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Autore: jarmione    08/02/2019    2 recensioni
Immaginatevi se le dodici fatiche di Asterix le compissero i Dalton.
Cosa accadrebbe? Ci riuscirebbero?
Ed Evelyn? sarà di aiuto ai fratelli in queste dodici fatiche, o Joe la considererà la solita palla al piede? (da cui, si sa, non riesce a staccarsi alla fine)
ATTENZIONE: OOC - AU - CROSSOVER - WHAT IF?
Genere: Avventura, Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Dalton ed Evelyn'
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ATTENZIONE!: Messaggio per i lettori che non hanno mai letto la mia prima storia sui Dalton.
Evelyn è la sorella ADOTTIVA dei Dalton e, perciò, se lei e Jack fanno “cose” è normale! Non è incesto, altrimenti lo scrivevo nelle note.
 
Mi auguro, comunque, che la lettura sia ancora piacevole nonostante questa incomprensione.
Alla prossima!
 
 
 
Il mattino seguente il sole splendeva alto nel cielo e gli uccellini cinguettavano allegri.
Le nuvole nere, che la sera prima avevano coperto le stelle e la luna, erano scomparse così come i fantasmi dei legionari romani.
William fu il primo a svegliarsi e respirò a pieni polmoni l’aria fresca della vallata.
Nonostante lo spavento preso la sera prima, si sentiva riposato e pronto per affrontare la loro ultima prova.
Chissà in che cosa consisteva.
Si guardò attorno, accorgendosi solo in quel momento che accanto alle tende vi erano cibarie adatte alla colazione.
Approfittò dell’assenza di Averell per mangiare una mela rossa e succosa, gustandola a pieno.
Poco dopo, Jack uscì dalla tenda che era stata riservata per Evelyn.
Anche lui era ben riposato e carico per affrontare l’ultima prova; sorrideva ed aveva un non so che di soddisfatto.
“Buongiorno, fratello” salutò William.
“Buongiorno” rispose Jack, notando le cibarie e prendendo anche lui qualcosa da mangiare.
William sorrise e notò l’ultimo bottone della camicia slacciato.
Sorrise sotto i baffi “Allora?” domandò.
“Allora cosa?” chiese Jack in risposta.
“Non hai niente da dirmi?”
Jack lo guardo confuso e William iniziò a scimmiottarlo “Grazie, fratello, per avermi consigliato di stare con Evelyn, oh se non ci fossi tu a consigliarmi e farmi notare il bottone slacciato”
Jack sgranò gli occhi e divenne rosso come un peperone, abbottonandosi velocemente la camicia e facendo ridere William.
“Tranquillo, non lo dico a nessuno” gli disse quest’ultimo ammiccando.
“Ehm…” Jack tentò di cambiare argomento “bella giornata, vero?”
“Decisamente” convenne William “e mi sento pronto per affrontare la prossima prova. Chissà in cosa consisterà?”
“Questo lo so io” Evelyn uscì dalla tenda e guardò i fratelli con sguardo colpevole “devo confessarvi una cosa”
Iniziare la mattina in quel modo non era ciò che aveva in mente, ma non riusciva a tenerselo dentro più a lungo.
Le prove eseguite fino a quel momento erano state molto difficili ed anche assurde; in svariate occasioni, Evelyn aveva temuto per la vita dei fratelli, soprattutto per Jack.
Visti gli ultimi sviluppi e dopo la notte appena passata, ritenne opportuno liberarsi di ogni peso che le opprimeva la coscienza.
Confessò ai gemelli di aver sempre saputo l’ordine delle prove che avrebbero dovuto affrontare e disse loro che cosa li stava aspettando.
Premise, ovviamente, di non essere mai stata al corrente di come sarebbero andate e nemmeno di chi e come le avrebbero eseguite.
I gemelli ascoltarono attentamente: all’inizio erano un po’ confusi, ma poi sorrisero.
Non le fecero una colpa; sapere qualcosa in anticipo non gioca sempre a favore in quanto, a causa della conoscenza, si può rischiare di prendere sotto gamba le situazioni da affrontare.
Non per niente Jack e William lo avevano capito troppo tardi ed infatti si erano ritrovati in un penitenziario.
William, dopo poco, sospirò “Ho sentito dire che gli scontri nelle arene di Roma sono molto sanguinari.” Disse “Per me, c’è sotto una fregatura”
“Fino ad ora non si era notato” aggiunse con tono sarcastico Evelyn, prendendo un frutto ed iniziando a mangiarlo.
Essendo quest’ultimo lievemente acerbo, nell’addentarlo fece uno scrocchio molto sonoro e, di conseguenza, dalla tenda di Joe ed Averell spuntò il più alto.
“È ora di colazioneee!” esclamò a gran voce, facendo sobbalzare i fratelli e fiondandosi sulle cibarie come se non mangiasse da giorni.
In effetti, non ci andava tanto lontano: si resero conto solo in quel momento che, da quando erano scesi dalla nave, Averell aveva mangiato solamente quattro volte in due giorni e, come ben sapevano, per lui mangiare così poco significava morire di fame.
Infatti le cibarie vennero spazzate via in men che non si dica.
“Cosa diavolo è tutto questo baccano!?” sbottò Joe uscendo dalla tenda e notando i resti e le briciole delle cibarie, che Averell decise di inghiottire per non sprecarle “hai fatto tutto questo baccano per del cibo!? Razza di imbecille senza fondo!” gli urlò contro e poi, all’improvviso, si bloccò e sembrò aver realizzato qualcosa “Cibo?” domandò rivolto più a se stesso che agli altri “da dove spunta questo cibo?”
Evelyn, Jack e William alzarono le spalle “L’abbiamo trovato appena svegli, Joe”
Joe digrignò i denti e sbuffò “Comunque, non è rimasto più niente e per la fame che ho mi sta anche bene” concluse “forza, muoviamoci, prima finiamo quest’ultima prova e meglio è”
Evelyn sbuffò “Sempre scorbutico è al mattino”
“Non sono scorbutico!” ribatté Joe, che aveva sentito.
Si incamminarono verso le mura imponenti che circondavano Roma.
Il portone che li avrebbe condotti all’interno della città si faceva sempre più vicino e l’ansia, mista alla paura, dei cinque fratelli aumentava di conseguenza.
Quando furono abbastanza vicini il portone si aprì e spuntò Caius Pupus che, nel vederli, sembrò essere sorpreso.
“Stavo giusto venendo a chiamarvi” disse “volevo vedere se eravate sopravvissuti alla notte” la sua voce sembrò interrompersi per un risolino e lo videro scrivere sulla tavoletta.
William sibilò scaramanticamente “Menagramo di un menagramo”.
Evelyn si avvicinò a Jack e si aggrappò al suo braccio rivolgendosi, poi, a Caius Pupus “Grazie, signor Pupus per le cibarie che ci ha lasciato”
Era stupida come frase ma era anche giusta.
Caius Pupus era giunto fino a lì insieme a loro, li aveva attesi e, anche se alla sua maniera, li aveva sempre sostenuti.
L’uomo, sentendo che quei ringraziamenti erano sinceri, sorrise appena “Mi fa piacere” rispose “ma non ho lasciato io il cibo accanto alle vostre tende.” confessò, cambiando subito discorso e lasciando i fratelli sulle spine “Forza, seguitemi, vi aspetta l’ultima prova” e rientrò in città.
Evelyn assunse uno sguardo interrogativo “E allora chi sarà stato?”
“Non ne ho la più pallida idea” rispose William e, dopo che la sorella fu entrata nella città, sorrise…un sorriso soddisfatto quasi quanto quello di Jack dopo una bella serata.
Una volta entrati tutti, non ebbero tempo di guardarsi attorno.
Nel giro di pochi istanti vennero travolti da un’orda di persone che li prendeva e li stringeva acclamandoli; Evelyn veniva abbracciata a baciata da tutti specialmente da… “Signorina Betty!?” disse accorgendosi della donna, che la stringeva e piangeva dalla commozione.
“Oh, Evelyn, mi sei mancata così tanto, sentivamo tutti la tua mancanza ed io stavo così in pensiero!”
Evelyn avrebbe evitato volentieri di sentire la voce stridula della donna ed avrebbe evitato anche di vederla, ma in quel momento non le importò.
Ammise che era la visione più bella avuta in quegli ultimi giorni.
Decise di ricambiare la stretta.
“Che diavolo ci fate voi qui?” domandò Joe, sorpreso di ritrovare l’intero penitenziario a Roma “Come avete fatto ad arrivare?”
“Vedi, Joe...” Peabody si avvicinò a Joe Dalton con le braccia dietro alla schiena ed un sorriso compiaciuto in faccia, Pit ed Emmet già ridacchiavano e facevano scommesse “…se non foste stati troppo intenti a voler partire, avreste ascoltato quando vi ho detto che per l’ultima prova ci saremmo stati anche noi”
 
Joe ed i fratelli stavano percorrendo avanti e indietro il corridoio del penitenziario, armeggiando oggetti vari e diversi tra cui un totem indiano che Averell voleva a tutti i costi portare con sé.
Peabody li osservava con le braccia incrociate e lo sguardo scocciato.
“E’ inutile che prepariate i bagagli” disse, anche se nessuno lo stava ascoltando “tanto potrete portare solo quello che indossate e basta. Inoltre vi rammento che per l’ultima prova saremo tutti insieme! Collaboritudine, fratelli Dalton, collaboritudine”
 
Joe rimase di sasso.
Peabody aveva ragione…non l’avevano proprio ascoltato.
“Mica lasciamo il divertimento solo a voi!” esclamò Stinky Bill dal fondo del gruppo.
“Ha ragione!” aggiunse Ugly Bob “anche noi vogliamo divertirci e poi…” si guardò gli abiti “…era da dieci anni e ventisette giorni che non indossavo dei vestiti civili”
“Tanto avremo noi lo sconto di pena” ribattè Joe “mica voi!”
Stinky Bill si avvicinò pericolosamente a Joe e i due si ritrovarono faccia a faccia con sguardi rabbiosi.
“E questa dovrebbe essere una scusante per non farci divertire?” sbottò l’energumeno.
“Chiudi quella bocca, ti puzza il fiato!”
“Stinky Bill attaccherà per primo” mormorò Pit.
“Io dico Joe.” ribattè Emmet “Vuoi scommettere?”
“Cinque dollari!” rispose Pit
“Basta! Smettetela voi due!” esclamò la signorina Betty, mettendosi in mezzo alle due guardie “non si scommette sui detenuti!” poi si avvicinò a Joe e Stinky Bill con un sorriso smagliante “Allora, miei cari, non dovete litigare così.” Si rivolse a Joe “Joe, siamo qui per darvi una mano e poi è un ottimo modo per stare tutti insieme”
Joe non osò ribattere e, con un suono gutturale, si voltò avvicinandosi ai fratelli.
Evelyn lo guardò infastidita “Scusami, Joe, perché quando ti parlo io mi urli contro e quando lo fa lei non dici nulla?”
Joe la guardò torvo “Che razza di domande sono!?” chiese “Lei è una signora, ecco perché!”
Evelyn sbuffò “Ti faccio notare che anche io sono una signora”
“No! Tu non sei una signora!” esclamò Joe “tu sei una sorella e basta!” e la superò.
“Ti faccio vedere io, se sono una signora” borbottò Evelyn, incrociando le braccia e mettendo il broncio.
Poco dopo si udì un tonfo e tutti videro Joe steso per terra.
Aveva inciampato su Rantanplan.
–Questa deve essere l’ape regina– disse il cane con il fianco dolorante –punge più delle altre–
“Chi è quell’idiota che ha deciso di portare questo stramaledetto cane!?”
“Io” rispose Peabody “e un’altra mancanza di rispettitudine come questa e ti riserverò la cella di isolamento quando torneremo al penitenziario!”
“Se ci torneremo” mormorò Joe, iniziando a ridacchiare sotto i baffi.
Nel frattempo, Averell si era avvicinato a Rantanplan e lo aveva abbracciato forte “Mi sei mancato tanto, Rantanplan”
“Averell! Metti giù quella bestiaccia!” sbottò Joe, prendendo Rantanplan dalla coda e tirandogli un calcio “abbiamo altro a cui pensare!”
“Fratelli Dalton” Caius Pupus apparve dal fondo “seguitemi per favore”
“Ci vediamo dopo!” cinguettò la signorina Betty, che sospirò ed incrociò le mani in preghiera “dovrà partecipare anche Evelyn?” domandò “le arene romane sono famose per gli spettacoli sanguinari”
“Stia tranquilla, signorina Betty, Evelyn Dalton sa il fatto suo e non si farà mettere i piedi in testa” replicò Peabody.
“Speriamo” concluse lei.
Intanto, i fratelli seguivano Caius Pupus e si diressero verso un’arena di forma ovale.
“È enorme” commentò Jack, voltandosi verso William “tu che sei esperto, che arena è?”
William sorrise con aria saputa “Quello è il Colosseo…” rispose “…l’anfiteatro di Roma, ed è in grado di contenere un numero di spettatori stimato tra 50.000 e 75.000 e inoltre…”
“Sta zitto, William!” lo interruppe bruscamente Joe “non ci serve una lezione di geografia!”
“Questa è storia, Joe” ribatté William “e la storia è molto importante per scoprire chi siamo e in che mondo viviamo”
“A questo posso risponderti io.” disse Joe brontolando “Viviamo in un mondo da schifo e siamo i fratelli Dalton e tu, invece, sei uno che tra poco riceverà un ceffone se non la smette con tutte queste cose da secchione!”
“Mi sa che non ha capito” sussurrò Evelyn all’orecchio di William, che annuì sconfitto.
I cinque entrarono in uno dei tanti ingressi del Colosseo e Caius Pupus li condusse all’interno di uno spogliatoio, pieno di armature, elmi ed armi.
“Joe, guarda!” esclamò Averell avvicinandosi alla parete più vicina e prendendo una piccola sbarra di ferro con un pulsante sopra “chissà a che cosa serve?” disse premendo il pulsante.
Un fascio luminoso color rosso apparve, con un sonoro ronzio elettronico, dall’estremità opposta.
Averell si mise a fare lo stupido con quello strano aggeggio, prendendo in pieno una delle armature e dividendola a metà come se fosse burro.
I gemelli, terrorizzati, si misero l’uno in braccio all’altro e tremarono.
“Averell…” disse Joe, richiamando la sua attenzione “…posala…subito” cercò di non inalberarsi, anche perché non aveva mai visto nulla del genere.
Averell eseguì e la rimise dove l’aveva trovata, riavvicinandosi ai fratelli.
Joe guardò verso la grata che li avrebbe portati nell’arena; un sacco di gente stava iniziando ad entrare e sedersi sugli spalti, pronta a godersi lo spettacolo.
Urla, schiamazzi e applausi risuonavano ovunque.
Evelyn deglutì “Jack…ho paura”
“Sei in compagnia” rispose lui, deglutendo a sua volta.
“Smettetela, conigli!” li rimproverò Joe “siamo Dalton, per la miseria, non ci hanno fermato le sbarre del penitenziario e, di sicuro, non lo farà una stupida prova eseguita in un’arena!” sorrise malignamente “niente e nessuno ci può fermare”
“Ehm…Joe” intervenne William “su questo punto avrei da ridire…”
“E che avresti da dire? Sentiamo” brontolò Joe, avvertendo un battito sulla spalla. Si voltò.
L’ultima cosa che Jack, William, Averell ed Evelyn notarono del maggiore, prima di rivolgere lo sguardo altrove, furono i cambiamenti di colore del volto.
Inizialmente rosso paonazzo che, subito dopo, scolorò in un bianco cadaverico.
  
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