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Autore: Rota    20/01/2019    1 recensioni
«Gli eroi sono persone fenomenali! I migliori!»
Makoto guardò quindi l’espressione di lui. Così felice, così entusiasta, così sinceramente commossa.
«Da grande lo sarò anche io!»

[Partecipa al contest "Un fiume di Soumate!Au" indetto da rhys89 sul Forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Makoto Tachibana, Sosuke Yamazaki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo del capitolo: Livello Tre: espansione o vibrazione
Numero parole: 2324
 
 

Si era addormentato con la faccia appoggiata sulla superficie del tavolo.
Sbatté le palpebre più volte prima di ricordarsi finalmente dove fosse, e con non poca vergogna rizzò la schiena e sorrise al padrone di casa.
«Scusami, Haru. Dev’essere stato un momento di stanchezza.»
Il ragazzo si fermò poco distante dal tavolo, con i bicchieri sporchi e vuoti tra le dita, e si limitò a fissarlo senza proferire parola. Poteva ben intuire la ragione del suo comportamento.
Anche se Makoto non era l’unico a soffrire per la situazione, le sue motivazioni erano più che legittime – e anche senza un potere specifico che ne ampliasse l’empatia, Haruka era il suo migliore amico e non rimaneva indifferente al suo tormento interiore.
Il padrone di casa lo lasciò da solo al tavolo, raggiungendo Rin in cucina in pochi passi e quindi appoggiando ciò che reggeva tra le mani nel lavello, accanto ai piatti sporchi e le posate. Rin si lamentò abbastanza di avere altre stoviglie da lavare, Makoto non sentì la risposta di Haruka ma capì dall’alzarsi del tono di voce dell’altro che non doveva essere stata una frase molto gentile.
Makoto sorrise nella loro direzione, appena preoccupato.
Poi si guardò attorno, istintivamente, come alla ricerca di qualcosa: vide solo la giacca di Sousuke appoggiata lì dove prima sedeva il ragazzo, durante la cena. Il posto però era vuoto, così come il resto della stanza.
Appena più triste, si volse verso il televisore lasciato acceso, unica compagnia che gli era rimasta; non si sarebbe fatto consolare dai crostoni di pizza lasciata nel cartone, tantomeno dal poco riso che era ancora nella ciotola, assieme alle verdure grigliate e a quelle sott’aceto. La torta era ancora nel frigo, aspettava soltanto che il padrone di casa avesse voglia di tagliarla per essere mangiata.
Una festa intima, piccola quel tanto che bastava per tentare di cacciare certi pensieri dalla testa.
Gli occhi ancora stanchi di Makoto captarono diverse immagini in movimento, colorate e molto vivaci. Pareva che anche quella sera una coppia di eroi avesse fatto il proprio eroico lavoro e avesse catturato dei famigerati criminali. Lo dicevano le immagini, lo annunciava il telecronista con voce sfavillante, lo ribadivano le scritte allusive che scorrevano veloci alla base dello schermo. Makoto aveva sentito quei due nomi così spesso che ormai sapeva tutto, di quell’uomo e di quella donna: ovviamente il loro nome di battaglia, alcuni soprannomi dati per imprese passate e occasioni particolari, poteri e specialità, abilità emerse dopo che si erano legati come mate, gusti in fatto di cibo e molte altre cose ancora. Pettegolezzi e nozioni che li rendevano umani e straordinari assieme, alla portata di tutti.
Il suo ragazzo gli aveva domandato, una volta, quanto quelle informazioni fossero utili, e perché fosse così necessario per quel certo tipo di comunicazione renderle tanto fruibili. Lui non aveva saputo rispondere, e aveva cominciato a porsi molte domande a riguardo.
Ma era anche vero che Sousuke trovava irritanti cose che per lui erano normalissime.
Però, non poté proprio trattenersi quando vide quell’eroe sorridere soddisfatto e dire a tutto il pubblico che la città era salva, i suoi abitanti non correvano alcun pericolo. Il suo cuore batté di emozione sincera, un’ammirazione quasi innata che aveva sentito nel petto da che conservava memoria.
Lo scosse dai propri pensieri l’arrivo di Rin, che si sedette al tavolo davanti a lui. A Makoto non servì adoperare il proprio potere per capire quali fossero i suoi sentimenti, perché l’espressione che aveva sul volto e quei suoi gesti così burberi, nel sedersi al proprio posto sbattendo i gomiti sul tavolo, non lasciavano alcun dubbio.
Lo aiutò a distribuire i piattini di plastica e i bicchieri puliti, sorridendogli nella maniera più dolce possibile.
Rin sbuffò, ma tentò ugualmente di trattenere almeno con lui la propria irritazione.
«Vai a chiamare Sousuke, che così mangiamo la torta!»
Makoto si alzò prima di considerare un particolare.
«Dov’è andato, esattamente?»
Rin sbuffò di nuovo.
«Ha detto che sarebbe andato fuori.»
 
Lo trovò fuori dalla porta d’ingresso, su quel muretto che si innalzava appena oltre la piccola aiuola di sterpi ed erbacce incolte, mezzo passo prima della strada che dava alla scalinata verso la cima della collina e quindi anche alla scalinata che dava verso la riva del mare, più in basso.
Immobile, fissava il vuoto finché non lo percepì arrivare.
«Ti sei svegliato.»
Gli sorrise d’istinto, sollevando le spalle assieme agli angoli della bocca.
«Haru ha tirato fuori la torta dal frigo!»
Ma non vedendo reazioni, né alcun accenno di movimento, lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle e quindi qualche secondo di silenzio passasse, prima di provare ancora.
«Dovremmo rientrare per…»
Non finì la frase e Sousuke non gli rispose.
Da dentro l’abitazione, cominciarono ad alzarsi urla ben udibili. Makoto non avrebbe mai desiderato sentire determinate parole, e si sforzò di non prestare troppa attenzione a quello che Haruka e Rin si stessero dicendo. Gli bastava soltanto il tono, terribile, che stavano usando.
Sospirò e si avvicinò all’altro.
«Litigano ancora.»
«È logico.»
Logico: prendere decisioni difficili porta sempre a contrasti, perché molto viene portato allo scoperto. Intenzioni, sentimenti, aspettative. Punti di rottura così estremamente fragili.
Specialmente per qualcuno che non condivideva alcun legame predestinato – e che sapeva perfettamente che, da qualche parte nel mondo, un’altra persona avrebbe preso quel posto così speciale.
Makoto era certo che era stato per amore di Haruka che Rin aveva deciso di andarsene, definitivamente, in qualche accademia per Proto Eroi, quelli che ancora non avevano trovato il mate ma non per questo desideravano una vita normale, semplice, da comune cittadino. Ne era pieno il mondo, sia di accademie sia di agenzie in grado di rintracciare mate; quanto fossero efficaci nel reale, l’una e l’altra, era tutta un’altra questione.
Tuttavia, era una situazione che lasciava a prescindere l’amaro in bocca.
Loro erano stato fortunati, in un certo senso.
Makoto sospirò ancora.
«Pensi che si possa fare qualcosa per aiutarli?»
«Non sono affari nostri. Certe questioni non si possono risolvere con l’aiuto di qualcun altro.»
Gli sorrise stanco, la sua mente e la sua bocca ricordarono le parole di un vecchio eroe, che però si colorarono molto di ironia pesante.
«Anche gli eroi hanno dei limiti, giusto?»
Non sarebbe stato in grado di fare nulla per il suo migliore amico.
Ma ci fu qualcosa nello sguardo di Sousuke che, alle sue parole, cambiò. Makoto non osò chiedergli nulla, così il silenzio tra di loro divenne grave per qualche istante.
Poi tentò di nuovo.
«Dovremmo rientrare, altrimenti si fa tardi. E poi la torta si scioglie.»
Non interessava neppure a lui davvero, e questo si percepì anche senza che lui comunicasse in qualche modo i propri sentimenti, attraverso Contagio. Per questo motivo non si sorprese che il ragazzo accanto a sé non dicesse nulla, perseverando in un silenzio quasi stoico.
Non osò sospirare, affranto dalla situazione. Rimasero in silenzio, vicini, a lasciarsi carezzare dalla brezza dell’inizio di Marzo. La primavera era alle porte e la temperatura stava aumentando, i primi germogli verdi spuntavano sempre meno timidi nel terriccio dei terrazzamenti sulla collina.
Il segno di un nuovo inizio.
Sousuke guardò in alto, al cielo stellato sgombro di nuvole.
«Vorrei che questa notte non finisse mai.»
Makoto imitò il gesto di lui per istinto, ma le parole che pronunciò lo sorpresero non poco. Sia per quel brusco e così tanto drastico cambio di argomento, sia perché non riusciva a capirne il significato. Possedeva un animo romantico, non aveva il potere di leggere la mente delle persone.
Per sua fortuna, Sousuke non si limitò a quella prima sentenza, ma continuò il proprio pensiero.
«Che non ci fosse un domani da rincorrere.»
Così, Makoto capì perfettamente.
A quel punto però, non riuscì davvero a trattenere un sospiro, a lasciar cadere verso il basso le spalle e a socchiudere gli occhi, impiastricciando sul viso un’espressione davvero mortificata – come se non bastasse già il tono della voce sussurrata.
«Nessuno di noi può fermare il tempo, Sousuke.»
«Sarebbe stato utile un potere del genere.»
«Non essere stupido. A quale scopo usarlo?»
Sousuke indurì la voce e si voltò a guardarlo: era così duro, sarcastico e cinico. Come un sasso spigoloso contro il fianco.
«A quale scopo, mi chiedi?»
Contagio vibrò, nel petto del ragazzo, stimolato dalla vibrazione appassionata di Gettito. Si richiamavano l’un l’altro, perché era questo che voleva dire essere mate: reagire a una presenza, dal profondo dell’essenza, in modo irresistibile.
Anche Makoto reagì alle sue parole, benché il tono della sua voce non risultò neppure sotto sforzo sferzante quanto il suo, fu ugualmente spigoloso e pungente.
«Hai forse paura di qualcosa? O ti piace sentire il tuo migliore amico urlare così?»
Accennò con un capo la casa accanto a loro, ben chiusa dalla porta d’ingresso. Era un colpo al punto debole di Sousuke, e lo sapeva benissimo, perché se era vero che lui era legato ad Haruka da un’estrema amicizia, lo stesso poteva dirsi per Sousuke e Rin.
Ma era di qualcun’altro che Sousuke era preoccupato, e glielo fece capire subito.
«Vorrei che tu non fossi costretto a fare qualcosa che non vuoi.»
Il suo cruccio cedette, a quelle parole. Come d’incanto.
Tentò di toccarlo con la spalla e stabilire un contatto fisico, oltre che emotivo e spirituale, e Sousuke non si sottrasse alla cosa – non si mosse da dove era, lasciando che Makoto quasi gli scivolasse addosso.
«Ne abbiamo già parlato, Sousuke.»
«Certo, lo so! E tutte le volte che lo abbiamo fatto, tu mi hai chiuso il tuo cuore.»
Spalancò gli occhi, incredulo: era la prima volta che gli confessava una cosa del genere. Non si era neanche accorto di come avesse alzato la voce, e l’altro pure, e quanto freddi fossero i loro corpi.
Sousuke non si fermò, ormai che l’argine era completamente distrutto, e Gettito vibrava così forte, rilasciando una tale scarica di potenza ed energia tutt’assieme.
Ma non stava crepando muri o pavimenti, questa volta, quanto certezze e pensieri, rassicurazioni e menzogne del suo mate.
«Mi comunichi sempre gioia, rabbia, felicità, ma mai mi hai detto niente riguardo questo! Hai sempre controllato il tuo Contagio!»
Abbassò lo sguardo, perché Makoto non riusciva ancora a rispondergli, interdetto.
Smise di urlare.
«Qual è il senso di essere il tuo mate se devo temere anche io il tuo potere? Se devo essere un estraneo come tutti gli altri?»
Makoto tentò di prendergli la mano, e questa volta Sousuke non glielo permise.
«Sousuke, tu non sei un estr-»
«Le tue sono solo parole, Makoto. Sei ancora così nonostante tutto.»
Da quando avevano scoperto di essere mate, erano passati ormai tre anni. Tanti, da un certo punto di vista, decisamente sufficienti per costruire un buon legame; pochi, se coincidono con l’adolescenza e lo sbocciare acerbo di una maturità appena accennata, specialmente dei poteri. Makoto e Sousuke erano maturati fisicamente molto, diventando uomini prima di molti dei loro compagni, proprio grazie a questo, ma la tempesta emotiva e ormonale non li aveva risparmiati, in nessuna delle proprie conseguenze.
La verità era che trovare un mate a quella giovane età poteva essere più che altro un calvario. Cambiamenti del corpo, cambiamenti di umore, cambiamenti di tutto. La stimolazione e l’approfondirsi dei poteri era il tocco finale per far crollare gli spiriti più fragili, che di solito non reggevano.
Si diceva che l’età ideale per legarsi al proprio mate fossero tra i venti e i venticinque, ma Makoto e Sousuke non avevano certo scelto di incontrarsi, tantomeno di essere quello che erano.
La loro fortuna era stata di aver avuto accanto figure adulte preparate, magari un po’ sorprese ma sicuramente capaci di intervenire in loro aiuto. Erano stati educati al legame tra mate, erano stati guidati a scoprire i livelli nuovi che Contagio e Gettito potevano raggiungere, senza che questa cosa li distruggesse o distruggesse loro.
Sapevano tutto ciò che c’era da sapere a livello teorico, in particolar modo il fatto che il loro destino era uno e uno soltanto: rimanere per sempre assieme, e diventare eroi. Questo potevano fare due mate registrati, e davvero poco altro.
L’indomani, non soltanto Rin sarebbe partito per il proprio futuro. Ed era così strano pensare a quanto sarebbe cambiato.
Lui non era il solo ad avere paura.
Calmò il battito del proprio cuore, e moderò la propria voce.
«Va bene.»
Sousuke alzò lo sguardo a lui, sorpreso che avesse rotto il silenzio, e sorpreso anche che gli stesse offrendo le mani perché le afferrasse. Con una smorfia, e qualche secondo di indecisione, gliele prese.
Sentì Contagio come non lo aveva mai sentito prima. Lo invase completamente, arrivando dalla superficie della pelle fino alle ossa, penetrandolo in ogni cellula – Makoto non aveva mai fatto una cosa del genere con lui, e Sousuke sapeva solamente che avrebbe potuto, con più forza e più allenamento, addirittura arrivare a ordinare a qualcuno di uccidersi.
Tremò, sentendolo dentro l’anima. Ma così come Makoto fu in lui, Makoto gli permise di invaderlo: questo era il livello tre.
Percepirono oltre la pelle tutto quello che c’era, uno spettro d’acqua limpida nel quale ammirarsi completamente nudi, senza difesa. E sentirono il dolore, la paura, lo sconforto. Sentirono il calore, la rassicurazione.
Sentirono l’amore, in una punta bollente.
Aprirono gli occhi lentamente che era ancora buio.
«Sousuke…»
«Makoto.»
Soffici, come le carezze che le mani rese ruvide da Gettito di Sousuke diede al suo viso, e come i capelli di Makoto su cui appoggiò la propria fronte. Con i propri sensi, lo sentì respirare piano.
«Non urlano più…»
«Si saranno stancati anche loro.»
Chiuse ancora gli occhi. Sapeva che Sousuke sarebbe rimasto lì, ancora per un bel po’.
«Ehi, Makoto.»
«Sì?»
«Vorrei vedere l’alba.»
«Ma domani noi-»
Si fermò, prima di dire parole che non avevano senso.
Gli sorrise, sicuro che l’altro ancora aveva le palpebre schiuse, seppure di poco, seppure come un sottile arco di luna.
Non servì neanche azionare Contagio per percepire tutti i suoi sentimenti, a quel punto.
«Va bene, Sousuke. Guarderemo l’alba assieme.»
 
   
 
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