Capitolo nono
I know the whispers they hurt
sometimes
They swell and fracture my vital light
But can't you see the sanity in my
epiphany
Let me cure these blackened hearts
Let me show you one last time
Let me show you one last sign
(“Renaissance” – Skin)
Quando Antonio entrò nel salone, Jacopo Pazzi era già seduto
e lo stava aspettando, convinto che non si sarebbe rifiutato di incontrarlo
nonostante ciò che era successo. Vabbè, tanta fiducia in se stessi è da
ammirare, no?
Antonio, invece, non era altrettanto convinto e Lorenzo aveva
dovuto insistere un po’ per incoraggiarlo a scendere, ricordandogli quanto era
stato prezioso il suo aiuto, quante volte era potuto intervenire a fermare o
perlomeno a mitigare le trame di Pazzi e, insomma, quanto bene stesse facendo
alla sua famiglia e a tutta Firenze. Argomenti piuttosto importanti, che
avevano spinto il ragazzo a farsi forza e ad affrontare un colloquio che non
avrebbe voluto. Almeno, non così presto!
Jacopo, che si comportava come se fosse a casa sua (e magari
lo pensava anche), gli indicò la sedia di fronte alla sua.
“Mi fa piacere che tu abbia accettato di parlarmi, Antonio.
Siediti, ci sono molte cose che devo spiegarti” disse.
Antonio si sedette in automatico.
“Immagino tu abbia capito che non avevo davvero intenzione di
farti del male e di prendermela con te” riprese. “In tutti questi mesi mi sei
stato sempre vicino, ti sei preoccupato per me in modi che non mi sarei mai
aspettato, nessuno ha mai fatto per me quello che hai fatto tu. Dici sempre che
vuoi il mio bene, che vuoi aiutarmi. Forse qualche volta le nostre visioni non
collimano, ma a te non posso rimproverare niente, non a te. Ti impegni sempre
per fare quello che pensi sia meglio per me e anche oggi hai fatto così: non
potevi cambiare quello che hanno fatto i Medici con i profitti per l’allume e
hai fatto la sola cosa che potevi, hai cercato di rasserenarmi, di farmi vedere
il lato positivo della cosa.”
Il giovane Orsini rimase in silenzio e, del resto, non è che
Jacopo si aspettava che parlasse: parlava già lui abbastanza per tutti e due.
“Io ero in collera con Lorenzo e mi sono sfogato su di te che
eri venuto solo per tirarmi su di morale. Ho sbagliato, me ne rendo conto, non
sono abituato a qualcuno che sia gentile con me senza secondi fini, nessuno si
preoccupa mai per me e, quindi, il mio primo pensiero è stato che tu mi stessi
provocando. Ma, se ci avessi pensato su anche pochi istanti, avrei dovuto
capire che non era così, che tu sei sempre sincero e cerchi di fare la cosa
giusta. Ho agito d’impulso e mi dispiace, ti chiedo scusa, non ho riflettuto e
così ho ferito l’unica persona al mondo che tiene veramente a me. Farò in modo
che non accada più, anche se so che non è facile avere a che fare con una
persona come me. So di avere un carattere difficile” ammise, con una
sorprendente faccia tosta, “ed è per questo che i miei nipoti si sono
allontanati da me, so che è stata solo colpa mia. Ma, se ho perso i miei
nipoti, non voglio perdere anche te.”
Alcuni giorni prima, Jacopo aveva tentato un discorso del
genere anche con Francesco, del tipo so
di avere sbagliato, è solo colpa mia se ti ho allontanato…, ma col nipote
non aveva avuto successo.
Antonio, però, non era Francesco e Pazzi contava proprio su
questo.
“Ti sto chiedendo soltanto di perdonarmi e di essere quello
di prima con me” disse, lo sfacciato. “La tua compagnia mi fa davvero bene e,
se mai ci fosse qualcuno al mondo capace di farmi considerare l’ipotesi di dare
una possibilità ai Medici, questo sei tu, Antonio. Pensi di poterlo fare?
Desideri ancora aiutarmi e cercare il mio bene, anche se forse non me lo
merito?”
“Per me non è cambiato niente” riuscì a rispondere il giovane
che, se mostrava di essere acuto e sveglio su molte cose, quando si trattava di
Jacopo Pazzi perdeva improvvisamente ogni buon senso. “Io voglio ancora e
sempre il vostro bene, la pace e l’armonia tra voi e la famiglia Medici e… e il
bene di Firenze!”
Questa cosa la disse perché gliel’aveva messa in testa
Lorenzo, ma tant’era. Jacopo si ritenne soddisfatto, considerò chiusa la
questione e, tagliando corto sulla parte delle scuse, aggranfò Antonio per un
braccio e per i capelli, se lo tirò addosso e lo baciò.
Sì, gli era mancata anche quella
parte e non aveva nessuna intenzione di rinunciarci.
Dopo esserselo baciato ben bene e aver risolto ogni questione
in sospeso, almeno a suo parere, tirò fuori un altro argomento che, immaginava,
avrebbe conquistato talmente Antonio da convincerlo a tornare in tutto e per
tutto quello di prima.
“Tu sei arrivato lo scorso anno a Firenze, quindi non hai
fatto in tempo a trascorrere la Pasqua qui e a vedere lo scoppio del carro, non
è così?”
Antonio non aveva idea di che cosa Jacopo stesse parlando!
“E’ un’antica tradizione di Firenze, particolarmente legata
alla mia famiglia” spiegò Jacopo, soddisfatto nel notare la luce di interesse e
curiosità che si accendeva nello sguardo del ragazzo. “Ovviamente alla
processione e alla celebrazione della Messa parteciperanno anche i Medici e tu
potresti benissimo andare con loro, però… se vieni con me sarai in prima fila,
subito dietro il carro, al posto d’onore che spetta alla mia famiglia che ormai
da secoli organizza questa celebrazione.”
Vogliamo fermarci per un applauso? Jacopo Pazzi aveva giocato
la carta più importante, sapendo benissimo che a un’offerta del genere Antonio
non avrebbe potuto resistere…
“Io… scusatemi, Messer Pazzi, ma non ho capito molto bene a
cosa vi stiate riferendo” obiettò il giovane Orsini, tuttavia già completamente
conquistato.
“Il mio antenato e capostipite della famiglia, Pazzino de’
Pazzi, partecipò alla crociata al seguito di Goffredo di Buglione e fu il primo
a scalare le mura di Gerusalemme e a piantare il vessillo dei crociati. Come
ricompensa, Goffredo di Buglione in persona gli donò tre piccole pietre del
Sepolcro di Cristo” continuò Jacopo, compiaciuto nel notare che gli occhi di
Antonio si sgranavano ancora di più e che il ragazzo si agitava come se avesse
intenzione di chiedergli un autografo o qualcosa del genere. “Il valoroso
capitano fu accolto a Firenze con grandi onori e, da allora, le tre pietre sono
state usate per creare la scintilla con cui accendere il cero pasquale e il
fuoco santo. Nei primi tempi, i giovani di Firenze si recavano ogni Sabato
Santo nella Cattedrale per accendere delle piccole torce con cui, poi,
distribuivano il fuoco santo a tutte le famiglie fiorentine; in seguito, alla
fine del secolo scorso, è stata introdotta l’usanza del carro trainato da buoi
e riempito di fuochi artificiali per consegnare simbolicamente il fuoco sacro a
tutta Firenze in modo più spettacolare. L’organizzazione del carro e di tutta
la cerimonia è da sempre un privilegio della famiglia Pazzi ed è per questo che
noi occupiamo il posto d’onore durante la processione, acclamati da tutta la
folla dei fiorentini. Mi farebbe piacere se partecipassi a questa celebrazione
accanto a me.”
Antonio, vinto dall’emozione, si fece tutto rosso e la voce
gli si spezzò.
“Ma io… non credo che si possa… non faccio parte della vostra
famiglia…” mormorò.
“Certo che si può, se lo decido io. Per me tu fai parte della
mia famiglia quanto e forse più dei miei stessi nipoti” replicò pronto Jacopo,
che, a quanto pareva, univa e scioglieva i legami familiari con la stessa
disinvoltura con cui si respira! In quei giorni essere o meno un Pazzi
dipendeva chiaramente dalla disposizione d’animo del capofamiglia… “Allora, che
cosa mi rispondi?”
“Io… ma certo che accetto, anzi, mi fate un onore che non
merito, io…” Antonio era nella più totale confusione, il che era esattamente
quello che Jacopo si era aspettato.
“Lo meriti più di molti altri” ribatté l’uomo, senza
specificare chi fossero questi altri,
ma si poteva immaginare. Si alzò dalla sedia, contento della perfetta riuscita
della sua missione, circondò le
spalle di Antonio con un braccio e se lo portò fuori dalla stanza.
Appena usciti dal salone, si imbatterono in Lorenzo che,
chiaramente, era rimasto in attesa dell’esito del colloquio, non sapendo
nemmeno lui che cosa sperare.
“Messer Lorenzo, grazie per avermi concesso di parlare con
Antonio” disse Jacopo. Beh, ora che aveva ottenuto ciò che voleva, poteva pure
permettersi di fare il generoso… “Il colloquio è stato molto utile, ci siamo
chiariti e adesso il giovane Orsini tornerà a palazzo con me. La prossima
domenica parteciperà alle celebrazioni della Pasqua insieme alla mia famiglia,
visto che ormai lo considero a tutti gli effetti un Pazzi.”
Allibito, Lorenzo avrebbe voluto domandare in che modo,
esattamente, Antonio era diventato un membro della famiglia Pazzi, ma poi pensò
che, in realtà, non voleva affatto saperlo. Tuttavia la cosa non gli
dispiaceva, perché sarebbe stato comodo avere un amico infiltrato a Palazzo Pazzi e sapeva di poter contare sull’assoluta
lealtà di Antonio… verso entrambe le famiglie.
“Lorenzo, ma tu lo sapevi che il capostipite della famiglia
di Messer Pazzi era un valoroso cavaliere che ha partecipato alla crociata di Goffredo
di Buglione?” gli chiese Antonio, con la stessa espressione sognante di un
bambino di fronte al suo campione preferito.
“Eh, lo sapevo, sì. Messer Jacopo non perde occasione per
raccontare questa storia a tutti quelli che incontra per far capire quanto
antica e nobile sia la sua famiglia. Dovrei averla sentita come minimo una
decina di volte, non è così, Messere?” ironizzò Lorenzo.
“Io invece non sapevo niente di questa storia né del
coraggioso nobile crociato” riprese Antonio, senza notare il sarcasmo
dell’amico. “E tu, Lorenzo? Anche i tuoi antenati hanno partecipato alle
crociate?”
“Gli antenati di Lorenzo erano dei vassalli di feudatari del
contado del Mugello” si affrettò a spiegare con molto compiacimento Jacopo
Pazzi, “e in seguito si sono arricchiti con il commercio della lana, per cui
dubito fortemente che qualcuno di loro abbia preso parte a una crociata, se
non, caso mai, nella fanteria…”
Era chiaro che aveva aspettato solo il momento giusto per
dirlo! Antonio, tuttavia, non diede tanto peso a questa precisazione, tanto era
incantato all’idea delle celebrazioni pasquali di Firenze.
“Molto bene, adesso che è tutto sistemato direi che è ora di
tornare a palazzo” tagliò corto Jacopo.
“Certo, Messer Pazzi, ma… non sapete che Bianca ha avuto una
bambina? Volete vederla, prima di tornare a palazzo? E’ la vostra nipotina, in
fondo” gli rammentò il giovane Orsini, preso dall’entusiasmo di questa nascita
che univa le due famiglie.
“Volentieri, se questo non è di disturbo a Madonna Bianca”
come dicevo, l’uomo aveva già avuto quello che si era prefissato e adesso
poteva permettersi anche il lusso di strafare.
“Al contrario, sarà un piacere per mia sorella… e per vostro
nipote Guglielmo” sottolineò Lorenzo, facendo strada verso il piano superiore.
“Se volete seguirmi, Messer Jacopo…”
E fu così che, in mezzo a quell’incredibile giornata, ci fu
anche la visita di Jacopo Pazzi alla piccola discendente della sua famiglia,
per quanto lui continuasse a considerarla una
Medici…
“Zio, non sapete quanto mi faccia piacere vedervi qui!”
esclamò Guglielmo, felice, andando incontro a Jacopo con la piccola Giovanna in
braccio.
“Grazie di essere venuto, Messer Jacopo” disse Bianca,
sorridendo seduta sul letto. “Siamo molto lieti di potervi presentare nostra
figlia… vostra nipote.”
“E’ una gioia anche per me” replicò Jacopo, che ancora una
volta sembrò mostrare un briciolo di umanità nel sorriso quasi imbarazzato che
rivolse alla neonata. In fondo, checché ne volesse pensare lui, quella
piccolina era davvero la sua nipotina, sangue del suo sangue, un batuffolino
rosa come la bambina che non aveva mai potuto conoscere. Pensando a tutto
questo, Antonio per poco non si commosse: aveva già dimenticato la brutta
avventura di quel pomeriggio!
“Congratulazioni, avete una bambina bellissima” disse poi
Jacopo, che cominciava a sentirsi un po’ troppo coinvolto per i suoi gusti. “E…
ecco, Guglielmo, volevo approfittare dell’occasione per… per chiederti scusa
per il mio comportamento e per invitarti a partecipare alla processione rituale
di domenica insieme alla famiglia, come hai sempre fatto. Tu e Francesco,
ovviamente.”
Guglielmo si illuminò.
“Non immaginate nemmeno quanto questa vostra offerta mi renda
felice, zio” rispose, pensando che probabilmente la sua bambina aveva appena
operato un miracolo. “Quindi mi riaccogliete in famiglia? Sono di nuovo un
Pazzi?”
Jacopo annuì. Bene, quel giorno aveva proprio deciso di
strafare…
Antonio brillava di luce propria. I suoi desideri stavano
forse per realizzarsi proprio quando pareva che non ci credesse più nemmeno
lui?
Infine, dopo qualche altra cerimonia, Jacopo si riprese
Antonio e se lo riportò a Palazzo Pazzi, che era quello che voleva fare fin
dall’inizio.
Alla fine poteva dirsi soddisfatto di quello che aveva
ottenuto: va bene, aveva perso i profitti dell’allume che erano rimasti ai
Medici, ma aveva fatto bella figura con i nipoti (non dimenticava che, secondo
Salviati, per Papa Sisto era molto importante affidare i suoi conti ad una
Banca che garantisse una discendenza… e riconquistare Guglielmo e Francesco
poteva essere più facile del previsto, senza nemmeno dover tramare qualche
intrigo!), aveva ostentato benevolenza verso la famiglia Medici e, cosa più importante,
si era riguadagnato totalmente la fiducia e l’appoggio di Antonio,
completamente affascinato dalla storia della famiglia Pazzi.
E, in tutto ciò, lui non aveva dovuto concedere niente.
Sì, era stato proprio bravo e, quella sera, si sarebbe concesso
una bella ricompensa grazie… ad Antonio!
Fine
capitolo nono