prese una felpa dall’attaccapanni vicino alla porta, dopodiché se la chiuse alle spalle.
Katherine sembrava triste, sciupata come l’aveva vista giorni prima al locale, con delle profonde occhiaie che le scavavano il volto, le labbra screpolate dal freddo, come se non tornasse a casa da ore, dei vecchi pantaloni della tuta infilati all’interno di un paio di Hugg consumati e una coda di cavallo scompigliata.
“Non me l’aspettavo proprio.” Gracchiò. “Che accettassi di parlare con me. Non dopo la tua scenata da Bree.”
“Ne parli come se fosse immotivata. Tu hai fatto scappare mio fratello, la mia famiglia è a pezzi.” Spiegò lui, camminando verso la panchina di legno del giardino. Katherine lo seguì.
“Gli uccellini prima o poi lasciano il nido, no?”
Stefan scosse la testa. “Gli uccellini telefonano, mandano messaggi così da far sapere se sono vivi o morti e scrivono mail in cui raccontano cosa gli succede, e soprattutto, ti dicono dove stra cazzo volano. Tu lo sai dove sta lui? Lo sai?”
La ragazza si rannicchiò sulla panchina, con le ginocchia al petto. “No.”
“Perfetto. Vedo che ti è chiaro.”
“Io non volevo.” Tirò su col naso. “Stefan, devi credermi, tu non sai cos’è successo, ma io non ho mai voluto tutto questo, se solo mi lasciassi spiegare…”
“Non ne voglio sapere niente, d’accordo? Sono affari vostri. Ciò che so è che andava tutto bene, poi sei arrivata tu, ed io non ho più avuto un fratello. Fine della fottuta storia. E so che da un lato hai ragione, che è stato lui a scegliere di andar via, ma io…. Io devo prendermela con qualcuno, Katherine, altrimenti rischio di impazzire.”


“Wow, davvero toccante. È così che siete diventati amici? Amanti? O qualsiasi cosa foste.” Damon voltò la faccia verso la finestra, rifiutandosi categoricamente di guardare il fratello. Gli faceva ancora male sentirgli dire certe cose, bruciava ancora.
“Il nostro punto in comune eri tu. Ci mancavi, a entrambi, anche se in maniera differente. All’inizio lei mi parlava di quanto fosse innamorata di te, raccontava aneddoti sulla vostra storia che tu mai ti saresti sognato di condividere col mondo, ed io ridevo, descrivendo invece il tuo modo di essere a casa.”
“E poi?”
Elena prese parola prima che Stefan potesse rispondere, sorridendo amaramente. “Hai davvero bisogno di chiederlo, Damon? Non sai come continua questa storia?”
“Che significa?” Domandò lui, inarcando le sopracciglia mentre andava a sbattere negli occhi castani che aveva imparato ad amare.
“Dovresti saperlo, pensaci. È la stessa cosa che è successa a noi.”


Stefan tornò a casa una settimana dopo. Elena andò a prenderlo all’ospedale e lo aiutò a camminare e a sedersi in macchina, gli portò le valigie e lo accompagnò fino alla porta della sua stanza, in silenzio. Nessuno dei due aveva trovato qualcosa di intelligente da dire, ora che le maschere erano cadute. E Stefan… Stefan si sentiva in un déjà-vu. Com’era possibile che fosse successa esattamente la stessa cosa, anni dopo, ma a parti invertite?
Il destino era una puttana.
L’aveva sempre pensato.
“Posso, fratellino?”
“No.” Stefan si sedette sul bordo del letto, abbandonando la stampella a terra. “Non abbiamo nulla da dirci, anzi. Sarei grato se tu tornassi da dove sei venuto.”
Damon ridacchiò senza divertimento, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. Non c’era da stupirsi, era una reazione più che comprensibile, chi meglio di lui poteva saperlo?
“Il tuo desiderio verrà esaudito molto presto, Steffy. So che sei vivo e vegeto ora, che ogni parte del tuo cervellino funziona a dovere, e stai tornando alla tua solita acconciatura da supereroe. Direi che stai benone, posso togliere il disturbo.”
“Te ne vai sul serio?”
“Sarebbe imbarazzante vivere tutti e tre qui, che ne dici? E poi io devo tornare ai miei affari. Se farai il bravo, probabilmente non dovrai rivedermi mai più. Addio, fratellino.” Damon ruotò su sé stesso, respirando forte per scacciare la malinconia che nonostante tutto gli appannava gli occhi. Quante volte ancora? Quante volte ancora avrebbe dovuto andarsene da tutto?
“Aspetta, solo una cosa.”
Si fermò, senza voltarsi.
“Dimmi solo la verità. L’hai fatto per ripicca?”
“Oh, Stefan” Damon scosse il capo. “Ti sorprenderà sapere che non sei la causa scatenante di ogni azione che compio. Sono arrivato a questo punto perché la donna che hai accanto è- be’, non c’è bisogno che te lo dica io. Mi piace perché è lei, non perché è la tua fidanzata. Credo tu sappia di cosa sto parlando.”

Volò una tazza.
Un bicchiere.
Un soprammobile in ceramica.
Tutto si schiantò sul parquet della cucina, forse graffiandolo, e schegge di materiali diversi si mischiarono tra loro.
Poi, un urlo.
L’ultimo di quella serie di rumori che avevano generato un fracasso infernale.
Stefan si era spaventato, e non potendo scendere al piano inferiore di corsa, si affacciò dal quello superiore, allungando il collo.
“Elena, che diavolo succede? Stai bene?”
“Tu lo sapevi!” Gridò lei, e la sua voce si fece più vicina, sentì i suoi passi ed infine la vide, il suo volto era una valle di lacrime, e stringeva in mano un pezzo di carta. “Tu lo sapevi….” Ripeté, dopodiché corse come una furia in camera da letto, cominciando a raccogliere le poche cose di sua proprietà che erano rimaste. “Siete due bambini, non avete le palle di fare niente, sono cinque anni che non affrontate i vostri problemi e ve ne scappate a destra e a manca, ed ora di nuovo, Dio, perché sono così stupida da starvi dietro? ” Chiuse un borsone, continuando a singhiozzare. “Sapete solo nascondere la testa sotto la sabbia, come ho fatto ad innamorarmi di due persone del genere? Ma sai che c’è di nuovo? Sono stanca. Sta volta non andrò a riprenderlo, ha fatto la sua scelta, che se ne vada. Tu hai voluto coprirlo senza dirmi niente perché ti ha fatto comodo, dato che sei codardo come lui, okay. Fantastico. Con me avete chiuso, tutti e due. Manderò Caroline qui a farti compagnia dato che sei in convalescenza, e presumo che si darà il cambio con gli altri. Io torno da zia Jenna, non cercarmi, Stefan. Mai.”
Strinse in un pugno la lettera che aveva tra le mani, e corse fuori.

Cara Elena,
Non so cosa scriverti o come giustificarmi. Non ho scusanti, non ne ho mai avute. Katherine aveva ragione, ha sempre avuto ragione. Io so solo andarmene. Il fatto è che sono fermamente convinto che tutti stiano meglio senza di me.
Te l’ho detto, sono un egoista che fa ciò che vuole e si prende ciò che vuole, senza pensare alle conseguenze.
L’ho fatto anche con te, ma non posso più.
Ti amo, e so che tu lo sai. Che lo sapevi ancor prima che te lo dicessi su quel tetto a New York. So che sai di me molto più di quanto io dica, so che solo guardandomi capisci se ti sto mentendo oppure no, perché i miei occhi non sanno nasconderti niente.
Ti amo, Elena, ed è proprio perché ti amo che non posso essere egoista con te.
Io non ti merito. Ma mio fratello sì.
Ricomincia con lui, ora che sai la verità, ricostruite tutto dalle fondamenta e sarà come se io non fossi mai esistito.
Grazie per avermi donato i mesi più sereni della mia vita, sarai con me per sempre.
Tuo,
-DS





















Sì, raga, è finita davvero.
Non è il finale che vi aspettavate o il finale migliore che si potesse desiderare, ma è il finale che io mi sono sempre sentita di dover dare. Perché è maledettamente realistico, perché è esattamente ciò che il Damon che conosco io e che conosciamo tutti avrebbe fatto: auto etichettarsi come un egoista per poi essere colui che soffre come un cane.
Damon è sempre stato un personaggio autolesionista, ed io ho cercato di non snaturarlo troppo, come ho fatto con tutti, forse l'unica eccezione è stata Katherine.
In ogni caso, penso siate intelligenti abbastanza da capire che un finale del genere prevede un sequel.
Non vi prometto niente, perché se mi conoscete e avete seguito la fanfiction dall'inizio saprete quanto io sia terribilmente scostante, e il primo capitolo potrebbe arrivare domani come tra sei mesi.
Ma arriverà.
Sentirete ancora parlare di me, bitches.
Love u,
Liz.
   
 
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