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Autore: Snehvide    05/01/2019    5 recensioni
“Non mi sento molto bene-“ di questo se ne era accorto da solo, ma sentirlo da Sam fa un altro effetto.
È il suono della sconfitta, della disfatta più totale.
Sam non può ‘non stare bene’. Non è fatto per ‘non stare bene’. Non davanti ai suoi occhi.
Dean stira gli angoli delle labbra in una linea sbilenca, prende un respiro con entrambe le narici.
Il bizzarro ingranaggio che lo porta ad attribuirsi qualunque responsabilità dei ‘non stare bene’ di Sam è già attivo da un pezzo (e questa volta, ha anche ragione).
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[Ambientata subito dopo la 2x11] [Sick!Sam/Caring!Dean]
WARNING: TRIPUDIO di Hurt/Comfort e Angst, Cure mediche IMBARAZZANTI.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Seconda stagione
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He swore by grass, he swore by corn
(that his true love had never been born)

-PRIMO CAPITOLO-


“Accosta,” fa in tempo a biascicare Sam, e Dean – che non ha ancora finito di ridere di come gli anni a Stanford gli avessero restituito un fegato così vergine da non fargli reggere neanche una goccia di alcol in più – può sentire il viso mutare i propri tratti, perdere qualsiasi traccia di ironia.
Esegue la richiesta, deglutisce un boccone amaro.
Più amaro della bile che Sam riversa sull’asfalto su cui si piega per la seconda volta in meno di venti miglia. Questo, di certo, non fa ridere.

Sono appena le otto del mattino di quella che si preannuncia essere un’assolata giornata di fine estate, ma nell’aria arida e sterrosa di quella statale dispersa nel nulla, Dean ha come l’impressione vi sia già un tocco di autunno. I raggi del sole velano la nuca tesa di Sam senza infondergli alcun calore, mentre questo sputa rimasugli di schifo rimastogli in bocca, annaspa un po’.

“Non so te, ma io ci andrei piano col bourbon, almeno per un paio di giorni.” Il maggiore dei Winchester si piega sulle ginocchia, fa apparire un sorriso beffardo sul volto, completamente sbagliato.
“Ci penserò io a svezzare quel tuo pancino delicato, fratello. Lo farò tornare quello di sempre, ma con calma” spiega. La sua mano ha preso a strofinare la schiena di Sam già da un po’; lì, lungo gli anelli delle vertebre inarcate. Vi era un tempo in cui a Sam piaceva quando lo faceva. Tra i sedili posteriori dell’impala, si accoccolava sulle sue ginocchia come un gatto (a otto anni ci entrava ancora, sulle sue ginocchia); pretenzioso, agitava le scapole a richiamarne l’attenzione e il gesto, poi faceva finta di dormire. Era un tempo in cui vi era molta più carne intorno a quelle ossa, e anche questo sembra aggiungere carico al senso di colpa che già divora ogni singola cellula del suo corpo, ma non è qualcosa a cui vuole pensare.

Sam non commenta. Gli occhi arrossati e gonfi, stretti in due fessure, sembrano ferite infette.

Dean è lì lì per aiutarlo a risollevarsi, quando, no – no, è una trappola: Sam irrigidisce la schiena, affonda le dita tra i ciuffi di erbaccia secca; tempo due secondi, è di nuovo spezzato a metà, e Dean vorrebbe maledire il mondo intero, se solo non avesse già cominciato a farlo tre giorni fa, e sarebbe ridondante.
Non aggiungerebbe niente di nuovo. Continua quindi a fingere che vada tutto bene, perché se finge con convinzione, magari si avvera davvero.

“Meglio?” domanda, dopo un numero ridicolmente lungo di minuti utili in cui avrebbe potuto trovare conferma da sé, ma il cenno di assenso di Sam è l’unica risposta disposto ad accettare.
È chiaro che farebbe volentieri a meno del modo in cui lo cinge per le spalle per riportarlo in auto, non è difficile intuirlo (negli ultimi tempi, Sam sembrerebbe voler fare a meno di qualsiasi cosa, e Dean non se la sente di biasimarlo), ma il modo in cui barcolla non appena torna sulle sue gambe gli sbatte in faccia la realtà, e apparentemente, non ha voglia di lottare contro i mulini a vento – ha altre ragioni per cui farlo. Per cui, Sammy fa il bravo bambino, non protesta. Con il dorso della mano premuto sulla bocca, si fa trascinare verso l’auto con passi lenti e incerti. Si accomoda svogliatamente sul sedile, poggia la testa contro il finestrino.
Come se il rombo dell’Impala avesse in qualche modo tradito le sue aspettative, Dean comincia a perdersi in stupide chiacchiere; un chiacchiericcio senza senso, cinguettii sul caso del giorno precedente, sui Red Sox che da qualche parte, in questo momento, stanno sicuramente facendo il culo agli Yankees, roba di cui solitamente a Sam non gliene frega un benemerito cazzo (e neanche a lui, in tutta onestà). Non sa dire perché senta la necessità di far a pezzi quel silenzio, stranamente insopportabile e irritante, ma non ottiene alcuna considerazione da colui che giace sul lato passeggero, ed è fastidioso. Manda a puttane ogni suo sforzo. Non va bene.
Si volta ingrugnito, lancia un’occhiata veloce a quell’ingrato di suo fratello: sta dormendo.
Crollato. Andato. Partito. La bocca socchiusa, la testa reclinata su un lato. Sembra quasi sereno (sereno come non lo è da tempo).

Beh, non male. Dean piega le labbra in un ghigno soddisfatto.

Durante la scorsa notte, aveva avuto l’impressione di sentire un animale notturno rovistare nel giardino di Bobby, e Dean Winchester è abbastanza furbo da sapere che gli animali notturni non sempre coincidono con quelli sui libri di scienza; non nel giardino di Bobby, per lo meno.
Imbracciato il fucile caricato a sale, in mutande e canotta, Dean era sceso sul portico a controllare – per poi scoprire che Sam lo aveva battuto sul tempo. A differenza sua, questo indossava ancora la camicia su cui il giorno prima aveva accidentalmente versato l’intero menu’ del McDonald’s che aveva preso per lui.
Dean aveva sollevato un sopracciglio, storto la bocca.

“Non avevi detto di aver sonno sta sera?” Il tono autoritario non era voluto, ma è venuto fuori da sé nello scorgere il volto cinereo che lo aveva accolto. A ora di cena, Sam si era infatti alzato da tavola dopo aver rimescolato il bollito di Bobby senza quasi assaggiarlo: ‘ho sonno, sono troppo stanco’, aveva detto. Né lui né Bobby avevano osato commentare la cosa. La domanda, quindi, era venuta da sé; con tutto il suo fastidioso corredo.

Sam aveva scrollato le spalle, calciato una pila di rottami d’auto arrugginiti; un procione era schizzato fuori scappando a gambe levate, emettendo un verso straziante.

“Ho cambiato idea,” aveva risposto evitando lo sguardo e rientrando in fretta in casa, prima che Dean potesse ricordargli come avesse usato una scusa simile anche la sera prima.

Per cui sì, il fatto che Sam sembri essere così sfinito da crollare non appena in auto, per Dean è l’unico aspetto positivo della situazione.

Peccato che, un centinaio di miglia dopo, Sam sia di nuovo sulle proprie ginocchia; di nuovo sull’asfalto rovinato di una statale dell’Arkansas in cui non sembra esserci stata traccia di vita terrena prima del loro arrivo.

Non gli è rimasto più nulla in corpo da rigettare, ma non sembra importargliene niente al suo stomaco, che si contorce, si spreme, si spezza in due come volesse vomitare la sua stessa anima, o forse quella cosa cattiva che Sam ha appena scoperto albergare in lui (no, non è andata così; Sam non lo ha scoperto: è stato lui a dirgli di possederla, sulla base di ciò che potevano essere i deliri pre morte di un uomo con una emorragia cerebrale in corso, o chissà cosa).

Dean solleva gli occhi al cielo, si morde l’interno delle guance. Lì, dove due afte dolorose si offrono volontarie per dargli quella continua quantità di dolore che sente di meritare. Uno stillicidio piccolo e continuo, granelli di una punizione che ha l’impressione di non poter mai scontare a sufficienza.
Quando lo stomaco di Sam si arrende all’evidenza di non poter vomitare se stesso, Dean gli poggia tra le mani una bottiglia d’acqua, intimandogli di bere, e di farlo lentamente. Molto lentamente.
Lo dice con un tono che a Sam non piace – e in realtà, non piace neanche a lui. Quel tono da ‘persona che si interessa davvero alla sua salute quando in realtà è colui ad averlo ridotto in quello stato’, e si fa un po’ schifo da solo, Dean. Ed ha l’impressione di vedere lo stesso sentimento nelle rimostranze di Sam.
Ottimista, certo. Perché in verità, Sam è probabile abbia da tempo esaurito la forza mentale per potersi permettere elucubrazioni mentali simili, e il poggiare le tempie pulsanti sulla portiera ed esiliarsi dal mondo, sembra essere la sua unica preoccupazione. Il problema principale però, è che sta cominciando davvero a disidratarsi. Le labbra screpolate su cui si rifugia l’attenzione di Dean non promettono niente di buono. “Andiamo, bevi un sorso, Sam-“ la bandana che bagna nella stessa acqua, e con cui comincia a rinfrescarne il viso sudato, rende l’invito un po’ più fattibile.

“Non mi sento molto bene-“ di questo se ne era accorto da solo, ma sentirlo da Sam fa un altro effetto.
È il suono della sconfitta, della disfatta più totale.
Sam non può ‘non stare bene’. Non è fatto per ‘non stare bene’. Non davanti ai suoi occhi.
Dean stira gli angoli delle labbra in una linea sbilenca, prende un respiro con entrambe le narici.
Il bizzarro ingranaggio che lo porta ad attribuirsi qualunque responsabilità dei ‘non stare bene’ di Sam è già attivo da un pezzo (e questa volta, ha anche ragione).
Lo mette a tacere come può, fanculizzandolo e fanculizzandosi. Un grande, grosso, infinito macello interiore, il cui unico eco visibile a Sam, è il lieve tremolio della mano cui ripulisce la sua fronte.
Mette via la bandana quando la schiena di Sam sembra essersi accomodata fin troppo su quella strada sterrata. Dean torna in piedi, tira su col naso.

“Sarà un virus intestinale. O magari è colpa di qualche schifezza salutista che hai mangiato prima di dormire...” o non hai mangiato prima di non dormire, sembrerebbe suggerirgli una saccente vocina del cazzo dentro di sé.

“Questo posto è un fottuto buco, ma dovrà pur esserci un motel da qualche parte...” dice Dean, guardandosi intorno alla ricerca di improbabili segni di esistenza umana.
Tuoni di un temporale estivo riecheggiano in lontananza, tra poco comincerà a piovere.

“Non è necessario fermarsi.” Sam si chiude in una smorfia, come avesse assaporato qualcosa di disgustoso rimastogli in bocca. Fa leva sull’avambraccio per sollevarsi, darsi una parvenza di decenza. “Abbiamo detto a Bobby che ci saremmo occupati noi di quel caso a Houma,” tenta di tornare sulle proprie gambe da solo.

“Non è un caso, Sam. Ci ha mandato a Houma per consegnare un fottuto libro a una vecchia fattucchiera svitata di sua conoscenza che sostiene di avere una lavatrice posseduta dal fantasma di uno spogliarellista brasiliano – non è ciò che chiamerei un caso!” incalza, afferrando l’avambraccio di Sam. Lo accosta a sé, ne ristabilisce l’equilibrio (In tutti i sensi. Sam accanto a se è la definizione più completa e precisa che ha del termine ‘equilibrio’, un vero e proprio pezzo di dizionario in carne ed ossa).

“Questa sera ci fermiamo a dormire. Siamo in auto da otto ore, io sono stanco, tu sei stanco – per cui, questa notte si dorm—Sam!”

L’acqua che il minore dei Winchester restituisce al mondo in un improvviso, inaspettato conato, ne rafforza la necessità nonché l’urgenza.

-


Respira con respiri corti e veloci, Sam. Così corti e veloci che la mano destra di Dean abbandona automaticamente il volante e parte verso il collo di suo fratello quando la linea di demarcazione mentale tra la sicurezza e pericolo comincia prepotentemente ad assottigliarsi. Lo tasta per bene, le dita scorrono sulla carotide, in alto, poi in basso verso l’incavo della spalla, poi di nuovo su. Rilassa le spalle quando l’assoluta certezza che Sam sia ancora in vita lo avvolge, ma il terrificante calore che si ritrova tra le mani non è qualcosa da sottovalutare. Sfiora la fronte, prima con la punta delle dita, poi con tutto il palmo della mano.

Sam si sveglia quando questa comincia a premere in quel modo fintamente casuale e volutamente fastidioso, e dentro di sé, Dean gioisce. Ha raggiunto il suo obiettivo.
Il minore dei Winchester non emette suoni. Si limita a voltare il collo verso il proprietario di quella mano, lo fissa con occhi vacui, vitrei.

“Sam? Sei sveglio?” domanda, come se non lo sapesse.

Un cenno del viso di Sam rimette a posto ogni cosa. Solleva un pugno, si strofina gli occhi cisposi come avesse di nuovo tre anni (magari, avesse di nuovo tre anni).

“Stai bruciando come un fottuto ferro da stiro, Sammy.” annuncia; alterna lo sguardo tra la strada e suo fratello in autocombustione. “Devi spalmarti al più presto su di un letto e dormire, amico. Dovrebbe esserci un motel da queste parti...”

Lo aveva detto anche un paio di ore prima, vero – il guaio è che non ha trovato nulla di nulla nel frattempo; non vi era che una strada dall’asfalto logorato dal sole, e un ammasso confuso di colline giallo ocra. Si domanda dove cazzo siano finiti, ma soprattutto, dove cazzo siano finiti i motel per Sam (e dove cazzo sia finito quel fottuto mondo a-prova-di-Sam che credeva esistere negli anni ottanta, cazzo!).

“D-Dean...” vi è tutto il dramma del mondo in quella frase; “accosta—“, e se un qualche rimasuglio d’acqua vi era ancora in Sam, appena quella necessaria a garantirne la sopravvivenza, adesso Dean ha la certezza matematica che non ci sia più.

Passa una mano tra le lunghe ciocche castane di Sam adesso bagnate di pioggia, le tira un po’ indietro quando i succhi gastrici colano ad innaffiare la sterpaglia oltre il guard rail, non dice nulla. È troppo impegnato a dichiarare guerra a quella divinità di merda che ha deciso quel giorno di fargli tutto questo. La sua faccia è un collage di tutte le persone più odiose che ha conosciuto (ha anche un che di Jessica, ma shhh...), Dean la guarda dritta negli occhi, e gli dice che sì, se è una sfida, che vinca il migliore!

Ancora inarcato oltre il guard rail, Sam respira rumorosamente, tenta come può di allontanare il senso di nausea. La lamiera è ruvida, verosimilmente tagliente, per questo Dean ne scolla le mani del fratello con un gesto lento, si sostituisce ad essa come fonte di equilibrio (ancora, equilibrio) ma è meno semplice delle volte precedenti, perché Sam è un fottuto Sasquatch, e adesso è anche malato. Se normalmente è complicato gestire un Sasquatch, il fatto che sia anche malato aggiunge un'ulteriore sfida alla manovra già di per sé complessa– ma riesce in qualche modo a rimetterlo in marcia verso l’auto.

“Uccidimi–“ Arriva al posto di un gemito, quello che avrebbe accompagnato il momento in cui gli ha piegato la schiena per rientrare all’interno dell’Impala, perché cazzo, a quel punto, Dean non sfiderebbe a credere come gli faccia tutto male, ci sta. E invece, arriva lei.

“Vuoi che ti uccida perché ti sei beccato un’influenza estiva? Sapevo che eri una drama queen, Samantha, ma certe vette non le avevi ancora raggiunte! “

“È quella cosa, Dean– “ è sicuramente il delirio dovuto alla febbre, alla disidratazione e a Dio solo sa cos’altro - si autorammenta Dean mentre piega le fottute gambe di suo fratello dentro la fottuta Impala che in momenti come questi non era più Baby, ma un fottuto sfasciume sempre troppo piccolo!

“Papà aveva ragione, è quella cosa dentro me a farmi questo,—“ Decisamente la febbre, si ripete ancora.
A confermarglielo, la mano che gli piazza di nuovo sulla fronte. La temperatura si è sicuramente alzata.
È sicuramente così.

“Certo, Sam. È quella cosa mostruosa scoperta in laboratorio che ha per nome una serie di lettere e numeri più o meno casuali” dice in un misto di scherno e terrore, prima di staccare a forza le dita di Sam dalla sua giacca, chiudere la portiera, e rimettersi al volante.

Accende la radio, non fa caso neanche alla stazione. Andrebbe bene qualunque cosa, pur di coprire i patetici bisbigli di suo fratello (che non è suo fratello, sta solo delirando; si ripete ancora e ancora) e quella valanga di cose che la sua testa gli sta gridando, tutte insieme, tutte in una volta, con qualcosa di più sensato, tipo il notiziario delle sedici che annuncia piogge intense in tutto il paese con schiarite in tarda serata.

-



Il neon di una stazione di servizio, deformata dalla pioggia che il tergicristalli non fa neanche in tempo a spostare, appare a Dean come una sorta di luce divina, la luce alla fine di un tunnel – letteralmente.
Civiltà! - esulta dentro di sé. Si sente un po’ come un moderno Cristoforo Colombo che scorge una terra a cui anche lui aveva un po’ smesso di credere.
Se fosse un motel, probabilmente sarebbe così felice da baciare appassionatamente Sam; ma si tratta solo di una stazione di servizio, per cui Sam è salvo- si limita semplicemente a svegliarlo.

“Sammy,” lo scuote sul petto; la bandana che ha messo sulla sua fronte un’ora fa, quando ha finalmente smesso di frignare (più o meno), e ripreso sonno, è quasi asciutta. Sam si sveglia di soprassalto; gli dà un paio di secondi per riprendere consapevolezza della realtà (e per pentirsi immediatamente della geniale trovata di averlo svegliato, in primis), prima di annunciare che c’è una stazione di servizio, che sta per fare un salto dentro a vedere se hanno qualcosa per l’influenza, prendere delle schifezze da gettare giù nello stomaco, e magari chiedere indicazioni per il motel più vicino. Non è certo Sam abbia pienamente compreso il suo discorso, ma senza sfatare il proprio dubbio, Dean scatta comunque fuori dall’auto come una lepre. Come non vedesse l’ora di farlo. ‘Gas & Sip’ non ha mai suonato tanto come ‘felicità’ prima di adesso.

 

 Fine primo capitolo

 

Note:

-
Zalbe. In realtà, questa fanfiction è nata e terminata come una LUNGHISSIMA oneshot. Ben oltre 16,000 parole. Quindi, ho deciso di dividerla in più capitoli (per un totale di sei) che pubblicherò a cadenza più o meno settimanale (giorno più, giorno meno). Sono tutti già pronti, per fortuna. Non rischierete che venga lasciata a metà. Giuro! ;) – il titolo è tratto da una strofa (portata al maschile) di “The well below the valley”, murder ballad irlandese.

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Non aspettatevi una grande trama. È una di quelle fanfiction che ho iniziato giusto perchè volevo “un progetto leggerino in cui divertirmi ad umiliare prendermi cura dei miei personaggi preferiti” e invece, mi sono ritrovata con un polpettone angst e gruesome. Mi dispiace. ^^”

- Betata al volo da Narcy. Grazie di cuore <3.

- Questo primo capitolo lo dedico a Desy, che durante la stesura mi ha supportata con delle gif impareggiabili. XD Ti adoro!


- Come al solito, grazie infinitamente per aver letto. <3

   
 
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