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Autore: SherlokidAddicted    15/02/2019    3 recensioni
|| AU Destiel ||
John Winchester è morto, e Sam non riesce a superare il lutto.
Dean non ce la fa a vedere suo fratello in quelle condizioni, in più l'assenza del padre lo carica di un peso insopportabile all'altezza del petto. Non vuole piangere davanti a Sammy, vuole dimostrarsi forte e vuole soprattutto che il minore elabori la perdita con il suo aiuto.
Ma Dean non sta bene come crede, ha bisogno di un luogo tutto suo dove rilassarsi e magari anche piangere, quindi inventa uno spazio aperto tutto suo, lo immagina, lo sogna e lo visita ogni volta che chiude gli occhi la sera. Lì è tutto tranquillo, nessuno può dargli fastidio, nessuno può dirgli cosa fare, nessuno può stressarlo perché quella è solo la sua immaginazione e niente può intaccarla. Ma il suo inconscio gli gioca un brutto scherzo, e ben presto si rende conto che quel posto dovrà condividerlo con uno strambo tizio con un lungo trench che la sua mente ha creato per diventare la sua valvola di sfogo.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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- Questa storia fa parte della serie 'The silence'
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La rosa e il girasole


 

- Allora, ci hai pensato? - Sam stava intingendo le patatine nella salsa quando rivolse quella domanda al fratello maggiore. Dean sollevò lo sguardo dal suo hamburger e smise per un momento di masticare. Erano passati due giorni da quella proposta e lui ci aveva eccome pensato, soprattutto dopo averne parlato col suo “consigliere immaginario”, e alla fine si era reso conto che aveva ragione. Quell’uccellino ferito era Sam, e Dean si sarebbe fermato a soccorrerlo anche rischiando una multa. La festa si sarebbe tenuta il giorno dopo, e dato che non era una di quelle feste in cui si sarebbe dato alla pazza gioia, come quelle a cui di solito prendeva parte, aveva anche pensato che probabilmente avrebbe dovuto vestirsi anche in modo più formale per far piacere a un gruppo di avvocati con la puzza sotto al naso. Era proprio una categoria di persone che Dean non sopportava, tranne per Sam, ovviamente.

Castiel, quella notte, gli aveva chiesto se avesse deciso di andare o no a quella festa ma Dean aveva solo alzato le spalle e ingurgitato un altro abbondante sorso di birra. Però doveva aspettarselo forse, che il fratello gli avrebbe chiesto una conferma più precisa, perciò Dean sospirò e mandò giù il boccone prima di poggiare il panino sul piatto e pulirsi le mani con un tovagliolino di carta, quei tovagliolini stupidi che non pulivano mai nulla.

- Mi assicuri che ci saranno delle belle ragazze? - Sam sollevò un sopracciglio, ridacchiando, poi portò la patatina alle labbra e la mandò giù in un sol boccone.

- Ho delle belle colleghe. - Dean sorrise in risposta.

- Allora ci sarò. - Sam stava per parlare, ma la voce inconfondibile di Gabe a un volume decisamente troppo alto lo fece sobbalzare dalla sedia, causando invece in Dean un’espressione confusa. Il cameriere non si vedeva nei paraggi, le sue urla provenivano dalle cucine, da cui ne uscì un Balthazar decisamente senza parole, era proprio come se stesse fuggendo da quella situazione. Anche lui lavorava lì da molto. Non quanto Gabe però, era arrivato qualche anno dopo e anche lui aveva un bel caratterino esuberante.

- Datti una calmata, Gabriel! Farai scappare i clienti. - Gli urlò da dietro la porta, mentre lanciava uno strofinaccio sul bancone e cominciava indispettito a pulirne la superficie.

- Vaffanculo, Balthazar! Non è il momento! - Gabe uscì poco dopo mentre si infilava sopra al grembiule della tavola calda una giacca pesante e una sciarpa. Dean si alzò sotto gli occhi confusi del fratello e raggiunse il bancone. Il suo intento era quello di chiedere un’altra birra, ma in realtà voleva con tutto il cuore capire cosa diavolo stesse succedendo. - Torno più tardi. - Annunciò Gabriel passando proprio accanto a Dean, scontrandosi con la sua spalla senza nemmeno scusarsi, poi si precipitò fuori e salì subito in macchina. Dean lanciò uno sguardo al fratello che gli rispose con un’alzata di spalle.

- Ehi, Balthazar! Un’altra birra se non ti spiace. - L’uomo lo guardò per un attimo, poi sospirò e si girò dalla parte opposta per prendere un’altra bottiglia di birra, ghiacciata proprio come piaceva al maggiore dei Winchester. Gliela poggiò sul bancone, proprio davanti ai suoi occhi, poi tornò a pulire la superficie sempre nello stesso punto, ormai era così splendente che ci si poteva specchiare. - Giornata di fuoco? - Il cameriere sollevò per un attimo le sopracciglia prima di rispondere.

- Fuoco e fiamme, direi. -

- Che gli prende? -

- Non ne ho idea e sinceramente non m’interessa. - Rispose Balthazar con una risata nervosa. Dean si limitò ad annuire confuso, poi gli fece un cenno come per ringraziarlo della birra, e tornò al tavolo, dove Sam stava addentando un altro pezzo di panino. Lo guardò con aria interrogativa, chiedendogli silenziosamente dell’accaduto.

- Forse è da troppo tempo che non sco… -

- Dean! - Lo ammonì Sam, ridacchiando, e Dean lo seguì a ruota, finché entrambi non finirono di pranzare.

Tornarono all’officina e Sam decise di restare a dare una mano, visto che per quel giorno aveva finito in ufficio. Dean ne fu sorpreso e contento, perfino Bobby che non si aspettava affatto di vederlo lì ad armeggiare con loro sul motore di una vecchia auto d’epoca lasciatagli da Rufus, un caro amico di Bobby a cui faceva ogni volta un generoso sconto.

Ci fu un momento, uno solo, in cui i due fratelli restarono da soli mentre Bobby andava a recuperare alcuni pezzi di ricambio. Dean guardò di sottecchi suo fratello, e più si sforzava più non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa.

- Quando finisco qui… volevo andare a trovare mamma e papà. - Azzardò Dean mentre metteva a posto gli attrezzi, ma non appena si ritrovò con lo sguardo su Sam, lo vide quasi terrorizzato. Gli occhi sbarrati e il pomo d’Adamo che andava su e giù per il suo collo. - Non vado a trovare papà dal giorno del funerale e… mi chiedevo se potessi accomp… -

- No. - Fu una risposta decisa e categorica, non ammetteva contraddizioni, e il suo sguardo era già diventato più duro e severo mentre cercava di evitare quello di Dean. Quest’ultimo lo guardò stupito. Non immaginava che perfino vedere le loro lapidi avrebbe peggiorato le cose per Sam. Immaginava solo che non volesse parlarne, e non lo avrebbero fatto al cimitero, Dean se lo era ripromesso, voleva solo andare lì con lui, salutare i suoi genitori, Sam sarebbe rimasto in religioso silenzio accanto a lui e poi sarebbero andati via. Niente parole, di quelle potevano farne a meno per il momento, se era quello che desiderava. Ma quel primo passo, Sam non voleva farlo.

- Ma Sam… -

- Ho detto di no, Dean. - Stavolta lo guardò e Dean vi lesse delusione in quegli occhi, e fu come uno schiaffo in pieno volto per lui. - Vado ad aiutare Bobby. - E detto ciò si dileguò in pochissimi secondi.

Dean rimase da solo a guardare il punto dove poco prima si trovava suo fratello, poi deglutì e si lasciò cadere su una sedia lì vicino, lo sguardo ancora perso nel vuoto al solo pensiero di ciò che era appena successo. Si diede dello stupido. Come aveva solo potuto pensare che quello avrebbe potuto fargli bene? Era ancora presto per parlarne, ancora troppo presto per spingere Sammy a fare qualcosa che non aveva la forza di affrontare. L’unico pensiero che gli venne in mente fu “Sam si sente in colpa”.

Mary Winchester era morta dandolo alla luce, e Dean non avrebbe mai dimenticato quando una volta gli disse “Mamma sarebbe ancora qui se non fosse per me”.

E ora c’era questo, la morte del padre che aveva scombussolato la loro vita cento volte di più. L’ultima volta che si erano parlati, John e Sam avevano litigato, lo facevano sempre. Ma non si erano mai chiariti.

Un’altra colpa sulle spalle del povero Sammy.

Non riusciva ancora ad affrontarli.

Stupido, stupido Dean!

E stupido Sam! Non aveva alcuna colpa di tutto quello che era successo.

Al cimitero ci andò da solo, alla fine. Non era nei programmi di Dean, ma nel tragitto Sam accostò lì vicino e senza nemmeno guardarlo gli disse “ci vediamo a casa”, poi era sgommato via. Per un attimo pensò di seguire la macchina e di raggiungerlo subito, ma poi decise di andare a trovare i suoi genitori, perché sapeva che Sam si sarebbe chiuso in camera e lo avrebbe evitato per tutta la sera pur di non parlare della situazione.

Il sole stava per calare. Il cielo era tinteggiato di colori caldi e tenui, lanciando riflessi rossi sulla superficie delle lapidi lungo il tragitto. L’aria era gelida e il suo giubbotto di pelle non lo aiutava di certo a sopportare una temperatura così bassa. Cavolo, quanto odiava l’inverno!

Arrivò davanti alle due lapidi, messe l’una accanto all’altra, e rimase lì in piedi a fissarle. C’era un girasole poggiato sul terreno per Mary, e una rosa gialla per John. Dean accennò un sorriso triste, immaginandosi Bobby che la mattina presto veniva lì poco prima di passare a prenderlo, solo per lasciare quel piccolo saluto ai suoi genitori. Che idiota, pensò, dovrei farlo io, dovrei esserci io assieme a Bobby ogni mattina.

Non sapeva cosa dire. Era lì davanti alle loro lapidi e non sapeva se stare in silenzio o iniziare a parlare, di qualunque cosa. Cosa si faceva in quei casi? Con la mamma era stato facile parlare apertamente davanti alla sua lapide, ma con entrambi non aveva la più pallida idea di cosa fare, quindi si portò entrambe le mani nelle tasche della giacca e pensò per un momento a Sam, al fatto che non fosse lì con lui a confortarlo come solo suo fratello sapeva fare, a dirgli anche un semplice “Dì qualcosa, Dean!”.

Una lacrima solitaria scese dall’occhio sinistro e Dean quasi non se ne accorse finché non la sentì scorrere sulle labbra.

- Che cosa devo fare? - Chiese soltanto, alternando lo sguardo su entrambi i nomi che risaltavano sulla pietra. - Vi prego, ditemi che cosa devo fare. - La sua voce tremava, ma lì attorno non c’era nessuno. Poteva concederselo.

Quando tornò a casa, Sam era in camera sua, chiuso a chiave come Dean si aspettava. E solo quel pensiero contribuì a chiudergli lo stomaco, voleva solo sprofondare nel suo letto senza pensare a nulla, perciò si recò dritto nella sua stanza e si addormentò senza mettere qualcosa sotto i denti.

Neanche qualche minuto dopo il lago scintillò sotto ai suoi occhi e Dean stringeva già la sua bottiglia di birra con le dita, così forte da rendere bianche le nocche. Ne sentiva perfettamente la temperatura fredda, la superficie bagnata. Prese un respiro profondo a pieni polmoni, gli occhi chiusi mentre cercava di trattenere altre lacrime, perché sì, Dean era sul punto di piangere di nuovo, ancora e ancora. Ma non voleva farlo, perché sapeva che di lì a poco non sarebbe stato più da solo.

E ne ebbe la conferma non appena riaprì gli occhi e avvertì la presenza di Castiel al suo fianco, seduto al bordo del ponticello come lui, che lasciava dondolare le gambe.

- Hai un aspetto di merda. - Gli disse, ma Dean non rispose e si limitò a bere qualche sorso di birra, e lo fece così velocemente che dovette strizzare gli occhi e sopportare quei pochi secondi in cui sentì il cervello “ghiacciato”. - Dean? - Lo chiamò quando si rese conto che ancora non aveva aperto bocca. Quello sbuffò rumorosamente e si girò verso di lui e la sua espressione non presagiva nulla di buono.

- Devi sparire dalla mia testa, Castiel! - La sua voce troppo alta fece sussultare l’uomo davanti a lui. - Voglio stare da solo, porca puttana! - E detto questo si alzò di tutta fretta e provò ad allontanarsi a grandi falcate, portando con sé la bottiglia di birra. Stava per inoltrarsi nella foresta, ma poi si ricordò che facendolo non avrebbe risolto il problema, sarebbe tornato indietro contro la sua volontà, quindi si fermò all’improvviso e lanciò la bottiglia contro una grossa pietra lì vicino. Andò in frantumi e i pezzi di vetro esplosero attorno a lui con un rumore assordante. Sentì i passi di Castiel e poco prima che quest’ultimo potesse avvicinarsi ancora di più, si girò verso di lui e gli puntò contro il dito indice, facendolo immobilizzare. - Io non ho bisogno di te. - Disse, la voce decisamente più bassa, ma con il tremore della rabbia a spezzarla. - Non ho bisogno di parlare dei miei problemi con te. - Castiel aveva alzato appena le mani, ma non aveva smesso di guardarlo sorpreso e allo stesso tempo confuso, la testa come sempre inclinata da un lato come un cucciolo smarrito. - Ho creato questo… - Continuò indicando con le braccia il luogo attorno a loro. - … per poter stare da solo. - Poi gli si avvicinò pericolosamente, e perfino quando Dean afferrò Castiel per il bavero del trench, quello non ebbe alcuna reazione, rimase immobile a guardarlo, e a Dean quell’atteggiamento non era andato giù fin dal primo giorno che lo aveva visto. - Non mi serve parlare con te come se fossi il mio psicologo, hai capito? - Castiel deglutì per un attimo, ma non disse nulla, stette ancora in silenzio in attesa di qualcosa che Dean non riusciva a capire. - Non dici niente? - Alzò la voce, ma Castiel ancora non emise alcun suono, nemmeno quando strinse ancora di più il bavero del suo trench e gli si avvicinò a un palmo dal naso. Solo guardando i suoi occhi capì cosa realmente stava facendo. Castiel non reagiva e non diceva una parola perché stava solo lasciando che Dean si sfogasse, che gettasse fuori ogni cosa. Castiel non lo aveva costretto a gettar fuori la sua rabbia, era stato lui, da solo. Probabilmente se in quel lago non ci fosse stata anima viva, sarebbe rimasto seduto su quel dannato ponticello a osservare l’acqua e a bere fino a scoppiare, sopportando il silenzio che tanto odiava. Invece la presenza di Castiel lo aveva aiutato a sfogarsi, e ciò contraddiceva ogni singola parola che Dean gli aveva vomitato addosso. Per un momento si sentì come Gabriel che quella mattina aveva attaccato senza alcun motivo un innocente Balthazar che invece di inveire su di lui aveva tenuto la bocca chiusa e lo aveva lasciato sbraitare.

Solo in quel preciso istante se ne rese conto. Aveva davvero bisogno di qualcuno, e Castiel era lì per quello.

Con quella nuova consapevolezza, Dean lasciò andare il trench del moro, poi fece qualche passo indietro e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Non immaginava di essere così vulnerabile da aver bisogno di certe cose, pensò mentre abbassava la testa e stringeva forte le palpebre in un ultimo disperato tentativo di trattenersi.

Non passò molto prima di sentire una mano sulla propria spalla, ma Dean rimase immobile, i pugni stretti talmente forte da piantarsi le unghie nel palmo delle mani. Solo dopo un po’ riuscì a sollevare lo sguardo verso Castiel. Lo guardava preoccupato, ma allo stesso tempo quegli occhi gli stavano dando forza, e Dean si sentì uno stupido ad averlo attaccato in quel modo del tutto ingiustificato.

- Mi dispiace… - Disse, e a quel punto non riuscì a trattenere le lacrime. Sgorgarono dai suoi occhi come cascate e Castiel ebbe un sussulto nello sguardo non appena lo vide piangere, fu come se non se lo aspettasse, come se avesse creduto fino a quel momento che Dean non sarebbe mai stato in grado di piangere. - Mi dispiace, Castiel. - Fu un gesto del tutto istintivo quello del moro, ma lo abbracciò stretto e Dean ricambiò soltanto dopo essere rimasto immobile qualche secondo. Era sorpreso di quella sua iniziativa, ma non aveva le forze di essere orgoglioso come suo solito. Dean ne aveva un disperato bisogno e cominciò a singhiozzare senza controllo, aggrappandosi con i pugni chiusi al trench che tanto trovava buffo su di lui. - Mi dispiace. - Continuava a ripetere con la voce tremante e ovattata, tenendo il viso nascosto sulla sua spalla, come a non volere che l’altro lo vedesse in quello stato che lui riteneva pietoso. Mai prima d’ora erano arrivati ad avere un contatto fisico come quello, eppure a Dean non dava alcun fastidio quella vicinanza, non in quel preciso istante almeno. Anzi, sperava di potercisi seppellire fra quelle braccia, almeno per quella notte, almeno finché non avesse riacquistato la lucidità necessaria per tornare il Dean di sempre.

Dio, quanto si detestava in quel momento!

- Va tutto bene. - Disse il moro. Lo strinse ancora, finché non sentì i suoi singhiozzi affievolirsi, poi sciolse appena la presa e lo guardò dritto negli occhi verdi. Dean lo osservò smarrito. In quel momento non sapeva se un’altra situazione come quella sarebbe potuta succedere di nuovo, ma si rese conto che quel gesto gli aveva fatto bene, che gli era piaciuto avere il sostegno di qualcuno che era estraneo alle cose che gli capitavano… ma sarebbe stato lo stesso con qualcun altro? O era proprio Castiel a ispirargli quel briciolo di fiducia? - Vuoi… parlarne? - Dean scosse la testa e si asciugò gli occhi con il dorso della mano, tirando leggermente su con il naso.

- No, non oggi, non ora. Ti prego… parliamo di qualcos’altro, qualunque cosa, ma non quello. - Castiel annuì, poi si limitò a indietreggiare di qualche passo, lasciando scivolare dalla sua spalla la mano che vi era ancora adagiata sopra, prima di iniziare a camminare verso il ponticello. Dean lo guardò da lontano. Non si era voltato a vedere se lo stesse seguendo, ma lo stesso gli sembrò un tacito invito a farlo. Si accomodarono nuovamente come prima, l’uno accanto all’altro, e questa volta anche Dean fece penzolare le gambe verso l’acqua scintillante. Castiel prese due birre e ne passò una a Dean, che lo ringraziò con un cenno della testa. Ci fu silenzio fra i due, per un bel po’ di tempo, prima che Castiel decidesse di romperlo con una domanda.

- Allora… ci vai alla festa o sei ancora indeciso? - Dean deglutì ancora prima di bere, poi annuì.

- Sì… sì, ci vado. - “Se Sam ancora me lo permetterà.” Disse mentre guardava l’acqua sotto di sé. Castiel si fece sfuggire un mezzo sorriso e poggiò la bottiglia su una delle gambe. - Ma se non ci sono belle ragazze e non si mangia decentemente… - L’uomo accanto a lui ridacchiò.

- Cosa? Scapperai dalla finestra? - Dean sollevò appena l’angolo delle labbra, solo per una frazione di secondo.

- Potrei farlo. - Disse infine, facendo scuotere la testa a Castiel, ma poi Dean sospirò. - Scherzi a parte, ci vado solo per lui. Per l’uccellino ferito, con tutte le multe che dovrà costarmi. - Castiel lo guardò senza dire nulla, poi si soffermò a osservare la foresta dall’altra parte del lago, guardando all’orizzonte.

- Questa metafora che ho fatto ti sta sfuggendo di mano. - Dean roteò gli occhi per un attimo, ma quel sorrisetto divertito non sfuggì allo sguardo attento di Castiel. Non passò molto prima che quest’ultimo si girasse completamente verso Dean, incrociando le gambe sul ponticello di legno e guardandolo con la testa piegata leggermente verso destra, con quell’espressione curiosa e buffa che solo lui possedeva. Dean sollevò un sopracciglio.

- Che c’è? -

- Parlami di te. L’unica cosa che so è che hai un fratello e che qualcosa ti tormenta. Nient’altro. - Dean si chiese come mai qualcosa che era frutto della sua di testa non sapesse nulla di lui, ma poi capì. Voleva farlo parlare, voleva distrarlo, e in fondo non ci trovava nulla di male in quello, perciò sospirò e fissò per un momento la bottiglia fredda fra le sue mani.

Gli raccontò del suo lavoro all’officina e di Bobby, di come lo considerasse un secondo padre, del suo carattere impaziente e delle sue imprecazioni. Gli raccontò di Sammy, di quello che faceva in ufficio, del fatto che fosse diventato un ottimo avvocato e della sua determinazione a voler seguire quella strada andando a Stanford. Gli disse che all’inizio fu strano per Dean che lui volesse fare quel lavoro, ma che per vederlo felice e a suo agio accettò la situazione. Gli disse che lo aiutava spesso, quando andava al college. Che quando andava a trovarlo Dean prendeva i suoi libri e lo ascoltava ripetere un capitolo di cui lui non capiva un accidente. Gli parlò dei suoi interessi sulla musica, dell’amore per le belle auto, e per quello verso il cibo, soprattutto degli hamburger di cui non poteva fare a meno.

Non parlò di sua madre, né di suo padre, non accennò della loro morte neanche di sfuggita, non gli disse nulla del vuoto che provava dentro e del dolore seppellito nel suo cuore, niente di tutto quello. Ma Castiel non era stupido, non di certo. Aveva capito che qualcosa mancava in quel racconto, che Dean si stava facendo sfuggire apposta quell’elemento importante della sua vita, però non disse niente, non gli chiese nulla, e lo lasciò parlare, annuendo di tanto in tanto e ridacchiando agli aneddoti divertenti che lui gli raccontava.

E a Dean quello bastò.


Note autrice:

Ho aggiornato oggi perché non sono sicura di riuscire entro la prossima settimana, dato che fra dieci giorni ho gli esami.
Pregate per me che ho l'ansia.
Comuuuuunque, che ne pensate di questo capitoletto? Qui iniziamo a vedere un approccio molto cute fra i due eheheh l'ho fatto apposta lo ammetto.
A presto con il prossimo capitolo, baci!

  
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