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Autore: futacookies    19/01/2019    2 recensioni
{Longfic • Duncan/Courtney • accenni Trent/Gwen e Alejandro/Heather • commedia romantica}
Duncan Nelson, scapestrata rockstar, nota al pubblico e ai paparazzi per l'eccesso con cui conduce la propria esistenza, viene citato in causa dal direttore dell'Ottawa Royal Palace, di cui - si dice - avrebbe distrutto numerose stanze durante la propria permanenza.
Al suo agente non resta che rivolgersi allo studio legale Fleckman&Fleckman&Strauss&Cohen, per cui toccherà alla sua storica ex, Courtney, tirarlo fuori dai guai.
Dal capitolo 5:
Ma la voleva davvero, la sua attenzione? Oppure era unicamente uno stupido capriccio, l’ombra semisvanita di quello che una volta era stata, con lui? Non lo sapeva, ed era terrorizzata dall’idea di scoprirlo – non ci sarebbe ricascata in alcun modo, le ci erano voluti anni per liberarsi completamente di lui e adesso, che ci era finalmente riuscita, avrebbe fatto qualunque cosa per proteggersi.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Heather, Trent | Coppie: Alejandro/Heather, Duncan/Courtney, Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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«It’s hard to listen while you preach.»
 
  • Capitolo V
 
Quando Courtney entrò in cucina, la mattina dopo il litigio con Duncan, di certo non si sarebbe aspettata di trovare quello che aveva effettivamente trovato.
Prima di tutto, non pensava che sarebbe rientrato, se non nei giorni successivi; poi, di certo non pensava che ci sarebbe stata anche Gwen – era convinta che avrebbe dormito da Trent – e, soprattutto, non pensava che si sarebbero ubriacati – insieme –, ma quella era decisamente puzza di alcool – considerando che Gwen beveva poco o nulla, doveva esserci davvero un serio motivo per aver svuotato una delle sue bottiglie di whisky.
Si aggirò sospettosamente tra le sedie, cercando di portare un briciolo d’ordine – almeno quanto bastava per riuscire a fare colazione. Fu soltanto quando cercò di svegliare Gwen che lo notò. L’anello. Proprio quel tipo di anello. Gwen si sarebbe sposata! Non riuscì a trattenere un urletto di gioia al solo pensiero – e poi dovette trattenere un verso di indignazione al pensiero che Duncan l’aveva saputo prima di lei.
Puntò un dito contro la spalla dell’amica. «Gwen, svegliati…», sussurrò, sperando che il buzzurro che dormiva sul divano non avrebbe sentito nulla per almeno un paio d’ore.
«Gwen…», ritentò, scuotendola con maggior forza.
«Altri cinque minuti, mamma…», bofonchiò in risposta Gwen, girando la testa dall’altro lato.
«Gwen!», esclamò, girandosi immediatamente verso Duncan, timorosa che potesse svegliarsi.
La ragazza si risvegliò completamente e scattò sulla sedia.
«Courtney, sì, che c’è?», chiese, ancora intontita e con il tono di un soldatino.
«Nulla, che vuoi che ci sia. Entro in cucina un martedì mattina e trovo la mia migliore amica ubriaca, con il mio peggior nemico – altrettanto ubriaco.»
«Pensavo che il tuo peggior nemico fosse l’avvocato di Alejandro…», ribatté l’altra, con la voce ancora impastata di sonno.
«Vado a momenti.», affermò e poi scoppiò a ridere. «Allora…», cominciò con aria distratta, «c’è qualcosa che vuoi dirmi?»
Gwen non sembrò capire a cosa alludesse e cominciò a guardarsi intorno disorientata.
«Qualcosa da dirti? No, non ho niente da dirti… Aspetta!», esclamò, e Courtney sorrise aspettandosi un epico racconto romantico. «Hai detto che oggi è martedì?», chiese, andando quasi nel panico.
«Sì, Gwen, martedì, il giorno dopo lunedì.»
«Martedì, martedì…», cominciò a ripetere l’altra, vagando nella stanza alla ricerca della sua agenda, «Martedì c’è un gruppo di giapponesi alle otto! Courtney, che ora è?», le chiese, cominciando a precipitarsi in camera sua per cambiarsi.
«Le sette e mezza!», le strillò dalla cucina. Duncan cominciò a grugnire infastidito – già che era sul punto di uscire, poteva anche strillare un altro po’.
«Gwen! Sei sicura di non dovermi dire nient’altro?», le gridò.
L’altra entrò nella stanza saltellando su un piede, nel tentativo di infilarsi uno stivale. «Sì? No? Non lo so… È tutto molto confuso in questo momento… Mi passi la sciarpa?», indicò la sciarpa rossa che aveva lasciato sulla sedia. Courtney gliela lanciò e Gwen, sul punto di indossarla, emise un verso di disappunto.
«Accidenti! Uno dei fili si è incastrato nell’anello!», armeggiò ancora un po’ nel tentativo di liberare la sciarpa, quando finalmente il suo volto si illuminò. La guardò esaltata e la raggiunse per abbracciarla. «Trent mi ha chiesto di sposarlo! MI HA CHIESTO DI SPOSARLO!», ripeté ancora, saltellando per la cucina.
Dal salotto si levò un lamento: «Si può sapere cosa avete da starnazzare voi oche a prima mattina?», disse Duncan, lanciando un cuscino che andò ad abbattersi contro la schiena di Gwen.
In quel momento Courtney si ricordò della telefonata ricevuta la sera precedente da John Smith, che le chiedeva se fosse opportuno lasciar partecipare Duncan al talk show “A caccia di celebrità”, dove era stato invitato per discutere dell’imminente processo.
«Io scappo!», annunciò Gwen, varcando la soglia di casa, «Ti raggiungo per la pausa pranzo e ti racconto tutto!» aggiunse, facendole un cenno con la mano. Courtney sorrise indulgente e afferrò la sua tazza di tè, raggiungendo il salotto e accasciandosi sul divano.
«Dobbiamo parlare.», sentenziò, con il viso rivolto verso il fondo della tazza – la breve e distruttiva conversazione che avevano avuto la sera prima l’aveva tormentata ininterrottamente, non era riuscita a pensare ad altro finché non aveva chiuso gli occhi. Per quando altro tempo avrebbe potuto ignorarlo – cercando di provare agli altri e a se stessa che non era più la stessa Courtney di prima –, o odiarlo apertamente – dimostrando soltanto che nel corso di dieci anni era cambiato davvero poco, di lei –, o cercare di indispettirlo – bruciando sul colpo le sue carte e il desiderio di avere la sua attenzione.
Ma la voleva davvero, la sua attenzione? Oppure era unicamente uno stupido capriccio, l’ombra semisvanita di quello che una volta era stata con lui? Non lo sapeva ed era terrorizzata dall’idea di scoprirlo – non ci sarebbe ricascata in alcun modo, le ci erano voluti anni per liberarsi completamente di lui e adesso che ci era finalmente riuscita, avrebbe fatto qualunque cosa per proteggersi.
Per cui, no: non voleva davvero la sua attenzione, era l’abitudine che parlava per lei – adesso si sarebbe comportata come la persona matura che era, avrebbe smesso di ignorarlo, odiarlo apertamente o indispettirlo e avrebbe collaborato sul serio. Presto si sarebbe sbarazzata di lui e sarebbe stata al sicuro.
«Abbiamo ancora qualcosa da dirci?», le chiese sarcastico, scacciando con i piedi il plaid che aveva distrattamente usato come coperta.
Avremo sempre qualcosa da dirci, pensò Courtney con rammarico. Eppure sapeva che non l’avrebbe mai capito – mai, davvero, oppure soltanto attraverso i suoi occhi, con le interpretazioni. Si risvegliò da quei pensieri e prese le redini della situazione – e di se stessa.
«Mi ha chiamato il tuo agente.», annunciò, arricciando il naso al pensiero di quello che stava per succedere.
«Ma non mi dire…», borbottò Duncan, contrariato, «E dunque, cosa volete da me, stavolta
Stava per fargli notare che non avevano mai chiesto grandi sacrifici, dall’inizio del processo, tuttavia evitò un’altra inutile discussione.
«Sei stato invitato a partecipare come ospite d’eccezione ad una puntata speciale di: “Caccia alla celebrità”, completamente dedicata al tuo processo.»
 
***
 
«Se credete davvero che parteciperò, siete completamente ammattiti!», affermò deciso, ignorando ogni tentativo di Courtney di provare a spiegargli che forse sarebbe stata una buona idea – come se potesse esserlo davvero. «Non ci andrò mai, se non da cadavere!», aggiunse, capendo che la ragazza difficilmente avrebbe desistito dall’intento di convincerlo.
«Mi offro volontaria per compiere l’omicidio», gli rispose, alzando la mano.
Duncan sbuffò e cercò di alzarsi – Courtney, abbandonata la tazza sul tavolino, lo strattonò finché non ritornò a sedersi.
«Se solo mi lasciassi finire di parlare, sono sicura che cambieresti idea!», esclamò, quasi urlandogli contro. Duncan avrebbe voluto tanto legarle un fazzoletto intorno alla bocca e lasciarla lì a starnazzare fin quando non sarebbe tornata Gwen, ma non aveva fazzoletti a portata di mano – e, soprattutto, non aveva nulla da fare. Sebbene si fosse lamentato di tutti i sacrifici che il suo avvocato e il suo agente gli avevano imposto dall’inizio di quell’epopea, in realtà trascorreva giornate intere chiuso in casa, in compagnia di sinistri squittii e squallidi programmi televisivi.
A conti fatti, forse voleva che Courtney lo convincesse. Forse no.
«Va bene!», le disse esasperato, «Parla! E cerca di essere persuasiva.», aggiunse, facendole l’occhiolino. Courtney alzò gli occhi al cielo e borbottò contrariata: «Sono un avvocato, Duncan. Essere persuasiva è il mio lavoro!»
Quella fu l’ultima cosa che ascoltò davvero, dopodiché Courtney si lanciò in un’arringa appassionata – lo dedusse dal tono, chiaramente inferocito – sulla necessità della sua presenza in quel programma, per convincere almeno l’opinione pubblica che lui era anche solo minimamente interessato a quello che stava succedendo. Poi si addormentò e fu risvegliato dalla spiacevole sensazione di essere bagnato – la prima cosa che riuscì a mettere a fuoco fu una tazza di tè rovesciata, probabilmente sulla sua testa.
«A questo punto», strepitò Courtney, con la smorfia più indignata che era riuscita a mettere su, «non importa cosa dirò, o – soprattutto – cosa dirai tu, farai direttamente quello che ti ordino, senza commenti, senza lamenti, senza sabotaggi o sciocchezze simili!»
Per un istante ebbe la sensazione che sarebbe scattato in piedi e avrebbe fatto il saluto militare, poi riprese controllo di sé e le regalò un sonoro sbuffo. Lei si girò oltraggiata: «Ho detto: “senza lamenti”», scandì, poi scomparve in cucina.
Sentì rumori confusi per un paio di minuti, poi si decise e raggiungerla – se non fosse stata sempre così maledettamente irascibile e scontrosa, forse si sarebbe perfino scusato.
«Allora», iniziò, cercando di non lamentarsi, «cosa dovrei fare, una volta lì?»
Vide chiaramente il volto di Courtney contrarsi per mascherare l’espressione di vittoria e non poté trattenere una risatina – che però si tramutò in un ghigno cupo quando realizzò che certe cose non sarebbero mai cambiate.
«Be’, rispondere alle domande di Chris e Blaineley, evitare le frecciatine di Chris e Blaineley, schivare le trappole sapientemente preparate di Chris e Blaineley – insomma, cose così.», spiegò, come se effettivamente fosse un’impresa di poco conto e facile risoluzione.
«Insomma», la scimmiottò Duncan, «proprio una passeggiata.»
«Più un percorso a ostacoli, direi…»
«Taci donna, prima che cambi idea e decida di licenziarti!», le rispose, al che ei gli si avvicinò e gli puntò un tacco sul piede – al quel punto, avrebbe voluto davvero dire: “sei licenziata!” e si sarebbe riempito di gioia, ma tutto ciò che uscì dalla sua bocca su un indistinto lamento di dolori sparsi.
«Mi sembrava di aver detto senza lamenti!», esclamò piccata, al che afferrò le chiavi di casa e si affrettò ad uscire. «Tra un po’ ti chiamerà John, vi organizzerete sull’ingaggio e altre piccolezze del genere. Stasera io e Gwen saremo da Trent a goderci lo spettacolo, mi raccomando, non deludere le nostre aspettative!», gli disse, trattenendo a stento le risate.
Avrebbe tanto voluto ucciderla – o peggio, licenziarla – ma restò lì impalato, per poi trascinarsi sul divano e rimuginare sulle proprie sventure – per esempio, avere un’ex come avvocato. Poco dopo arrivò la chiamata di John e si rese conto che le sue sventure erano ben altre – ad esempio, un agente completamente incapace di organizzare il suo spostamento da quella sottospecie di alloggio agli studi televisivi senza incappare in decine di paparazzi lungo la strada.
«Il punto», gli spiegò John qualche ora più tardi, «non è la calca sotto casa – grazie al cielo, non hanno ancora capito dove sei –, ma è l’eventuale e più che plausibile possibilità che ti seguano da a qui. Cosa che va evitata assolutamente.»
«Sono d’accordo.», rispose, «Quindi immagino che tu abbia qualche strabiliante idea per seminare i giornalisti e proteggere me.»
Si stupì quando John cominciò ad annuire convinto, per poi sbattersi la mano contro la faccia quando notò che si era reso conto di ciò che stava facendo e aveva scosso il capo. Più volte. Duncan emise un verso sconsolato e si accasciò sul divano in maniera non molto diversamente da Courtney.
«Be’», iniziò John, «potresti sempre fare un tratto a piedi…»
«A piedi?», chiese Duncan, incredulo, «come le persone normali
«Sì, Duncan, come le persone normali. Non sei uno speciale fiocco di neve – e se anche lo fossi, questo non ti darebbe diritto di non camminare. Al massimo ti garantirebbe un congelatore come portantina. Vuoi essere portato agli studi televisivi in un congelatore?»
Aveva smesso di ascoltare dopo le prime, e, udendo distrattamente solo l’ultima parte del discorso, si preoccupò vivamente per le sue preziose corde vocali.
«No», affermò, rabbrividendo al solo pensiero, «niente congelatore.»
«Bene, allora ti lasceremo non molto lontano dagli studi e continuerai per una serie di vicoletti paralleli alla strada principale. Courtney è stata così gentile da lasciarmi un’alternativa di percorso.», gli disse allegro, mentre gli porgeva una mappa con alcune stradine sottolineate in rosso.
Courtney, certo. A chi altri sarebbe potuta venire l’idea di sminuirlo dalla sua condizione di rock star e costringerlo a camminare per arrivare agli studi televisivi? Oh, ma non lo avrebbe certo permesso, Duncan Nelson non si sarebbe presentato lì come un qualunque altro essere umano. Oh, no.
«Se stai pensando di chiamare il tuo autista e farti venire a prendere per un ingresso da star, sappi che ti lasceremo davanti a una stradina a senso unico. Che va nella direzione opposta a quella in cui tu dovresti muoverti.», lo avvisò John, sorridendo sornione.
«Fammi indovinare:», Duncan strascicò laconicamente le parole, «Courtney l’aveva già previsto.»
John annuì ed emise un sospiro ammirato. «Sai», butto lì, guardandolo di sottecchi, «credo che dovrei convincerla a lavorare con me. Saresti molto, molto più facile da controllare.»
 
***
 
Se qualcuno gli avesse mai detto che dopo la sua terrificante esperienza con lo scellerato conduttore, Duncan si sarebbe buttato volontariamente tra le grinfie di Chris McLean, sarebbe stato più che entusiasta di indicare al tale qualcuno la clinica di ricovero più vicina. Eppure era davanti all’enorme studio televisivo della Cbc – che aveva ovviamente raggiunto a piedi.
La sua apparizione televisiva era stata quasi del tutto improvvisata, non era stata annunciata da nessuna parte perché, citando John – che a sua volta probabilmente citava Chris – doveva essere una sorpresa per lo speciale live mensile dello show. Duncan si chiese distrattamente quanto sarebbe stato soddisfacente far volare il parrucchino del conduttore di fronte a milioni di spettatori e si apprestò ad entrare nell’edificio. Fu però bloccato dei due buttafuori, che gli chiesero di mostrare il pass e un documento di riconoscimento.
«Cosa significa che ho bisogno del pass? E quale documento di riconoscimento? La mia faccia è l’unico documento di riconoscimento di cui avete bisogno!», sbraitò fuori di sé. Non aveva certo trascorso anni lavorando sulla immagine e accrescendo la sua fama solo per non essere riconosciuto da due gorilla a caso. Ormai usava la carta d’identità solo per gli spostamenti aerei e non avrebbe nemmeno saputo dire dove l’aveva lasciata. Per quanto riguardava il pass, beh, lui era stato invitato, avevano bisogno di lui per portare avanti lo show, quindi tanto valeva farlo entrare direttamente.
Uno dei due bestioni grugnì sfottendolo che se era davvero chi diceva di essere, sarebbe passato davanti all’ingresso principale con la macchina, gli avrebbero chiesto un documento – che lui chiaramente non aveva – e solo allora gli avrebbero dato il pass. Dato che sentiva di aver già perso abbastanza tempo con quello che per lui non era altri che un impostore, lo afferrò per un braccio e lo spinse sgraziatamente verso l’ingresso.
Tra una protesta e l’altra Duncan realizzò che Courtney probabilmente sapeva che non l’avrebbero mai fatto passare direttamente, e proprio per questo aveva segnato un percorso di strade secondarie che lo aveva condotto fuori dai cancelli dello studio. Sentì l’umiliazione ribollirgli nelle vene – se Courtney pensava di potersi approfittare della mitezza con cui aveva ceduto una sola volta, si sbagliava di grosso. L’avrebbe fatta pentire di quello stupido giochetto, forse una vendetta per l’alterco della serata prima, o molto più probabilmente una mossa calcolata per affermare la sua supremazia nel loro momentaneo rapporto.
«Il giorno in cui mi libererò di lei non verrà mai abbastanza in fretta», mormorò tra sé mentre prendeva il suo nuovo telefono – che John Smith si era preoccupato di fargli avere, dopo la sfortunata fine del precedente – per chiamare il suo agente e lamentarsi vivamente di quella piccola screanzata che aveva come avvocato, quando vide una chiamata in corso da un numero sconosciuto.
“Duncan, vecchio mio!”, esclamò una voce fin troppo familiare. Non rispose immediatamente, non volendo sprecare fiato per l’uomo dall’altra parte della cornetta. “Il tuo agente è stato così gentile da darmi il tuo numero, nel caso dovessi decidere di disertare il nostro piccolo spettacolo”, aggiunse subito dopo.
Duncan sputò tra i denti qualcosa che suonò come “scommetto che è stata un’idea di Courtney”, ma se l’altro lo sentì, non si sforzò di farglielo notare. “A questo punto potrei anche prendere in considerazione l’idea di disertare, considerando che i vostri gorilla mi hanno sbattuto fuori”, commentò, cercando di nascondere la sensazione di umiliazione.
“Sì, sì, quei cari ragazzi mi hanno riferito l’accaduto, perciò ti sto chiamando. Il mio assistente, Topher, sta venendo da con il tuo pass e le mie più sentite scuse.” Chris chiuse la chiamata senza dare altre spiegazioni. Duncan scoprì pochi minuti dopo, davanti ad un mortificato damerino che aveva l’impressione di aver già visto da qualche parte, che le più sentite scuse di Chris consistevano nell’esortarlo a muovere il culo perché la diretta sarebbe cominciata in meno di un’ora. Dopo essere passato davanti ai buttafuori e aver allegramente alzato loro un dito medio, fu costretto a passare attraverso parrucchiere e truccatrici che avevo l’aria di essere sul punto di scoppiare – sullo sfondo, si sentivano i leggiadri lamenti di Blaineley, che stava accusando tutti della loro incapacità.
«Allora Duncan», esordì Chris, ammiccando leggermente alla telecamera davanti a lui, dopo che Blaineley – che era finalmente riuscita a trovare qualcuno che nascondesse sapientemente le sue numerose imperfezioni – aveva accolto gli spettatori e annunciato il superospite segreto del mese, «Questa volta sembri esserti davvero messo nei pasticci!»
Rispondere alle domande di Chris e Blaineley, evitare le frecciatine di Chris e Blaineley, schivare le trappole sapientemente preparate di Chris e Blaineley. Le parole di Courtney gli suonarono in testa come un avvertimento, e lui, indeciso su quale delle tre opzioni seguire, si limitò ad un neutrale: «Mh, sembra proprio di sì»
«Dicci Duncan, è vero quello che ci hanno riferito i nostri informatori, che non ricordi assolutamente nulla di quello che è successo?», domandò leziosamente Blaineley.
«Beh, sì, ammetto che quella notte non ero particolarmente in me», cominciò con un ghigno, e poi ebbe un’illuminazione: «Altrimenti suppongo che nulla di tutto questo sarebbe successo», aggiunse. In realtà sapeva di aver detto una palla colossale, ma il suo obiettivo era quello di propagandare la sua innocenza e ci sarebbe riuscito a tutti i costi. Gli urletti di qualche fan e l’applauso del pubblico gli suggerirono che aveva fatto centro.
«Così maturo, così responsabile!», esclamò Chris fintamente commosso, mettendo a tacere gli applausi. «Nonostante le apparenze, sappiamo che in fondo sei un bravo ragazzo!», affermò poi teatralmente.
«E altre scottanti informazioni ci rivelano che il tuo avvocato non è altri che Courtney Barlow, la tua storica ex, che dopo essersi lasciata alle spalle la carriera televisiva è indubbiamente una donna di successo!» disse Blaineley confidenzialmente alla telecamera.
Trappola, trappola, questa è indubbiamente una trappola! Riusciva a sentire la ragazza strepitare da qualche parte nella sua testa, ma in realtà era così arrabbiato con lei con non poteva importargliene di meno.
«Sì, Blaineley, quella piccola principessa viziata si sta effettivamente occupando della mia difesa, anche se, detto tra noi», borbottò, imitando il tono confidenziale della conduttrice, «non penso che sarà all’altezza. È troppo ossessionata dalla vendetta contro di me per riuscire a difendermi degnamente! Non avete idea», continuò, sapendo che questo era esattamente il motivo per cui l’avevano invitato, «di quanti dispetti mi abbia fatto da quando è stata assunta! Mi ha fatto aspettare tre ore al nostro primo incontro, mi ha schiaffeggiato ripetutamente, colpito con un mattarello nel momento in cui è stata costretta ad ospitarmi e perfino chiuso a chiave in casa sua!», fece una pausa drammatica, per assicurarsi l’attenzione di tutti i presenti e di ogni telecamera, per poi finire il suo tragico racconto, «Non importa quale sarà la sentenza del giudice, sento che così sto già espiando la mia colpa!»
 
***
 
Dall’altro lato dello schermo, seduta al fianco di Gwen – che probabilmente in quel momento temeva per la sua incolumità – Courtney tremava dalla rabbia. Non era possibile, ci doveva essere un errore, non aveva sentito quello che aveva sentito. E invece, lo scoscio di applausi al termine dell’arringa del suo demoniaco cliente e gli incoraggiamenti disperati delle sue fan le confermarono che sì, lei aveva sentito quello che aveva sentito.
Il suo primo istinto fu quello di lanciarsi in un lunghissimo elenco delle torture fisiche e spirituali a cui avrebbe sottoposto Duncan, in modo che rimpiangesse quelle sciocche angherie con cui l’aveva umiliata in diretta nazionale, di nuovo – quindi trascorse quasi tutta la pausa pubblicità chiamata da Chris per urlare contro Gwen e Trent, che l’ascoltarono impassibili e forse un po’ preoccupati per la sua stabilità mentale. Il suo secondo istinto fu invece quello di chiamare John Smith e dirgli che lei dava le dimissioni, che quell’imbecille si sarebbe potuto anche difendere da solo, viste le sue doti istrioniche – tuttavia, un’azione del genere non avrebbe fatto altro che confermare pubblicamente le accuse di Duncan, che aveva già leso abbastanza alla sua immagine. Il suo terzo istinto, quello che poi effettivamente seguì, fu quello di chiamare Heather – cosa di cui sapeva si sarebbe pentita, perché l’altra non le avrebbe mai dato il suo aiuto senza almeno un po’ deriderla dell’accaduto.
Infatti, appena Heather rispose, non si sentirono altro che le sue risate. “Oddio”, disse, quando riuscì a calmarsi, “se continua a parlare così qualcuno sarà costretto a denunciarti per abusi domestici”. Courtney non nascose la smorfia di fastidio, che non fece altro che distorcere i suoi lineamenti già imbruttiti dalla rabbia. “Come mi vendico?”, le rispose invece, decisa a non perdere tempo e a muoversi il più in fretta possibile.
«Courtney…», cercò di richiamarla Gwen – probabilmente per farle notare che un’altra vendetta non avrebbe risolto nulla e che forse (forse) era il caso di cominciare a comportarsi da persona adulta dopo esserselo ripromessa per così tanto tempo senza mai riuscirci – ma un pronto intervento di Trent la convinse a desistere.
Courtney non era sicura che affidarsi completamente alle mani di Heather sarebbe stata una buona idea – in realtà, era sicura che non lo fosse – ma il suo infantile desiderio di piegare Duncan aveva come sempre avuto la meglio. Si sentiva tradita, umiliata e non sapeva come sarebbe riuscita a guardare in faccia uno qualsiasi dei suoi futuri clienti – sempre che ce ne fossero stati – dopo le parole accusatrici del ragazzo.
“Suppongo che il nostro obiettivo sia quello di vederlo strisciare”, borbottò quasi tra sé e sé Heather, e Courtney si ritrovò ad annuire convinta contro il telefono. “Beh, nonostante sia certa che fare il gradasso davanti a tutti l’abbia divertito, credo che non ci metterà molto a realizzare che alla fine dovrà pur sempre rincasare da te, quindi avrà già la sua buona dose di guai.”, la ragazza si fermò per riflettere, poi riprese: “Fa’ la vittima, mostrati terribilmente ferita dal suo comportamento, digli che ti aspettavi di più da lui e poi ignoralo. E fallo seriamente”, concluse seria.
Courtney si sentì quasi scoppiare. “Mostrarmi ferita? IO? Per cosa, dargli la suprema soddisfazione di avermi sconfitto? Spero tu stia scherzando!”, sbraitò sconvolta. Insomma, l’aveva chiamata per riuscire a frantumare quel pezzo di merda che adesso stava continuando a ingiuriarla in televisione, non per farsi mortificare ulteriormente.
“Ascoltami, sciocca. Non fare finta di sapere qualcosa su come vendicarsi di qualcuno, considerando che la tua idea di ripicca è nella maggior parte dei casi per via fisica o legale, il che è molto primitivo, se proprio lo vuoi sapere. Quell’idiota si aspetta che tu sia furiosa, perché è esattamente il tipo di reazione che voleva ottenere; naturalmente, se ti mostrerai delusa, lo spiazzerai e lui non saprà come comportarsi, ma la soluzione più ovvia – dato che dovete comunque lavorare insieme – sarà quella si strisciare come il verme che è fino a quando non gli concederai la grazia. È tutto chiaro o hai bisogno di uno schema?”. Non sapeva effettivamente come reagire di fronte alla spiegazione della ragazza: doveva riconoscere che aveva ragione, e che forse i suoi metodi non erano molto efficienti – benché la soddisfacessero ugualmente –, ma l’idea di vittimizzarsi di fronte agli occhi impietosi di Duncan continuava a non piacerle.
Capendo i tentennamenti che la stavano attraversando, Heather non ebbe altra scelta che giocarsi la sua ultima carta per convincerla: “C’è sempre un’altra soluzione”. A quelle parole Courtney quasi si illuminò. “Seducilo, fallo innamorare di te e poi scaricalo allegramente”. Sentendo il silenzio dell’altra, sorrise. “Devo dedurre che la mia seconda idea ti piaccia di più?”
“Ma insomma!”, esplose Courtney, mentre Gwen la guardava con aria interrogativa, “Per quale tipo di sgualdrina mi hai preso?”, sibilò – a quelle parole, Trent non poté trattenere una risata – Non vorrei sedurre quel maledetto troglodita nemmeno se mi pagassero il suo peso in oro!”.
A quel punto, decise che non le restava altro che seguire il primo suggerimento della quasi signorina Wilson e capire come si sarebbe comportato quel viscido essere che continuava a sciorinare aneddoti più o meno veritieri sul loro rapporto davanti a milioni di spettatori.
«Gwen, ti dispiace restare qui stanotte? Sento che è una cosa che devo fare da sola.», affermò convinta. “Di’ pure che non vuoi testimoni per la tua scena madre!”, sbuffò Heather, prima che Courtney chiudesse di scatto la comunicazione. L’avrebbe ringraziata tra qualche giorno, quando avrebbe avuto un incontro con Alejandro e il suo avvocato per cercare un accordo sul divorzio.
«Figurati se le dispiace restare qui stanotte!», disse Trent con un sorriso malizioso, avvolgendo Gwen in un abbraccio. «Bene, allora io vado.», annunciò, come se stesse partendo per la guerra, lanciando un’ultima occhiata ai ragazzi che già sembravano aver dimentico che lei era ancora con loro. Fece finta di reprimere un conato di vomito guardandoli e guadagnando un paio di sorrisi.
Si chiuse la porta alle spalle e chiamò un taxi per farsi portare a casa. Quella sarebbe stata una lunga notte.
 
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Note dell’autrice:
Salve a tutti! Riprendo questa storia dopo averla abbandonata per più di due anni (cosa di cui non vado propriamente fiera) con l’obiettivo (spero) di riuscire a portarla a termine. Questo capitolo – un po’ come il precedente – è di passaggio per i prossimi, ma spero comunque che non vi abbia annoiato!
Ci sono un paio di precisazioni che vorrei fare, prima di lasciarvi:
  • Credo di aver sfiorato l’OOC Gwen, dipingendola così entusiasta per la proposta di Trent, tuttavia ho pensato che trattandosi del suo matrimonio, ci potesse anche stare.
  • La Cbc è la Canadian Broadcasting Company, che esiste effettivamente anche se non ho fatto ulteriori ricerche su una sua seda a Toronto (anche se suppongo ci possa essere).
  • Il secondo suggerimento di Heather sulla vendetta di Courtney doveva in realtà essere un primo leitmotiv per il loro riavvicinamento, poi ho sentito puzza di cliché e ho cambiato idea.
Penso di aver detto tutto e spero di essere in grado di aggiornare con il prossimo capitolo tra una/due settimane.
A presto!
Fede ♥
  
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