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Autore: Florence    28/12/2018    1 recensioni
Scoprirsi, perdersi e ritrovarsi oltre il tempo, oltre il dolore, oltre una lontananza che strappa l'anima.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 33 - You’re mine

 

 

Il post-it era ancora dove Marinette l’aveva lasciato prima di andare a cena dai suoi; guardò l’orologio, era quasi mezzanotte, forse Chat Noir sarebbe passato da lei più tardi. Entrò in casa e sciolse la trasformazione, lasciando che Tikki si rifocillasse ancora con qualche biscotto. Dalla sua vecchia camera, Marinette aveva preso la casa delle bambole di quando era bambina, quella in cui la kwami aveva fatto da anni la sua piccola casa: -Dove preferisci che te la sistemi?-, domandò all’amica volante.

Tikki si avvicinò pensierosa alla sua umana: visti gli ultimi sviluppi, forse avrebbe preferito non avere il suo rifugio in camera di Marinette, d’altronde, data la presenza già confermata del bambino, anche andare a colonizzare per prima la stanza lasciata vuota le sembrava pretenzioso: -Nella serra, così controllo i tuoi lavori-, rispose all’amica, tanto, in ogni caso, avrebbe potuto raggiungerla dentro in un batter d’occhio.

Marinette la guardò contrariata: -Ti vuoi mettere fuori, come un cane o un gatto!?-, osservò piegando la fronte.

-Di gatti credo tu ne abbia già uno e non credo di somigliare a un cane-, rispose la kwami a denti stretti: -Andrà bene nella serra-, ribadì e Marinette aprì ancora la porta finestra per trasportare la casetta dove la sua proprietaria aveva richiesto. Nell’attraversare la terrazza si guardò attorno, scrutando la notte: forse Chat Noir era ancora impegnato, l’avrebbe raggiunta più tardi, cercò di convincersi.

Rientrò in casa e si accucciò sul divano sotto alla coperta, per guardare un po’ di TV: erano successe troppe cose in ventiquattro ore e, anche se dormire sarebbe stata la scelta migliore, il suo cervello doveva ancora realizzarle tutte e un programma di cucina sarebbe stato l’ideale per riflettere. O addormentarsi.

 

Adrien le aveva chiesto di sposarla.

Vero che la domanda era passata in secondo piano nel momento stesso in cui l’aveva posta, sia per come ci era arrivato, sia per le urla di Sunan, ma Marinette era certa di avergli sentito pronunciare qualcosa che, senza ombra di dubbio, sembrava una proposta di matrimonio.

Era la seconda che riceveva in vita sua e indubbiamente l’unica alla quale avrebbe voluto e dovuto rispondere di sì: ma avrebbe davvero potuto? Era una domanda reale o scaturita dal contesto?

La giovane si trovò a riflettere su come per Adrien la vita in prima pagina fosse bene o male un qualcosa di assodato fin dalla sua prima infanzia. In fondo era il figlio di due personaggi pubblici e ancora prima che per il suo aspetto e la sua professione, era stato da sempre abituato a condividere le sue cose personali con mezza Francia e un’altra metà di mondo. Lei non avrebbe potuto in nessun modo invertire quella tendenza, né in realtà sentiva di averne il diritto: se aveva in mente di condividere la sua vita con Adrien, avrebbe dovuto accettare che lui non era un uomo come tutti gli altri, ma qualcuno che l’avrebbe portata con sé sotto i riflettori.

 

In TV il cooking show che stava seguendo era ormai finito e stavano scorrendo i titoli di coda: aveva passato almeno un’ora rubata al sonno a rimuginare nel dormiveglia su cosa l’avrebbe attesa e in definitiva l’unica risposta reale che poteva darsi era che non gliene sarebbe importato poi molto. Lei voleva solo poter passare la sua vita insieme ad Adrien. Tikki, sistemata la sua casetta, entrò passando attraverso la finestra chiusa e si andò ad acciambellare come un gatto sulle gambe di Marinette: -Non dormi?-, le domandò sbadigliando. La ragazza sospirò: forse Chat Noir sarebbe arrivato e non aveva intenzione di perdere tempo prezioso facendosi trovare addormentata; -Vorrei trasformarmi di nuovo e andare a Villa Agreste-, ammise, abbassando lo sguardo. Tikki annuì: non sembravano esserci più problemi con Papillon e quindi una visita notturna alla casa del giovane non avrebbe dovuto trasformarsi in qualcosa di pericoloso. -D’accordo-, disse alla ragazza e attese di essere richiamata all’interno del suo Miraculous.

 

 

La notte era fredda e tirava un vento sottile da nord, presto sarebbe arrivato l’inverno, quello vero, con cieli tersi, giornate cortissime e una grande voglia di rintanarsi in casa davanti al camino. Il grande camino di Villa Agreste, troneggiante nella sala da pranzo, non accoglieva nessun fuoco, quella notte, e nella silenziosa casa tutto sembrava immobile. Ladybug si fermò davanti all’ingresso: non avrebbe suonato per farsi aprire, ovviamente, ma per un attimo qualcosa dentro di lei aveva urlato perché quella non fosse più una situazione sopportabile. Papillon era ormai solo un ricordo, Le Plume Bleu e il suo subdolo potere non l’avrebbero più irretita e nessuno avrebbe più cercato di rubarle gli orecchini; eppure era di nuovo in modalità ninja per cercare di incontrare il suo amore, proprio come anni e anni prima. Sbuffò sentendosi d’un tratto soltanto una sciocca donnicciuola incapace di attendere l’arrivo del suo uomo e, lanciato lo yoyo, decise di farla breve e irrompere silenziosamente in quella che era stata la camera di Adrien.

Aprì piano piano la finestra dall’esterno e, nella penombra silenziosa, riconobbe ogni dettaglio di quella che era stata la stanza delle meraviglie e dei suoi sogni, quando era alle prime armi con il suo potere e agli esordi della colossale cotta che aveva avuto per il giovane Agreste. Il divano, la TV, i videogames e l’angolo con il computer erano rimasti immutati negli anni, così come all’apparenza sembrava essere rimasto tutto uguale sul soppalco. Ladybug entrò scivolando come una gatta senza far rumore e percorse i pochi metri che la separavano dal grande letto di Adrien trattenendo il respiro. Quello che vide le aprì il cuore e la fece sospirare rumorosamente: Adrien dormiva supino con un braccio sollevato sul cuscino e, quasi fosse stato un peluche abbandonato sul suo fianco, Sunan lo abbracciava tenendo una gamba su quella del grande nuovo fratellone. La zazzera nera gli copriva gli occhi, accanto a lui c’era Mr Pandy. La giovane si avvicinò a loro e li coprì delicatamente con le coperte scivolate giù dal letto. Sunan si mosse aggrappandosi di più ad Adrien e lui voltò appena la testa. Ecco perché Chat Noir non l’aveva raggiunta: un gattino dolce e malaticcio l’aveva letteralmente inchiodato nel suo nuovo ruolo. Ladybug si chinò sul giovane e posò un bacio leggerissimo sulle sue labbra, quindi, silenziosa come era arrivata, scivolò via nella notte di Parigi e, in poco tempo, fu di nuovo al caldo della sua nuova casa.

Disse a Tikki che andava tutto bene e che le avrebbe fatto piacere se quella notte la kwami avesse voluto farle compagnia nel lettone; si preparò, indossò calzettoni pesanti e un vecchio pigiama e si infilò sotto le coperte fredde. Avrebbe preferito avere un compagno a tenerle caldo, ma era decisamente giusto così. Aveva ventidue anni e una vita davanti, avrebbe fatto ogni passo al momento giusto, non un attimo prima e, in quanto alla domanda di Adrien, avrebbe atteso che glielo proponesse di nuovo, in fondo non c’era fretta più per nulla.

Tikki attese che Marinette si fosse addormentata e scappò via dal suo abbraccio: finalmente anche lei aveva una sua casa in un ambiente privato e se la sarebbe goduta alla grande. Passò dalla cucina, fece scorta di cibo e bevande e andò a casa.

 

 

 

***

 

-Gabriel, ho in linea Madame Cheng… te la posso passare?-, la voce di Nathalie proveniente dall’interfono, d’un tratto, gli parve così innaturale: doveva rivalutare anche quella cosa, visti gli ultimi sviluppi. Rispose affermativamente, era il caso di affrettare ogni questione che avrebbe potuto procrastinare ancora le spiegazioni e le rivoluzioni che aveva a lungo ponderato durante la notte.

La madre di Marinette voleva informarlo che “aveva fatto un ottimo lavoro con il suo ragazzo” e che, conseguentemente, “anche loro erano felicissimi della piega che sembrava aver preso la situazione tra Marinette e Adrien”. Gabriel la liquidò senza entrare in dettagli, ripetendosi che avrebbe dovuto assolutamente parlare con il figlio: era stato egoista a non aver voluto mostrarsi  ancora aperto con lui e realmente felice di come le cose stessero andando. Aveva anche diverso lavoro da sbrigare, doveva portare Sun dal pediatra per il controllo e prepararsi per la conferenza stampa del giorno dopo, dove sarebbe stato affrontato, tra gli altri, il discorso concernente il loro ritorno in patria e, conseguentemente, la loro lunghissima assenza.

Mise giù la cornetta del telefono e sfilò gli occhiali, massaggiandosi la radice del naso: erano appena le otto e mezza di mattina e già era oberato di cose da fare, si sentiva schiacciato dal peso di molte questioni irrisolte e decisamente aveva bisogno di altro caffè.

Tre colpi veloci alla porta annunciarono l’ingresso di Nathalie: aveva in una mano un vassoio con una tazza di caffè e, sotto l’altro braccio, il suo immancabile tablet; vestita e acconciata come sempre, dietro le lenti azzurrine nascondeva uno sguardo impassibile, come se con un colpo di spugna fosse tornato tutto a sei anni prima. Si avvicinò alla scrivania e posò la tazza davanti all’uomo, ma, diversamente da ogni volta, non attese alcun segnale e si sedette di fronte a lui, frapponendo tra loro il tablet acceso. -Il pediatra è alle undici e trenta, Sun ha già preso l’antibiotico stamattina, Adrien sta ancora dormendo: era esausto. In merito ti consiglio di chiedergli qualcosa… almeno circa il suo ritorno a Parigi... -, la donna alzò lo sguardo, no, decisamente non era impassibile, -Sun mi ha detto che “Adrien ha mangiato la faccia a Maritette” e che quella “signora” gli piace molto perché sa fare le coccole e gli ha dato una torta buonissima: che ne dici di invitare qua la Signora Maritette, una sera di queste?-, gli fece un occhiolino e sorrise, un istante dopo riprese il suo piglio organizzativo ed elencò tutti gli impegni lavorativi della giornata.

Gabriel constatò di aver smesso di ascoltare le parole della sua segretaria dopo “la conf-call delle 12.45 con Tokyo”: la guardava parlare con la solita professionalità e, ad ogni movimento della sua bocca, ad ogni piccolo gesto delle mani, la sua testa tornava prepotentemente a quello che era accaduto il giorno prima tra loro. Una mano di lei corse al viso, svelta spostò dietro l’orecchio un ciuffo di capelli scivolato sugli occhi, l’altra rapida scorreva sul calendario aprendo le note sul tablet; stava seduta con le spalle leggermente in avanti, ogni tanto alzava lo sguardo su di lui e lo guardava da sopra le lenti, parlava e parlava…

-Gabriel, hai sentito?-, il tocco della mano di Nathalie sulla sua lo destò dalla trance in cui stava galleggiando, -Va tutto bene?-, gli chiese la donna.

Lui la guardò spaesato per un istante, rimise gli occhiali e bevve d’un sorso il caffè ormai tiepido: -Passiamo dalla pasticceria dei genitori di Marinette, di ritorno dal dottore: voglio comprare della torta buonissima per noi-, disse alla donna, che sbatté le palpebre sollevando involontariamente gli angoli della bocca all’insù.

-E va svegliato Adrien, deve raccontarmi tutto, sono stato egoista a non occuparmi anche di lui ieri sera a cena… Continuo a sbagliare, con lui…-, si avvicinò con il busto verso Nathalie: -Aiutami tu, per favore-, le chiese, -E… un’altra cosa…-, si tirò indietro sulla poltrona, unendo le mani all’altezza dello stomaco: -Dove hai dormito stanotte, Nathalie?-

La donna sbatté più volte le palpebre: -A casa mia… perché?-, domandò in risposta. Aveva sbagliato a fare quello che aveva lasciato che accadesse con il suo capo… Lo guardò mentre si alzava e, girando attorno alla scrivania, si fermò dietro di lei. Posò le mani sulle spalle e si chinò fino al suo volto: -Perché c’è qualcosa di cui vorrei parlarti…-, le bisbigliò nell’orecchio e, in un soffio, si avvicinò fino a posare un bacio sulla sua guancia.

 

 

 

***

 

Il cellulare vibrò ignorato sul comodino e si spense: non era stato messo in carica la sera prima ed era giunta la sua ultima ora, per quella mattina. I colpi alla porta accompagnati dalla voce di Nathalie non lo sfiorarono nemmeno; non si accorse di Plagg, che cercava di svegliarlo tirandogli i capelli e rimase incosciente quando qualcuno si sedette sul letto, vicino a lui.

Adrien non dormiva così profondamente da troppo tempo. L’ultima volta che aveva guardato suo figlio dormire, pensò Gabriel, forse risaliva all’epoca della scuola primaria, una volta che aveva voluto sorprenderlo con le mani nel sacco, disteso sul divano con la TV ancora accesa. Era identico ad allora: bello come il suo angelo personale, indifeso, dolce come quando era ancora un neonato, solo più alto, molto più alto e molto più adulto.

-Adrien-, lo chiamò piano, indeciso se svegliarlo o meno. Solo una cosa avevano carpito lui e Nathalie la sera prima, cioè che aveva un appuntamento alle nove di mattina da Marinette Dupain Cheng… -Adrien, sono le nove meno un quarto…-, riprovò a svegliare il ragazzo, senza risultati.

-Monsieur Agreste, perdonnez-moi…-, Plagg, con estrema gentilezza, chiese al padre di Adrien di allontanarsi per un istante e si avvicinò al giovane: -NATHANIEL KURTZBERG STA ENTRANDO IN CASA DI MARINETTE PROPRIO IN QUESTO MOMENTO!!!-, urlò con quanto fiato aveva in gola dritto nell’orecchio di Adrien e, non contento, appena il ragazzo si tirò su con faccia spiritata e sguardo assassino, lesto gli infilò in bocca una fragrante fetta di camembert stagionato venti mesi.

Gabriel si godette la scena a braccia incrociate al petto, mollemente appoggiato alla porta socchiusa.

-PLAAGGG!!!-, sputacchiando il formaggio e pulendosi la bocca con il dorso della mano, Adrien si rese conto di avere una piccola folla ad ammirare il suo risveglio, quasi fosse stato la nuova Maria Antonietta di Francia. Oltre a Plagg, che se la rideva battendosi le manine sulle zampe, c’erano suo padre e Nooroo, che, per la prima volta dopo secoli, stavano ridacchiando.

-Adrieeeeen!!!-, ecco anche Sun, strillante dal corridoio: appena fece il suo ingresso nella stanza del fratello, i due kwami si nascosero alla sua vista. Il bambino saltò sul letto: -Farai tardi da Maritette!-, gli strillò in un orecchio; Gabriel, avvicinandosi per acciuffarlo, ribadì il concetto: -Sono le nove meno dieci…- e fece l’occhiolino a suo figlio.

-Adesso lasciamolo solo, Sun, saluta Adrien, lo rivediamo più tardi…-, suggerì l’uomo al bambino e lo portò via dalla camera di Adrien: si sarebbe trasformato in Chat Noir, per fare prima, era abbastanza semplice, quindi portò il piccolo lontano da lì. Era ancora piccolo per venire a conoscenza di certi segreti e forse sarebbe stato il caso addirittura che non li scoprisse mai, almeno lui.

 

 

 

***

 

Quando Chat Noir bussò alla sua finestra, Marinette stava allacciandosi gli stivali, seduta sul letto in camera sua; fu Tikki ad avvertirla che il giovane ritardatario era finalmente arrivato. La ragazza lasciò perdere la seconda stringa e corse ad aprire al supereroe preferito.

-Sono in ritardo, perdonami…-, si scusò il giovane immediatamente, sciogliendo la trasformazione e lasciando che Plagg raggiungesse la sua amica kwami nell’altra stanza.

Marinette si avvicinò arrossendo, -Non preoccuparti-, gli disse, constatando quanto la versione in pelle dell’uomo che amava la facesse immediatamente sciogliere in un bagno di emozioni.

-Vuoi un caffè?-, gli domandò, osservando l’espressione vagamente arruffata del biondo.

Decisero che avrebbero fatto colazione insieme fuori, al primo bar che avesse avuto qualcosa di interessante da offrire loro; -Ti va di andare a fare una passeggiata?-, gli chiese ancora la giovane, sforzandosi di vincere la sua paura per i paparazzi che probabilmente avrebbero incontrato lungo la loro strada.

Adrien tirò su il bavero del giaccone e Marinette gli infilò sulla chioma vistosa un cappello di lana scuro a righe, che lo mascheravano abbastanza bene; a sua volta lei indossò un piumino pesante e un berretto con un pompom in cima.

-Andiamo-, gli disse prendendolo sottobraccio e insieme uscirono sulla strada già trafficata.

 

 

Le uniche volte che Marinette era stata in giro senza una meta, a inizio dicembre, era stato con Alya, andando a cercare i regali di Natale per parenti e amici, ma non era mai stata veramente libera di godersi l’aria fredda e quell’atmosfera che nascondeva il fermento delle festività ormai prossime. Quell’anno avrebbe dovuto vedersela da sola con la preparazione dell’albero di natale e di tutte quelle cose che andavano fatte, o almeno era quello che aveva pensato fino a quel momento: avere Adrien accanto a sé che camminava alla sua velocità trattenendole la mano intrecciata alla sua, nascoste nella tasca della sua giacca rendeva ogni pensiero e ogni prospettiva completamente diversa.

Erano in imbarazzo, non sapevano cosa fare o dove andare, le direzioni da prendere erano molte, ma la meta non c’era per nessuna di esse: erano loro stessi la meta, erano quelle mani intrecciate, era lo scintillio degli occhi e i sorrisi che spuntavano dalle sciarpe di lana, era la punta del naso rosso e la pioggerella gelida che li aveva colti dopo qualche tempo, era stato quel bacio rubato al sapor di cappuccino e la voce che era libera di arrivare al cuore di ciascuno dei due.

Era prendersi per mano e allontanarsi come due bambini per poi strattonarsi con gentilezza e andare a sbattere spalle contro petto, in una danza sconosciuta eppure così naturale, era guardare la felicità negli occhi riflessi nelle vetrine illuminate, era appuntarsi gli orari della metro, per non perderla ancora o pensare che poco distante, ai Magazines La Fayette, c’erano i saldi del Black Friday ancora attivi, per acquistare quella teiera che Marinette aveva visto di sfuggita o il pupazzo più bello per Sun.

La meta era pensare a cosa fare insieme quel pomeriggio e la sera dopo, era camminare e rincorrersi e baciarsi ogni volta che volevano, come due quindicenni felici, come non era mai stato loro concesso.

-Devo tagliare i capelli-, osservò ad un certo punto Adrien, sentendo alcune ciocche umide bagnargli il volto.

-D’accordo, così tornerai quello che mi ricordavo-, Marinette accolse di buon grado la proposta, -Ma io non farò più i codini, sono cresciuta, ormai-, aggiunse anticipando il giovane, in una buffa espressione.

-Sei cresciuta e sei bellissima: non tagliarli, mi piacciono così-, le disse e sfilò dalla sciarpa la chioma nera della donna, facendo scivolare le dita tra i capelli di seta.

-Vorrei farti un regalo-, la stupì Adrien.

-Me lo hai già fatto sabato-, lo corresse lei. Adrien la guardò intensamente: -Un regalo vero-, alzò gli occhi ripensando agli ultimi anni, -Non sai quante volte ho visto in giro cose che avrei voluto fossero tue: c’era una seta, una volta, che ti sarebbe piaciuta tantissimo… Era azzurra come i tuoi occhi e sono sicuro che ne avresti tirato fuori un bellissimo abito degno di una principessa-, prese le mani piccole tra le sue e le avvicinò alle sue spalle.

Fu un pensiero veloce e inopportuno, ma ormai aveva catturato l’attenzione di Marinette: -Alya!-, esclamò senza troppi preamboli, -Le ho promesso che mi sarei occupata dei loro vesititi per il matrimonio…-, avrebbe dovuto buttare giù qualche bozzetto, ma non sapeva né quando si sarebbero sposati né se la pancia della donna, per allora, sarebbe stata vistosa o meno.

-Ti va di andare a trovarli?-, domandò Adrien, che non vedeva l’ora di salutare il suo amico Nino. Marinette si aprì in un grande sorriso: -Sono sicuramente in casa e non li disturberemo…-, ammiccò e, tirando a sé il giovane per la mano, lo condusse di nuovo sottoterra, per prendere la metro giusta.

 

 

***

 

Avevano pattuito che la versione mignon di Mr Pandy avrebbe trovato casa da Marinette, così se Sun fosse tornato da lei, avrebbe avuto il suo amichetto anche lì, quindi, sulla strada per arrivare da Alya, Marinette e Adrien si fermarono a comprare un nuovo regalo per il piccolo “fagiolino”.

-Abitino o giocattolo?-, domandò il giovane, sfilando il cappello e allentando la sciarpa. Entrando nei negozi a Parigi, d’inverno, c’era la stessa escursione termica che aveva trovato in oriente uscendo dalla casa con l’impianto dell’aria condizionata per buttarsi nel forno liquido delle strade tropicali.

-Forse è meglio se gli prendiamo una pianta?-, la giovane era in crisi: non aveva mai pensato di doversi trovare a risolvere un siffatto dilemma; dalla sua borsetta fece capolino Tikki: -Non potete prendere un abitino, non sapete neanche se sia maschio o femmina!-, constatò.

-Io opterei per una forma di Camembert: finché nascerà e sarà svezzato avrà raggiunto la stagionatura ottimale per essere inserito nelle prime pappe liquide-, propose Plagg, dalla tasca interna della giacca di Adrien.

-Plagg, questa è la cazzata più grande che ti abbia sentito dire negli ultimi sette anni-, lo rimproverò Adrien e a Marinette saltò subito alle orecchie la parola colorita usata dal suo accompagnatore: se lo ricordava come un ragazzino educatissimo e rispettoso… ma le piaceva il nuovo uomo che stava diventando!

-Che ne dite di questo?-, distogliendo l’attenzione dai ciuffi biondi scarmigliati del modello, che stava iniziando a farsi notare all’interno del negozio, Marinette mostrò un pupazzetto di una piccola volpe con gli occhi grandi travestita da tartaruga, con una zucca in mano.

-È perfetto!-, esclamò Adrien; poco importava se era una rimanenza di Halloween, era indubbiamente la cosa più azzeccata per il figlio di Rena Rouge e Carapace!

Si battibeccarono un po’ discutendo su chi avesse dovuto pagare il regalo e concordarono che, insieme al peluche, Marinette avrebbe aggiunto un piccolo libro di aforismi sulla maternità.

-Secondo me Alya te lo tira dietro…-, osservò Tikki, ma desistette dalle sue rimostranze, notando l’espressione sognante dei due giovani, che uscivano dal negozio mano nella mano, maneggiando con cura maniacale il pacchetto che era stato loro preparato.

Dal canto suo, Plagg era interessato solo al raduno che avrebbe finalmente fatto con i suoi vecchi amici: Wayzz e Trixx erano i suoi vecchi compagni di scappatelle, quando ancora stavano tutti nel magico mondo incantato dei kwami e lui sembrava essersi interessato a quella giovane kwami che sembrava una coniglietta…

 

 

La sorpresa di Nino quando, aperta la porta di casa al grido di “Maribug, siamo in salotto, entra pure!”, vide comparire da dietro l’angolo il suo amico Adrien, fu quasi commovente. Si alzò di scatto, incredulo, inciampando nella gamba del tavolino da fumo, si resse alla libreria, proseguì fino a lui e portò entrambe le mani al viso, a coprire la bocca spalancata. I suoi occhi brillavano increduli come quelli di un bambino la mattina di Natale: -Non ci posso credere…!-, sussurrò e gli buttò le braccia al collo.

Alya si rizzò sul suo posto, volle provare ad alzarsi, c’era chiaramente qualcosa di troppo importante da perdersi anche quella volta, Marinette la vide e la aiutò, ma appena la sua amica scorse il suo sguardo brillante, si rimise a sedere: aveva capito già tutto. Le strinse le mani sorridendole, finalmente gli occhi di Marinette erano di nuovo come sei anni prima. Finalmente la sua amica era felice.

 

Rimasero a casa di Nino e Alya per diverso tempo, consegnarono il loro regalo che fece ridere la futura mamma e commuovere il suo compagno, mentre i kwami facevano comunella in un’altra stanza. Era tutto perfetto, era così che sarebbe dovuto andare in tutti gli anni precedenti, se solo Papillon non avesse rovinato la vita al figlio e alla sua Marinette. L’unica consolazione di Adrien era che Nino e Alya non erano in pratica stati coinvolti nella lotta contro suo padre, anche se era stata proprio quest’ultima a pagare più di tutti per l’ultimo strascico che gli Agreste si erano portati in patria. In qualche modo Adrien si sentiva colpevole per quello che era successo all’amica e volle scusarsi con lei.

-Se non fossi stata KO, probabilmente avrei aiutato io stessa Maribug nell’ultima battaglia contro il cinese-, spiegò la giovane, -E così voi due non vi sareste rivisti: non tutto il male viene per nuocere Adrien… però, visto che Fagiolino non è più in pericolo, visto che hai riportato il cinese nella giusta prigione e visto che tuo padre ha sotterrato l’ascia di guerra, a questo punto voglio esigo e pretendo che anche voi due pelandroni vi diate da fare per mettere in cantiere un amichetto per nostro figlio!-

Alya era sempre stata esagerata nelle sue espressioni e anche quella volta non aveva mancato di mettere in profondo imbarazzo i suoi amici, alle prese con la scoperta di qualcosa di molto più importante delle rispettive identità.

-Alya!-, la sgridò Marinette. Adrien arrossì e non disse nulla: in fondo non c’era niente di ancora definito con la sua adorata supereroina preferita e non avrebbe di certo messo in discussione la loro situazione in presenza di altre persone.

-Adrien mi ha fatto conoscere suo fratello-, cambiò discorso Marinette, -Sunan è un bambino dolcissimo, dovreste conoscerlo e fare pratica-, propose, presa da quella nuova idea, -Sempre che Adrien ve lo lasci conoscere…-, si rivolse al biondo sorridendo dolcemente.

-Oh, ma io lo conosco già Sunan!-, confessò Nino, -E’ proprio come dici tu Marinette: è un bambino simpaticissimo!-; Alya alzò gli occhi al soffitto, considerando come si fosse persa alcuni tra i momenti più significativi per la sua esistenza sociale.

-E’ sempre attivo il Ladyblog?-, le domandò Adrien, per parlare d’altro. In qualche modo non era ancora pronto a presentare Sun per quello che era davvero significato per lui, cioè un nuovo inizio, perché ne voleva un altro con Marinette che fosse ufficiale e definitivo.

-Ogni tanto pubblico qualcosa, ma ho la tendenza a sottolineare le gesta di Rena Rouge, ultimamente…-, Alya gli fece l’occhiolino, riflettendo sul fatto che Adrien non aveva mai visto lei e Nino trasformati: -Vedessi quanto siamo fighi io e Nino!-, gli spiegò.

-Allora dovremmo fare un raduno di eroi con cena natalizia!-, propose il giovane in risposta, -Credo che anche mio padre e Nathalie, che, vi assicuro, sono dalla parte dei buoni adesso, non vi abbiano mai incontrati in quelle vesti-

-Non credo di essere pronta a incontrare Papillon davanti ad un tè!-, esclamò Marinette, mordendosi la lingua un attimo dopo; -Cioè… intendo…-

Adrien le prese la mano e vi posò un piccolo bacio: -Lo so cosa intendi-, disse piano, poi si avvicinò a lei e le sussurrò nell’orecchio -Stavolta faremo le cose per bene, te lo giuro-.

 

Quando lasciarono l’appartamento di Alya era ormai buio. Avevano pranzato da loro e, mentre Mariette e Nino cucinavano, Adrien aveva avuto modo di chiedere privatamente ad Alya come fosse stata la vita di Marinette in tutti quegli anni.

Le aveva chiesto di essere sincera, perché voleva davvero sapere quanto male le avesse fatto, perché non accadesse mai più; si era mostrato fragile e aveva raccontato alla giovane anche le sue pene.

Alya gli aveva raccontato molte cose che Marinette aveva taciuto: il fatto che per un certo periodo la ragazza avesse smesso di studiare; che aveva iniziato a diciassette anni a fumare e dopo non aveva mai davvero smesso di farlo, a causa dello stress; che spesso di notte si trasformava e rimaneva da sola in piedi fino all’alba sulla Tour Eiffel, sperando che lui tornasse. Gli aveva detto che non era stato facile per l’amica accettare tutto il casino che c’era stato con Nathaniel Kurtzberg; che in realtà neanche l’aveva mai vista coinvolta una sola volta; che a volte, quando d’estate andavano in vacanza da sole per qualche giorno, di notte Marinette ripeteva il suo nome, nel sonno e piangeva.

-Ma ora è felice: lo sento. Non deluderla-, gli aveva chiesto perforandolo con lo sguardo nocciola.

 

La notizia positiva di quella visita era stata che Alya avrebbe potuto piano piano riprendere la sua vita normale entro pochi giorni, giusto in tempo per organizzarsi per le feste di Natale che di lì a poco ci sarebbero state. Lei e Nino avevano deciso di sposarsi in primavera, nel secondo trimestre della gravidanza; avrebbero stabilito quanto prima la data, a seconda di cosa avessero deciso di organizzare per la cerimonia e il ricevimento. Marinette aveva preso loro delle misure per gli abiti e aveva raccolto le loro preferenze.

-Per qualche sera credo che non potrò uscire con te-, aveva annunciato in un bacio sulla bocca ad Adrien, rientrando a casa, -Dovrò buttare giù qualche idea per i loro abiti-, aveva spiegato. -Ti lascerò lavorare nel tuo laboratorio, ma non potrai impedirmi di venire a trovarti, o suonando alla porta, o atterrando sul tuo tetto dopo un salto…-, le aveva risposto lui, succhiandole un labbro avidamente.

-Saliamo…-, riuscì a dire soltanto la donna, sentendo il fuoco riprendere a bruciarle la carne dal suo interno e la voglia matta di lui esplodere nella sua testa e tra le gambe.

-Non salirò a casa tua adesso-, fu la decisione raggelante di Adrien: le fece un sorriso obliquo e assottigliò lo sguardo: -non avere fretta di avermi troppo tra i piedi, My Lady… potrei non andarmene più...-, le disse e si congedò.

Marinette rimase stordita e tutta rossa in piedi nell’androne del suo palazzo, mentre il suo bel principe, a grandi falcate, se ne andava via, salutandola con un cenno della mano dall’altra parte della strada.

 

-Mi farà morire…-, sussurrò lei, appoggiando le spalle alla porta dell’ascensore.

-Non ti ha uccisa in questi sei anni, ormai non muori più-, constatò Tikki dalla sua borsetta, proprio mentre le porte scorrevoli si aprivano e Marinette crollava di schiena dentro la cabina, in una risata liberatoria.

 

 

 

***

 

 

-Adrien, spero che non ti opporrai alla mia proposta-, più che una domanda, le parole di Gabriel Agreste suonavano come una decisione già presa e ratificata. Il giovane accavallò le gambe, bevendo un sorso di tè. Avrebbe tenuto suo padre sulle spine finché fosse stato in grado di reggere la parte.

-E se non volessi?-, domandò con tono duro, -Voglio dire… c’è Sun, che non è abituato, e poi… non pensi che per me sia una cosa complicata da accettare?-

-Hai già vissuto per sei anni sotto lo stesso tetto di Nathalie, cosa dovrebbe esserci di diverso, adesso?-, Gabriel serrò le labbra, non pensava di avere quel tipo di risposta. Aveva finalmente deciso di fare sul serio con la sua assistente e non avrebbe ammesso ostacoli.

-Ma qua siamo a casa! Casa, papà! Casa è dove sono cresciuto, dove ho preso le mie prime sgridate, dove ho vissuto quasi segregato in quella camera che sembra un castello, dove…-

-... dove hai iniziato a trasformarti in Chat Noir e farmi perdere la testa con la tua identità! Dove io ho creato uno sciame di farfalle cattive, dove tu e io abbiamo avuto le nostre più belle litigate e dove Nathalie ha ricevuto il Miraculous del Pavone! E’ casa nostra quanto sua, ormai...-, proseguì l’uomo, come se parlasse dell’ovvio.

-Ad ogni modo io non credo che…-

-Sun ha bisogno di una madre e chi meglio di te può capire questa ovvietà?-, Gabriel stava andando dritto verso l’esasperazione.

Adrien posò la tazza e congiunse le mani all’altezza dello stomaco: -Ad una condizione-, si piegò verso il padre, che imitò il suo gesto: -Non chiamerò Nathalie mamma-, sorrise sornione e riprese la tazza di tè, alzandola in un brindisi analcolico.

-Oh, questo è certo!-, in un misto di imbarazzo e soddisfazione, Gabriel alzò la sua tazza, abbassando lo sguardo nel momento in cui sentì un lieve calore salire alle sue guance.

-E Nathalie mi insegnerà davvero a guidare la moto-, Adrien stirò le labbra in un sorriso, godendosi l’espressione meravigliata del padre.

-Nathalie… cosa?-, domandò scuotendo il capo.

-Motocross: non lo sapevi? E anche in pista. E’ una forte, lei!-

Gabriel sgranò gli occhi non riuscendo a non sorridere: allora erano tanti i segreti che quella donna gli aveva tenuto nascosti negli anni!

-Una volta mi ci ha portato, ma non te l’abbiamo mai detto: avevo diciassette anni, in Giappone. Tu eri impegnato con la collezione… quella con le stoffe di batik, ricordi?-, lo stilista annuì, tornando con la memoria a quegli anni in cui ancora non aveva in nessun modo accantonato l’idea di usare tutto il potere che avrebbe potuto trovare per far tornare da sé la moglie.

-E dove ti avrebbe portato, scusami…?-

-A Motegi, ovviamente. C’era il MotoGP. Siamo stati ai paddock e il giorno dopo la gara abbiamo provato le moto in pista. Una meraviglia!-

-Mi stai dicendo che Nathalie, la mia Nathalie, guida le moto da corsa?-, che importava mostrarsi freddi e calcolatori, quando un vecchio ricordo di gioventù tornava prepotente alla memoria?

-E bene, anche!-, chiosò Adrien. Gabriel sapeva cosa regalare alla donna: perfetto. La sua vecchia Yamaha era ancora nell’angolo più remoto del garage, dimenticata da anni di inutilizzo.

-Hai altre condizioni da porre?-, domandò al figlio, aspettandosi ogni possibile domanda assurda. A dir poco sarebbe venuto a scoprire altre mille segreti sulla misteriosa compagna silenziosa che non l’aveva mai abbandonato, nonostante un matrimonio infelice, un figlio e la follia di diventare Papillon.

-Una sola: sposala-, Adrien si alzò e, portando due dita alla fronte, salutò il padre, che era rimasto di sale; -Ah, magari non questa primavera, che abbiamo già il matrimonio di Alya e Nino e sarebbe poco carino eclissarli con il vostro… Papà…-, si congedò, mettendo la mano sulla maniglia della porta.

-Fallo anche tu-, gli disse alle spalle l’uomo e Adrien sorrise. Senza voltarsi, aprì la porta: -Lo farò-, rispose e andò via.

 

 

***

 

La conferenza stampa di martedì quattro dicembre era stato un fulmine a ciel sereno. Adrien aveva ben altri programmi per quel giorno, ma suo padre gli aveva chiesto la cortesia di accompagnarlo. Si sarebbe parlato anche del loro viaggio in oriente e Adrien avrebbe dovuto dare il suo contributo alla versione dei fatti: nel breve tragitto in auto verso l’auditorium, Nathalie lo aveva informato di cosa avrebbero dovuto raccontare. Erano tutte baggianate su campagne pubblicitarie, lancio di nuove collezioni, esperienze personali in terre esotiche accompagnate da una profusione di piccoli aneddoti accattivanti e simpatici.

-Ti prego Nathalie, usa il tuo potere su di me e fammele dire tu tutte queste cavolate, a me non riuscirà sicuramente!-, aveva capitolato Adrien all’ennesima lettura della scaletta che avevano preparato per lui il padre e la sua nuova segretaria/compagna.

-Sei adulto e sono sicura che non ne avrai bisogno. Oltretutto assumi sempre un’espressione un po’ ebete quando lo faccio… dobbiamo rilanciare anche la tua immagine e non è il caso che appaia che hai riportato danni permanenti da abuso di oppio, ragazzino!-, la donna gli fece l’occhiolino e tornò a immergersi nelle sue scartoffie. Seduto davanti a lei, Gabriel la guardava ammirato, come se solo allora, dopo anni, si fosse dissolta la cortina che non gli aveva mai permesso di guardare oltre il suo ruolo e scoprire il portento che aveva avuto accanto.

-Avevo promesso a Marinette che sarei andata a prenderla all’università-, borbottò Adrien, incrociando le braccia al petto, piccato.

-Che ne diresti di invitarla da noi per cena?-, gli domandò il padre, scambiandosi un’occhiata con Nathalie, che annuì avviando una telefonata al cellulare.

Era presto. Adrien era sicuro che fosse troppo presto per Marinette entrare nella tana del leone, sebbene questo non avesse più denti e artigli: -Non credo che sia ancora il caso-, rispose accigliandosi. Sicuramente sarebbe stato imbarazzante per tutti.

-L’unico vero problema sono io-, constatò lo stilista, guardando fuori dal finestrino oscurato, -Dal momento che Sun lo ha già conosciuto e che con Nathalie sembra che ci sia del feeling… è evidente che sia io il problema, non è così?-, l’amarezza del tono usato, per un attimo intenerì Adrien.

-E’ che forse… noi ancora non… Abbiamo avuto solo due giorni per ritrovarci in fin dei conti, credo che forse…-, con le mani a disegnare cerchi in aria, Adrien si trovò d’un tratto messo alle strette.

-Non ci sono problemi, figliolo, me lo dirai tu quando sarà il momento giusto-, lo tranquillizzò Gabriel, sfiorandogli una mano: -Ti chiedo solo, ora in conferenza, di mantenere il riserbo su quello che riguarda tutta la storia di tua madre e anche su chi sia… lei…-, nel parlare gli mostrò sul tablet una foto presa da un profilo instagram: era sfocata e non centrata, ma Adrien riconobbe immediatamente se stesso e Marinette, nel negozio di giocattoli solo il giorno prima. Si morse un labbro, trattenendo un’esclamazione colorita.

-Dì che non eri tu e facciamo prima-, lo tranquillizzò l’uomo, passandogli un elastico per capelli: -Legali così non si noterà troppo la somiglianza: in fondo sei preso quasi di spalle, potrebbe essere chiunque-.

Nathalie chiuse la conversazione con una delle loro domestiche, che si era presa l’impegno di accudire Sun in loro assenza e lo guardò: -Tagliali, dammi retta-, disse ad Adrien nel momento in cui arrivarono al luogo convenuto per la conferenza stampa. Gli passò un giaccone blu navy: -Metti questo-, gli disse e, atteso che il giovane lo indossasse, precedette gli Agreste fuori dall’auto.

 

 

 

***

 

 

All’uscita dalla facoltà, Marinette lesse il messaggio che Adrien le aveva inviato un’oretta prima: era inutile esserne delusa, perché era inevitabile che anche lui avrebbe dovuto riprendere le sue attività lavorative. Nel poco tempo in cui erano stati da soli, il giorno prima, aveva capito che forse al giovane sarebbe interessato riprendere gli studi, ma era evidente che non avesse chiaro cosa avrebbe potuto interessargli davvero. Adrien era un modello: non era una cima in informatica, non aveva più praticato la scherma per anni, né suonato assiduamente il pianoforte. Non aveva particolari attitudini se non essere semplicemente unico e fare il modello. Marinette sarebbe dovuta scendere a patti con quella realtà e di conseguenza raddrizzare la rotta della sua esistenza: lei voleva fare la stilista, in qualche modo che ancora non le era chiaro e non aveva particolari conoscenze (eccezion fatta per Gabriel Agreste, che più che un aggancio lo avrebbe definito un “rivale” sotto molti aspetti), né mezzi economici per sfondare. Ma aveva un modello tra le mani e non se lo sarebbe lasciato scappare. Forse era giunto il momento di ricominciare a disegnare anche abiti maschili, fantasticando liberamente su cosa avrebbe voluto che il suo Adrien indossasse davvero.

-Il mio Adrien…-, sussurrò camminando di gran lena verso la stazione della metropolitana, nell’ottica di tornare a casa presto e riprendere i suoi disegni. Forse avrebbe dovuto riferirsi a lui come “il mio ragazzo”, oppure “il mio compagno” o “il mio fidanzato”... ma era davvero così che stavano le cose?

Si fermò d’un tratto e un pedone che era dietro a lei la urtò, apostrofandola in malo modo; -Mi scusi…-, gli strillò dietro la giovane, riprendendo a navigare con la mente dove era stata interrotta. Adrien le aveva chiesto di essere di nuovo (o ancora) la sua ragazza… ma non poteva definirsi sua compagna o fidanzata. Non erano ancora pronti i tempi.

Si convinse a non rimuginare troppo su quei discorsi e a essere propositiva per il futuro. Aveva ventidue anni e un ragazzo: potenzialmente davanti a sé c’era una moltitudine di attività che avrebbero potuto fare insieme, dall’uscire la sera per ricominciare a frequentare qualche locale, all’andare qualche volta a ballare o perfino pensare a scappare insieme per fare un viaggetto romantico. Avrebbe dovuto comprargli un regalo per Natale e soprattutto “presentarlo” ai suoi. Gli avrebbe preso uno spazzolino da denti da tenere in casa sua e, perché no, un paio di pantofole calde e qualcosa per stare comodo e poi gli ci sarebbe voluta la sua tazza personale e… avrebbe dovuto lasciare che Adrien si fermasse a dormire da lei ancora, e ancora, e ancora.

 

Avrebbero dovuto fare l’amore, conoscersi, apprezzarsi, condividere i momenti del sonno e del risveglio.

 

-Tikki!-, Marinette chiamò a gran voce la sua kwami, noncurante del fatto che si trovassero per strada: -Devo farmi la ceretta!-, annunciò a gran voce e una vecchietta che le stava passando accanto la guardò stralunata.

-Bambina mia, la ceretta si fa d’estate! D’inverno, se non hai grandi velleità, pensa a mettere la maglietta di lana sotto a quel cappottino leggero, che è meglio!-, Marinette scoppiò a ridere in faccia alla povera donna impicciona, si scusò per la maleducazione e schizzò via. Oh, lei aveva velleità, eccome!

Il bozzetto dell’abito per Nino avrebbe potuto attendere ancora qualche ora: Marinette, ricordando vecchie brutte esperienze domestiche, si fermò al grande centro commerciale che era situato a pochi passi dalla fermata della metropolitana.

-Marinette, che cosa stai facendo!?-, la chiamò Tikki dalla sua borsetta.

-Vado a farmi fare la ceretta, Tikki, no?-, glielo disse come fosse una cosa ovvia e alla piccola divinità sorsero mille interrogativi in testa. Avrebbe dovuto dirglielo che, in quanto portatrice, le sarebbe bastato esprimere quel piccolo desiderio che la sua kwami l’avrebbe esaudito senza sottoporsi a tale tortura? In passato era stata zitta, ma forse, dato il clima, la fame che lei aveva e…

Troppo tardi: Marinette aveva varcato le porte del centro estetico al piano terra ed era già stata accolta da una receptionist.

-Come possiamo esserle d’aiuto, Mademoiselle?-, le domandò la donna, asciutta come un’acciuga e con delle unghie più lunghe di un braccio di Tikki.

-Vorrei fare una depilazione-, rispose la giovane, con un lieve accenno di titubanza.

-Abbiamo la depilazione laser, quella a luce pulsata, quella al miele, al caramello o la classica ceretta-

-Andrà bene l’ultima penso-, le rispose Marinette, deglutendo: non aveva idea di cosa stesse parlando la donna, sapeva solo che Alya, ogni volta che, dopo una litigata o un periodo di stanca, riprendeva la sua attività preferita con il caro Nino, le raccontava di essere stata a fare la ceretta.

-Se desidera, abbiamo un’estetista libera anche adesso-, la informò la donna alla reception e Marinette, senza indugio, accettò e si fece scortare nel piccolo box bianco dove aleggiava un delizioso aroma di frutti di bosco e tè verde.

-Che zone intende trattare?-, le fu chiesto, e Marinette, in preda a un discreto imbarazzo, farfugliò qualcosa che l’estetista tradusse in “total body” e scrisse sulla cartellina che lasciò sul mobiletto accanto al lettino.

-Per favore, si spogli e indossi questo-, Marinette prese dalle mani della donna una bustina di plastica con dentro qualcosa di carta usa e getta. Una volta sola, iniziò a spogliarsi.

-Sei un belvedere-, le disse Tikki, sbirciando dalla borsetta.

-Girati, per favore!-, Marinette era ormai arrossita del tutto e il suo imbarazzo aumentò, aprendo la bustina ed estraendone qualcosa di non ben identificato. -Cosa dovrei farci con questo?-, domandò sul filo della disperazione: stava già pentendosi della sua decisione, oltretutto non si era informata sui costi della depilazione e non voleva lasciarci un capitale.

-Credo tu debba rimanere nuda e mettere quello-, le suggerì la kwami, -E’ un perizoma, Marinette! Come quelli che piacciono tanto ai maschi, ma di carta!-, eppure Marinette aveva già avuto una relazione e certe cose doveva pur saperle! Ma all’epoca, un po’ per l’età più giovane, un po’ perché era un periodo in cui lei e Marinette non avevano un buon rapporto, Tikki non aveva partecipato poi molto alla vita intima dell’amica. Sapeva che non era Nathaniel l’uomo adatto a lei e, quasi in uno sciocco moto di ripicca, non aveva voluto sapere nulla di quel che la sua umana faceva o non faceva con lui.

Aveva appena finito di indossare il malefico perizoma di carta, che l’estetista bussò alla porta del box ed entrò. Marinette non aveva ancora tolto il reggiseno.

-Buon pomeriggio, mi chiamo Claire. Quello lo tenga pure, non si preoccupi-, disse a Marinette, poi chiese conferma delle aree che avrebbe dovuto trattare, studiando la pelle della giovane.

-Qua non ha nulla, è inutile passare la cera-, disse sfiorando con il dorso della mano le cosce della ragazza, -L’inguine come lo facciamo? Classica, americana, brasiliana, hollywood, francese, vajazzling…?-

Marinette la guardò come se le avesse chiesto di calcolarle a mente la radice quadrata di demilasettecentotrentatre e indugiò, -Faccio tutto pulito?-, domandò più direttamente l’estetista, sorridendole.

-O...ok-, rispose Marinette, sempre ignara di quel che le stesse chiedendo la donna e si stese, -Allora segno “hollywood”-, le confermò la ragazza.

La cera era calda e la sensazione a contatto con la pelle le ricordò d’istinto il fuoco lasciato dalle armi in lega tibetana, ma, dopo un primo disagio, Marinette si abituò al calore sulle gambe e al lieve dolore degli strappi. Collaborò spostando o alzando le gambe, si fece strappare anche la peluria sotto le ascelle e sulle braccia (“Ma ne ha così pochi qua!”, “Tolga, tolga! Ormai che ci sono!”) e piano piano si rilassò.

-Bene, adesso allarghi questa gamba, sì così, la appoggi pure sulla mia spalla. Ecco, ora sentirà un po’ di caldo, ma passa subito-, l’avvisò la signorina, spostando completamente quel ridicolo lembo di carta. -Vado!-

 

 

 

-Me lo dovevi dire che cos’era la Hollywood, Tikki!-, con diverse decine di euro meno sulla carta prepagata e un bruciore diffuso su tutte le parti intime, Marinette uscì furibonda nel pomeriggio gelido di Parigi, -Adesso sono… sono…-

-Liscia e pronta ad essere gustata come un gelato di André-

-Tikki!!!!!!-

Era stata una dura prova, si era coperta di ridicolo, aveva sentito male, aveva urlato a qualcuno di immaginario in mezzo di strada. Ma per un po’ di giorni, quant’era vero che si chiamava Marinette Doupain-Cheng, non avrebbe avuto alcun problema a spogliarsi davanti ad Adrien…

 

Se solo si fosse degnato di farle sapere se aveva finito la sua conferenza stampa…

 

 

***

 

 

“Era lei ieri, Adrien, nel negozio di giocattoli di Avenue Carnot?”

“Chi era questa donna?”

“E’ la sua nuova fiamma?”

“La sua fama la precede, tornerà sulle passerelle?”

“Il suo nuovo look ha fatto impazzire le donne di mezza Francia, cosa ha da dirci in merito?”

“L’hanno paragonato a Brad Pitt di Sette anni in Tibet, non trova che sia adeguato come parallelo?”

“E’ vero che ha avuto molte storie negli ultimi anni in Cina? Ha la fama di un latin lover, cosa ci può raccontare sull’argomento?”

 

 

-No comment-, era forse il decimo no comment che ripeteva e si stava ormai facendo tardi.

Adrien era sulle spine, non era più abituato a tutto quel teatrino mediatico che lo precedeva e lo accompagnava come uno stormo di uccelli rapaci che lo seguissero in ogni sua mossa.

-Il Signor Agreste non intende rilasciare dichiarazioni sulla sua vita privata-, Nathalie stava cercando di salvarlo da quella situazione sconveniente, suo padre rigirava nervosamente una penna tra le dita. I giornalisti continuavano a prenderlo d’assalto.

-Te l’avevo detto che era una pessima idea farmi venire qua-, sussurrò Adrien al padre coprendosi la bocca con una mano, -Adesso mi stanno bombardando di domande e lo sapevi che non voglio stare sotto ai riflettori!-

Gabriel inspirò quanta più aria poté, sbatté, pur con grazia, le mani sul tavolo e si versò dell’acqua.

-Adrien sarà il modello di punta della prossima campagna Primavera-Estate, come sempre. Ma oltre il suo contributo professionale non abbiamo altro da commentare-, esordì.

Si sistemò gli occhiali e riprese: -Forse può interessarvi sapere che a breve lancerò una nuova linea Mariage, con modelli che stiamo ultimando e che sicuramente saranno di moda negli atelier tra qualche mese. Posso darvi qualche anticipazione, si tratta solo di bozzetti…-

Quando uno stilista si metteva a disegnare una collezione da sposa, anche il più accanito giornalista affamato di gossip non poteva che cedere al richiamo del dettaglio importante o del significato occulto delle pieghe di una gonna.

In pochi attimi l’attenzione della pletora di impiccioni fu di nuovo catalizzata dallo stilista che mostrò frettolosamente qualche bozzetto che aveva buttato giù la mattina stessa.

Nathalie lo guardò accigliata, dal momento che non era stata messa a conoscenza di quell’ultima novità della Maison.

-Gli influssi orientali di cui mi sono riempito gli occhi negli ultimi anni faranno da padroni nella prossima linea spose e i materiali utilizzati spazieranno dallo shantung al batik, perché il colore sarà la primadonna della collezione-, continuò a briglia sciolta Gabriel, finché ogni tipo di rumor su suo figlio non si fu placato.

-Cosa ci è stato a fare per tutti questi anni in oriente?-, domandò una giornalista rampante senza troppi preamboli.

-Conoscere nuove culture, allargare il mio bacino d’utenza, aprire nuove filiali in Giappone e Cina-, fu la risposta ufficiale.

-Questo lo sappiamo già, ma abbiamo avuto notizia del fatto che avete trascorso molto tempo anche in zone povere e sottosviluppate come la Cambogia o il Laos-

-Chi è il bambino che è stato visto con voi all’aeroporto?-

-E’ suo figlio, Adrien?-

-E’ di quella donna che era nella fo…-

-E’ mio figlio-, rispose Gabriel, con una punta d’astio. Non c’era verso di scampare alle domando più dirette e affilate.

-Quindi non è suo nipote, Gabriel Agreste? Allora ci dica chi è quella cinese che era…-

-Ripeto: è mio figlio!-

-E’ suo figlio di sangue, lo ha avuto con una donna del luogo oppure quella nella foto è…-

-E’ mio figlio adottivo e non intendiamo rispondere a domande personali che esulino dallo scopo di questa conferenza stampa-, li zittì l’uomo.

-Ci penso io-, con un lieve tocco della mano su quella del suo capo, Nathalie prese la parola.

-Il bambino è nato in Laos da entrambi genitori del luogo che non potendolo mantenere lo hanno affidato ad un orfanotrofio. Ha tre anni e mezzo. E’ stato adottato secondo le leggi locali dal Signor Gabriel Agreste e adesso è a tutti gli effetti suo figlio. Non abbiamo altre dichiarazioni da rilasciare.-

-Ha fatto come Angelina Jolie, Monsieur Agreste?-, una risatina in lontananza.

-No comment-, ribadì Nathalie.

-Chi farà da madre al piccolo?-, domandò un altro, da dietro.

-No comment!-, ripeté Nathalie.

-Come concilierà il lavoro con questa inattesa paternità?-, un’altra domanda sciocca.

-Chi crescerà il bambino?-

-NO COMMENT!-, Nathalie si alzò in piedi e sbattè con violenza il palmo della mano sul tavolo, zittendo tutti. Si sedette compostamente e sorrise sfacciatamente alla pletora di giornalisti.

-Adesso, se non avete altre domande, possiamo dichiarare chiusa questa conferenza stampa, grazie a tutti-, li congedò con un gesto elegante delle mani e rimase imperturbabilmente immobile finché il brusio non si fu acquietato.

 

-Possiamo andare, direi-, invitò dunque gli Agreste, che, al pari dei giornalisti, erano rimasti zitti e al loro posto, guardandola di sottecchi in modo quasi intimorito.

Nathalie si alzò e li precedette, allontanandosi appena da loro.

-Che donna-, sfuggì alle labbra di Gabriel, che la guardò compiaciuto sparire dietro l’angolo.

-Papà, sappi che approvo!-, gli fece eco Adrien, -Ma non vi perdono di avermi portato al macello…-

-Ti faccio notare che, nonostante ti avessimo avvertito di smentire che fossi tu in quella foto, hai risposto con un laconico no comment. Lo sai che significa?-

Adrien guardò il padre confuso, -Significa che hai ammesso di essere tu nella foto, in compagnia di una bella ragazza dai tratti orientali e gli occhi blu… per questo ti hanno chiesto se Sun fosse tuo figlio… Devi essere più attento, ragazzo-, si alzò e increspò le sopracciglia, in un’espressione di chi la sa molto più lunga di te.

-Ad ogni modo Nathalie è stata esaustiva-, gli si avvicinò a un palmo dal viso, -Ti ha tirato fuori d'impiccio e in questo momento, se la conosce bene, si sta mordendo l’interno di una guancia perché avrebbe voluto rispondere “io” a tutte le domande successive. Fammi andare da lei…-

Adrien, lasciato indietro, sospirò e per un istante ripensò a quanto fosse facile la vita quando aveva quindici anni e a Parigi era semplicemente conosciuto come il figlio giovane e angelico di uno stilista dall’indole di ghiaccio che aveva Elsa come assistente personale-

 

Devo chiamare Marinette…

 

 

***

 

 

Stasera sono a cena dai miei: ti va di unirti?

 

Adrien rimase a fissare per qualche minuto lo schermo del suo smartphone, indeciso se rispondere o meno al messaggio di Marinette.

Non aveva voglia di stare ancora in mezzo alla gente, voleva solo passare un po’ di tempo con Sun, che si sentiva molto meglio e lo aspettava per una partita a mini calcio nel salone di casa e dopo stare tutta la sera abbracciato a Marinette, sul suo divano. Eppure gli sembrava scortese non accettare il suo invito, considerato anche il fatto che personalmente non aveva alcun motivo per non volerlo fare, se non una qualche incertezza sul suo effettivo legame con la ragazza. Quindi non aveva alcun motivo per rifiutare.

Iniziò a digitare la sua risposta, quando ricevette un altro messaggio:

 

Ho detto ai miei che non posso, forse è ancora troppo presto…

Non fraintendermi, ti ho scritto di getto, ma forse è meglio se

lasciamo passare ancora qualche giorno prima di…

insomma, se vuoi, io sono già a casa e quando vuoi,

se vuoi, mi farebbe piacere vederti.

 

 

Oh certo che voleva! Lanciò un’occhiata sfuggente a suo padre, che si era seduto davanti a Nathalie nella limousine e senza troppe parole, la guardava con occhi nuovi che mai gli aveva visto prima. La donna ogni tanto ricambiava quegli sguardi, abbozzava un timido sorriso, voltava appena il viso verso di lui, “il terzo incomodo” e tornava ad abbassarli. Era diventata timida, Nathalie, almeno nei suoi confronti: se prima era stata sempre molto aperta e diretta, negli ultimi giorni si vergognava quasi di comunicare con lui. Era stata “beccata” a baciarsi con suo padre e sicuramente trovava la sua posizione molto, molto cambiata.

Gabriel le sorrise, incatenando il suo sguardo, abbassandosi mentre lo stava facendo lei per sfuggirgli, per l’ennesima volta.

-Nati...-, disse piano l’uomo, e allungò una mano verso quella della sua assistente, che istintivamente la ritrasse. -Nati, è tutto ok: benvenuta nel mondo di chi sente puntato il dito contro, in una conferenza stampa-, disse a voce più alta. Adrien non poté fare a meno di voltarsi verso i due e seguire, quasi ammaliato, quella scena inusuale e ipnotica.

La donna lasciò che il suo capo le prendesse la mano e inclinò appena la testa all’indietro, sospirando e comprendendo che non aveva senso fingere che le cose non fossero cambiate.

-La risposta a quelle domande è: Nathalie Sancoeur-

-Come?-, Nathalie sbatté due volte le palpebre, senza comprendere davvero quello che le era stato detto.

-Sei tu che ti occupi di Sun, sei tu che lo crescerai e sei tu che io voglio gli faccia da madre-, proseguì Gabriel. Adrien poteva essere a un metro da loro come a vagare nello spazio profondo: a suo padre in quel momento non importava.

Nathalie di nuovo abbassò lo sguardo, ritrasse la mano, poi rimase ferma un istante; alzò gli occhi su Gabriel e sorrise.

-Lo farò-, disse piano, -Ma non perché me lo dici tu: lo farò perché voglio davvero tanto bene a quel bambino-, aggiunse sorridendo. Accavallò le gambe e dipinse sul suo viso un’espressione soddisfatta.

Gabriel si voltò verso Adrien con un palmo in su, come a indicare di ammirare la donna davanti a sé.

-Che donna!-, esclamò Adrien, facendo il verso al padre, sorrise e si voltò verso il finestrino, mentre la limousine scivolava silenziosa nel traffico della città.

Riattivò lo schermo del suo telefono e rispose a Marinette:

 

Ho finito poco fa la conferenza stampa,

voglio stare un po’ con Sunan che me lo aveva chiesto,

dopo verrò da te e ti porterò a cena fuori.

Fatti bella, se è possibile essere più bella di come sei già.

 

Premette invio e abbandonò la testa sul sedile dell’auto. Era possibile che le cose stessero davvero andando così bene?

 

 

***

 

Marinette non si era fatta prendere dal panico: aveva scelto accuratamente l’abito più adatto alla serata che le si prospettava, pur non sapendo dove Adrien avesse intenzione di portarla a cena. In ogni caso, i suoi abiti sarebbero andati bene.

Aveva messo dei leggings neri eleganti e li aveva abbinati agli stivali col tacco che ancora non aveva indossato quell’inverno: non era un tacco molto alto, ma erano comodi e non avrebbe rischiato di inciampare. Sopra aveva messo una canottiera nera lucida che spuntava appena da sotto un grande maglione lavorato a mano, di un bianco candido. Era di lana mohair e la faceva apparire molto delicata, pur mantenendola calda, ma era molto scollato. Guardandosi allo specchio, si trovò davanti a un dilemma: era meglio indossare una sciarpa oppure una semplice collana? In mancanza di un monile adeguato, fece fare due giri attorno al suo collo esile a una sciarpa di seta colorata che aveva acquistato anni prima durante un viaggio con Alya. Si truccò gli occhi riuscendo a fare un bell’effetto smoke e mise del lucidalabbra rosa. fermò i capelli in uno chignon e sperò che non si rovinasse troppo indossando il cappello, quando fosse uscita. Il termometro segnava già quattro gradi e non aveva intenzione di ammalarsi per apparire sexy in una serata di dicembre.

Si domandò se Adrien sarebbe salito da lei, anche perché non sapeva quando sarebbe arrivato, così lasciò gli stivali vicino alla porta e si mise sul divano con le gambe rannicchiate, iniziando a buttare giù qualche schizzo per l’abito di Alya. Sicuramente per lei il più adatto sarebbe stato un abito dalle forme geometriche ben definite, che non mettesse troppo in risalto la pancia, ma che non la mascherasse a tutti i costi: Alya andava fiera della sua gravidanza, era fin troppo evidente e non l’avrebbe voluta nascondere. Provò a disegnare qualcosa con uno scollo a barca molto largo e una vita stile impero. Cancellò il segno della cintura che aveva fatto e che non la convinceva. La vedeva bene in una stoffa liscia e uniforme, ma che doveva lasciare a bocca aperta quando fosse stata vista di spalle. Chiuse il modello in un panneggio da entrambi i lati, unendoli in un punto più o meno all’altezza della fine della schiena e da là sotto disegnò una seconda gonna di un’altra stoffa, pizzo forse, oppure un laminato che fosse in contrasto con il bianco serico del resto dell’abito. Pensò alle maniche a tre quarti, che arrivassero appena sotto il gomito e si ripiegassero su loro stesse in un richiamo della stoffa del retro.

Cancellò ancora e aggiunse uno strascico di quella stoffa che ancora non riusciva bene a immaginare, non troppo lungo, che terminasse in un semicerchio che desse l’idea di una coda di sirena. Disegnò il manichino e mise dei capelli raccolti dietro la testa, con dei ciuffi ricadenti sul collo e sulle spalle. Avrebbe dovuto convincere l’amica a indossare delle lenti a contatto, almeno per quel giorno, perché tutti potessero vedere le meravigliose sfumature nocciola dei suoi occhi grandissimi.

-Ecco-, sussurrò, sistemando gli ultimi dettagli. Era il primo abito da sposa che disegnava, eccezion fatta per i primi modellini con cui si era innamorata, da bambina, del mondo della moda. Le pareva così adatto ad Alya, era grintoso eppure romantico, adatto ad una giovane madre, ma abbastanza prezioso per dare degno valore a chi lo indossasse… ma non poteva fermarsi ad un solo modello, avrebbe dovuto proporle altre opzioni, darle possibilità di scegliere, osare qualcosa di più originale ed estroso, perché forse quel modello era troppo classico per una tipa tosta come Alya.

Strappò il foglio dal blocco e iniziò a fare un altro disegno: corto, avrebbe osato qualcosa di corto. Una gonna molto larga con sottogonna vaporosa, che richiamasse lo stile anni cinquanta e un corpetto di pizzo con maniche che finivano a punta sui polsi. La gonna era appena più lunga sul retro e ben sostenuta, in contrasto con la parte superiore. Ci sarebbe stato bene un velo corto e come scarpe qualcosa con un nastro alla caviglia. Le piaceva.

Girò il foglio dietro al blocco e iniziò a pensare ad un altro modello, quando il campanello squillò. -Adrien!- esclamò storcigliandosi dalla posizione che aveva preso sul divano e correndo al citofono. Quando udì la sua voce, per un istante le gambe cedettero e si portò una mano ai capelli, in un istintivo gesto di sistemarseli.

-Sali?-, gli domandò e Adrien rispose affermativamente.

La prima cosa che balenò nella mente di Marinette, appena udì quel “sì”, fu che aveva indossato il perizoma che le aveva suggerito Tikki. Fu come un flash vedersi con solo quello addosso: era nero e leggermente trasparente e lasciava intravedere l’opera che l’estetista le aveva fatto.

Quando Adrien comparve davanti a lei, non si era ancora infilata gli stivali e lo aspettava rossa in viso. Lui la guardò dapprima perplesso e confuso, ma in un istante la sua espressione cambiò in una curiosa meraviglia.

-Buonasera…-, le disse lanciandosi sulle sue labbra, colpendola con quel gesto inatteso, lasciandola a tappeto, imbarazzata e desiderosa di averne ancora.

-Buo… buonasera-, gli rispose legando le braccia attorno al suo collo e contrattaccando al bacio stampato che le aveva infuocato le labbra, con qualcosa di molto, molto più passionale.

Plagg sgusciò via dalla tasca della giacca di Adrien mostrando un’espressione più che disgustata, Tikki lo raggiunse e lo trascinò nella sua nuova casetta, nella dependance sul terrazzo. Forse era il caso di lasciarli soli…

 

Marinette vide la sua immagine per un istante riflessa nello specchio che c’era vicino all’ingresso: era completamente avvinta ad Adrien che la stringeva alla vita e ai fianchi; lo specchio le mostrava una faccia di sé che non conosceva, un’espressione persa e indomabile, la curva della schiena accentuata dal contatto con il corpo del suo amore.

Si trovò a trascinarlo verso il salotto, le sue mani non rispondevano più ai comandi impartiti dalla testa, ma forse non c’era stato nessun comando ad indicare che non dovesse sfilargli quel giaccone pesante e non dovesse infilare una mano sotto alla maglia del giovane.

Lo udì gemere per il contatto delle sue mani fredde sulla pelle bollente del suo corpo; lei fece lo stesso, quando anche le mani di Adrien scivolarono sotto al maglione bianco e cercarono la sua pelle, nascosta dalla canottiera sottile.

Stava succedendo quello che era già accaduto una notte di tanti anni prima, nella camera del ragazzo, quando lei era arrivata trasformata in Ladybug. Si sentiva liquida e ardente nello stesso tempo e poco importava se da qualche parte c’era un tavolo riservato per loro due al ristorante.

Probabilmente nulla l’avrebbe trattenuta dal fare quello che il suo cuore e la sua pelle aveva sognato per anni e desiderato nelle lunghe notti d’inverno o quando era più caldo e dalla finestra aperta sopra il suo letto aspettava invano che apparisse Chat Noir.

-Marinette…-, Adrien non si aspettava un benvenuto di quel tipo, non si aspettava che la ragazzina che aveva stereotipato negli anni e che aveva popolato ogni suo sogno, potesse essere d’un tratto vera, reale, fatta di carne bollente e di curve sinuose, senza alcun vincolo a trattenerla. Non si aspettava che Marinette potesse essere una donna così travolgente. Poteva fermarsi, raffreddare la situazione, ponderare, non bruciare le tappe che avrebbero dovuto essere scandite con molta più calma se avessero avuto quei sei anni rubati alla loro vita o poteva lasciarsi finalmente andare. Decise di farsi travolgere da quello che sognava da anni e nulla -nulla- lo avrebbe fermato.

-Un attimo…-, morse senza farle male l’orecchio di Marinette e si staccò da lei. Estrasse dalla tasca posteriore dei jeans il cellulare e lo spense. Ammiccò verso la ragazza, che fece lo stesso e premette l’interruttore del motore per abbassare la persiana della grande vetrata del salotto: i kwami non dovevano disturbare.

-Se suonano alla porta, io…-, disse in un soffio e ci rise su, tornando di slancio tra le braccia di Adrien.

-Andranno via…-, constatò il giovane e la sollevò tenendola dalla vita, lasciando che lei allacciasse le gambe attorno ai suoi fianchi e le braccia attorno al collo: era così leggera eppure fisicamente grande. Aveva cosce lunghe e quei glutei da cui la sorreggeva erano così tondi e sodi, fasciati nella stoffa lucida dei pantaloni attillati. Aprì le mani su quelle due colline per sentirne appieno la loro forma, strinse appena le dita, come se stesse appropriandosi di qualcosa di suo.

Si avvicinò al divano e si chinò per adagiarvi la donna, che lo stava baciando al collo e che si staccò da lui lasciando un filo di saliva sulla sua pelle.

Guardò in quegli occhi azzurri e cupi come il profondo del mare: mai nessuna l’aveva fatto sentire così. La testa era d’un tratto diventata vuota, come se le paure e i pensieri, le contingenze e i sogni si fossero fusi tutti insieme e fossero svaniti lasciando spazio solo all’istinto che gli sussurrava sempre più forte di andare avanti. L’aria nella stanza era diventata calda, i jeans tiravano, il respiro diventava corto suo malgrado: il volto di Marinette era arrossato, gli occhi socchiusi, la bocca sembrava di burro e zucchero e lo chiamava per essere assaggiata ancora e ancora.

Si abbassò su di lei, schiacciandola in parte col suo peso, premendo la voglia che aveva di lei senza vergogna sulle sue gambe; sentì che scivolavano sotto di lui per accoglierlo, si legavano alle sue, lo cercavano. Sostenendosi su un braccio, si chinò a baciarla e fu catturato dalla bocca scarlatta che morse e graffiò, mentre le mani sottili della giovane si insinuarono tra i suoi capelli per tenerlo avvinto a sé. A ogni respiro, a ogni ansimo, il seno coperto dagli abiti si alzava e abbassava come a cercare un contatto, la lana prudeva leggermente: andava tolto quel maglione…

Adrien si alzò, tenendosi sulle ginocchia tra le gambe di Marinette e la prese per i polsi, tirandola a sé: quegli occhi brillavano e brillarono di più al suo sorriso dolce e complice; -Permetti…-, bisbigliò al suo orecchio baciandola sul collo, prese i lembi inferiori del pullover e lo sollevò, facendole alzare le braccia fino a sfilarlo del tutto. Non le lasciò tempo e la strinse di nuovo a sé, affondando il viso nello scollo della canottiera, baciando la pelle bollente e inspirandone il profumo. Fece di più e, chiedendo il permesso con una sola occhiata, ripeté il gesto con la sottile stoffa. Il reggiseno che indossava Marinette era nero, di stoffa leggermente lucida e liscio al tatto, come Adrien ebbe modo di sperimentare senza chiedere ulteriori permessi, beandosi per quelle forme tonde e per il gemito che sfuggì alle labbra della donna.

-Sta a me…-, arcuandosi indietro come fosse un serpente e rialzando la testa, Marinette sfidò il giovane con un sorriso sottile e obliquo e si insinuò con le mani sotto alle sue maglie, sfilando tutto assieme. Risero complici, perché come prevedibile il ragazzo rimase imbrigliato nella massa di maglia e pullover e Marinette ne approfittò per far guizzare gli occhi sul torace e l’addome così asciutti, muscolosi…

-Aiutami…-, sforzandosi di non spezzare il momento, Adrien cercò di sfilare il capo dai due colletti che si erano ingarbugliati; -No…-, gli rispose Marinette e un attimo dopo, seguente a uno sbuffo di impazienza, Adrien sentì che lei lo abbracciava, stringendosi al suo torace nudo e poggiando la guancia sul suo cuore.

 

Amore mio…

 

Con un gesto quasi stizzoso, il giovane riuscì a liberarsi delle maglie e contraccambiò l’abbraccio, sentendola piccola e snella tra le sue braccia. Anche se l’aria era calda, con la pelle nuda e accaldata provarono entrambi un brivido. O forse era piacere? Fu la scossa che serviva, si scambiarono un’occhiata decisa, la tenerezza si tramutò di nuovo in passione, Marinette si lasciò cadere di nuovo sul divano e arcuò la schiena, sollevando il sedere, iniziando a sfilarsi i leggings.

-Faccio io…-, sussurrò Adrien, che fu ben attento a lasciare al loro posto gli slip e lentamente scoprì le gambe lunghe e lisce, finché non arrivò alle caviglie e tolse i pantaloni. Marinette indossava dei calzini neri, uno ad uno furono tolti. Non si aspettava che lui le baciasse un piede, lo ritrasse sorpresa, si rannicchiò sul divano come un gatto scontroso, ma con una voglia matta di giocare col topo. -Andiamo di là-, lapidaria, quasi un ordine e lui la prese tra le braccia in un gesto rapido, come quando volavano di tetto in tetto con le loro tute da eroi, come aveva fatto solo pochi giorni prima, nel loro primo incontro dopo troppo tempo. Allora credeva di stare per morire, in quel momento seppe che sarebbe morta, ma in un modo più bello...

Allacciò le braccia attorno al collo di Adrien e affondò il viso nell’incavo della spalla. Come una sposa si fece portare in camera e adagiare sulle coperte pulite. Svicolò rapida, sedette sul bordo del letto e lo agganciò con le gambe, -Fermo-, gli disse e portò le mani alla sua cintura, tirò, sganciò, sfilò e poi alzò gli occhi in una tacita richiesta. Fece passare il primo bottone dalla sua asola non potendo ignorare l’effetto che gli faceva; quindi il secondo, il terzo e, senza rendersene conto, si ritrovò supina sul letto, travolta dal suo uomo che aveva ripreso a baciarla sul viso, sulla bocca, sul collo.

-Ti amo Marinette-, lo sentì dire e il cuore le esplose nel petto.

-Ti amo anche io, ti amo da sempre-, gli rispose e lo baciò mordendogli il labbro, lottando con la sua lingua, riempiendosi del suo sapore. Lo voleva da sempre, finalmente nulla avrebbe potuto fermare quel desiderio che l’aveva consumata negli anni.

Lui armeggiò con i pantaloni e li sfilò, lasciando che con le gambe lei li spingesse giù; dovette aiutarsi con le mani, li tolse e li lasciò cadere a terra. La stanza era debolmente illuminata dalla luce accesa nel salotto, gli occhi si erano abituati alla penombra e lei gli appariva  bellissima: l’intimo nero faceva risaltare la pelle bianca come il latte, i capelli si erano sciolti e le coprivano parte del petto. Li spostò con un dito, riempiendosi gli occhi delle sue forme snelle e sinuose nei punti giusti, scese più in basso e notò la trasparenza degli slip e quello che si intravedeva da essi e sentì altro sangue defluire dal suo cervello ormai spento.

La voleva da impazzire, ma avrebbe assaporato ogni istante facendo le cose con calma; la baciò sul bordo del reggiseno, sulla pelle tesa dello stomaco, sempre più giù lasciando una scia di baci bagnati, sentendola inarcarsi al suo contatto, immaginando quello che la poca stoffa rimasta ancora nascondeva alla sua vista.

Marinette sentiva i peli delle gambe di Adrien solleticare le sue: cavolo, aveva fantasticato per anni su un ragazzino sbarbatello e aveva ritrovato un uomo con tutto quello che doveva esserci… Non aveva avuto il tempo di guardarlo come avrebbe dovuto, come uno studioso di storia dell’arte in estasi davanti al David, ma lo avrebbe fatto: in quel momento aveva altri pensieri in testa e sensazioni che la infuocavano sul corpo ad ogni bacio che il suo David personale le lasciava. Era come se una scia di elettricità la stesse percorrendo, toccando con dolorosa gentilezza ogni centimetro del suo addome, facendo quasi male dalla voglia che, scendendo sempre più giù, le pompava nelle vene. D’istinto mise le mani sulle spalle nude del giovane spingendolo in basso e quando lui alzò una mano fino a prenderle un seno, sussultò.

Lo strinse con passionale delicatezza,  cercò il bordo della stoffa, lo spostò perché ne voleva ancora e ancora; infilò le dita sotto allo spallino e lo portò giù, per scoprire la pelle che bramava ma era complicato, non scendeva, lei era distesa e...

-Dai...-, sussurrò e si allontanò un poco per farla tirare su. Fu veloce a baciarla ancora e ad abbassare entrambi gli spallini, voleva ancora e con le mani la cinse dietro e si avventò  sul gancio che gli impediva di liberarsi dell'ostacolo tra lui e quello che bramava. Ci volle poco alle sue mani esperte per sganciarlo, ma, nel momento in cui ci riuscì e calò giù l'indumento, Marinette istintivamente portò le braccia a coprirsi il seno e nella penombra il suo viso apparve ancora più arrossato. Non avrebbe violato quella protezione in modo scorretto, lui sapeva come fare… Tornò a stringerla in un abbraccio e la baciò ancora sul viso, sugli occhi chiusi, si insinuò con il naso sotto al suo orecchio, lo mordicchiò finché da sola Marinette sciolse il suo nodo e gli legò le braccia dietro la schiena ampia e accaldata, stringendosi a lui con tutta se stessa. Al contatto del suo petto con i seni morbidi e nudi della sua amata, Adrien pensò che sarebbe stato bello che il tempo si fosse fermato in quel momento in cui tutto era perfetto. Ma voleva di più! Voleva tutto, voleva lei e voleva essere per lei quello che non aveva potuto rappresentare per causa sua.

La spinse in avanti e la vide reclinare la testa, sorretta dalle sue mani aperte sulla nuca, si chinò a baciarla ancora, a pochi centimetri dalla sua pelle delicata, si avvicinò e la sfiorò con la bocca. Era tutto quello che voleva, tutto quello che gli aveva urlato nella testa per anni, come una sirena inferocita contro lui: un povero Ulisse incatenato all’albero di una nave che ci aveva impiegato più di sei anni ad allontanarsi dal pericolo.

Marinette rimase immobile, si concesse solo qualche gemito di piacere e soffocò la voglia che aveva di mostrare al suo sogno personale cosa le piacesse: negli anni aveva imparato a conoscersi e sapeva come muovere le sue mani… ma Adrien era decisamente più consapevole di lei, nonostante tutto. Quindi chiuse gli occhi e si lasciò cullare in un universo di piacere. Sentì che si allontanava un po’ dal suo corpo, lo guardò e comprese che la stava ammirando e che i suoi occhi guizzavano dal seno all’ultima parte di lei ancora minimamente coperta da qualcosa. E le sue mani seguirono quei guizzi, la sua voglia di lei aumentava e la frenesia con lei, -Mi fai impazzire…-, sfuggì alla bocca rossa prima che tornasse a prendersi le sue soddisfazioni, mentre i capelli scivolavano sul ventre di Marinette e la facevano fremere. Lei sentì che una mano, rimanendo a stretto contatto con la sua pelle, andava più giù, sempre più giù, verso la stoffa. Prese aria, perché il suo cervello, se ancora ne aveva uno, ne avrebbe avuto molto bisogno. Adrien alzò gli occhi su di lei: smeraldi affogati in una voglia liquida e incastonati su un volto perfetto, arrossato, languido, bello da svenire e rendersi conto che era ancora tutto un sogno. Ma non era più così, Marinette ne era consapevole e non aveva mai pensato davvero a “come sarebbe stato”. E com’era, dal momento che senza ulteriori richieste, lui voleva sbarazzarsi dell’ultimo ostacolo e insinuava una mano sotto gli slip. Si accorse che un sorriso malandrino fiorì sulla bocca di Adrien, incollata alla sua, e uno sbuffo più rumoroso fu il segnale di approvazione per quel che c’era, o non c’era, sotto gli slip. Marinette lo imitò, ripensando alla buffa scena di quel pomeriggio e all’imbarazzo che aveva provato: no, era solo pudore, ma non c’erano più né pudore né imbarazzo in quel momento, c’erano solo lei e Adrien e tutto il resto dell’universo non la sfiorava minimamente.

Adrien invece...

Aveva perso un ragazzino inesperto e acerbo e in cambio era tornato da lei un uomo che sapeva cosa fare, come toccarla, come prendersela. Lei era probabilmente l'ennesima che aveva spogliato e toccato ma la sola che lo avrebbe tenuto per sempre con sé, ne era certa più che mai, perché non voleva più dover rinunciare a quelle mani, alle sue labbra, alla pelle calda e morbida, alle sue… oh signore! alle sue dita!

Le sfuggì un gemito più forte e le mani strinsero d’istinto le coperte sotto di lei. Si sentì spingere di lato perché si voltasse e rimase immobile a pancia in giù sul letto. -Sei bella, sei maledettamente bella, Marinette-.

Adrien, in contemplazione della sua donna, non resistette e si chinò a baciarla su un gluteo, che era lasciato scoperto dal perizoma, quindi, senza troppi discorsi, glielo sfilò e con lo stesso impeto, la fece rimettere supina. Era sua e lui sarebbe stato soltanto di Marinette, finché avesse respirato ancora.

 

 

***

 

-Avranno finito?-, Plagg aveva fame e le scorte di cibo che Tikki si era premurata di nascondere nella sua casa delle bambole erano ormai terminate.

-Quando la finirai tu di essere così poco delicato!?-, gli rispose la kwami, girando sdegnosa la testa, -Non la finiranno mai, se è per questo: sono stati separati per sei anni, cosa pretendi? Una sveltina e ciao-scusa-devo-andare-devo-dare-da-mangiare-al-cane!?-

Più rossa che mai, Tikki incrociò le braccine e si sedette sul divanetto in plastica. Faceva freddo, ma fortunatamente quella stanza era riscaldata. Scosse la testa, pensando a quanto potessero essere stupidi a volte i maschi e pregò perché Adrien fosse diverso.

Plagg, zitto zitto, andò a sedersi accanto a lei e insieme rimasero a fissare le lucine lampeggianti che Marinette aveva messo sul terrazzo.

-Mi hai dato del cane?-, domandò dopo molto tempo a Tikki.

-Già…-, rispose lei senza voltarsi, mentre lui si alzò in volo e raggiunse la vetrata. Vi appoggiò la fronte e guardò in basso: -Mi ha dato del cane…-, sospirò.

Tikki lo sorprese con un abbraccio e un sorriso splendente: -Sei mancato anche tu a me, non sai quanto!-, trillò e lo trascinò sulla porta della casetta di plastica: -Ecco-, esclamò e lo baciò.

Un piccolo rametto di vischio li guardava dall’alto, un ronzio simile a fusa si diffuse nella dependance sulla terrazza e a Plagg poco importò se i loro umani “avessero finito”...

 

 

***

 

Marinette si svegliò per la fame: il suo stomaco aveva grugnito poco delicatamente e le ci volle qualche istante per realizzare quello che era accaduto. Sentiva solo un piacevole tepore, le coperte ben appallottolate attorno a sé e un cuscino molto caldo, morbido, vivo che respirava sotto di lei. Sorrise e lo baciò. Non aveva idea di che ore fossero, ma certamente era notte. Lo baciò ancora e si protese per raggiungere il viso rilassato di Adrien. La luce in salotto era ancora accesa e lo poteva osservare bene: la barba stava ricrescendo, ma non era ispida, bensì dolce, come lui. Gli occhi si muovevano sotto le palpebre, segno che stava sognando, un leggero sorriso si formò sulle labbra rilassate del giovane, che si stirarono appena. Marinette fece scivolare la mano sul suo petto, si concesse quegli istanti, prima che anche lui si svegliasse, per imprimersi nella mente l’effetto che il contatto con il suo corpo nudo le suscitava. Era abbandonata al suo fianco, una gamba sopra di lui, il seno schiacciato sul petto dove una leggera peluria le faceva il solletico. Disegnò dei ghirigori sulla pelle di Adrien, si protese verso il suo viso e rubò un bacio. Adrien non era una principessa delle favole e non si svegliò, allora Marinette insistette e lo baciò ancora, spingendosi più su con le gambe. Era il risveglio che aveva sempre sognato, accanto a lui, sopra di lui, con lui. Finalmente aveva fatto l’amore per la prima volta in vita sua e non c’era stato nulla che non fosse stato semplicemente perfetto. Finalmente era con Adrien.

 

 

 

   
 
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