Capitolo ottavo
I
Medici erano riuniti a pranzo tutti insieme e con loro c’erano anche Antonio e
Francesco Nori, il contabile amico di Lorenzo. Bianca era voluta scendere a
pranzare con la famiglia, al fianco del marito, sebbene fosse ormai vicinissima
al parto; Novella e Francesco sedevano l’uno accanto all’altra e i loro volti
erano radiosi, avendo superato uno scoglio che avrebbe potuto distruggere il
loro amore e sapendo, invece, che anche loro presto avrebbero avuto un figlio.
Antonio
era felicissimo per Novella e Francesco e sognava che questo sarebbe stato il
primo passo per quell’unione vera e collaborativa tra Medici e Pazzi che lui
tanto desiderava, ma poi le parole di Lorenzo lo fecero ammutolire.
“Ieri
mattina Salviati è venuto a parlarmi” annunciò, “e mi ha riferito che la Banca
dei Pazzi ha concesso il prestito al Papa per impadronirsi di Imola. Era molto
soddisfatto, perché secondo lui il passaggio dei conti papali ai Pazzi segnerà
l’inizio della fine della nostra famiglia.”
“Salviati…
c’era da aspettarselo” mormorò Giuliano, abbattuto.
Antonio,
innervosito al semplice sentire quel nome, strinse i pugni. Aveva già un conto
in sospeso con l’Arcivescovo di Pisa per la cattiveria che aveva detto a
Jacopo, rinfacciandogli che la sua Banca non aveva un futuro poiché lui non
aveva figli suoi. Tra l’altro, era stato proprio per questo motivo che Jacopo
si era visto costretto a tentare il tutto per tutto pur di riprendere con sé Francesco…
Probabilmente Salviati era l’unica persona sulla faccia della Terra nella quale
il ragazzo non trovasse niente di buono.
“Che
peccato, avresti dovuto chiamarmi, Lorenzo” intervenne il giovane Orsini. “Mi
sarebbe piaciuto dirgli in faccia cosa penso di lui e, possibilmente,
spaccargli qualche vaso molto grande in testa!”
“Antonio,
mi stupisci!” commentò Madonna Lucrezia, dando voce alla sorpresa di tutti i
presenti. “Non ti ho mai sentito parlare così. Non sei tu quello che cerca la
pace e l’armonia con tutti?”
“Con
tutti tranne uno” chiarì Antonio,
insolitamente arrabbiato. “Quello fa il triplo e il quadruplo gioco ed è stato
lui a insistere perché Messer Pazzi trovasse il modo di riportare a casa
Francesco.”
“Beh,
non credo che il tuo Messer Pazzi abbia
bisogno di consigli su come tramare e manipolare il prossimo” insinuò Giuliano,
sarcastico.
“Forse
no, però pensateci: è quasi un anno che Francesco e Novella sono sposati e che
Francesco è in cattivi rapporti con suo zio. Se avesse voluto, Messer Pazzi
avrebbe potuto tentare di parlargli e di plagiarlo in qualsiasi momento, eppure
non lo ha fatto… finché Salviati non gli ha detto in faccia che il Papa non
avrebbe affidato i suoi conti alla Banca di un uomo senza discendenza!” replicò
Antonio, al quale quelle parole bruciavano ancora, peggio che se fossero state
rivolte a lui.
“Ah,
ecco che ora mi spiego tanto ardore. Nessuno si azzardi a toccare Messer Pazzi, no? Salviati non sa di
essersi guadagnato un nemico mortale!” rise Giuliano, mentre Antonio diventava
tutto rosso e aveva la mezza idea di nascondersi sotto il tavolo.
Anche
Lorenzo rise e quella scena servì a distrarlo, almeno per qualche momento,
dalle sue preoccupazioni.
“Antonio,
se vuoi continuare ad avere a che fare con Jacopo Pazzi ti consiglio di
imparare ad essere un po’ meno trasparente!” disse, divertito. Poi tornò a
concentrarsi sul problema che lo assillava. “Tuttavia Salviati dev’essere
riuscito a convincere comunque il Papa a trasferire i suoi conti alla Banca Pazzi,
forse perché comunque Francesco e Guglielmo hanno la maggioranza ed entrambi
stanno per avere un erede. Ad ogni modo non è questo il punto. Ho invitato Nori
qui, oggi, per risolvere la questione senza che la nostra Banca subisca una
perdita.”
“Sì,
è così” confermò Nori. “I conti papali andranno alla Banca Pazzi, è vero, ma
Lorenzo ha suggerito di separare quei conti dai proventi dell’allume, che
invece resteranno ai Medici.”
“E’
possibile farlo?” domandò Francesco.
“Certo,
sono due cose separate, è tutto legale” lo rassicurò Nori.
“Jacopo
Pazzi non sarà per niente contento quando lo saprà” commentò Giuliano.
“Questo
è un eufemismo” ribatté Madonna Lucrezia, molto preoccupata. “Lorenzo, sei
sicuro di quello che fai? Lo so che era in gioco il futuro della nostra Banca,
ma un atto del genere potrebbe portare addirittura ad una guerra tra Pazzi e
Medici!”
“Cosa?”
mormorò Antonio, impallidendo. “Ma come… perché? In questo modo entrambe le
Banche ne hanno un guadagno, no? I Pazzi avranno i conti papali e i Medici i
profitti della vendita dell’allume.”
Il
giovane Orsini capiva ben poco del mondo degli affari, ma era innocentemente
convinto che fare un po’ per uno fosse il modo più conveniente di procedere.
“Jacopo
voleva togliere tutto alla nostra Banca per mandarla in rovina” gli spiegò
pazientemente Madonna Lucrezia, “perciò potrebbe considerare ciò che ha fatto
Lorenzo alla stregua di una dichiarazione di guerra vera e propria.”
Antonio
era sconvolto, ma continuava a sperare che la madre di Lorenzo e Giuliano esagerasse.
Guerra era una parola grossa, via!
“Ma
Lorenzo non voleva certo questo” replicò, convinto. “Basterà fargli capire che
così entrambe le Banche avranno un profitto e…”
“Sì,
certo, come no? E glielo vai a dire tu, questo, a Jacopo?” ironizzò Giuliano.
“Ma
sì” rispose Antonio, il cui candore, a volte, era spiazzante. “In questo modo
non vedrà la cosa come un atto di guerra e comprenderà che anche lui ci
guadagna.”
Lorenzo
lo guardò, un lungo sguardo pensieroso. Ammirava la fiducia e l’ottimismo dell’amico,
ma temeva che, prima o poi, la delusione sarebbe stata molto amara.
Bianca
scelse proprio quello splendido momento per entrare in travaglio e così il
pranzo ebbe fine, con Guglielmo e tutti gli altri che si avvicinavano a lei per
prestarle soccorso e accompagnarla nella sua stanza. Giuliano si rivolse
sconcertato ad Antonio.
“Dicevi
davvero? Hai intenzione di andare a dire in faccia a Jacopo Pazzi della
faccenda dell’allume e spacciargliela come una buona notizia?” domandò.
“Certo
che sì” confermò il ragazzo, deciso. “Anzi, ci vado adesso, subito.”
Subito, certo,
prima di perdere il coraggio di farlo, pensò Antonio, uscendo dalla stanza e
dimostrando che, dopo tutto, le sue facoltà mentali erano ancora piuttosto
intatte. Aveva paura che Jacopo non l’avrebbe presa per niente bene e in tutta
onestà non era così fiducioso come voleva sembrare. Eppure sapeva che avrebbe
dovuto convincerlo a vedere il lato positivo della questione: una guerra tra
Medici e Pazzi era da evitare a qualsiasi costo!
Quando
Antonio arrivò alla Banca Pazzi, Jacopo aveva ricevuto da poco i conti papali
ed era insieme ai suoi impiegati per controllarli e ricontrollarli per la
decimillesima volta. Ad ogni nuovo controllo sperava di trovare qualcosa che,
magari, gli era sfuggito in tutti gli altri… Eh, no, i profitti per l’allume
non c’erano. In qualche modo Lorenzo era riuscito a separarli e alla sua Banca
sarebbero toccati solo i conti di Papa Sisto.
“Ecco,
è così che lavorano i Medici” disse l’uomo, in tono amaro, rivolto ai suoi
impiegati. “E’ questo che fanno.”
Gli
impiegati, uno dopo l’altro, cercarono di allontanarsi discretamente, temendo
che il banchiere se la sarebbe potuta prendere con loro. E proprio in
quell’istante, con un tempismo perfetto, entrò Antonio, con un’aria che voleva
sembrare ottimistica e allegra.
“Messer
Pazzi, avete ricevuto i conti papali?”
“A
te cosa sembra?” ribatté l’uomo, tagliente, indicando con una smorfia schifata
i documenti sparsi sulla scrivania davanti a sé. “Il tuo amico Lorenzo mi ha
giocato proprio un bel tiro, avrei dovuto aspettarmelo!”
“Ma
cosa doveva fare, Messer Pazzi, lasciare che la sua famiglia andasse in
rovina?” obiettò Antonio, con una logica stringente. “Voi non avreste fatto la
stessa cosa?”
“Io
avrei fatto anche di peggio, ragazzino” si lasciò scappare Jacopo, che in quel
momento era poco lucido. “Questo dimostra quanto siano falsi e ipocriti quelli
che tu chiami amici. E io dovrei
collaborare con loro? Che vadano all’inferno, non avrò pace finché non li avrò
schiacciati completamente!”
“Invece,
se voi aveste collaborato, rifiutando il prestito al Papa, tutto questo non
sarebbe accaduto” osò ribattere il giovane Orsini, che non sapeva nemmeno da
dove gli venisse tanta audacia. “Comunque le cose ormai sono andate così e voi
dovreste vedere il lato positivo, il fatto che i conti papali adesso sono
affidati alla vostra Banca e…”
Non
poté terminare la frase. Jacopo Pazzi, già nervoso di suo e sentendosi
provocato, lo colpì con un ceffone che quasi lo rovesciò per terra.
“Vuoi
anche prendermi in giro dopo che il tuo caro Lorenzo mi ha truffato?” gli urlò
contro.
Ripresosi
a fatica, ma radunando dentro di sé tutte le forze e l’orgoglio che gli
derivava dalla nobile famiglia Orsini da cui, non per niente, discendeva,
Antonio ingoiò la delusione, il dolore e le lacrime. Si piazzò davanti a Jacopo
e gli piantò in faccia uno sguardo adamantino.
“Non
sono qui per prendermi gioco di voi né tanto meno mi compiaccio del fatto che
possiate essere stato danneggiato, Messer Pazzi” disse, cercando di mantenere
la voce ferma. “Però questa cosa l’avete iniziata voi concedendo il prestito al
Papa e io ho soltanto cercato di mostrarvi che, in fin dei conti, sarebbe
potuta andarvi anche peggio. Sto facendo di tutto, da più di un anno, per mettere
pace e armonia tra le vostre famiglie e per farvi capire che voi stesso ci
guadagnereste sotto ogni aspetto. Però, la sapete una cosa? Mi sto rendendo
conto che non si può salvare qualcuno che non
vuole essere salvato. Vi auguro una buona giornata, Messer Pazzi.”
Detto
questo, Antonio girò sui tacchi e uscì dalla Banca a passo fermo, a testa alta,
ostentando una grande dignità di cui non sentiva nemmeno l’ombra.
Jacopo
Pazzi restò assolutamente disarmato.
Perché
se l’era presa con Antonio, che era l’unico che aveva dimostrato di
interessarsi davvero a lui, di volerlo aiutare?
Antonio
gli era stato sempre vicino, aveva cercato di fargli vedere le cose sotto un
altro punto di vista, di migliorare in qualche modo la sua vita, seppure
ingenuamente.
Doveva
riconoscere che, da quando c’era Antonio, lui si sentiva meglio, più rilassato,
più sereno.
E
adesso aveva allontanato anche lui, gli aveva fatto del male, aveva rovinato
tutto… com’era bravo a rovinare le cose lui non lo era nessuno!
Aveva
perso Guglielmo, poi Francesco… poteva veramente permettersi di perdere anche
Antonio?
Lorenzo
lo aveva truffato con l’allume e non poteva farci niente, ma se fosse rimasto
completamente solo avrebbe perso ben altro che l’allume.
Lorenzo,
che si trovava nell’atrio del suo palazzo in attesa che la sorella Bianca desse
alla luce il suo bambino, vide passare Antonio quasi di corsa, con lo sguardo
fisso, puntando dritto verso il piano superiore dove si trovava la sua camera.
L’atteggiamento del giovane fece subito capire quanto fosse andata male a
Palazzo Pazzi… cercò di intercettarlo e, alla fine, riuscì a fermarlo
prendendolo per un braccio. Antonio si voltò verso di lui, stranito come se si
fosse accorto solo allora della sua presenza, e Lorenzo vide che aveva gli
occhi gonfi di lacrime trattenute a stento e un vistoso segno rosso sulla
guancia.
“Cosa
ti è successo? Jacopo Pazzi ha osato metterti le mani addosso?” esclamò, scandalizzato.
“Non
è niente, ma avevi ragione tu, Lorenzo, e io ero soltanto un illuso, uno
stupido ragazzino che credeva ancora alle favole” rispose Antonio, cupo.
“Mi
dispiace, Antonio, io… non credo che tu sia uno stupido, comunque” replicò
Lorenzo. La batosta per il suo amico era giunta, ma forse era stata più aspra
di quanto sarebbe dovuta essere… “Anch’io continuo a credere alla possibilità
di pace e armonia tra le nostre famiglie e, grazie a te, ci stiamo veramente
riuscendo. Se Francesco e Novella sono ancora insieme lo devono a te, non
dimenticare il bene che hai fatto, non arrenderti, non smettere di crederci. E’
questa la tua forza.”
“Sì,
certo” mormorò il ragazzo, con voce spenta. “Bianca sta bene? Il bambino è
nato?”
“Non
ancora, ma la levatrice e le donne della famiglia sono tutte con lei. Guglielmo
è fuori dalla porta e Francesco cerca inutilmente di calmarlo” disse Lorenzo,
comprendendo il desiderio dell’amico di cambiare argomento.
“Vedrai
che andrà tutto bene” affermò Antonio, sforzandosi di sorridere. “Vado nella
mia stanza, fammi sapere quando il bambino sarà nato.”
“Naturalmente”
promise Lorenzo, rimanendo poi a guardare l’amico che saliva le scale.
Era
strano: da un lato pensava che fosse meglio per Antonio sapere la verità su
Jacopo Pazzi, dall’altro, però, vedere il giovane così spento, disilluso, senza
più la luce e il sorriso che lo contraddistinguevano, gli faceva male.
Pochi
minuti più tardi, le voci emozionate di Giuliano e Francesco lo riscossero dai
suoi pensieri.
“Lorenzo,
vieni, presto!”
“E’
nata, è una bambina. Lei e Bianca stanno bene e mio fratello sta quasi
impazzendo di gioia!”
Una
bella notizia, finalmente. Lorenzo salì in fretta le scale per andare a
conoscere la sua nipotina e, passando davanti alla stanza di Antonio, si fermò
e bussò.
“Antonio,
Bianca ha avuto una bambina, stanno bene tutte e due. Vuoi venire a vederla?”
domandò.
“Ti
ringrazio, arrivo tra poco, tu raggiungi tua sorella” la voce di Antonio era
così spenta che faceva pena sentirla.
Nella
stanza di Bianca c’era un’atmosfera gioiosa: Guglielmo stringeva tra le braccia
la moglie e guardava incantato la figlioletta appena nata, Madonna Lucrezia e
Clarice apparivano commosse e felici, Giuliano fingeva di stare in disparte ma
sorrideva soddisfatto, Novella e Francesco si tenevano per mano e il giovane accarezzava
con delicatezza il ventre della moglie, pensando a quando sarebbe finalmente
toccato a lui tenere in braccio il suo bambino. Lorenzo rimase per un attimo a
guardare quel quadretto di felicità, pensando a quanto sarebbe stato bello
poter fermare il tempo in quel momento, quando tutti erano così pieni di gioia.
Poi Lucrezia prese la bambina in braccio e andò verso di lui.
“Lorenzo,
vieni a conoscere la tua nipotina” disse, sorridendo.
Poco
più tardi, anche Antonio raggiunse gli altri nella stanza di Bianca, per
conoscere la bambina a cui sarebbe stato dato il nome di Giovanna. Tutti
notarono che non era il solito Antonio e capirono che qualcosa doveva essere
andato parecchio storto a Palazzo Pazzi, ma per rispetto del giovane non
dissero nulla e lasciarono che fosse l’atmosfera felice a distrarlo un po’.
Era
ormai pomeriggio inoltrato quando Lorenzo, trovandosi a passare nell’atrio del
palazzo, si ritrovò Jacopo Pazzi sulla soglia.
Se
ci avesse trovato il Papa in persona sarebbe rimasto meno stupito.
“Messer
Jacopo” disse, molto sorpreso. “Siete venuto per vedere vostra nipote?”
“E’
una bambina, dunque” commentò l’uomo. Per un attimo un’ombra gli passò negli
occhi, il ricordo della figlia che era morta ancor prima di vedere la luce…
“Sì, magari dopo passerò a vederla. Adesso, però, vorrei parlare con Antonio.”
Non avete già
fatto abbastanza male a quel povero ragazzo?, avrebbe voluto rispondere Lorenzo.
Ma quell’ombra negli occhi di Jacopo l’aveva vista anche lui e, per la prima
volta, gli venne fatto di pensare che, forse, Antonio non aveva tutti i torti a
voler vedere un briciolo di umanità in quell’uomo.
“Forse
Antonio non vuole vedervi, ci avete pensato?”
“Nel
caso, vorrei che me lo dicesse lui stesso” replicò Jacopo. “Chiedo solo
l’occasione per spiegarmi con lui.”
Lorenzo
esitava, non poteva veramente fidarsi di Jacopo Pazzi… ma, a ben pensarci, era
venuto lui alla sua porta e adesso gli stava chiedendo di poter vedere Antonio:
doveva essere stata dura, per il suo orgoglio. Forse poteva anche concedergli
una possibilità e poi, in fin dei conti, un buon rapporto tra Antonio e Jacopo
favoriva anche la famiglia. Era stato proprio grazie ad Antonio se Francesco e
Novella si erano potuti spiegare, no? Così il giovane Medici prese la sua
decisione.
“Va
bene, Messer Jacopo, potete accomodarvi nel salone e io andrò a chiamare
Antonio” disse, facendo cenno all’uomo di entrare.
Salendo
le scale, diretto alla camera di Antonio, Lorenzo sentiva un vago senso di
colpa e la spiacevole sensazione di stare nuovamente vendendo il suo amico per il bene della sua famiglia…
Però,
in fondo, anche Antonio non era più lo stesso e, probabilmente, riconciliarsi
con Jacopo avrebbe fatto bene anche a lui.
O
almeno così si ripeté Lorenzo per tacitarsi la coscienza!
Fine capitolo
ottavo