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Autore: SherlokidAddicted    10/02/2019    4 recensioni
|| AU Destiel ||
John Winchester è morto, e Sam non riesce a superare il lutto.
Dean non ce la fa a vedere suo fratello in quelle condizioni, in più l'assenza del padre lo carica di un peso insopportabile all'altezza del petto. Non vuole piangere davanti a Sammy, vuole dimostrarsi forte e vuole soprattutto che il minore elabori la perdita con il suo aiuto.
Ma Dean non sta bene come crede, ha bisogno di un luogo tutto suo dove rilassarsi e magari anche piangere, quindi inventa uno spazio aperto tutto suo, lo immagina, lo sogna e lo visita ogni volta che chiude gli occhi la sera. Lì è tutto tranquillo, nessuno può dargli fastidio, nessuno può dirgli cosa fare, nessuno può stressarlo perché quella è solo la sua immaginazione e niente può intaccarla. Ma il suo inconscio gli gioca un brutto scherzo, e ben presto si rende conto che quel posto dovrà condividerlo con uno strambo tizio con un lungo trench che la sua mente ha creato per diventare la sua valvola di sfogo.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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- Questa storia fa parte della serie 'The silence'
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L'uccellino ferito


- Che vuoi dire con questo? - L’uomo accanto a lui fece spallucce e puntò lo sguardo blu e limpido verso la superficie dell’acqua, a osservare le leggere increspature causate dal vento, che per fortuna lì non era freddo come nella realtà. Aveva deciso lui stesso che nella sua testa doveva esserci la primavera, diversamente dall’inverno nella vita reale.

- Non lo so, sembri… uno di quelli che preferiscono le serate nei locali fino a tarda notte. - Quelle parole fecero sollevare entrambe le sopracciglia di Dean, tanto che sarebbe bastato poco per farle scomparire oltre l’attaccatura dei capelli. Guardò le spalle del moro, poi ridacchiò nervosamente e ripose la canna da pesca nella sua custodia.

- Senti, amico, sono qui per schiarirmi le idee, per non pensare a nulla, non per averti tra i piedi! - E detto ciò, Dean attraversò il ponticello di legno e cominciò a camminare con le scarpe che sprofondavano sul terreno a ogni passo. L’altro lo guardò confuso, la testa sempre chinata da un lato e quello sguardo stralunato che sembrava contraddistinguerlo da ogni individuo sulla Terra.

“Smetti di immaginartelo Dean, smettila, è la tua testa, diamine!”

- Dove stai andando? - La sua voce era più lontana questa volta. Dean si era allontanato già di molto, oltrepassando i primi alberi che davano inizio a una lunga distesa di foresta. Quando si girò vide semplicemente l’uomo in piedi accanto a quella che poco prima era la sua sedia comoda, ed era piccolo abbastanza da non riuscire a vederlo con precisione. Dean dovette gridare per farsi sentire.

- Lontano da te! Magari trovo un fiume, un altro lago, un ruscello, qualunque cosa. - Si girò di nuovo e riprese a camminare oltre la fitta foresta, sentendo dietro di sé la risata appena accennata del suo nuovo tormento personale.

- Non funzionerà! - Il biondo scosse la testa ridendo nervosamente, affondando ancora i piedi nella terra umida. Non aveva ancora esplorato in fondo, cosa ci poteva trovare in una foresta nella sua mente? Magari c’era qualche strana e sexy creatura mitologica, una di quelle belle ninfe o elfe dei boschi, come in quei film che Sam guardava in continuazione, e a quel punto la “compagnia” di quel tipo non gli sarebbe dispiaciuta, anzi… ne avrebbe sicuramente approfittato. Certo, Dean non era il tipo tanto nerd da amare quel genere di cose, ma se si trattava di belle ragazze lui era sempre presente.

Alzò lo sguardo, e solo dopo aver messo a fuoco si rese conto di essere sbucato nuovamente alla riva del lago, e sapeva che fosse lo stesso di prima perché il tizio strambo col suo dannato trench era ancora lì in piedi accanto alla sua sedia, le mani infilate in tasca e un sorriso beffardo a delinearle. Lo guardò come se fosse un’allucinazione assurda, poi lanciò un’occhiata alle sue spalle e vide lo stesso identico scenario, seppure in lontananza.

- Ma che diavolo… - Mormorò, ma forse non abbastanza piano perché anche “occhioni blu” lo sentisse. Quest’ultimo si lasciò sfuggire una risata divertita, poi iniziò a camminare in sua direzione, fermandosi però poco dopo essere sceso dal ponticello.

- È un loop, non c’è modo di andarsene, da qualunque parte deciderai di andare tornerai sempre qui. - Dean deglutì a quella spiegazione, e pensò a quanto fosse strana la mente umana nell’essere in grado di creare una cosa come quella. Si accasciò sconfitto contro l’albero al quale si era poggiato con un palmo aperto, vi schiacciò contro la schiena e chiuse gli occhi. Riusciva a sentire il terreno sotto di sé come se fosse reale, si punse addirittura con un bastoncino di legno, tanto che dovette ritirare la mano e succhiare l’immaginaria gocciolina di sangue che era fuoriuscita.

Sentì dei passi accanto a sé e poi il peso dell’uomo che probabilmente si metteva comodo come aveva fatto lui poco prima. Sospirò rassegnato ma non si azzardò a schiudere le palpebre per sbirciare. Semplicemente inarcò la testa all’indietro e poggiò entrambe le braccia sulle ginocchia.

- Pare che nemmeno nelle fantasie io possa stare tranquillo. - Non ricevette alcuna risposta, quindi aprì un occhio per capirne il motivo. L’uomo davanti a lui era seduto al suo stesso identico modo, gli occhi però erano puntati all’orizzonte, verso il lago. Fu come se non avesse sentito per niente quello che aveva detto. Ne approfittò quindi per prestare attenzione a qualche suo particolare. Quando si concentrava si formavano delle leggere rughe sulla sua fronte, il suo sguardo indagatore era bizzarro, come lo era di per sé ogni cosa di quel tipo. Ma era strano, perché sembrava anche pensieroso e per un momento si chiese anche a cosa potesse pensare una semplice immaginazione. - Almeno ce l’hai un nome? - Chiese curioso, e solo con quella domanda lo sconosciuto si girò verso di lui e lo guardò allo stesso modo con cui stava fissando la superficie dell’acqua.

- Mi chiamo Castiel. -

- Castiel? - Il diretto interessato annuì e Dean corrugò confuso la fronte a quella nuova informazione. - Che razza di nome dovrebbe essere? - E la cosa parve almeno un po’ divertente, perché il suo interlocutore sollevò l’angolo delle labbra ma preferì non rispondere. - Io sono Dean, comunque. - Castiel fece un cenno della testa, e il biondo pensò “Mi starà prendendo per stupido, certo che sa come mi chiamo, è nella mia testa. Merda, continuo a contraddirmi da solo.”

- Dean. - Ripeté il moro, puntando nuovamente lo sguardo al lago. L’aria era fresca e Dean la sentiva sulla pelle come se fosse reale.

- Cosa? - Chiese confuso, perché il modo in cui pronunciò il suo nome era come se stesse assaporando ogni lettera, come se stesse provando come suonasse detto dalla sua voce. Cosa poteva esserci di tanto eclatante in un nome semplice come il suo? Non era di certo come “Castiel” la cui provenienza sembrava sconosciuta. Non aveva mai sentito un nome del genere.

- Nulla, mi piace come suona. - Trovò quella sua affermazione un po’ fuori dal normale, ma si limitò a sollevare le sopracciglia e a richiudere gli occhi. Non si dissero altro, preferì restare immobile fino a quando non si sarebbe svegliato, e a quanto pare fu la stessa cosa che decise di fare Castiel, perché non lo sentì muoversi neanche di un millimetro.

Il giorno dopo Sam lo stupì positivamente. Era in cucina e stava preparando la colazione per entrambi. Gli aveva anche rivolto un “buongiorno” e accennato un sorriso, seppure Dean avesse intuito che era abbastanza tirato. Era felice che almeno stesse cercando di sforzarsi di stare bene.

Decise di sua spontanea volontà di accompagnarlo in ufficio prima di recarsi da Bobby, poi gli diede appuntamento all’officina, cercando anche di fargli capire che sarebbe dovuto passare alla tavola calda per prendere il pranzo. “Prendilo anche a Bobby, altrimenti si incazza.”, e Sam aveva ridacchiato prima di salutarlo con una pacca sulla spalla.

- Come sta Sam? - Fu la domanda di Bobby, mentre armeggiava sotto un grosso fuoristrada e Dean pigramente gli passava gli attrezzi. Fino a quel preciso istante aveva evitato di parlargliene, ma improvvisamente aveva deciso che era il momento. Dean non seppe come rispondere e si limitò a sospirare guardandosi le mani sporche di grasso.

- Ha alti e bassi. - Spiegò. - Un momento sembra stare per riprendersi e quello dopo si rinchiude nella sua stanza. - Anche Bobby borbottò esasperato sotto il fuoristrada, e Dean intercettò le parole “che palle”, “sfogarsi”, e “piangersi addosso”. Ma gli bastò per capire che cosa intendesse. Neanche un attimo dopo, Bobby si diede una leggera spinta e si tirò fuori da solo da sotto l’automobile.

- Anzi, mi correggo, tutti e due dovreste sfogarvi e smetterla di piangervi addosso. - Dean lo guardò confuso, sollevando appena le mani.

- Io sto bene! - Bobby aprì con il solito borbottio una portiera del fuoristrada e poco prima di salire al posto del guidatore lo guardò come se gli avesse appena scaraventato contro una sedia.

- Stronzate! Ti conosco più delle mie tasche, Winchester, e so che sotto quella corazza che ti stai costruendo in realtà ti senti una merda. Che cazzo, non hai pianto nemmeno quando la disgrazia è successa, e io so che non è stato facile per te! - Infilò prepotentemente le chiavi nel cruscotto e cercò inutilmente di accendere il motore. Ci riprovò un altro paio di volte, mentre Dean, con ancora gli attrezzi fra le mani, cercava di capire se Bobby avesse in effetti ragione. E cavolo, se ce l’aveva, ma non voleva mai dimostrare quello che provava mai a nessuno, soprattutto a Sammy. Non aveva pianto quando aveva saputo della morte del padre. Sam sì, lo aveva fatto disperatamente sulla sedia in sala d’aspetto, poi contro la parete della stanza quando era entrato a vedere John, inerme su quel letto d’ospedale. A cosa sarebbe servito sfogarsi per Dean se non peggiorare la situazione di suo fratello? Non poteva permettersi di soffrire davanti a lui, aveva già abbastanza dolore da sopportare, e Dean sapeva egoisticamente quanto Sam tenesse a lui. Lo aveva cresciuto, in fondo. Ogni volta che il padre non c’era, ogni volta che spariva la sera per andare a bere chissà dove, ogni volta che Bobby era stracarico di lavoro perché John decideva di non aiutarlo in officina, ogni volta che John crollava esausto sul divano senza neanche degnarli di uno sguardo, Dean era lì per Sam. Gli preparava la colazione, il pranzo da portarsi dietro a scuola, lo aiutava con i compiti se poteva e se ci capiva qualcosa anche Dean, lo portava fuori a mangiare una pizza e gli preparava il brodo di pollo quando stava male.

Insomma, per Sam, Dean era importante. E credeva che vederlo sofferente, che vederlo crollare non sarebbe stato un bene per lui, dato che mai gli aveva mostrato quel lato fragile. Voleva continuare a essere quella roccia impenetrabile per suo fratello.

Ma era anche vero che a Bobby non si poteva nascondere niente, perché anche quando il padre era vivo e Dean perdeva le staffe con lui, era Bobby quello da cui andava a piangere e a sfogarsi.

- Che palle! - Esclamò l’uomo quando si rese conto che l’auto ancora non partiva, sottolineando l’imprecazione con un colpo delle mani sul volante. Scese perciò di tutta fretta e si asciugò il sudore della fronte con l’orlo della camicia. - Mi serve una pausa. - Il rombo di una macchina li interruppe, Sam era arrivato e aveva parcheggiato vicino all’ingresso. Quando scese dalla macchina, Dean vide palesemente tre sacchetti provenienti dalla tavola calda. Gli lanciò un veloce cenno della mano al quale il maggiore rispose, ma non Bobby. - Pensa a quello che ti ho detto, ragazzo. - Gli disse l’uomo che per molto tempo aveva considerato come un secondo padre, poi quando Sam fu abbastanza vicino, prese il proprio sacchetto del pranzo e se ne andò, lasciandoli da soli.

- Che gli prende? - Chiese Sam con espressione confusa. Per un momento gli ricordò quel Castiel che vagava indisturbato nei suoi sogni.

- Non saprei. - Mentì Dean facendo spallucce, poi si limitò a strappare dalle mani del fratello il sacchetto con su scritto il proprio nome e cognome dall’inconfondibile calligrafia di Gabriel. Sam probabilmente aveva ordinato il pranzo telefonicamente.

- C’è anche la crostata. Te ne ho fatte fare due fette. - Lo sguardo del maggiore si illuminò mentre si sollevava felice come un bambino verso gli occhi di Sam, e a quella reazione il minore ridacchiò, scuotendo esasperato la testa. - In realtà ne avevo presa una, ma Gabe ha deciso di abbondare. Anche con me a quanto pare, non mi ha fatto pagare nemmeno l’extra. - Gabriel non lo avrebbe mai ammesso, pensò Dean, ma quello era il suo modo di preoccuparsi per la loro recente perdita. Era già successo una volta, quando Sam ebbe una delusione causata da una ragazza, una cosa da niente, ma Gabriel gli aveva offerto una fetta di torta in più senza fargliela pagare, sparando la prima cazzata che gli era venuta in mente, ovvero che “oggi sei il primo cliente che varca la porta con il nome che inizia per S!”, sì, cazzate, e tutto per difendere il suo orgoglio e non ammettere che in fondo ci teneva a loro, nonostante li vedesse solo alla tavola calda e non si conoscessero a fondo.

- Mi sembra maleducato non approfittare della sua gentilezza, no? - Dean afferrò il proprio panino e gli diede un generoso morso, che fece storcere il naso del fratello in una smorfia divertita. Il cibo era una delle sue più grandi debolezze dopotutto, e ancora di più le crostate.

- Certo, ovvio. - Rispose Sam mentre si tirava su per sedersi sul tavolo da lavoro, scostando qualche attrezzo per farsi spazio, poi anche lui cominciò a masticare il panino che aveva fatto preparare per sé. - Quindi, cosa aveva Bobby? -

- Ah, le solite cose, non preoccuparti. L’auto non parte e sai che se la prende facilmente. -

- So che se la prende facilmente, ma non per l’auto che non parte, Dean. Non è di certo la prima volta. - Il maggiore fece spallucce e per trovare le parole adatte si riempì la bocca con un altro po’ del suo pranzo. Parlò solo dopo che mandò giù il boccone.

- Immagino sia preoccupato per noi. - Sam a quel punto annuì, distogliendo lo sguardo dal fratello. Quella giustificazione sembrava più convincente, ed evitare di parlare della vera e propria discussione avvenuta poco prima fu proprio voluto da Dean, sapendo che Sam non avrebbe voluto aprire bocca sull’argomento, infatti non ci pensò due volte a cambiare argomento.

- Ascolta, in ufficio c’è uno degli stagisti che ha ottenuto un lavoro prestigioso a New York. Ha deciso di dare una festa questo sabato per salutarci. - Dean mandò giù un altro boccone e lo guardò confuso.

- Ok…? -

- Ha invitato anche me, ma da solo non mi va di andarci. Gli ho chiesto se potevi venire anche tu e ha detto di sì, perciò… -

- Una festa? - Stava per farlo. Stava proprio per rifiutare, per dire un no categorico, un “non ci penso nemmeno ad andare a una festa piena di avvocati spocchiosi”, ma poi pensò che se Sam aveva accettato con quella condizione, probabilmente sarebbe stata una buona occasione per evitare di pensare alla loro ultima disavventura, e forse sarebbe stato un buon espediente per aiutarlo a distrarsi. - Ci penserò su, va bene? - Sam sorrise leggermente e annuì, la speranza dipinta nei suoi occhi.

Quella notte, per un momento Dean pensò di essere da solo, finalmente, e per un momento lo fu mentre sorseggiava la sua birra sul ponticello, accompagnato dal fruscio degli alberi e dal rumore dell’acqua. Un rumore di qualcosa che vi cadeva contro e poi sprofondava. Un rumore continuo di sassolini che slittavano sulla superficie prima di venire inglobati nell’oblio.

Si girò.

Castiel era a pochi passi da lui sulla riva, con un mucchietto di pietre in mano. Le lanciava piano, una dopo l’altra. Dean le guardò rimbalzare sull’acqua e poi osservò Castiel, rassegnato ormai della sua presenza nel “suo” posto felice.

- Ti annoi? - Gli chiese Dean dopo un po’ di silenzio. Castiel fermò il braccio a mezz’aria e fu come se si fosse accorto di lui solo in quel preciso istante, poi però sollevò appena un angolo delle labbra e riprese a lanciare i sassolini con calma. Uno di essi però non rimbalzò, e Dean si ritrovò davanti la sua faccia piena di disappunto mentre riponeva i sassolini nell’ampia tasca del trench.

- Non c’è molto da fare qui. - Rispose lui. Dean portò una mano nella cassa di birra e ne estrasse una. La sollevò in sua direzione e attese in silenzio senza nemmeno guardarlo, finché non lo sentì afferrarla e gli si sedette accanto facendo ciondolare le gambe verso il lago, diversamente da Dean che invece le teneva incrociate. Castiel si attaccò alla bottiglia e ne mandò giù quattro sorsi abbondanti a occhi chiusi, come se si stesse godendo sorso dopo sorso il sapore immaginario del malto sul palato.

- Amico, sembra tu non beva una birra da secoli! - Castiel si asciugò le labbra con la manica del trench, poi osservò l’etichetta della bottiglia prima di parlare.

- No, è che… avevo sete. - Disse lui, facendo ridacchiare Dean. Il moro però non sapeva cosa ci fosse di così divertente e lo guardò confuso. Era la prima volta che si guardavano da così vicino, e Dean pensò fosse ancora più buffo con quello sguardo stralunato.

- Bene, allora è una fortuna che ce ne sia dell’altra. - Disse il biondo, dando un colpetto sulla cassa accanto a sé.

- Quindi così cosa divento? Il tuo compagno di bevute? -

- Forse, almeno per oggi. - Castiel sollevò di nuovo l’angolo delle labbra e Dean ebbe per un momento un brivido lungo la schiena che gli fece distogliere inspiegabilmente lo sguardo.

- Non ho mai avuto un compagno di bevute. Cosa fanno di solito? - Dean storse le labbra pensieroso, era davvero ingenuo quel tizio e la cosa lo divertiva, tanto da non riuscire a togliersi quel sorriso irritante dalla faccia che però sembrava non fargli né caldo né freddo.

- Oh e che vuoi che ne sappia? Io bevo sempre da solo. - Castiel ridacchiò sottovoce.

- Quindi devo stare in silenzio? - A quella domanda gli venne da riflettere. Lui odiava il silenzio, ma trovava anche irritante la sua compagnia quando in realtà era solo la solitudine quella che voleva. Un pensiero che andava molto in contrasto con tutto quello che pensava, ma alla fine annuì, e il moro si ritrovò a fissarlo per un momento mentre mandava giù qualche altro sorso.

Tutto ciò a cui pensava Dean erano le parole di Bobby e la proposta della festa di Sam. Sentiva il disappunto del suo secondo padre che ronzava nella sua testa e la speranza di Sam a pesargli sul petto. Avrebbe voluto parlarne con qualcuno, ma con chi?

Guardò Castiel per un attimo. Era per questo che era lì, no? Tanto valeva sfruttare quell’opportunità.

- Cas… posso chiamarti Cas? - Non attese nemmeno che lui rispondesse e continuò. - Se avessi un fratello e ti chiedesse di andare a una festa che vorresti evitare con tutto te stesso, ma sai che tuo fratello sta passando un momento difficile e tu vorresti solo che stesse bene e che si distraesse, tu che faresti? Andresti a quella festa solo per farlo contento o manderesti tutto all’aria all’ultimo minuto solo perché sai che in fondo a quella festa non ci vorresti andare nemmeno morto? - Castiel poggiò la bottiglia di birra sul legno del ponticello e portò poi entrambe le mani sulle ginocchia.

- Se sapessi che a mio fratello potrebbe far piacere la mia presenza, ci andrei di corsa. - Dean si girò a guardarlo, poi scosse la testa e sospirò.

- Lo sto chiedendo proprio a un sentimentale come te, eh? -

- Un sentimentale? -

- Andiamo, si vede lontano un miglio che sei un sentimentale. - Castiel sorrise, per niente arrabbiato da quell’affermazione e per un momento Dean si sentì fremere di puro fastidio alla bocca dello stomaco. Perché a quell’uomo tutto sembrava solo acqua fresca? Perché non gli rispondeva male come facevano tutti? Perché sembrava così tremendamente in pace con sé stesso?

- Perché credi che lo sia? -

- Non so, hai l’aria di uno di quelli che si fermerebbero nel bel mezzo della strada per soccorrere un uccellino ferito. - Castiel a quel punto scoppiò a ridere senza riuscire a trattenersi e Dean, seppure volesse risultare infastidito da quella reazione, ne fu contagiato e si ritrovò a ridacchiare lui stesso, scuotendo però la testa.

- Come tu sembri uno a cui piace fare baldoria la sera, ma a quanto pare vuoi evitare questa festa. - Dean si zittì e si morse la lingua quando si accorse che aveva ripreso il discorso del giorno prima. Aveva ragione ma non gli avrebbe dato quella soddisfazione.

- Perché, vuoi dirmi che non sei un sentimentale? -

- Forse, ma non mi fermo per strada a soccorrere uccellini feriti, se è quello che mi vuoi chiedere. - Dean ridacchiò mentre si rigirava la bottiglia mezza piena fra le mani. - Ma se l’uccellino ferito fosse mio fratello lo aiuterei, anche se questo potrebbe costarmi una multa per aver intralciato il traffico. - Un paragone strambo quello della multa per descrivere una festa a cui non avrebbe mai partecipato di sua spontanea volontà, ma decisamente efficace da lasciarlo senza parole, tanto che la sua unica risposta fu un sorriso tirato e un leggero cenno con la testa. Poi Castiel sollevò la bottiglia in attesa e a quel punto Dean la fece scontrare con la propria. Calò il silenzio, ma questa volta non lo trovò fastidioso.


Note autrice: 

Buonaseraaaaa gente!
Il secondo capitolo è arrivato prima del previsto e sinceramente non me lo aspettavo nemmeno io, ieri mi sono liberata da un grosso progetto per l'università, perciò ho avuto un po' di respiro, e finché ce l'ho mi dedico alla stesura della storia.

Ringrazio tutti quelli che hanno lasciato un riscontro positivo, per me ha significato tantissimo e spero che la storia continui a piacervi.
Che ne pensate di questo Castiel? Dean seguirà il suo consiglio?
Al prossimo capitolo, bacioni!

  
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