Capitolo decimo
You can find it
I can say that I can change the world
But if you let me
I can make another world for us…
(“Renaissance” – Skin)
Se soltanto Antonio avesse potuto immaginare lontanamente
quanto sarebbe stato più angosciato il giorno di Pasqua di due anni dopo, non
si sarebbe goduto affatto la processione solenne, lo scoppio del carro e tutto
l’ambaradan, ma non era ancora il 1478 e lui poteva vivere quell’esperienza con
l’entusiasmo e la spontaneità che lo contraddistinguevano.
E’ un bene non poter conoscere il futuro!
Nei
tre giorni precedenti la domenica di Pasqua (no, non quella, non ancora!),
Antonio era talmente agitato e felice che vagava per tutto il palazzo dei
Medici raccontando a chiunque volesse starlo a sentire, e anche a chi non
voleva, che avrebbe partecipato alla processione solenne in prima fila con
Messer Pazzi, che avrebbe visto il volo della colombina e lo scoppio del carro e
tutto quanto e che…
“Antonio,
è una bella tradizione, non lo nego, ma tu ne stai facendo un affare di Stato!”
rise Guglielmo. “Capisco che per te è la prima volta, ma è inutile che lo venga
a raccontare a me e a Francesco, che questa cosa la facciamo tutte le domeniche
di Pasqua da quando abbiamo l’età della ragione!”
“E
poi capirai che privilegio mettersi in prima fila al fianco di Jacopo Pazzi”
fece, sarcastico, Giuliano. “Così almeno tutta Firenze capirà che ti porta a
let…”
“Giuliano,
insomma, abbi pietà!” lo interruppe Lorenzo. Aveva la vaga idea che, in
effetti, il fratello avesse ragione, però proprio non voleva pensarci… anche se
era stato lui a insistere perché Antonio accettasse di riconciliarsi con
Jacopo. E altro che riconciliazione, il giovane Orsini viveva quella situazione
come se Pazzi avesse chiesto ufficialmente la
sua mano!
Eppure
doveva riconoscere che, alla resa dei conti, Antonio aveva portato un grande
miglioramento nei rapporti tra le due famiglie: Jacopo Pazzi sembrava aver
fatto pace con i nipoti, era venuto persino a conoscere la figlia di Bianca e
Guglielmo, e non aveva più rinfacciato ai Medici di averlo imbrogliato con i
proventi dell’allume.
Possibile
che si fosse veramente ammansito? Che
l’insistenza e l’affetto di Antonio avessero fatto il miracolo?
“Lorenzo,
mi è venuta un’idea meravigliosa” esclamò il ragazzo ad un certo punto, come
folgorato da un’illuminazione divina. “Perché domenica non invitate anche
Messer Pazzi a pranzare qui, tutti insieme, le famiglie riunite, festeggiando
dopo la processione e la Messa solenne? Non sarebbe perfetto per mostrare
questo nuovo clima di armonia e serenità tra Medici e Pazzi?”
“Dovrei?”
rifletté il giovane Medici. “In effetti sarebbe un bel gesto distensivo, ma
chissà se Jacopo accetterebbe.”
“No,
aspetta, Lorenzo, non vorrai invitarlo davvero? Ma… perché?” si lamentò Giuliano.
“Anch’io
penso che sarebbe un bel gesto” intervenne Francesco. “Adesso che ci siamo
riconciliati con nostro zio mi dispiacerebbe saperlo da solo nel suo palazzo
mentre noi siamo qui a festeggiare.”
Giuliano
lo guardò come se avesse bestemmiato in chiesa, mentre Lorenzo continuava a
pensarci.
“Infatti,
Francesco, hai proprio ragione!” concordò Antonio, sempre più entusiasta. “Non
possiamo lasciare tutto solo Messer Pazzi in una festa così importante.”
“Io
potrei benissimo” ci tenne a sottolineare Giuliano.
“Va
bene, inviterò Jacopo Pazzi a pranzare con noi, glielo chiederò prima di
entrare nella Cattedrale” decise infine Lorenzo, ignorando il mugolio disperato
del fratello. “Lui, comunque, potrebbe rifiutare.”
“Ecco,
bravo, lasciami almeno una speranza!”
“Ma
no, non rifiuterà, perché dovrebbe? Non può passare la Pasqua tutto solo nel
suo palazzo quando la sua famiglia è tutta qui” disse Antonio. “Grazie,
Lorenzo, è molto gentile e generoso da parte tua.”
“Potrei
sempre trascorrere la Pasqua altrove…” minacciò Giuliano, che proprio Jacopo
Pazzi in casa sua non ce lo voleva.
Ma
era in minoranza…
Arrivò
finalmente la tanto attesa mattina di Pasqua. Antonio, che ovviamente si
trovava a Palazzo Pazzi dalla sera prima (vi risparmierò i dettagli…), dopo
aver espresso tanto entusiasmo nei giorni precedenti adesso sembrava intimorito
e pensieroso.
“Francesco
e Guglielmo ci aspetteranno davanti alla Chiesa dei Santi Apostoli, da lì avrà
inizio la processione solenne e… Antonio, sei sulle nuvole?” gli chiese Jacopo,
che era già pronto e guardava divertito il ragazzo che aveva perso tutta la sua
sicurezza.
“Messer
Pazzi, mi chiedevo… ma le famiglie di Firenze cosa penseranno? Non lo
prenderanno come una specie di oltraggio? Un Orsini di Roma al vostro fianco,
in processione subito dietro il loro carro?”
Probabilmente
molti penseranno che il rapporto tra noi è piuttosto equivoco, ma non ha
importanza, perché capiranno anche che la famiglia Orsini di Roma, così come il
Papa, appoggia e sostiene i Pazzi, riconoscendoli come famiglia più nobile e
antica di Firenze, meritevole del potere molto più dei Medici, pensò Jacopo,
molto compiaciuto, ma non lo disse.
“Il
mio carro, caso mai” sottolineò
invece. “E’ la mia famiglia a organizzare la cerimonia e a sostenere tutte le
spese, per cui ho il pieno diritto di portare con me chi voglio. Comunque non
c’è assolutamente nulla di oltraggioso: sei il rappresentante di una nobilissima
e potente famiglia romana che si accompagna ad una altrettanto nobile e potente
famiglia fiorentina.”
Antonio
annuì, poco convinto. In quel momento non si sentiva per niente né nobile né
potente…
“Avanti,
ragazzino, a noi non è permesso fare tardi in una giornata simile” lo
incoraggiò Jacopo, aggranfandolo per una mano… e rimanendo alquanto stupito. “Ma
hai le mani gelide, che ti è preso?”
Il
giovane arrossì, imbarazzato.
“Scusatemi,
Messer Pazzi, mi capita sempre quando sono molto agitato…o emozionato o
spaventato!”
Jacopo
Pazzi, che non era abituato a tanta sensibilità, lo fissò sorpreso, divertito e
quasi intenerito, per quanto potesse esserlo lui. Poi lo aggranfò di nuovo per
i capelli, se lo strinse e lo baciò senza badare al fatto che lo avrebbe
scompigliato tutto. Dopo esserselo baciato quanto volle, lo risistemò un po’ e
gli mise una mano sulla spalla per condurlo fuori.
“Dovrai
imparare a nascondere meglio le tue emozioni, se vuoi vivere in questo mondo”
gli disse, ancora piacevolmente sorpreso da quel ragazzo così particolare. “Già
sei trasparente di tuo, se poi ci mettiamo anche queste mani che ti si
congelano…”
Antonio
gli rivolse un sorriso timido, sapendo benissimo di non essere affatto nato per
vivere in un mondo di intrighi e dissimulazione… e non immaginando quanto, due
anni dopo, avrebbe dovuto imparare quest’arte per salvare tutti coloro che
amava!
Jacopo
e Antonio raggiunsero così la Chiesa dei Santi Apostoli, dove li attendevano per
la processione Francesco e Guglielmo, le altre famiglie di Firenze, il
sacerdote con i chierichetti e il carro pirotecnico alle sue spalle, decorato, trainato
da una coppia di buoi e sormontato dal cero pasquale e dalla bandiera con lo
stemma dei Pazzi. Jacopo Pazzi guidò Antonio subito dietro il carro, alla testa
del corteo, al suo fianco. Qualche mormorio si propagò tra la folla e tra gli
esponenti delle famiglie più in vista di Firenze, vedendoli insieme: in un
certo senso era come se Jacopo, con quel gesto, avesse ufficializzato l’ingresso del giovane Orsini nella famiglia Pazzi,
con tutto quello che significava… ma alla fine erano fatti suoi e ben presto l’attenzione
di tutti si concentrò soltanto sulla cerimonia che stava per iniziare.
Antonio
aveva il cuore in gola per l’emozione e gli occhi non gli bastavano per
guardare tutte le meraviglie attorno a lui, quel carro spettacolare, la
processione che seguiva lui, proprio lui
accanto a Messer Pazzi, la gente che si affollava festosa attorno, intonando
canti sacri e inneggiando alla famiglia dei Pazzi, poiché quello era il loro
giorno, era la celebrazione che da secoli era organizzata e guidata dalla
famiglia e Jacopo ne era giustamente fiero. Il giovane cercava di imprimersi
ogni particolare di quella giornata speciale e unica nella memoria, per non
scordarla mai e poi mai, tutto era perfetto e incantato e lui non voleva
perdersi niente.
Jacopo
Pazzi, soddisfatto, salutava la folla a destra e a sinistra e ad ogni saluto
erano esclamazioni di giubilo, applausi e acclamazioni mentre la processione
proseguiva verso la Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Ad un certo punto l’uomo
si chinò verso Antonio che, rapito, osservava tutto come a volerselo imparare a
memoria.
“Dovresti
salutare la folla che ti sta rendendo omaggio, sai?” gli suggerì.
“Io?
Ma… no, loro stanno acclamando voi, non certo un forestiero come me” replicò
Antonio, ancora più intimidito.
“E’
così che la pensi? Prova e stiamo a vedere” lo incoraggiò l’uomo, con un
sorriso.
Molto
imbarazzato e temendo bordate di fischi o chissà che altro, il ragazzo tentò un
lieve cenno della mano verso la folla, con un sorrisetto timido ed esitante… ma
l’atteggiamento gentile di Antonio parve entusiasmare ancora di più la gente,
che raddoppiò applausi ed evviva.
Rosso
in faccia ed emozionatissimo, il giovane si voltò verso Jacopo.
“Messer
Pazzi… mi stanno acclamando davvero!” fece, con voce spezzata dal turbamento.
“Te
l’avevo detto” fu la semplice risposta di Jacopo Pazzi, che però dentro di sé
era ben contento di come Antonio fosse stato accettato con spontaneità da
tutti. Da quel giorno e per sempre sarebbe stato considerato uno della famiglia
Pazzi…
All’arrivo
della processione davanti all’ingresso della Cattedrale, Lorenzo e Giuliano con
la madre (Bianca, Novella e Clarice non erano venute quell’anno, li avrebbero
attesi a casa insieme ai bambini) osservavano la scena e a Lorenzo scappò un
sorrisetto.
“Certo
che Jacopo Pazzi ne sa una più del diavolo” commentò. “Non poteva trovare un
modo migliore per affascinare uno come Antonio…”
“Eh,
sì” dovette convenire Giuliano, “ma senti… sei ancora convinto di volerlo
invitare a pranzo da noi?”
“Giuliano,
la decisione di tuo fratello è molto saggia. Questo è un momento favorevole e
un gesto distensivo non può che essere ben accetto” disse Madonna Lucrezia, d’accordo
con il figlio maggiore.
In
quel momento il razzo a forma di colombina s’infiammò e partì sfolgorando,
attraversando la piazza e andando a incendiare il carro, che prese a esplodere
in un boato di fuochi e fiammate spettacolari.* Jacopo vide Antonio trasalire e
trattenere il fiato accanto a lui, mentre la folla esultava. Era un momento
speciale per la sua famiglia, il giorno dell’anno in cui i Pazzi venivano
omaggiati e acclamati come meritavano… ma quel giorno sarebbe rimasto per
sempre anche nella memoria di quel ragazzino.
Lo
spettacolo pirotecnico durò perlomeno dieci o quindici minuti, ma per Antonio
sarebbe potuto durare anche il resto della sua vita e, quando gli ultimi botti
esplosero fino al cielo e, pian piano, tutto tornò alla normalità, si lasciò
sfuggire un sospiro.
“Oh,
è già finito…”
“Sono
contento che ti sia piaciuto tanto, ma sì, adesso è finito… almeno fino all’anno
prossimo” lo consolò Jacopo, già mettendo le mani avanti e chiarendo che se lo
sarebbe portato con sé pure negli anni a venire!
Si
avviarono verso l’ingresso della Cattedrale, seguiti da Guglielmo e Francesco.
Lì li attendevano Lorenzo, Giuliano e Madonna Lucrezia. L’espressione di
Giuliano era tutta un programma: pareva che stesse per vomitare…
“Buongiorno
e buona Pasqua, Messer Jacopo, e anche a te, Antonio” disse Lorenzo. “Io e la
mia famiglia saremmo lieti di avervi a pranzo con noi in questa giornata di
festa.”
Jacopo
Pazzi sembrò sorpreso da quell’invito, mentre, dietro di lui, Francesco e
Guglielmo sorridevano e Giuliano mormorava lamenti appena udibili.
“No,
no, no… ma perché, perché?”
“Questa
è opera tua, non è così, Antonio?” fece Pazzi, rivolgendosi al ragazzo, che
divenne tutto rosso e sorrise, una luminosa ammissione di colpa.
Ma,
alla resa dei conti, a Jacopo non dispiaceva troppo essere circuito
affettuosamente da quel ragazzino. E questo avrebbe anche significato
guadagnarsi la fiducia dei Medici, che avrebbero abbassato la guardia… sì,
accettare il loro invito al pranzo pasquale era un’ottima idea.
“Vi
ringrazio molto, Messer Lorenzo, e accetto con piacere il vostro gentile invito”
rispose, infrangendo le ultime speranze di Giuliano. “Buona Pasqua anche a voi
e alla vostra stimata famiglia.”
Sì,
beh, poteva anche permettersi di sparare qualche stronzata, visto che era
soddisfatto!
“Buona
Pasqua un corno” mormorò Giuliano al fratello, quando Jacopo era già entrato in
Cattedrale con Antonio e non poteva più udirlo. “Con lui in casa, sarà la
Pasqua più brutta della mia vita!”
Non
poteva sapere che la Pasqua peggiore della sua vita sarebbe stata un’altra, ma tant’è…
“Messer
Pazzi, sono così felice che abbiate accettato! Non vedete anche voi quanto è
più bella la vita quando siamo tutti uniti e in amicizia? Non è meraviglioso
sentirsi così ben accolti e benvoluti?”
Jacopo
non disse niente, lasciando che Antonio interpretasse come voleva il suo
silenzio.
“Messer
Pazzi, visto che adesso siamo tutti un’unica
grande famiglia, non sarebbe un bel gesto se ci sedessimo tutti vicini,
sulla stessa panca, per mostrare a Firenze che Medici e Pazzi vivono in
perfetta armonia?” propose Antonio, preso dall’entusiasmo.
“Magari
per Natale” tagliò corto Jacopo e, aggranfando il ragazzo per un braccio, lo
condusse senza tanti complimenti verso la parte destra della navata, accanto
all’altare dove erano sistemate le panche per le famiglie più in vista di
Firenze. Quella era la panca destinata ai Pazzi, mentre i Medici sedevano di
fronte a loro, alla sinistra dell’altare.
Tale
disposizione si sarebbe ripetuta, identica, due anni dopo, ma non spoileriamo
troppo!
Quella
piccola delusione non turbò, però, la felicità di Antonio: era stata una
splendida giornata, aveva vissuto una cerimonia spettacolare ed emozionante
accanto a Messer Pazzi e, dopo, avrebbero festeggiato tutti insieme con un
pranzo a Palazzo Medici. Cosa poteva desiderare di più? Era convinto che il
peggio fosse passato e che ormai le due famiglie avrebbero collaborato e
condiviso il potere in amicizia e serenità.
Quanto
si sbagliava!
Fine capitolo
decimo
*
Le notizie storiche sulla famiglia Pazzi
e il suo legame con la tradizione dello scoppio del carro sono tutte vere. Non
sono certa che nel 1476 il carro fosse davvero incendiato dal razzo a forma di
colombina, ma in un libro di Marcello Simoni ho trovato che era proprio così
anche a quei tempi… e mi piaceva che Antonio vivesse quell’emozione che ho
vissuto anch’io!