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Autore: Yellow Daffodil    25/01/2019    3 recensioni
Nicole e Giulio si conoscono e si odiano sin da quando erano bambini, ma specialmente da quando, durante l'estate, Giulio ha "aiutato" Nicole ad organizzare un'esplosiva (è il termine giusto) festa a casa sua. Lei nemmeno ricorda come sia finita, ma ora è in punizione fino a Capodanno, mentre Giulio continua bellamente ad essere allenato dal suo severo ed ignaro padre. Proprio sul più bello delle loro rigide esistenze, Nicole e Giulio scoprono di essere accomunati da una storia d'amore... no, non la loro, non scherziamo! Quella mai nata tra Andrea e Serena, che porterà molto più scompiglio di quanto non abbia già portato quel maledetto giorno dell'autostop. Chi sono Andrea e Serena? Perché sono invischiati con Nicole e Giulio e perché Nicole e Giulio hanno deciso di invischiarli? Ma soprattutto chi, di loro quattro, rimarrà più invischiato in questa storia?
Seguito delle due OS "Autostop" e "Una notte da dimenticare" presenti sia su Wattpad che su EFP sulla pagina autore di Yellow Daffodil!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Invischiati per le feste

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2. Pizzi, ho un'idea!

"Pizzi, ho un'idea!"

Giulio si stava allacciando le scarpe, quando sentì il rombante grido di Nicole schiaffeggiargli i timpani. Era piegato su se stesso, piede sulla panchina e sguardo fisso sui lacci fosforescenti. Si costrinse a fissare quelli, nonostante la loro saturazione facesse quasi male, pur di non dover prestare attenzione alla pazza.

"Pizzi, sintonizzati sulla stazione dei plebei!" lo richiamò. "Sono qui. Alla tua destra. Ti sto parlando."

"Buongiorno."

"Ciao."

"Mi sto allenando, ci sentiamo dopo." Giulio le diede una pacca sulla spalla e se ne corse verso il campo.

"Giulio!" 

A Nicole, ovviamente, non piacque per niente essere ignorata, così prese a correre a sua volta e raggiunse il gruppo di atleti. Stavano facendo passaggi e calci, metà di loro raggruppati verso la linea di meta e un'altra metà sparpagliata su un lato del campo. Non si vergognò, Nicole, a piantonarsi in mezzo al ballo, con scopa e paletta in mano e addosso un fantastico pile a fantasia di cuccioli di labrador, che aveva comprato in prima media.

"Pizzi, puoi darmi retta, solo un secondo?"

"Ehi, ciao, Nicole." Luca le sorrise. "Bella maglietta."

Nicole dimenticò lo stupido Pizzi e arrossì di colpo.

Uno, non aveva la più pallida idea che Luca, Lucaddominali, si ricordasse di lei (considerato che prima di quell'estate l'aveva sempre chiamata 'ragazza', nonostante l'avesse vista al campo mille volte e fosse la figlia del suo allenatore) e, due, non riusciva a non associare il suo sorrisetto malizioso alla famosa festa. L'ultima cosa che ricordava di quell'occasione era trovarsi letteralmente spalmata addosso a Luca con la sua lingua infilata in trachea. Aveva il remoto sospetto che avessero rischiato di fare altro, ma, non sapeva come, non ci erano riusciti: lei era rimasta vergine e lui bello e muscoloso come un Mastrolindo.

Sì, Nicole aveva da sempre un debole per Luca.

Quindi, c'era anche un punto tre per cui, forse, si stava pentendo di aver scelto il pile con i labrador. Ma erano carinissimi, non poteva lasciarli nell'armadio!

"Cia-cia-ciao, Lu-lu-lu..."

Quasi per dispetto, Giulio afferrò a due mani il carrello a cui Nicole si era appoggiata e lo tirò verso di sé, facendola barcollare: "Senti, Nic, noi non abbiamo tempo da perdere. Fra quindici giorni c'è la partita e facciamo tutti pena tranne io, quindi, se vuoi scusarci, avremo di meglio da fare che ascoltare i tuoi vagiti da neonato e commentare la tua scarsa competenza nella moda. A dopo."

"...ca." 

Nicole stroncò il balbettio e si risvegliò dalla trance.

"Due minuti." lo implorò, allora, inarrestabile, fingendo di non subire così palesemente il fascino di Lucaddominali e sforzandosi di concentrarsi sul principino vilipeso. "Solo due minuti."

Giulio afferrò un pallone dal carrello, sospirando. Con una mano sola lo avvolse quasi per intero e Nicole era fissa su quell'immagine, quando arrivò l'impertinente risposta: "Va bene, dai. Ti concedo due minuti. Facciamo fra un'ora, ok?"

La faccia della ragazza si contrasse in un'espressione oltraggiata.

Mentre Giulio correva all'indietro con un sorrisetto tutto compiaciuto, Luca aveva radunato qualche loro compagno di squadra per assistere alla scena. Non era per niente insolito che Nicole Lucich e Giulio Pizzi si scambiassero amorevoli frecciatine per qualsiasi cosa, eppure ogni volta era un vero spettacolo.

La squadra ormai conosceva bene Nicole: il campo di rugby e gli spogliatoi costituivano per lei una sorta di prigione in cui veniva rinchiusa da suo padre in persona quando combinava qualche marachella. Beh, da piccola poteva anche parlare di marachelle, certo, e il massimo a cui veniva obbligata era restare con le chiappette ben ancorate alle panchine e osservare le partite. Da adolescente quale era ora, invece, le punizioni per le sue ragazzate spaziavano dalla manutenzione del campo alla pulizia degli spogliatoi, indipendentemente dal fatto che fossero frequentati da uomini e quindi perennemente sporchi come stalle.

Antonio Lucich non era un uomo dolce e buono; al contrario, sembrava sempre molto più un allenatore che un papà.

Quel giorno, infatti, Nicole stava scontando la parte finale della sua punizione iniziata ancora durante l'estate. L'entità della pena era direttamente proporzionale a quella del danno da lei causato (da lei, o da Giulio, si specifichi), che aveva portato al quasi annientamento della rispettabile dimora Lucich. Per tutto quello che aveva combinato durante la festa dei diciotto anni della sua migliore amica Maria, Nicole sarebbe rimasta in castigo fino al nuovo anno.

In estate aveva aiutato personalmente gli addetti a rimettere in sesto le parti di casa che erano state colpite dall'uragano della festa, in autunno aveva dovuto lavorare per pagarsi da sola la patente, dato che i suoi, per punizione, gliel'avevano negata, e ora che l'aveva ottenuta, in pieno inverno, doveva fare, allo stadio dove allenava il padre, tutto ciò che sarebbe spettato al custode, ora bellamente in vacanza alle Hawaii.

Ma ormai la folla si era radunata a ridere e scherzare, trascinata dalla pigrizia di Luca e non, come si dovrebbe, dalla serietà del capitano Pizzi. Giulio era l'unico della squadra ad aver cercato di evitare lo svacco durante quei giorni di dura preparazione, eppure, non appena arrivò, Antonio vide lui e sua figlia nell'arco degli stessi cinque metri e tuonò: "Lucich! Pizzi!" come se fossero i soli responsabili dell'agitazione popolare.

I due trasalirono, voltandosi verso l'uomo con aria colpevole.

"Che cosa fate? Mi distraete la squadra? E voialtri, mezze seghe, prendete in mano quei palloni e tirate, per la miseria! La vogliamo regalare agli avversari questa vittoria?"

Tutti scattarono manco avesse sparato dei proiettili ai loro piedi; afferrarono un pallone a coppia e iniziarono un impeccabile allenamento.

"Voi due." li indicò Antonio, avvicinandosi con aria truce. "Passaggi. Subito."

Giulio roteò gli occhi di nascosto, ma allo stesso tempo eseguì senza un fiato, gettando il pallone che aveva tra le mani e scegliendone uno leggermente più gonfio per poter fare gli annunciati passaggi.

"Ma papà..." protesto invece Nicole.

"Un cavolo, Lucich." la zittì l'uomo. "Non mi sembrava che avessi finito di pulire il mio ufficio, quando sono uscito. E dopo cinque minuti ritorno e ti trovo qui in mezzo a cazzeggiare."

"Non stavo cazzeggiando, papà."

"Non ribattere." a quel punto si voltò verso Giulio. "E tu, Pizzi, vuoi fare il capitano o prendere una meta avversaria dopo l'altra direttamente nel culo?"

Giulio non rispose.

Nicole lo fece per lui.

"Non stava perdendo tempo. Sono io che l'ho distratto e poi tutti gli altri-"

"Non mi interessa. Imparate che cosa sono le responsabilità, quelle vere." tuonò, accennando verso la vastità del campo. "Ora passaggi. Fatemi tutto il campo andata e ritorno, distanza reciproca tre metri, alla fine raccogliete tutte le altre palle, poi, Nicole, ti aspetto in ufficio. Sempre se posso fidarmi a lasciare in gestione l'allenamento a Pizzi, finché sono in ufficio."

La ragazza sospirò e suo padre si voltò per tornare a parlare con qualche suo socio a bordo campo. Il pallone che le arrivò direttamente nello stomaco fu il grazie che Giulio le aveva amorevolmente riservato.

"Riflessi, Lucich." la ammonì, pure.

Nicole iniziò a correre più veloce per distanziarsi da lui e poi passargli il pallone all'indietro, come si usa fare nel rugby. Poi Giulio l'avrebbe preso e fatto lo stesso e poi di nuovo il suo turno, e avanti così per tutti i cento, interminabili, metri di verde. Che due grandissime palle, pensò Nicole, per restare in tema.

"Se mi avessi lasciato parlare solo un minuto-" cercò di discolparsi lei, mentre eseguiva l'esercizio che ormai, negli anni di punizioni, aveva imparato ad affinare piuttosto bene.

"Non erano due i minuti?"

"Uno o due, sarei stata breve. Volevo solamente parlarti di un'idea che ho avuto."

"Questo l'avevo capito."

Nicole aveva già fatto questo tipo di allenamento sia con Giulio che con altri ragazzi della squadra. Le era capitato per la prima volta anni fa, con il più scarso di allora; suo padre aveva fatto una sfuriata e l'aveva chiamata dalle panchine per dimostrare che anche una femminuccia avrebbe fatto meglio. Da allora il coach Lucich, fiero del talento congenito della figlia, la usava ogni tanto per sistemare le disparità: era già capitata in coppia con svariata gente, tra cui Angelico, il migliore amico di Giulio, che la trattava sempre gentilmente e che quindi le piaceva. Purtroppo, non l'aveva mai provato con Lucaddominali, anche se le sarebbe piaciuto un sacco. Il punto era, comunque, che fino a quel momento Giulio era stato l'unico ad impressionarla.

Eseguiva lanci perfetti, regolando la forza affinché la palla finisse dritta sui polpastrelli di Nicole, sena avvilupparsi, senza vibrare, secca, come fosse stata perfettamente calibrata in precedenza attraverso studi di trigonometria. Adorava fare questo esercizio con Giulio: anche se ai cinquanta metri rischiava l'infarto, si sentiva montare dentro un'adrenalina assurda, perché non sbagliava mai, perché la palla arrivava così perfetta che solo un cieco avrebbe potuto lasciarsela scappare.

Giulio non era né grosso né muscoloso come gli altri compagni di squadra, ma era senza ombra di dubbio il migliore, perché la sua forza stava nel cervello.

Difficile a credere; aggiunse mentalmente Nicole.

"Ho pensato alla situazione di Serena." lo aggiornò, decidendo se non altro di approfittare di quell'occasione per prendersi i suoi agognati due minuti. "Mi dispiace troppo per lei e sono certa che se non farà qualcosa, Sandro la ferirà così a fondo che potremmo non recuperarla mai più."

"Non capisco perché parli al plurale."

"Perché mi serve il tuo aiuto."

I ragazzi misero piede sulla linea di fondo campo, così si girarono e ripeterono lo schema al rovescio, per tornare indietro.

Nicole lanciò la palla a Giulio: "Dobbiamo organizzare una festa."

"Assolutamente no."

"Aspetta, non hai sentito nemmeno tutto quanto!" Nicole faticava a concentrasi sulle parole, sulla palla da prendere e anche sul non cadere come un pero, però cercò di destreggiarsi. "Per fine anno, papà e mamma passano due giorni in montagna, quindi la casa sarebbe libera per un potenziale party di Capodanno. Potremmo fare qualcosa nel mio stile, stavolta: cibo raffinato, musica classica, luci soffuse e dell'ottimo champagne. Una cosa di classe, che ne dici?"

"Sì e a mezzanotte potremmo addirittura far scoppiare un palloncino."

"Non sei divertente."

"Nemmeno tu, per niente." Giulio si allungò per prendere il lancio troppo sporco di Nicole. Se la cavava, ok, ma si vedeva che non era affatto una professionista. Per fortuna lui avrebbe preso in tempo anche un meteorite che si abbatte a random sulla Terra. "Penso che si divertirà di più mio nonno Arturo alla tombolata over ottanta, nella sala comune dell'ospizio di paese."

"Allora non venire; l'importante è che mi aiuti."

"A che cosa ti serve il mio aiuto?" si perplesse il ragazzo. "L'ultima volta che l'hai voluto, poi quasi non ti mettevi a piangere. Io non so gestire le noie mortali, men che meno te quando vai nel panico per una tartina storta. Quest'estate mi è bastata."

"E a me non è bastata?" il tiro di Nicole non arrivò sulle mani di Giulio, ma al suo stomaco: un altro affettuoso modo di dire grazie altrettanto.

Sul viso di Giulio spuntò un sorrisetto: "Che cosa dovrei fare? Procurarti le forbici dalla punta arrotondata per ritagliare i segnaposto, onde evitare che gli ospiti si siedano sulla sedia sbagliata?"

"No, devi invitare gente." lo smentì lei, la gabbia toracica che iniziava a farle male e quei cinquanta metri rimasti che parevano più che altro un viaggio della speranza. "I ragazzi della squadra, altri tuoi amici, insomma... gente. Tanto tu ne conosci."

"E tu no?"

"Chi invito, Alessio e Maria?"

"E Serena e Sandro. Sai che sballo?"

"Certo che invito Serena e Sandro. Ma è per questo che devono esserci anche un casino di altre persone."

"Non mi dirai che i tuoi amici sono noiosi. Alessio cucca addirittura più di te e Maria ha una terza di seno: non c'è niente di meglio. Per non parlare di quell'animale da festa di tuo fratello, più animale che da festa, se posso permettermi."

"Smettila di sfottere!" questo sforzo costò caro a Nicole, che si fermò, senza fiato, a venti metri dal traguardo.

Si abbassò, stringendosi le ginocchia con le mani, palla in mezzo alla cosce e petto fremente di fatica e adrenalina. Le piaceva fare sport e anche organizzare cose per far felici le persone. Basta, questo era ciò che voleva, anche se la gente di cui era accerchiata non sempre era riconoscente o comprensiva.

Tipo Giulio.

"Voglio solo trovare il modo di far incontrare di nuovo Serena e tuo fratello, ok?"

Giulio si sbatté una mano sulla fronte, consapevole che da lì a qualche secondo si sarebbe sentito richiamare dal coach, ma troppo sconvolto da quanto appena ascoltato.

"Stai ancora pensando a quella storia dell'autostop?"

"Sì!" esalò malamente Nicole. "Da quel giorno è come se Serena convivesse con uno spettro! È il rimorso per non aver inseguito quell'istinto, per non aver fermato tuo fratello ed essere stata onesta con lui, e in primis con se stessa! Lei si è innamorata di Andrea, innamorata pazza, ma qualche fottuto neurone del suo cervello è ancora incollato al culo peloso di Sandro e alla sua stronzaggine perché crede di non meritarsi qualcosa di meglio."

Giulio la fissò: "Si vede che non fai un cazzo durante il giorno."

"Giu, sono seria! Se porterai anche Andrea alla festa, avranno l'occasione di rivedersi. Ed è la pensata più geniale che mi sia mai venuta: casa mia sarà piena di belle ragazze al punto che Sandro, prostituto com'è, ne intratterrà alcune per mostrare la sua vecchia camera piena di pupazzi di Star Wars, sperando che una di loro ne vada pazza e lo assalga tra le lenzuola per riattivare quel suo pene morto da secoli."

"Wow."

"A quel punto, faremo incontrare Andrea e Serena."

"E se uno dei due non vorrà venire?"

"Serena va dove va Sandro e Sandro va dove c'è materia prima." con le mani Nicole sagomò una donna immaginaria. "Andrea, invece, va dove tu lo convinci di andare."

"Questa sarà la parte difficile. Andrea non esce da quando-"

"Appunto." annuì Nicole. "Se tu lo convinci ad accompagnarti a questa festa, mettendogli in testa che deve ributtarsi nella mischia, che ha tutta una vita di esperienza davanti, eccetera eccetera, vedrai che verrà. E allora bum; faremo nascere un amore. O rinascere, se preferisci."

Giulio parve incerto, dubbioso.

"Una volta l'avresti fatto senza problemi." insistette Nicole. "Qualsiasi cosa pur di divertirti, rimorchiare o quanto meno fare il figo in giro."

"Al di là del fatto che non mi sembra una proposta divertente, comunque hai ragione. Una volta l'avrei fatto senza problemi."

"E adesso che c'è? Ti senti arrivato all'apice della scala della popolarità? Non vuoi sprecare energie prima di gennaio perché ti servono per fare l'eroe alla partita?"

"Non sei molto brava a chiedere aiuto."

"Fallo per Andrea." Nicole incrociò le braccia, sapendo di aver colpito nel punto giusto. "E per Serena; ho visto che ieri, sotto sotto, ti dispiaceva."

"LUCICH! PIZZI! MUOVETE QUEL CULO!" il prevedibile richiamo della giungla di Antonio giunse alle orecchie di Nicole e Giulio, schiaffeggiandole con vigore, in pieno stile Lucich.

Nicole riprese immediatamente il pallone e lo gettò goffamente verso Giulio, ingranando la sua corsa per gli ultimi metri.

"D'accordo, facciamolo." approvò il biondo, alla fine. "Ma niente rivalse nei miei confronti se poi non va come avresti voluto."

"Ti ricordo che mi sono beccata sei mesi di punizione senza fare il tuo nome, nemmeno una volta."

Giulio mostrò il suo classico sorrisetto di scherno: "Lo so."

"E tu invece muto come un pesce, contento alla mie spalle. Ti meriteresti di essere al mio posto."

"E perché non ci sono?"

"Perché... perché..."

Eh, perché?, si chiese Nicole.

Perché lei era troppo fessa e prevedibile. Perché dai, non l'avrebbe mai fatto, mettere nei guai altri... mica si chiamava Giulio Pizzi, lei!

Giulio toccò la linea di fondo campo, si girò appena e le lanciò il pallone. Lei non lo prese.

"Grazie, ok?" disse Giulio, a mezza voce. "Per non avermi messo in mezzo."

"Prego." ribatté lei, presa alla sprovvista, recuperando il pallone e rilanciandolo al mittente.

"Ma non mi sono pentito. Per me è stata una bella festa. Rifarei quasi tutto."

"Beh, vedi di non rifare quasi tutto anche a Capodanno. Porta gente normale, più tuo fratello che in quanto tuo consanguineo non rientra nella categoria. Per il resto, niente alcol e niente fustigatrici sadomaso: abbiamo una missione, dobbiamo restare lucidi."

Giulio sorrise, gettò il pallone nel carrello e corse via a raccogliere il resto, avvolto dal mistero e dal completo rispetto degli ordini dei Lucich.


*


Due giorni dopo, Andrea era in sala da pranzo. Aveva appena posato l'ultima forchetta e alzato velocemente la mano dal tavolo, per evitare il rischio di rovinare quell'opera maestra. Lo guardò nella sua interezza: era semplicemente perfetto.

"Oh no, Andrea!" il profumo di ragù arrivò appena prima della paffuta figura di sua madre: "Quante volte ti ho detto che il tovagliolo va a sinistra?"

Il biondo si girò, sconvolto: "A sinistra? Ma non me l'hai mai detto!"

"Sì, invece, e lo dice anche Csaba Dalla Zorza!" la donna, come un uragano che sa di ragù, si abbatté sulla tavola e spostò ogni tovagliolo prima che Andrea potesse anche solo protestare. Poi, mentre lui prendeva fiato per lamentarsi della sua opera rovinata, lei aggiunse. "È possibile che non presti mai attenzione a Cortesie per gli ospiti? E sì che lo guardiamo praticamente ogni giorno; ma dove hai la testa?"

Agitò le mani con espressione sconsolata e poi, ripulendosele sul grembiule da cucina, tornò nel suo habitat naturale.

Andrea trovò finalmente il tempo di sospirare.

Sua mamma era davvero assurda, se lo ripeteva ogni volta. Negli ultimi mesi, poi, aveva condiviso con lei molti più momenti di quanti ne avesse avuti a disposizione da bambino e si era reso conto, data anche la sua età ormai adulta, che lei era una donna indescrivibile, speciale. Adorava sua madre, anche se era più un cataclisma che un essere umano. Nessun'altra persona avrebbe potuto stargli accanto nel modo in cui faceva lei, indipendentemente dalla situazione in cui si trovasse.

"Allora, è pronto o no?" 

E poi c'era suo padre, che avrebbe spesso e volentieri preferito scaraventare fuori dalla finestra, ma quello era un altro discorso.

Non si sarebbe detto di primo impatto, ma i Pizzi erano una famiglia abbastanza unita. C'era mamma Roberta, che da brava donna di servizio svolgeva tutte le faccende di casa propria e altrui in maniera impeccabile, senza togliere tempo ai figli, a costo di stramazzare a terra per la stanchezza. Poi c'era papà Claudio, che, per fortuna, se ne stava più tempo in giro che a casa. Non che fosse una cattiva presenza, eh, ma nemmeno una buona presenza, ecco. Claudio faceva il camionista da ancora prima di prendere la patente e, forse per il mestiere solitario e logorante, era un uomo piuttosto arrogantuccio e pretenzioso. Quando tornava a casa, nemmeno si poneva il problema che le cose fossero già pronte e a posto per lui: mamma Roberta gli doveva fare la cena e i suoi figli dovevano aver svolto tutte le mansioni da uomo che lui, in quanto impegnato, non poteva assolvere.

Per carità, con un'educazione del genere la prole Pizzi aveva imparato a cavarsela, ad essere servizievole e gestire bene la propria vita. Ma le sere in cui Claudio tornava, Andrea sperava sempre in un abbraccio, un piccolo sorriso, anche solo una parola d'incoraggiamento. In venticinque anni non ne aveva ricevuto mezzo, a malapena l'uomo si interessava riguardo ciò che avessero fatto i suoi familiari. Almeno però, non si poteva dire che non facesse il possibile per dare alla sua famiglia le entrate necessarie ad avere una vita degna. La casa, lo sport e la macchina erano tutto frutto dei sacrifici dei loro genitori.

"Fra poco, Claudio, non rompere, ok?" fu il tuono di Roberta direttamente dalla cucina. "Intanto tu e Andrea preparatevi a ricevere gli ospiti e fa in modo che appena arrivo in soggiorno, non ti veda addosso quella barba da uomo delle caverne, ok? Se non te la sei ancora fatta, corri a porvi rimedio immediatamente!"

Andrea e Claudio si scambiarono uno sguardo. Andrea accennò alla barba di suo padre e poi alle scale, suggerendogli tacitamente di dare ascolto alla mamma. L'uomo sbuffò e tornò di sopra. Meglio così.

La porta d'entrata si aprì con uno scatto di chiavi, facendo trasalire Andrea e spaventare a morte Roberta: "Sono già arrivati?! Andrea, sono già arrivati??"

"No, ma', è solo Giulio!" sbraitò quest'ultimo. "Ciao, Giu. Puttana, sempre per il rotto della cuffia!" fece, controllando l'orologio. 

Suo fratello Giulio era il quarto e ultimo membro della famiglia. Come aspetto assomigliavano entrambi alla versione giovane e meno sciatta del padre: zazzera color biondo miele, più chiara quella di Giulio, più scura quella di Andrea, occhi color nocciola, più chiari quelli di Andrea, più scuri quelli di Giulio e una bella pelle dorata; dello stesso colore. Se solo il loro papà non si fosse completamente abbandonato al caso, sarebbe ancora un bell'uomo, ma non gliene fregava nulla e a portare alto il marchio di fabbrica Pizzi ci pensava Giulio. Caratterialmente, infatti, i due fratelli erano piuttosto diversi: Andrea aveva preso tutta la dolcezza e la bontà della mamma, assieme alla sua distintiva pazzia e la totale non conformità alla massa - per quanto entrambi ci provassero, ad essere un po' normali. Giulio, invece, se la credeva molto di più: era arrogante e fissato con il dover piacere a tutti, aveva preso da Claudio quell'indolenza alla vita che lo faceva sembrare il più figo del mondo e, soprattutto, un antipatico coi fiocchi. Dalla mamma, però, avevano tutti e due ereditato quella rara fregatura di non sapersi mai veramente mettere al primo posto: Giulio non lo dava a vedere, ma erano entrambi sempre, perennemente pronti a far qualcosa per qualcuno che ne avesse bisogno. Sarà perché lo avevano sempre fatto con la loro mamma, quando papà non poteva darle una mano a casa?

Dato che sapeva com'era davvero Giulio, Andrea non voleva scaraventarlo dalla finestra come invece avrebbe fatto con suo padre. Anche se, ad essere sinceri, qualche volta la tentazione c'era.

"Avevo allenamento. È pronto oppure no?" Giulio si fiondò nel soggiorno gettando la sua giacca sul divano. Era tremendamente infreddolito, lo si notava dal naso arrossato e i capelli umidi.

"Giulio, per l'amor di Dio!" Roberta si manifestò a un metro da loro con un mattarello sporco fra le mani. "È il giorno di Natale e tu ti presenti tutto sudato a meno di dieci minuti dall'arrivo degli ospiti?"

"Ma', ti ho detto che avevo allenamento."

"Tu hai sempre allenamento. Da tre giorni a questa parte, non ti ho mai visto in casa." gli puntò addosso il mattarello. "Ma oggi è Natale, quindi vatti a lavare e vedi di impedire a quell'aguzzino del tuo allenatore di rovinare il mio pranzo di Natale! Non ce l'ha mica una famiglia, quella bestia?"

"Ce l'ha, ce l'ha... eccome se ce l'ha..." borbottò Giulio, mentre con la stessa aria stizzita del padre saliva le scale.

Il pranzo procedette per fortuna in modo regolare. Arrivarono gli ospiti di Roberta: amici, parenti e vicini di casa. Portarono i panettoni, le ceste e tanto vino e tutti passarono un classico, tradizionale, Natale, come ogni anno. Solo che quell'anno, mancava una persona.

Andrea stava sciacquando distrattamente un piatto, quando si ritrovò a pensare a Lucia. Sarebbero stati cinque Natali insieme, quel giorno, ma lei non c'era ed era sicuro che in quell'esatto momento si trovasse tra le braccia di un altro e precisamente sulle labbra di un altro. E che contrariamente a lui, non stesse minimamente pensando alla loro ex relazione.

"Che cazzo lavi i piatti se abbiamo una lavastoviglie?"

Lo distrasse romanticamente suo fratello.

"Ah, è vero." si riscosse Andrea, chiudendo il rubinetto.

"Andre, sempre quella cazzo di testa fra le nuvole." Giulio posò una pila di piatti sporchi sul ripiano e poi afferrò un canovaccio per pulirsi le mani. "Dai, scommetto che stavi pensando alla stronza."

"Sì, perché mi fa strano che non sia al pranzo di Natale con noi."

Giulio sospirò: Andrea era sempre così sincero, non poteva almeno tentare di negare per salvaguardare quel poco orgoglio che gli era rimasto?

"Ma meglio che non ci sia!" sbottò allora. "Che cosa ti manca di lei? Sentire la sua vocetta stridula che commenta l'abbinamento di colori troppo datato tra la carta dei regali e il fiocchettino? Cucinare un menù low carb, gluten free, vegan e 'sti cazzi solo per lei? Vederla fare pubbliche relazioni con il vicino senza che cagasse te nemmeno un secondo? Basta compiangerti per lei, stai molto meglio senza!"

Sì sì, questo Andrea lo sapeva.

E ne era anche convintissimo.

Infatti, non sapeva più come spiegare ai suoi che la sua recente depressione non era dovuta a Lucia, ma ad altre circostanze. L'essere stato investito, per esempio. Aver passato un mese in ospedale, per esempio. Aver perso il lavoro, per esempio. Non essersi ancora abbastanza ripreso per ricominciare hockey, per esempio.

Erano tutti esempi e lui li faceva alla gente che gli chiedeva del perché fosse così giù di corda. Ma lui era sempre stato uno talmente aperto che ora tutti credevano di saperlo interpretare.

Ah, quei sospiri nascondono anche dell'altro, sono sospiri d'amore!, gli dicevano.

E allora si attribuiva tutta la colpa del suo malessere al fatto che, un giorno prima di questa serie di sfighe, fosse stato malamente scaricato da Lucia.

In realtà, se c'erano pene d'amore in tutta quella situazione, erano quelle che lui aveva sofferto per non aver avuto nessuno al suo fianco. Ok, la famiglia c'era, quella era scontata nel suo caso, ma avrebbe sperato che anche qualcun altro si facesse vivo.

Forse pure Lucia, sì, perché in fondo erano fidanzati fino al giorno prima e lei se n'era strafregata se l'avevano stirato lungo una strada. Ma in tutta onestà, gli importava relativamente di Lucia; era un'altra la donna che sognava al suo capezzale, e si chiamava Serena.

Serena che quel giorno l'aveva raccolto dal margine di una strada con le ginocchia sbucciate, Serena che l'aveva accompagnato senza chiedere nulla in cambio, Serena che l'aveva consolato e che poi l'aveva baciato un po' scioccamente, ma che, porca miseria, l'aveva fatto irrimediabilmente innamorare.

Andrea era un pazzo, sapeva di esserlo.

Ed era anche un maledetto sognatore.

Quando Serena se n'era andata dal vialetto di casa sua, lui si era tirato giù la sua targa, l'aveva cercata e l'aveva anche trovata. L'indomani si era svegliato carico di buoni propositi, era tornato nel luogo in cui si era ruzzolato il giorno prima e aveva sistemato la sua bicicletta. Tornato in sella, aveva puntato l'indirizzo di casa di Serena, pedalando per raggiungerla e farle una bellissima sorpresa. Ma evidentemente la sfortuna se l'era presa con lui: fu investito e lo ricoverarono per un bel pezzo in ospedale. 

Mentre scontava i suoi giorni tra quelle mura, fissava costantemente la porta della stanza, convinto che anche lei l'avrebbe cercato e sarebbe venuta a sapere dell'incidente, per poi correre a trovarlo con fiori e cioccolatini.

Ma non la vide mai.

Sapeva solo il suo nome e l'indirizzo.

Lei sembrava non essere nemmeno sui social, era impossibile beccarla. Gli aveva detto che non amava essere a portata di pollice e, così, dopo svariati tentativi invano, si era convinto che non l'avrebbe semplicemente trovata digitando i suoi dati anagrafici. Doveva avere qualche nome inventato, ma anche quella si rivelò un'ipotesi senza riscontro.

Aspettò un mese, Andrea. Appena si riprese, un giorno andò direttamente sotto casa dei genitori di Serena, per dare un taglio alle sue pene. Ma apprese ben presto che era, appunto, solo casa dei genitori di Serena, anzi, per la precisione, solo del padre. Non voleva fare brutte figure; al citofono disse che era un amico di Serena e che la stava cercando. Lui gli rispose che si era trasferita con il fidanzato.

Andrea passò notti insonni, giorni nei quali ricevette le più brutte notizie. A causa della sua assenza prolungata, aveva perso il lavoro. E in squadra non ci poteva tornare: si era rotto un femore e due costole, la riabilitazione era ancora molto lunga!

Non riusciva a darsi pace. Si ricordò che lei gli aveva detto che il suo palazzo stava in via dei Palladini, così una sera, da vero stalker, si fece accompagnare lì da un amico e aspettò sul ciglio della strada finché non vide Serena e il suo fedifrago (e orrendo) fidanzato scendere assieme.

Non volle nemmeno sapere chi fosse lui; si fece riaccompagnare a casa e da quel giorno, non uscì più. Il trauma era cominciato così.

Ovviamente non ne parlò con i suoi, perché lo sapeva benissimo di essere solo un maledetto sognatore. Piuttosto preferiva che pensassero che si struggesse per quella sciaquetta di Lucia... almeno aveva un minimo di senso in più.

"Oh!" Giulio gli schioccò le dita davanti alla faccia. "Ma ti droghi?"

"Puttana, Giu!" si lamentò Andrea, spostandosi da davanti al lavabo e iniziando a caricare la lavastoviglie.

"Senti, dato che sei uno zombie, ho deciso che ti porto fuori per Capodanno." sganciò allora il fratello minore, con una nonchalance inaudita.

"Eh?" si perplesse Andrea.

"Andiamo a una festa."

"Te ci vai, alle tue feste da rimorchio."

"Tu vieni con me." quello di Giulio, soffiato con autorità, era un chiaro ordine. "E comunque non è una festa da rimorchio; è una serata raffinata a casa di una mia amica ricca. Dai, mi costringe ad andarci e io non ho voglia di passare la sera a rompermi le palle con tartine di salmone affumicato della Norvegia e sottofondo di Mozart."

"Ah, quindi verrei a reggerti il moccolo."

"Certo." sorrise Giulio, provocatorio. "E poi, se ti va, ci facciamo un drink e ti re-inseriamo in società dopo il tuo isolamento eremita degli ultimi sei mesi."

"No." fece lui, bello come il sole. "Io e mamma abbiamo la maratona dei cinepanettoni con De Sica."

"Fanculo i cinepanettoni."

"E la mamma?"

"La mamma sarebbe la prima a sfanculare sia te che i cinepanettoni! Eddai, Andrea, e ripigliati un po'! Hai venticinque anni, non settanta!"

"E tu solo diciotto, quindi niente prediche, moccioso." Andrea spinse indietro la fronte di Giulio con le due dita, come faceva sempre, irritandolo ancora di più. "Non ci vengo, grazie lo stesso dell'invito."

"Fanculo, allora." Giulio, nervoso come poche volte Andrea l'aveva visto, gettò il canovaccio contro la parete e lo spinse di lato per andarsene dalla cucina.

Andrea si affacciò e lo vide salire rumorosamente al piano di sopra, mentre gli ospiti facevano le faccette curiose ma non troppo anziché allacciarsi i cappotti per andarsene.

"Andrea?" domandò la mamma, leggermente isterica.

Andrea si chiuse nelle spalle e sorrise a tutti: "Scusatelo, ha le sue cose."

***


ANGOLO AUTRICE

Dinamiche interessanti, queste descritte nel capitolo 2!

Che ne pensate?

Ammetto che mi sono divertita molto a scriverlo. Trovo che, seppur non premeditato, l'abbinamento tra le due OS sia proprio funzionale. I fratelli Pizzi mi piacciono tantissimo, mi piace soprattutto che i loro ruoli familiari siano abbastanza confusi e che si supportino a vicenda in modo stravagante, come vedrete anche nei prossimi capitoli. Ma voi comunque chi preferite: Giulio o Andrea? Ditemelo adesso, così poi a fine storia vedremo se sarete rimasti di quest'idea, oppure se l'avrete cambiata.

Invece, che idea vi siete fatti sul piano di Nicole? Certamente la ragazza è mossa da nobili cause, ma forse non sa che si sta tirando una martellata sui piedi. Diciamo che è un difetto dei Lucich, non imparare assolutamente un cavolo dai propri errori (ma poi anche un difetto di tutti, eh XD).

Io
come al solito spero di rispondere a tanti vostri commenti e vi aspetto per la prossima pubblicazione, che sarà nientemeno che fra tre giorni, il 28 gennaio. Ci sono ancora segreti da scoprire e poi vedremo come Nicole prenderà il rifiuto di Andrea. Credo che assisterete a scene interessanti.

Alla prossima,

Daffy

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